Nel 1971, John Rawls si sedeva in un angolo tranquillo di Harvard, con il fruscio delle pagine che gli sfiorava le orecchie e una luce morbida che cadeva su un tavolo pieno di appunti ordinati. Non era un uomo da proclami: alto, con occhiali sottili e una voce che pesava ogni parola, sembrava un professore di provincia più che un filosofo. Nato nel 1921 a Baltimore, in un’America di sogni e disuguaglianze, Rawls era cresciuto tra libri e un paese che si interrogava. Quel giorno, scrivendo Una teoria della giustizia, stava dando vita a una nuova etica: non regole astratte, ma un patto per vivere insieme. Il Novecento, con Rawls, Singer e altri, trovava una bussola: l’etica non era dogma, ma scelta, un affrontare il presente.
Il XX secolo era un groviglio di crisi e speranze. La Guerra Fredda divideva, il consumismo cresceva, la scienza – Monod, Turing – ridefiniva la vita. Piaget pensava il sapere, Bohr l’incerto; ma Rawls guardava la società: “Cosa è giusto?” si chiedeva, con una voce che odorava di inchiostro e carta. Studiò a Princeton, insegnò a Harvard – “La giustizia mi chiama,” pensava, con un taccuino che si riempiva – ma la guerra in Europa lo segnò: “Ho visto il male,” pensava, con una penna che tremava di passione. Tra aule e riflessioni, trovò la sua strada: “L’etica è equità.”
La sua teoria era un velo. “Immaginate di non sapere,” scriveva, con mani che vibravano di energia. Immagina un mondo: non conosci la tua pelle, il tuo conto – per Rawls, dietro il “velo di ignoranza” sceglievamo il giusto. Pensiamo a una città: non è solo case, ma un patto – in Teoria, scavava: “La giustizia è equilibrio,” pensava, con un sorriso stanco. Kant vedeva doveri, Rawls accordi: “Decidiamo insieme,” pensava, con occhi che brillavano di un fuoco quieto – l’etica non era solo morale, ma politica. Morì nel 2002, a 81 anni, con un ultimo respiro che odorava di libri: “Ho costruito,” pensava, con un corpo fragile.
Poi arrivò Peter Singer, un altro pioniere. Nel 1975, a Melbourne, scribacchiava Liberazione animale, con il rumore delle onde lontane che gli accarezzava i pensieri e una luce chiara che cadeva su fogli sparsi. Nato nel 1946 in Australia, in una famiglia di rifugiati ebrei, Singer era cresciuto tra domande e un mondo che si apriva. “La sofferenza conta,” pensava, con una penna che pesava ogni parola. Immagina una fattoria: non è solo cibo, ma vite – per lui, l’etica si allargava agli animali, al pianeta. Pensiamo a un maiale: non è solo carne, ma un sentire – “Siamo responsabili,” pensava, con un ghigno saggio. Vive ancora nel 2025, a 78 anni, con una voce che sfida: “Ho svegliato,” pensa, lasciando un’eredità.
Le nuove teorie etiche reagivano al Novecento. L’utilitarismo vedeva somme; loro vedevano persone: “La giustizia è per tutti,” pensava Rawls, con mani che sfogliavano testi. Bentham li ispirava, ma lo superavano: “Non solo piacere, ma diritti,” pensava Singer, con una voce che pesava il reale – l’etica non era calcolo, ma cura. Immagina un ospedale: non è solo letti, ma scelte – cercavano il senso sotto le norme. Non erano utopisti: “Agiamo ora,” pensava Singer – ma l’“ora” era globale. Pensiamo a Lévinas: l’Altro li guidava – filosofia e pratica si abbracciavano.
Vivevano tra teoria e mondo. Rawls insegnava con calma: “Ragionate,” diceva, con studenti che pendevano dalle sue parole. Singer provocava con forza: “Cambiate,” pensava, con aule che respiravano le sue sfide. Rawls, sposato, quattro figli – “La famiglia mi insegna,” pensava, con un sospiro. Singer, padre di tre, vegano – “La vita mi guida,” pensava, con un’ombra negli occhi. Litigavano con i dogmatici: “Troppo rigidi,” borbottavano, con un sopracciglio alzato. Lasciavano una sfida: “Pensate il giusto,” dicevano, con una voce che pesava il futuro.
Nel 2025, li sentiamo ancora. In un mondo di crisi e diritti, la loro etica vive: equità, compassione, un ritorno al fare – il Novecento respira nelle nostre scelte. Ma non erano perfetti: “Troppo teorici?” dicevano i critici di Rawls; “Troppo estremi?” di Singer. Per uno studente di oggi, sono un faro: la vita non è solo io, ma noi. Immagina un futuro: non è solo tempo, è un Novecento che ci chiama ancora.