La Seconda Guerra Mondiale scoppiò il 1° settembre 1939, quando i carri armati tedeschi varcarono il confine polacco, ma le sue radici affondavano molto più indietro, in un terreno fertile di rancori, crisi e ambizioni sfrenate. La Prima Guerra Mondiale si era chiusa nel 1918, ma non aveva portato pace, solo una tregua carica di tensione. Il Trattato di Versailles, firmato nel 1919, era stato il primo colpo. Per la Germania, significò una punizione che bruciava come sale su una ferita aperta. Perse l’Alsazia e la Lorena, cedute alla Francia dopo quasi mezzo secolo di dominio tedesco; vide la Prussia Orientale separata dal resto del Paese da un corridoio polacco; dovette rinunciare alle sue colonie in Africa e nel Pacifico, un duro colpo al suo orgoglio imperiale. E poi c’era il debito: una montagna di riparazioni da pagare agli Alleati, cifre che sembravano impossibili da saldare. I tedeschi si sentirono umiliati, traditi, convinti che la colpa della guerra non fosse solo loro. Nei caffè di Berlino e nei villaggi della Baviera, la rabbia cresceva, un fuoco che aspettava solo qualcuno per attizzarlo. (altro…)
Categoria: Storia
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Verso la Seconda Guerra Mondiale
Negli anni ’30, il mondo scivolò verso un’altra guerra, come se il primo conflitto non avesse insegnato abbastanza. Il Trattato di Versailles, che doveva portare pace, aveva lasciato tutti scontenti: vincitori, vinti, nessuno ci trovava il suo posto. In Germania, Hitler prese il potere nel 1933 e iniziò a fare a pezzi quel trattato. Nel 1935, reintrodusse l’esercito obbligatorio, vietato nel 1919. Nel 1936, mandò truppe nella Renania, un’altra regola infranta. Francia e Regno Unito non reagirono: seguivano l’appeasement, la politica del “lasciamo fare pur di non litigare”. Nel 1938, Hitler si prese l’Austria con l’Anschluss, accolto da folle entusiaste. Poi toccò ai Sudeti, una parte della Cecoslovacchia: agli Accordi di Monaco disse “è l’ultima volta”, ma mentiva. Nel 1939, occupò tutto il Paese, mostrando che non si sarebbe fermato. (altro…)
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La Guerra Civile in Spagna
La Spagna degli anni ’30 si trasformò in un campo di battaglia, un Paese che si spezzò sotto il peso delle sue divisioni. La Guerra Civile, scoppiata nel 1936, non arrivò come un fulmine a ciel sereno: fu il risultato di anni di tensioni che ribollivano sotto la superficie. Tutto iniziò nel 1931, quando la monarchia di Alfonso XIII crollò dopo decenni di crisi. Al suo posto nacque una repubblica, un esperimento di democrazia che prometteva di cambiare le cose in una nazione segnata da disuguaglianze profonde. Ma la Spagna era un mosaico fragile: da una parte c’erano i repubblicani, un’alleanza di socialisti, comunisti e anarchici che volevano strappare il potere ai ricchi e alla Chiesa; dall’altra i nazionalisti, sostenuti da militari, cattolici e proprietari terrieri che vedevano nella repubblica una minaccia al loro mondo. Quelle due visioni non potevano convivere, e il 17 luglio 1936 il conflitto esplose. Un gruppo di generali, guidato da Francisco Franco, si ribellò contro il governo di sinistra, dando il via a una guerra che avrebbe insanguinato la Spagna per tre anni. (altro…)
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Stalin e l’URSS negli Anni ’30
Josif Stalin prese in mano l’Unione Sovietica negli anni ’30 e la modellò a sua immagine, con una volontà di ferro che non lasciava spazio a niente e nessuno. Era nato nel 1878 a Gori, in Georgia, in una famiglia povera: suo padre faceva il calzolaio, sua madre lavorava come lavandaia. Da giovane si unì ai bolscevichi, il gruppo di Lenin, e si buttò nella rivoluzione con una durezza che lo fece notare. Quando Lenin morì, nel 1924, Stalin non perse tempo. Batté Lev Trockij, che sognava di spargere il comunismo in tutto il mondo, e prese il controllo. “Facciamo il socialismo qui, prima di tutto”, diceva, e da lì iniziò a costruire un Paese che fosse forte, ma a un costo che pochi potevano immaginare. Nel 1928, lanciò i primi piani quinquennali, un’idea ambiziosa per trasformare l’URSS da terra di contadini in una potenza industriale. (altro…)
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Hitler ed il Nazismo in Germania
Adolf Hitler non arrivò al potere in Germania come un conquistatore che spunta dal nulla. La sua ascesa fu un cammino lento, costruito sulle macerie di un Paese ferito e umiliato dopo la Prima Guerra Mondiale. Era nato nel 1889 a Braunau, in Austria, vicino al confine tedesco, da una famiglia modesta. Da giovane aveva sogni grandi: voleva fare l’artista, dipingere paesaggi e palazzi, ma l’Accademia di Vienna lo respinse, lasciandolo con un’amarezza che non lo abbandonò più. Quando scoppiò la guerra, nel 1914, si arruolò nell’esercito tedesco. Combatté nelle trincee, vide la morte da vicino, e quando arrivò la sconfitta del 1918, qualcosa in lui si spezzò. Dava la colpa agli ebrei e ai comunisti, li vedeva come i responsabili di tutto, un’ossessione che gli scavò dentro. Nel 1919, a Monaco, entrò in un piccolo gruppo chiamato Partito dei Lavoratori Tedeschi. Non era niente di speciale, ma Hitler ci vide un’occasione. Con i suoi discorsi carichi di odio e rabbia, lo trasformò nel Partito Nazionalsocialista, l’NSDAP, dando il via a una storia che avrebbe cambiato il mondo. (altro…)
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Il Regime Fascista Italiano
Negli anni ’30, Mussolini trasformò l’Italia in uno Stato fascista, un Paese dove il suo potere non aveva più limiti. Dopo il discorso del 1925, quando si prese la responsabilità dell’omicidio Matteotti, ogni opposizione sparì. I partiti – socialisti, comunisti, liberali – furono chiusi con un colpo di spugna. I giornali potevano scrivere solo quello che piaceva al regime, e chi si azzardava a dire una parola di troppo finiva in prigione o al confino, spedito in posti dimenticati come le isole del sud. La polizia segreta, l’OVRA, teneva gli occhi su tutti: una battuta al bar, una lettera sospetta, e ti ritrovavi con le manette. Uomini come Antonio Gramsci, un comunista con la testa dura, furono messi in cella e lasciati marcire per anni. Non c’era spazio per chi pensava diverso: il fascismo voleva un’Italia che parlasse con una voce sola, la sua. (altro…)
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L’ascesa di Mussolini in Italia
Benito Mussolini non arrivò al potere in Italia per caso, come un fulmine che cade dal cielo. La sua ascesa fu lenta, costruita passo dopo passo su un Paese in crisi, un’Italia che dopo la Prima Guerra Mondiale sembrava non trovare pace. Era nato nel 1883 a Predappio, un paesino dell’Emilia, figlio di un fabbro e di una maestra. Da giovane aveva il fuoco dentro: era socialista, scriveva articoli infiammati per i giornali di partito, gridava contro i ricchi e i potenti. Ma nel 1914 qualcosa in lui cambiò. Quando scoppiò la guerra, disse che l’Italia doveva entrarci, che il conflitto avrebbe fatto bene alla nazione. Per i socialisti, che volevano la neutralità, fu un tradimento: lo cacciarono senza guardarsi indietro. Dopo la guerra, Mussolini tornò con un’idea nuova, un mix di rabbia e ambizione. Nel 1919, a Milano, fondò i Fasci di Combattimento, un gruppo piccolo, fatto di reduci amareggiati, nazionalisti e gente che non sapeva più a chi credere. (altro…)
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La Crisi Democratica degli Anni ’20
La Prima Guerra Mondiale finì nel 1918, ma non portò con sé la pace che tutti speravano. L’Europa uscì da quel conflitto come un corpo ferito, piena di cicatrici che non si chiudevano. Le democrazie vincitrici – Francia, Regno Unito, Italia – avevano trionfato sul campo, ma si ritrovarono a fare i conti con un mondo che non funzionava più come prima. Milioni di uomini erano morti nelle trincee, le città portavano i segni dei bombardamenti, e l’economia era un disastro. Le fabbriche, che per anni avevano prodotto fucili e cannoni, ora chiudevano i battenti o arrancavano per tornare a una vita normale. I soldati, quelli che ce l’avevano fatta, tornavano a casa con le uniformi lacere e trovavano poco ad aspettarli: niente lavoro, niente certezze. I prezzi salivano come un’onda che non si ferma, e i soldi in tasca valevano sempre meno. Era un tempo di confusione, dove la vittoria sembrava un peso più che un premio. (altro…)
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L’Italia e la Vittoria Mutilata
L’Italia uscì dalla Prima Guerra Mondiale con una vittoria in mano, ma non con la soddisfazione nel cuore. Dopo anni di battaglie, dopo il sangue versato sull’Isonzo e la resistenza sul Piave, ci si aspettava una ricompensa che facesse dire: “Abbiamo fatto la cosa giusta”. Il Patto di Londra, firmato nel 1915 per entrare in guerra, aveva promesso tanto: Trento, Trieste, l’Istria, la Dalmazia, persino qualche colonia in Africa per alzare la testa tra le potenze. La vittoria di Vittorio Veneto, nell’ottobre 1918, sembrava il sigillo di quel sogno. Ma quando i rappresentanti italiani, guidati da Vittorio Emanuele Orlando, arrivarono a Versailles nel 1919, trovarono un’amara sorpresa. Non ci fu il banchetto che si aspettavano: portarono a casa solo una parte di ciò che era stato promesso. Trento, l’Alto Adige e l’Istria arrivarono, sì, ma la Dalmazia restò fuori. Woodrow Wilson, con la sua idea che ogni popolo dovesse decidere per sé, disse: “Lì ci vivono troppi slavi, non possiamo darvela”. Fiume, una città che per molti italiani era un simbolo di riscatto, fu lasciata in sospeso, fuori dal trattato. Fu un duro colpo. (altro…)
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Il Trattato di Versailles del 1919
Quando la guerra finì, i vincitori si riunirono per decidere come rimettere insieme i pezzi di un’Europa devastata. Il Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919 nella reggia omonima vicino a Parigi, doveva essere la risposta, un accordo che chiudesse i conti e garantisse una pace duratura. A quel tavolo c’erano i grandi: Georges Clemenceau per la Francia, David Lloyd George per il Regno Unito, Woodrow Wilson per gli Stati Uniti. L’Italia era rappresentata da Vittorio Emanuele Orlando, ma il suo peso era minore rispetto agli altri. L’obiettivo era chiaro: punire la Germania, il Paese che tutti indicavano come il principale responsabile del conflitto, e ridisegnare il continente. Ma quello che uscì da Versailles non fu solo una pace: fu un castigo che lasciò strascichi profondi, un seme di rancore che avrebbe germogliato anni dopo. (altro…)