L’Italia e la Vittoria Mutilata

L’Italia uscì dalla Prima Guerra Mondiale con una vittoria in mano, ma non con la soddisfazione nel cuore. Dopo anni di battaglie, dopo il sangue versato sull’Isonzo e la resistenza sul Piave, ci si aspettava una ricompensa che facesse dire: “Abbiamo fatto la cosa giusta”. Il Patto di Londra, firmato nel 1915 per entrare in guerra, aveva promesso tanto: Trento, Trieste, l’Istria, la Dalmazia, persino qualche colonia in Africa per alzare la testa tra le potenze. La vittoria di Vittorio Veneto, nell’ottobre 1918, sembrava il sigillo di quel sogno. Ma quando i rappresentanti italiani, guidati da Vittorio Emanuele Orlando, arrivarono a Versailles nel 1919, trovarono un’amara sorpresa. Non ci fu il banchetto che si aspettavano: portarono a casa solo una parte di ciò che era stato promesso. Trento, l’Alto Adige e l’Istria arrivarono, sì, ma la Dalmazia restò fuori. Woodrow Wilson, con la sua idea che ogni popolo dovesse decidere per sé, disse: “Lì ci vivono troppi slavi, non possiamo darvela”. Fiume, una città che per molti italiani era un simbolo di riscatto, fu lasciata in sospeso, fuori dal trattato. Fu un duro colpo.

Gabriele D’Annunzio, poeta e nazionalista con un fuoco che non si spegneva, coniò un’espressione che fece storia: “vittoria mutilata”. Non era solo un modo di dire: era un grido che risuonava nelle piazze, nelle case, nelle menti di chi si sentiva tradito. “Abbiamo combattuto per questo?”, si chiedevano in molti. Nel settembre 1919, D’Annunzio passò dalle parole ai fatti. Con un gruppo di soldati e sognatori, marciò su Fiume e la occupò, senza che il governo glielo avesse chiesto. Per più di un anno trasformò la città in un esperimento ribelle, con bandiere, discorsi e regole tutte sue. Nel 1920, l’esercito italiano lo cacciò via, ma quel gesto folle mostrò quanto fosse profonda la ferita. L’Italia aveva vinto, sì, ma si sentiva come se le avessero tagliato un pezzo di gloria.
Dentro il Paese, le cose non andavano meglio. La guerra aveva lasciato un segno pesante: più di 600.000 morti, un debito pubblico che schiacciava, un’economia che arrancava. Le fabbriche chiudevano, i soldati tornavano a casa e trovavano porte sbarrate invece di lavoro. I contadini, che avevano dato il sangue nelle trincee, si guardavano intorno e vedevano solo povertà. Tra il 1919 e il 1920, il malcontento esplose nel “biennio rosso”. Operai e braccianti si ribellarono, occuparono terre e stabilimenti, spinti dai socialisti che parlavano di rivoluzione, sull’onda di quello che era successo in Russia. Ma dall’altra parte, i padroni e la borghesia avevano paura: vedevano il pericolo di perdere tutto e cercavano una risposta. In quel caos nacque il fascismo. Benito Mussolini, un ex socialista con un talento per le parole, fondò i Fasci di Combattimento nel 1919. Usava la delusione di Versailles come un’arma: “Ci hanno traditi, serve un’Italia forte”, ripeteva, e molti lo ascoltavano. Le sue squadre nere, armate di manganelli e violenza, iniziarono a colpire i socialisti, guadagnando terreno.

Il governo italiano era debole, incapace di tenere il timone. A Versailles, Orlando aveva provato a farsi valere, ma Francia e Regno Unito lo trattavano come un ospite di seconda fila. Tornò a Roma con poco in mano, e questo alimentò il senso di frustrazione. La “vittoria mutilata” non era solo una questione di terre perse: era un simbolo, un’idea che scavava nel profondo. Molti si sentivano derubati, dopo aver dato tutto in guerra. Quel malcontento spaccò il Paese: da una parte chi voleva cambiare tutto con la rivoluzione, dall’altra chi cercava un capo forte per rimettere ordine. In mezzo, la gente comune, stanca e disorientata, non capiva perché la pace dovesse portare tanta amarezza. Mussolini seppe cogliere quel momento: nel 1922, con la Marcia su Roma, prese il potere, cavalcando l’onda di un’Italia ferita e incerta.
La fine della guerra, per noi, fu un traguardo che sapeva di incompletezza. Avevamo combattuto con coraggio, perso migliaia di vite, e cosa ci restava? Qualche territorio e un senso di vuoto. La vittoria mutilata segnò un punto di svolta: spinse l’Italia su una strada nuova, piena di ombre, che avrebbe portato lontano. Era la chiusura di un sogno e l’apertura di un capitolo difficile, dove la delusione si trasformò in rabbia, e la rabbia in cambiamento.

 

La Prima Guerra Mondiale e la Fine di un’Epoca

  1. Cause della Prima Guerra Mondiale
  2. L’Italia e la Neutralità del 1914
  3. La Guerra di Trincea nel 1915-1916
  4. La Svolta del 1917: Russia e USA
  5. La Fine della Guerra nel 1918
  6. Il Trattato di Versailles 1919
  7. L’Italia e la Vittoria Mutilata
Storia e Filosofia
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