Stalin e l’URSS negli Anni ’30

Josif Stalin prese in mano l’Unione Sovietica negli anni ’30 e la modellò a sua immagine, con una volontà di ferro che non lasciava spazio a niente e nessuno. Era nato nel 1878 a Gori, in Georgia, in una famiglia povera: suo padre faceva il calzolaio, sua madre lavorava come lavandaia. Da giovane si unì ai bolscevichi, il gruppo di Lenin, e si buttò nella rivoluzione con una durezza che lo fece notare. Quando Lenin morì, nel 1924, Stalin non perse tempo. Batté Lev Trockij, che sognava di spargere il comunismo in tutto il mondo, e prese il controllo. “Facciamo il socialismo qui, prima di tutto”, diceva, e da lì iniziò a costruire un Paese che fosse forte, ma a un costo che pochi potevano immaginare. Nel 1928, lanciò i primi piani quinquennali, un’idea ambiziosa per trasformare l’URSS da terra di contadini in una potenza industriale.

Quei piani cambiarono tutto. Ordinò di costruire fabbriche gigantesche, per fare acciaio, carbone, macchine: città come Magnitogorsk spuntarono dal nulla in Siberia, tra il gelo e la polvere. “Siamo indietro di 50 anni rispetto all’Occidente, dobbiamo correre”, ripeteva, e i numeri gli diedero ragione. La produzione schizzò in alto, l’URSS diventò un colosso di fumo e metallo. Ma dietro quei successi c’era un prezzo terribile. I contadini dovevano dare il grano allo Stato, anche quando non ne avevano abbastanza per sé. Chi si ribellava finiva fucilato o nei gulag, campi di lavoro sperduti dove il freddo e la fame uccidevano più delle guardie. Con la collettivizzazione, Stalin costrinse i contadini a lavorare insieme nei kolchoz, fattorie statali che cancellavano la proprietà privata. I kulaki, quelli un po’ più ricchi, furono massacrati senza pietà: li chiamava “nemici del popolo”. Nel 1932-33, in Ucraina scoppiò l’Holodomor, una fame spaventosa. Milioni morirono, con i bambini ridotti a scheletri, ma Stalin non mosse un dito: voleva spezzare ogni resistenza, anche a costo di un genocidio.

Dentro il partito, Stalin vedeva nemici ovunque. Negli anni ’30, iniziò le Grandi Purghe, una caccia paranoica che divorò tutto. Disse che c’erano traditori nascosti, pronti a distruggere l’URSS dall’interno. Nel 1936, a Mosca, mise in scena processi finti: vecchi bolscevichi come Zinov’ev e Kamenev, che avevano fatto la rivoluzione con Lenin, finirono sul banco degli imputati. Dopo torture e confessioni forzate, furono fucilati. Anche l’esercito non si salvò: migliaia di ufficiali, come il generale Tuchačevskij, sparirono nel nulla, accusati di complotti inesistenti. Quelle purghe indebolirono l’URSS proprio mentre Hitler cresceva, ma a Stalin non importava: voleva il controllo totale. Milioni di persone finirono nei gulag – operai, contadini, intellettuali – costretti a scavare miniere o costruire canali fino a morire, sotto un cielo che non dava scampo.
La propaganda lo teneva in piedi. Lo chiamavano “padre dei popoli”, un gigante buono che guidava la nazione. Foto e statue di Stalin spuntavano ovunque, dalla steppe alle città. La Pravda, il giornale del partito, cantava le sue lodi, mentre chi osava criticarlo svaniva senza lasciare traccia. L’NKVD, la polizia segreta, era il suo braccio armato: spiava, arrestava, faceva sparire. Nel 1939, Stalin fece una mossa che spiazzò tutti: firmò il Patto Molotov-Ribbentrop con Hitler. Si divisero Polonia e Baltici, promettendosi di non attaccarsi. Era un trucco, un modo per guadagnare tempo, ma funzionò solo fino al 1941, quando Hitler ruppe il patto e invase l’URSS. Gli anni ’30 di Stalin furono un mix di forza e terrore: costruì un Paese potente, con fabbriche e armi, ma lo fece su montagne di cadaveri, in un silenzio rotto solo dalle sue parole.

 

L’Età dei Totalitarismi

  1. La Crisi Democratica negli Anni ’20
  2. L’Ascesa di Mussolini in Italia
  3. Il Regime Fascista Italiano
  4. Hitler e il Nazismo in Germania
  5. Stalin e l’URSS negli Anni ’30
  6. La Spagna e la Guerra Civile
  7. Verso la Seconda Guerra Mondiale
Storia e Filosofia
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