Nel 1943, Jean-Paul Sartre sedeva a un tavolo del Café de Flore a Parigi, con il rumore delle tazze che si mescolava al vociare della folla e il fumo di una sigaretta che gli avvolgeva il viso. Non era un uomo da silenzi: basso, con occhiali spessi e occhi che guizzavano, sembrava un poeta ribelle più che un filosofo. Nato nel 1905 a Parigi, orfano di padre e cresciuto da una madre e un nonno severo, Sartre era un bambino che leggeva voracemente, con un’anima che si ribellava al destino. Quel giorno, scrivendo L’essere e il nulla, stava dando voce all’esistenzialismo: non più certezze o dèi, ma un uomo libero e condannato a scegliere. Il Novecento, con Sartre, trovava un grido: la vita era angoscia, ma anche possibilità, un teatro dove l’uomo era attore e autore.
L’Europa degli anni ’40 era un campo di macerie. La Seconda Guerra Mondiale infuriava: bombe su Londra, carri armati in Francia, un’umanità spezzata dall’orrore. Nietzsche aveva ucciso Dio, Heidegger interrogato l’Essere; la scienza correva, ma il positivismo non bastava più: “E il senso?” si chiedevano, con voci che odoravano di polvere e paura. Sartre arrivò in questo caos con un cuore inquieto. Studiò all’École Normale, incontrò Husserl e Heidegger – “La fenomenologia mi ha svegliato,” pensava, con un taccuino che si riempiva – ma la guerra lo segnò: prigioniero nel ’40, poi resistente. “Devo parlare,” pensava, con una voce che pesava ogni sillaba. A Parigi, tra caffè e barricate, trovò la sua strada: “Siamo liberi, e fa male.”
L’essere e il nulla era un terremoto. “L’esistenza precede l’essenza,” scriveva, con mani che tremavano di passione. Immagina un uomo in una piazza: non è nato per essere qualcosa, ma si fa – per Sartre, non c’era un copione divino. Pensiamo a una scelta: tradire o resistere – non c’è Dio a guidarti, solo tu. “Siamo condannati alla libertà,” pensava, con un sorriso amaro – l’angoscia era il prezzo, la responsabilità il peso. Heidegger vedeva l’Essere, Sartre l’uomo: “Non c’è nulla sopra di noi,” pensava, con occhi che brillavano di un fuoco cupo. La “mala fede” era la fuga: “Mentiamo a noi stessi,” pensava, con una voce che pesava il reale.
Nel 1945, con L’esistenzialismo è un umanismo, osava di più. “L’uomo è ciò che si fa,” scriveva, con una penna che pesava ogni parola. Immagina un soldato: sceglie di combattere, diventa un eroe – per Sartre, non c’era natura, ma azione. Pensiamo a un caffè parigino: un cameriere serve, ma è più di un ruolo – la libertà lo definiva. Morì nel 1980, a 74 anni, con un ultimo respiro che odorava di tabacco: “Ho scelto,” pensava, con un corpo stanco ma una mente viva. Lasciava un’eredità: Camus, de Beauvoir, un pensiero che ruggiva – la filosofia tornava alla vita nuda.
Sartre reagiva al Novecento. Il positivismo vedeva leggi; lui vedeva scelte: “La scienza non basta,” pensava, con una voce che tagliava l’aria. Heidegger lo ispirava, ma lo superava: “Non l’Essere, ma l’uomo,” pensava, con un ghigno – l’esistenzialismo non era astratto, ma concreto. Immagina una trincea: non è solo fango, ma una decisione – Sartre cercava il peso sotto il caos. Non era un pessimista: “Siamo liberi,” pensava, con mani che sfogliavano testi – ma la libertà era un fardello, non un dono. Pensiamo a un teatro: Brecht lo guidava – filosofia e dramma si abbracciavano.
Viveva tra caffè e battaglie. A Parigi, con Simone de Beauvoir, era un mito: “Parla come vive,” dicevano i giovani, con quaderni aperti. La sua vita era tumulto: amori, politica – comunista, ma critico – “Il mondo è nostro,” pensava, con un sorriso. Rifiutò il Nobel nel ’64: “Non mi compro,” borbottava, con un sopracciglio alzato. Litigava con tutti: “Troppo duro?” dicevano i critici; “E la speranza?” si lamentavano altri. Lasciava una sfida: “Scegli,” diceva, con una voce che pesava il mondo.
Nel 2025, Sartre ci guarda ancora. In un mondo di crisi e scelte, il suo esistenzialismo vive: ribellione, terapia, un ritorno al fare – il Novecento respira nei nostri passi. Ma non era perfetto: “Troppo cupo?” dicevano i critici; “E la gioia?” si chiedevano altri. Per uno studente di oggi, è un fuoco: la vita non è un dato, ma un rischio. Immagina una scelta: non è solo un momento, è un Novecento che ci brucia ancora.