Nel 1900, Sigmund Freud camminava lungo le strade acciottolate di Vienna, con il fumo di un sigaro che gli avvolgeva il viso e il rumore dei cavalli che echeggiava tra i palazzi eleganti. Non era un uomo da folle: basso, con barba folta e occhi che scavavano dentro, sembrava un medico più che un visionario. Nato nel 1856 a Freiberg, in Moravia, in una famiglia ebrea modesta, Freud era cresciuto tra libri e una madre che lo adorava, un bambino curioso con un’anima inquieta. Quel giorno, pubblicando L’interpretazione dei sogni, stava aprendo una porta: non più solo cervello, ma un inconscio profondo, un mondo di desideri nascosti. Il Novecento, con Freud, trovava un abisso: la mente non era un cristallo, ma un’ombra viva, un teatro di pulsioni e sogni.
L’Europa di inizio secolo era un crogiolo di luci e crepe. La Belle Époque scintillava: teatri, tram elettrici, una Vienna di valzer e caffè. Ma sotto brillava l’ansia: Nietzsche aveva ucciso Dio, la Grande Guerra si avvicinava, la scienza – Einstein, Roentgen – misurava tutto. La psicologia era giovane, un misto di numeri e speranze; Freud si ribellava: “Non siamo macchine,” pensava, con una penna che pesava ogni sillaba. Studiò medicina, dissezionò anguille – “Il corpo parla,” pensava, con un taccuino che si riempiva – ma Charcot a Parigi lo folgorò: “L’isteria è mente,” pensava, con una voce che tagliava l’aria. A Vienna, tra pazienti e sigari, trovò la sua strada: “Scavo dove gli altri guardano.”
La psicoanalisi era un lampo. “L’inconscio guida,” scriveva, con mani che tremavano di passione. Immagina una donna che urla senza motivo: non è malattia, ma un ricordo sepolto – per Freud, la mente nascondeva. Pensiamo a un sogno: un treno corre, si teme – non è caso, ma desiderio. In L’interpretazione, scavava: “I sogni sono la via regia,” pensava, con un sorriso stanco – lì c’era l’Es, pulsioni brute, l’Io che lotta, il Super-io che giudica. La scienza vedeva riflessi, Freud conflitti: “Siamo divisi,” pensava, con occhi che brillavano di un fuoco cupo – la sessualità, la morte, tutto pulsava sotto.
Nel 1923, con L’Io e l’Es, osava di più. “La mente è un campo di battaglia,” scriveva, con una penna che pesava ogni parola. Immagina un uomo che lavora: reprime la rabbia, sogna vendetta – per Freud, l’Es ruggiva, il Super-io lo frenava. Pensiamo a un bambino: vuole, piange, cresce – la libido non era solo sesso, ma vita che spinge. Morì nel 1939, a 83 anni, a Londra, con un ultimo respiro che odorava di morfina: “Ho visto l’ombra,” pensava, con un corpo distrutto dal cancro ma una mente viva. Lasciava un’eredità: Jung, Adler, un pensiero che si allargava – la filosofia incontrava l’uomo profondo.
Freud reagiva al Novecento. Il positivismo vedeva dati; lui vedeva abissi: “La scienza ignora l’anima,” pensava, con un ghigno. James lo precedeva, ma Freud scavava più a fondo: “Non solo flusso, ma guerra,” pensava, con mani che sfogliavano testi – la psicoanalisi non misurava, rivelava. Immagina un ospedale: un medico cura il corpo, Freud la storia – cercava il peso sotto il silenzio. Non era un poeta: “Studio fatti,” pensava, con una voce che pesava il reale – ma i fatti erano sogni, lapsus, paure. Pensiamo a un divano: il paziente parla, Freud ascolta – scienza e arte si abbracciavano.
Viveva tra sigari e pazienti. A Berggasse 19, il suo studio era un tempio: “Qui si confessa,” pensava, con un sorriso. La sua vita era tumulto: moglie, Martha, sei figli – “La famiglia mi tiene,” pensava, con un sospiro. Fuggì dai nazisti nel ’38: “Vienna mi ha tradito,” borbottava, con un’ombra negli occhi. Litigava con tutti: “Troppo audace?” dicevano i critici; “E le prove?” si lamentavano altri. Lasciava una sfida: “Guardate dentro,” diceva, con una voce che pesava il mondo.
Nel 2025, Freud ci guarda ancora. In un mondo di terapie e stress, la sua psicoanalisi vive: inconscio, traumi, un ritorno al sentire – il Novecento respira nei nostri divani. Ma non era perfetto: “Troppo sesso?” dicevano i critici; “E la scienza?” si chiedevano altri. Per uno studente di oggi, è un’eco: la mente non è chiara, ma oscura. Immagina un sogno: non è solo sonno, è un Novecento che ci abita ancora.