La svolta di Stalingrado nel 1942

Il 1942 fu l’anno in cui la Seconda Guerra Mondiale cambiò direzione, e il nome che segnò quella svolta fu Stalingrado. Fino ad allora, l’Asse aveva marciato trionfante, conquistando terre e schiacciando resistenze come se nulla potesse fermarlo. La Germania di Hitler, in particolare, sembrava un colosso invincibile: dopo aver invaso l’Unione Sovietica nel 1941 con l’Operazione Barbarossa, le sue armate avevano divorato immense distese di territorio, arrivando a un passo da Mosca prima che l’inverno le rallentasse. Ma nel 1942, Hitler alzò la posta. Non gli bastava più controllare l’ovest sovietico: voleva il sud, dove scorrevano i fiumi di petrolio del Caucaso, il carburante che avrebbe fatto girare la sua macchina da guerra. E per arrivarci, decise di prendere Stalingrado, una città industriale sul Volga che portava il nome di Stalin stesso. Non era solo una questione strategica: era un simbolo, un guanto di sfida lanciato al cuore dell’URSS.

L’attacco iniziò il 17 luglio 1942, con un’estate torrida che bruciava le steppe. La Sesta Armata tedesca, guidata dal generale Friedrich Paulus, avanzò con la solita furia della Blitzkrieg. Gli aerei della Luftwaffe bombardarono Stalingrado senza sosta: le fabbriche, i palazzi, le case operaie crollarono sotto un diluvio di bombe, trasformando la città in un paesaggio di rovine e fumo. I carri armati seguirono, schiacciando ogni resistenza, mentre i soldati tedeschi marciavano con la sicurezza di chi si sentiva imbattibile. All’inizio, tutto sembrava andare secondo i piani: entro agosto, controllavano gran parte della città, spingendo i sovietici verso il fiume Volga. Ma i sovietici non si piegarono. Stalin aveva dato un ordine chiaro: “Non un passo indietro”. Ogni strada, ogni edificio, persino le fogne diventarono campi di battaglia. I soldati dell’Armata Rossa combattevano casa per casa, con fucili, granate e coltelli, trasformando Stalingrado in un tritacarne dove la morte era l’unica certezza.

I civili, intrappolati in quel caos, soffrivano più di tutti. Migliaia morirono sotto le bombe o di fame, mentre altri cercavano riparo tra le macerie, mangiando quello che trovavano: un pezzo di pane ammuffito, un topo, qualsiasi cosa per sopravvivere. Ma i soldati sovietici, spinti dalla paura di Stalin e dall’orgoglio di difendere la loro terra, non mollavano. Il generale Georgij Žukov, un uomo con la faccia dura e il cervello fino, prese in mano la situazione. Mentre Paulus pensava di avere la vittoria in tasca, Žukov preparò un piano che avrebbe ribaltato tutto. Il 19 novembre 1942, i sovietici lanciarono un contrattacco devastante: tre armate, nascoste oltre il Volga, colpirono i fianchi della Sesta Armata. Rumeni e italiani, alleati dei tedeschi e meno equipaggiati, cedettero sotto la pressione, lasciando un buco che i sovietici sfruttarono. In pochi giorni, accerchiarono Paulus e i suoi 300.000 uomini, intrappolandoli in una sacca di ghiaccio e morte.

Hitler non volle sentir parlare di ritirata. “Tenete la posizione”, ordinò, convinto che la Luftwaffe potesse rifornire l’armata per aria. Ma era un’illusione. Gli aerei tedeschi portavano cibo e munizioni, ma non abbastanza: i sovietici abbattevano molti velivoli con l’artiglieria antiaerea, e il freddo paralizzava i motori. Dentro Stalingrado, i tedeschi si ritrovarono a morire di fame e gelo. Le temperature crollavano sotto i meno 30, i soldati si avvolgevano in coperte lacere, mangiavano cavalli morti o si contendevano una crosta di pane. Paulus chiese il permesso di rompere l’accerchiamento, ma Hitler disse no: voleva una vittoria simbolica, non una ritirata. A gennaio 1943, la situazione era insostenibile. I sovietici strinsero il cerchio, bombardando senza sosta. Il 31 gennaio, Paulus si arrese: 91.000 tedeschi, ridotti a scheletri, marciarono verso i campi di prigionia sovietici. In totale, la Germania perse circa 300.000 uomini tra morti, feriti e catturati. Fu un colpo che fece tremare il Terzo Reich.

Stalingrado non fu solo una battaglia: fu la fine di un mito. Per la prima volta, Hitler subì una sconfitta che non poteva nascondere. I giornali tedeschi, costretti a tacere o mentire, non potevano cancellare la verità che circolava tra i sussurri dei soldati e delle famiglie. Nell’URSS, invece, la vittoria accese una scintilla. Stalin, che fino ad allora aveva temuto il crollo, prese coraggio: ordinò ai suoi generali di spingere i tedeschi indietro, metro dopo metro, verso ovest. L’Armata Rossa, rafforzata da milioni di uomini e dalle fabbriche siberiane che sputavano carri armati T-34, diventò una forza inarrestabile. Stalingrado segnò l’inizio della controffensiva sovietica, un’onda rossa che avrebbe liberato l’Europa orientale, anche se a un costo spaventoso.

Ma il 1942 non fu una svolta solo a est. Altrove, l’Asse iniziò a perdere terreno. In Africa, a El Alamein, tra ottobre e novembre, gli inglesi di Bernard Montgomery batterono le truppe italo-tedesche di Erwin Rommel, la “Volpe del Deserto”. Fu una battaglia nel deserto egiziano, tra dune e sabbia rovente: Montgomery aveva più uomini, più carri armati, più aerei, e usò tutto con pazienza. Dopo giorni di scontri, Rommel si ritirò, lasciando la Libia agli Alleati. Nel Pacifico, gli americani colpirono duro a Midway, nel giugno 1942. In un scontro tra portaerei, distrussero quattro navi giapponesi, fermando l’espansione di Tokyo nell’oceano. Fu un colpo al cuore della marina nipponica, che non si riprese mai del tutto. Stalingrado, El Alamein e Midway: tre nomi che segnarono la fine dell’invincibilità dell’Asse.

Gli Alleati trovarono nuova forza. Gli Stati Uniti, entrati in guerra dopo Pearl Harbor, trasformarono le loro fabbriche in un arsenale infinito: producevano carri armati Sherman, aerei B-17, navi che attraversavano l’Atlantico cariche di rifornimenti. L’URSS mandava al fronte milioni di soldati, uomini e donne che combattevano con una ferocia nata dalla disperazione. Il Regno Unito, che aveva resistito da solo nel 1940, ora non era più isolato. Il 1942 finì con un’aria diversa: l’Asse era ancora potente, ma non più invincibile. La guerra sarebbe stata lunga, piena di sangue e sacrifici, ma la svolta era arrivata. Hitler aveva perso il suo momento migliore, e il mondo cominciava a vedere la luce oltre l’ombra della svastica.

 

La Seconda Guerra Mondiale

  1. Le Cause della Seconda Guerra
  2. L’Europa sotto l’Asse: 1939-1941
  3. La Svolta del 1942: Stalingrado
  4. Gli Alleati in Africa: 1942-1943
  5. Lo Sbarco degli Alleati in Italia del 1943
  6. Il D-Day e la Liberazione: 1944
  7. La Fine della Seconda Guerra Mondiale: 1945
Storia e Filosofia
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