Nel 1934, Karl Popper scribacchiava appunti in una stanza modesta di Londra, con il rumore della pioggia che batteva sui vetri e una lampada che tremava sopra pile di carte disordinate. Non era un uomo da salotti: alto, con occhiali spessi e una voce che ruggiva piano, sembrava un insegnante più che un rivoluzionario. Nato nel 1902 a Vienna, in una famiglia ebrea convertita e colta, Popper era cresciuto tra libri e un’Europa che bruciava – la Grande Guerra, la crisi, il nazismo in agguato. Quel giorno, scrivendo La logica della scoperta scientifica, stava cambiando la filosofia: non più certezze verificate, ma teorie da falsificare, una scienza viva e aperta. Il Novecento, con Popper, trovava un faro: il sapere non era un tempio, ma un cammino, un pensiero che si correggeva.
L’Europa degli anni ’30 era un campo di ombre. La scienza avanzava – Einstein, la relatività – ma i totalitarismi crescevano: Hitler marciava, Stalin stringeva, la libertà si spegneva. Il Circolo di Vienna, con Schlick e Carnap, gridava “verifica”; Popper si ribellava: “Non basta,” pensava, con una penna che pesava ogni sillaba. Studiò matematica e psicologia, lavorò con i bambini – “La curiosità è tutto,” pensava, con un taccuino che si riempiva – ma Vienna lo soffocava: “Devo scappare,” pensava, con una voce che tagliava l’aria. Fuggì in Nuova Zelanda nel ’37, poi a Londra: “Qui penso,” pensava, con il Tamigi che scorreva sotto i suoi occhi.
La “falsificabilità” era il suo colpo. “Una teoria è scientifica se si può confutare,” scriveva, con mani che tremavano di passione. Immagina un uomo che dice: “Tutti i cigni sono bianchi” – trovi un cigno nero, e crolla: per Popper, la scienza viveva così. Pensiamo a Einstein: la luce si curva, si testa – non si verifica per sempre, si sfida. Il Circolo vedeva conferme, Popper rischi: “Il sapere cresce cadendo,” pensava, con un sorriso stanco – la verità non era un trono, ma un’ipotesi. Nella Logica, scavava: “Siamo esploratori,” pensava, con una voce che pesava il reale – il progresso era errore corretto.
Nel 1945, con La società aperta e i suoi nemici, osava di più. “Il dogma uccide,” scriveva, con una penna che pesava ogni parola. Immagina un dittatore: Platone, Hegel, Marx – per Popper, sognavano certezze e schiacciavano l’uomo. Pensiamo a una piazza: la libertà vive nel dubbio, non nei piani assoluti – la scienza aperta era anche politica. Morì nel 1994, a 92 anni, con un ultimo respiro che odorava di libri: “Ho aperto,” pensava, con un corpo fragile ma una mente viva. Lasciava un’eredità: un pensiero che respira – la filosofia tornava al rischio.
Popper reagiva al Novecento. Il neopositivismo vedeva dati; lui vedeva tentativi: “La scienza non è sicura,” pensava, con un ghigno. Einstein lo ispirava, ma lo superava: “Non cerchiamo verità, ma errori,” pensava, con mani che sfogliavano testi – la falsificabilità non chiudeva, apriva. Immagina un laboratorio: un fisico prova, fallisce – Popper cercava il coraggio sotto il calcolo. Non era un cinico: “Cresciamo,” pensava, con una voce che pesava il mondo – ma crescere era cadere e rialzarsi. Pensiamo a un bambino: sbaglia, impara – filosofia e vita si abbracciavano.
Viveva tra aule e esilio. A Londra, insegnava con un fuoco lento: “Domandate,” diceva, con studenti che pendevano dalle sue labbra. La sua vita era lotta: moglie, Hennie, nessun figlio – “I libri sono la mia famiglia,” pensava, con un sorriso. Sfuggì ai nazisti: “La libertà è fragile,” pensava, con un’ombra negli occhi. Litigava con i positivisti: “Troppo rigidi,” borbottava, con un sopracciglio alzato. Lasciava una sfida: “Confutate,” diceva, con una voce che pesava il futuro.
Nel 2025, Popper ci guarda ancora. In un mondo di fake news e dogmi, la sua scienza aperta vive: esperimenti, critiche, un ritorno al pensare – il Novecento respira nei nostri dubbi. Ma non era perfetto: “Troppo astratto?” dicevano i critici; “E l’etica?” si lamentavano altri. Per uno studente di oggi, è un vento: la vita non è un dato, ma un provare. Immagina un’ipotesi: non è solo parole, è un Novecento che ci spinge ancora.