La Scuola Hegeliana e il Materialismo Storico

Era una sera d’autunno del 1831, e il colera aveva appena spento l’ultima candela nella casa di Georg Wilhelm Friedrich Hegel a Berlino. Le strade erano silenziose, ma le sue idee ruggivano ancora, come un fuoco che non si spegne. Hegel era morto, lasciando un sistema filosofico che sembrava abbracciare il mondo intero: l’Idealismo Assoluto, con la sua dialettica e la sua Ragione che guidava la storia. Ma il suo lascito non rimase fermo su uno scaffale polveroso. Nei caffè fumosi di Berlino, nelle aule di Heidelberg, nei circoli di giovani ribelli, i suoi studenti si riunivano, con taccuini aperti e voci accese, dividendosi su cosa fare di quel gigante. Nacque così la Scuola Hegeliana, un movimento che si spezzò in due: i “vecchi hegeliani,” con i loro cappotti scuri e le idee ordinate, e i “giovani hegeliani,” con gli occhi infuocati e il cuore in tumulto. Da quel caos emerse il materialismo storico, un’idea che prese la dialettica di Hegel e la gettò tra le strade sporche degli operai, cambiando per sempre il volto della filosofia.

L’Europa degli anni ’30 dell’Ottocento era un continente inquieto. La Rivoluzione Francese era un ricordo che ancora bruciava, le monarchie si aggrappavano ai troni con mani tremanti, e le fabbriche della Rivoluzione Industriale cominciavano a ruggire, sputando fumo sopra città che puzzavano di carbone e sudore. Hegel aveva lasciato un’eredità titanica: la storia come un processo razionale, lo Spirito che si dispiegava attraverso conflitti e sintesi. Ma quando morì, i suoi seguaci si trovarono davanti a un bivio. I “vecchi hegeliani” – uomini come Göschel e Gabler, con barbe bianche e modi pacati – vedevano in lui un difensore dell’ordine: lo Stato prussiano, con le sue leggi e le sue chiese, era per loro la sintesi perfetta, il punto in cui la Ragione si era posata come un’aquila sul nido. Camminavano per le strade di Berlino con passo sicuro, predicando che il mondo, così com’era, era il migliore possibile. “Hegel ha finito la storia,” dicevano, sorseggiando birra in taverne di legno scuro.

Poi c’erano i “giovani hegeliani,” un gruppo diverso, fatto di facce giovani e camicie sgualcite. Gente come Bruno Bauer, con i suoi occhiali spessi, e David Strauss, con la sua penna affilata, si ritrovava nei vicoli di Lipsia o nelle soffitte di Colonia, parlando fino a notte fonda. Non volevano un mondo fermo: vedevano in Hegel un invito a cambiare, non a conservare. La dialettica, dicevano, non era finita: era viva, pronta a spezzare catene. Bauer, un teologo ribelle, attaccò la religione: nel suo Critica dei Vangeli (1841), disse che i miracoli erano miti, storie inventate dagli uomini. Strauss, con La vita di Gesù (1835), fece lo stesso: Cristo non era un dio, ma un simbolo. Erano passi audaci, che fecero tremare i pulpiti e arrabbiare i vecchi maestri. Ma tra questi giovani, uno spiccava: Ludwig Feuerbach aveva già acceso una scintilla, e Karl Marx, con i suoi capelli neri e il suo accento renano, stava per farla esplodere.

Il materialismo storico nacque da questo fermento. Feuerbach aveva detto: “Non è Dio a creare l’uomo, è l’uomo a creare Dio.” Marx prese quelle parole e le portò più lontano: “Non è lo Spirito a fare la storia, sono le condizioni materiali.” Immagina una fabbrica di Essen, con i suoi telai che ronzano e gli operai curvi sotto lampade fioche. Per Hegel, era un momento dello Spirito; per i vecchi hegeliani, un ordine necessario; per Marx, una lotta. Nel Critica della filosofia del diritto di Hegel (1843), Marx attaccò il maestro: “Hegel vede il mondo a testa in giù,” scrisse. “La vera storia non è nelle idee, ma nel lavoro, nel pane, nelle mani sporche.” La dialettica restava: tesi, antitesi, sintesi. Ma ora la tesi era il capitalismo, con i suoi padroni e le sue ricchezze; l’antitesi il proletariato, con i suoi stracci e la sua rabbia; la sintesi un mondo nuovo, senza classi. Era il materialismo storico: la storia non è un racconto di spiriti, ma di classi che si scontrano, di economia che muove gli uomini come un burattinaio invisibile.

Marx non era solo in questa rivoluzione. Engels, il suo compagno con i capelli rossicci e il passo veloce, portava l’esperienza: aveva visto le fabbriche di Manchester, i bambini scalzi che morivano di fame, le donne che tossivano sangue davanti alle macchine. Insieme, nei caffè di Parigi o nelle stanze gelide di Bruxelles, costruirono un’idea che era un’arma. Ma la Scuola Hegeliana era più grande di loro. C’era Max Stirner, con il suo egoismo radicale: “Non mi importa di classi o storia,” diceva nel suo L’unico e la sua proprietà (1844), “solo io conto.” C’era Arnold Ruge, che sognava una Germania unita e libera. Erano voci diverse, ma tutte figlie di Hegel: la dialettica li aveva messi al mondo, e ora ognuno la cantava a modo suo. I vecchi hegeliani scuotevano la testa: “Traditori,” borbottavano, mentre i giovani alzavano i bicchieri, brindando a un futuro che odorava di polvere da sparo.

La Scuola Hegeliana non durò a lungo. Negli anni ’40, le rivoluzioni del 1848 misero alla prova le idee: Marx corse a Colonia, scrivendo volantini che incitavano gli operai; Bauer si chiuse nei suoi libri, mentre i conservatori si aggrappavano al passato. Ma il materialismo storico sopravvisse, portato avanti da Marx ed Engels. Nel Manifesto (1848), scrissero: “La borghesia produce i suoi stessi becchini.” A Londra, Marx passò anni a studiare, con la barba che si allungava e la tosse che lo spezzava, mentre Engels mandava soldi per tenere accesa la lampada. Morirono – Marx nel 1883, Engels nel 1895 – ma le loro parole no: Lenin le prese e fece tremare la Russia, i sindacati le gridarono nelle piazze, i filosofi le discussero nelle aule.

Nel 2025, il materialismo storico ci guarda ancora. Pensiamo a un magazzino Amazon: operai che corrono per stipendi magri, mentre i profitti volano in alto. È la lotta di classe di Marx, viva nei pacchi e nei clic. Ma non era senza ombre. I vecchi hegeliani lo chiamavano eretico, i critici dicevano: “Riduce tutto a soldi?” I regimi che portarono il suo nome – Stalin, Mao – lo tradirono con prigioni e fame. Per uno studente di oggi, è un richiamo: ti chiede di vedere il mondo non come un sogno, ma come un campo di battaglia dove il pane conta più delle idee. Immagina una città: non è solo mattoni, è chi li ha posati e chi ci dorme dentro. È Hegel capovolto, ma con lo stesso fuoco.

 

L’Idealismo Tedesco e le Sue Derivazioni

  1. Fichte e l’Idealismo Soggettivo
  2. Schelling e la Filosofia della Natura
  3. Hegel e l’Idealismo Assoluto
  4. La Dialettica Hegeliana e la Storia
  5. Feuerbach e l’Umanesimo Ateistico
  6. Marx e la Critica al Capitalismo
  7. La Scuola Hegeliana e il Materialismo Storico
  8. Kierkegaard e la Critica al Sistema
Storia e Filosofia
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.