Nel 1950, Alan Turing si chinava su una scrivania disordinata a Manchester, con il ronzio di un computer primitivo che gli vibrava nelle orecchie e una luce fioca che cadeva su carte piene di scarabocchi. Non era un uomo da teorie oziose: magro, con capelli spettinati e una voce che correva veloce, sembrava un inventore più che un filosofo. Nato nel 1912 a Londra, in un’Inghilterra di nebbia e guerra, Turing era cresciuto tra numeri e un mondo che si meccanizzava. Quel giorno, scrivendo Computing Machinery and Intelligence, stava aprendo una porta: le macchine potevano pensare? Il Novecento, con Turing, Searle e altri, trovava un enigma: l’intelligenza artificiale (IA) sfidava la mente, un confine tra uomo e calcolo.
Il XX secolo era un’era di circuiti e sogni. La logica di Gödel mostrava limiti, la fisica di Bohr l’incerto, i computer – ENIAC, Colossus – nascevano. Tillich cercava senso, Weber il potere; ma Turing guardava alle macchine: “Cosa è la mente?” si chiedeva, con una voce che odorava di olio e carta. Studiò a Cambridge, decifrò codici nella guerra – “La macchina mi parla,” pensava, con un taccuino che si riempiva – ma il “Test di Turing” lo consacrò: “Se risponde, è viva?” pensava, con una penna che pesava ogni sillaba. Tra guerra e solitudine, trovò la sua strada: “L’IA è filosofia.”
L’intelligenza artificiale era una domanda. “Pensare è calcolare,” scriveva, con mani che tremavano di passione. Immagina un robot che parla: non è solo metallo, ma un’imitazione – per Turing, se ingannava, era pensiero. Pensiamo a una partita a scacchi: la macchina vince, ma sente? – scavava: “L’intelligenza è azione,” pensava, con un sorriso stanco. Ryle negava il fantasma, Turing lo cercava nei cavi: “La mente è codice,” pensava, con occhi che brillavano di un fuoco quieto – la filosofia si piegava al silicio. Morì nel 1954, a 41 anni, con un ultimo respiro che odorava di cianuro: “Ho osato,” pensava, con un corpo fragile.
Poi arrivò John Searle, un critico. Nel 1980, a Berkeley, scribacchiava Minds, Brains, and Programs, con il rumore del campus che filtrava dalle finestre e una luce calda che cadeva su fogli ordinati. Nato nel 1932 a Denver, in un’America di sogni e macchine, Searle era cresciuto tra libri e un mondo che si digitalizzava. “Le macchine non capiscono,” pensava, con una penna che pesava ogni parola. Immagina la “Stanza cinese”: un uomo traduce senza sapere – per lui, l’IA era sintassi, non senso. Pensiamo a un computer: calcola, ma ama? – “La coscienza è biologica,” pensava, con un ghigno. Vive ancora nel 2025, a 92 anni, con una voce che sfida: “Ho chiarito,” pensa, lasciando un’eredità.
La filosofia della mente reagiva al Novecento. Il behaviorismo vedeva atti; loro vedevano dentro: “La mente è più,” pensava Turing, con mani che sfogliavano testi. Gödel li ispirava, ma lo superavano: “Non solo limiti, ma possibilità,” pensava Searle, con una voce che pesava il reale – l’IA non era solo tecnica, ma enigma. Immagina un neurone: non è solo chimica, ma vita – cercavano il senso sotto i circuiti. Non erano dogmatici: “Domandiamo,” pensava Searle – ma la domanda era profonda. Pensiamo a Wittgenstein: il linguaggio li guidava – filosofia e scienza si abbracciavano.
Vivevano tra calcoli e dibattiti. Turing costruiva con furia: “Proviamo,” diceva, con colleghi che pendevano dalle sue idee. Searle insegnava con forza: “Pensate,” pensava, con studenti che respiravano le sue parole. Turing, solo, perseguitato – “La mente mi salva,” pensava, con un sospiro. Searle, sposato, padre – “La vita mi spinge,” pensava, con un’ombra negli occhi. Litigavano con i positivisti: “Troppo semplici,” borbottavano, con un sopracciglio alzato. Lasciavano una sfida: “Capite la mente,” dicevano, con una voce che pesava il futuro.
Nel 2025, li sentiamo ancora. In un mondo di AI e reti, la loro filosofia vive: chatbot, coscienze, un ritorno al mistero – il Novecento respira nei nostri schermi. Ma non erano perfetti: “Troppo audaci?” dicevano i critici di Turing; “Troppo rigidi?” di Searle. Per uno studente di oggi, sono un bivio: la mente è macchina o altro? Immagina un’IA: non è solo codice, è un Novecento che ci interroga ancora.