William James e la Filosofia Americana

Nel 1890, William James camminava lungo un sentiero di Harvard, con il fruscio delle foglie autunnali sotto i piedi e il sole che filtrava tra gli alberi, scaldandogli il viso segnato da rughe gentili. Non era un filosofo da torre d’avorio: robusto, con barba corta e occhi che ridevano, sembrava un medico di campagna più che un accademico. Nato nel 1842 a New York, in una famiglia ricca e caotica – suo padre un eccentrico teologo, suo fratello Henry uno scrittore – James era cresciuto tra libri, viaggi e un’anima inquieta. Quel giorno, scrivendo Principi di psicologia, stava dando voce alla filosofia americana: un pragmatismo caldo, una psicologia viva, un pensiero che non si chiudeva in sistemi ma si apriva alla vita. Con James, l’Ottocento d’oltreoceano trovava la sua anima: pratica, umana, lontana dai castelli europei.

L’America del XIX secolo era un paese che correva. La Guerra Civile aveva lasciato cicatrici – sangue, ferrovie, una nazione riunita a forza – ma il progresso galoppava: fabbriche, ponti, un West che si allargava con polvere e promesse. L’Europa dominava la filosofia: Kant con le sue categorie, Hegel con i suoi spiriti – torri di pensiero alte e fredde. Ma gli americani volevano altro: “A cosa serve?” chiedevano, con voci che odoravano di legno e sudore. James arrivò in questo tumulto con un cuore grande. Studiò medicina, viaggiò in Brasile – “Ho visto il mondo,” pensava, con un taccuino pieno di schizzi – ma la depressione lo morse: “Vivo o muoio?” si chiedeva, con mani che tremavano. A Harvard, trovò la sua strada: “Il pensiero è per la vita,” diceva, con una voce che scaldava.

Il pragmatismo di James era un respiro fresco. “La verità è ciò che funziona,” scriveva in Pragmatismo (1907), con una penna che danzava sulla carta. Immagina un contadino del Midwest: prega per la pioggia, ara il campo, il grano cresce – per James, quella preghiera era vera perché portava frutti. Peirce aveva acceso la scintilla – “effetti pratici” – ma James la rendeva umana: “La verità vive nell’esperienza,” pensava, con un sorriso aperto. Pensiamo a un ponte di Brooklyn: regge, quindi è reale – non era un’idea astratta, ma un fatto che si toccava. Nel La volontà di credere (1897), osava: “Credere crea,” diceva, con occhi che brillavano – la fede non era dogma, ma scelta.

James non era solo pragmatista. Nei Principi di psicologia, scavava nella mente: “La coscienza è un flusso,” pensava, con mani che sfogliavano appunti. Immagina un uomo a Boston: ricorda un tram, sente un profumo, decide di camminare – per James, non era una macchina, ma un fiume vivo. Nato prima di Freud, lo precedeva: “L’io non è fisso,” diceva, con una voce che pesava ogni sillaba – pensieri, emozioni, un continuo scorrere. Insegnava a Harvard con camicia slacciata: “Sentite la vita,” rideva, con studenti che pendevano dalle sue labbra. Morì nel 1910, a 68 anni, con un ultimo respiro che odorava di libri: “Ho visto il flusso,” pensava, con un cuore stanco ma pieno.

La filosofia americana trovava in lui una voce. Lontano dai sistemi tedeschi, James guardava il quotidiano: “La realtà è ciò che incontriamo,” pensava, con una penna che pesava il reale. Darwin lo ispirava: “Siamo animali che pensano,” diceva, con un ghigno – la mente evolveva, non stava ferma. Pensiamo a un pioniere dell’Oregon: costruisce una capanna, prega, lotta – per James, era filosofia viva. Non era un ottimista cieco: “Il mondo è un casino,” ammetteva, con una risata – ma era un casino da affrontare, non da fuggire.

James viveva tra aule e crisi. A Chocorua, nel New Hampshire, si rifugiava in una casa di legno: “Qui respiro,” pensava, con un lago che rifletteva il cielo. La sua vita era un tumulto: salute fragile, un figlio perso, una moglie – Alice – che lo teneva in piedi. “Non sono un genio,” borbottava, ma lo era: Peirce lo ammirava, Dewey lo seguiva. Litigava con i metafisici: “Troppo aria,” diceva, con un sopracciglio alzato. Lasciava un’eredità: il pragmatismo si allargava, la psicologia cresceva – un pensiero che non si chiudeva, ma si apriva.

Nel 2025, James ci parla ancora. In un’America di startup e sogni, il suo pragmatismo vive: “Funziona?” chiediamo, con voci moderne. La sua psicologia respira nelle terapie, nei flussi di coscienza dei romanzi. Ma non era perfetto: “Troppo morbido?” dicevano i critici; “E la logica?” si chiedevano altri. Per uno studente di oggi, è un amico: la verità non è un tempio, ma un sentiero. Immagina un pensiero: non è solo parole, è un’Ottocento che ci cammina accanto.

 

Filosofia tra Ottocento e Novecento

  1. Bolzano, Brentano e la Reazione a Kant
  2. Peirce e le Origini del Pragmatismo
  3. James e la Filosofia Americana
  4. Bergson e il Flusso della Vita
  5. Avenarius, Mach e l’Empiriocriticismo
  6. Lo Spiritualismo Ottocentesco
  7. Le Tradizioni Filosofiche dell’Italia Unita
  8. Il Passaggio al Novecento
Storia e Filosofia
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