Nietzsche: Il Superuomo e il Nichilismo

Era una mattina d’agosto del 1881, e Friedrich Nietzsche arrancava su un sentiero ripido vicino a Sils Maria, nelle Alpi svizzere, con il respiro corto e il sole che gli bruciava la pelle. Non era un uomo robusto: il suo corpo magro tremava sotto il peso di emicranie e notti insonni, ma i suoi occhi – nascosti dietro occhiali spessi – brillavano di una luce selvaggia. Nato nel 1844 a Röcken, in una Prussia di villaggi quieti e campane domenicali, Nietzsche aveva perso il padre a cinque anni, crescendo tra libri e un’ombra di malinconia. Quel giorno, tra le rocce e i pini, un pensiero lo colpì come una scarica: il Superuomo, una figura che danzava sopra le rovine del nichilismo. Quando lo mise su carta in Così parlò Zarathustra, non fu solo un’idea: fu un canto, un invito a guardare il vuoto lasciato dalla morte di Dio e a riempirlo con una forza nuova. Il Superuomo e il nichilismo non erano una fine: erano un ponte, un grido che scuoteva l’Ottocento e ci segue ancora.

L’Europa di Nietzsche era un mondo in frantumi. La scienza di Darwin scavava tombe per le vecchie fedi, le fabbriche trasformavano i contadini in operai dalle mani nere, e la morale cristiana vacillava sotto i colpi della modernità. Hegel aveva visto la storia come un trionfo della Ragione, Schopenhauer come un lamento della Volontà. Nietzsche arrivò con un passo diverso: non voleva consolare né spiegare, voleva distruggere e creare. Da giovane, a Basilea, era stato un professore brillante: insegnava filologia, parlava di tragedie greche con una voce che tremava di passione, incantando studenti con camicie sgualcite. Amava Wagner, con le sue opere che ruggivano come tempeste, ma poi ruppe con lui: “Troppo cristiano,” borbottò. La salute lo tradì presto – occhi che bruciavano, testa che pulsava – e nel 1879 lasciò l’università, vagando tra Svizzera e Italia con una valigia leggera e un’anima pesante.

Il nichilismo era il suo punto di partenza. In La gaia scienza (1882), aveva annunciato: “Dio è morto,” un urlo che non era solo ateismo, ma un terremoto. Immagina una chiesa di Lipsia, con i banchi vuoti e le candele spente: per secoli, Dio aveva dato senso – il bene, il male, la speranza del paradiso. Ora, niente: “Abbiamo ucciso Dio,” scriveva, “e il mondo è un mare senza rive.” Il nichilismo era questo: il crollo dei valori assoluti, un’ombra che si allungava su un’Europa stanca di certezze. Pensiamo a un commerciante di Torino, dove Nietzsche visse: corre per guadagnare, ma per cosa? Senza Dio, la vita diventa un “perché” senza risposta. Schopenhauer si sarebbe fermato qui, con un sospiro di dolore. Nietzsche no: “Il nichilismo è una malattia,” diceva, “ma anche una chance.” Era il vuoto che precedeva la luce.

Il Superuomo – Übermensch – era la sua risposta. In Così parlò Zarathustra (1883-1885), Zarathustra scende dalle montagne e grida: “L’uomo è qualcosa che deve essere superato.” Non era un mostro, non un tiranno con stivali lucidi: era un creatore, un poeta della propria vita. Immagina un artista a Genova, con il mare davanti e un pennello in mano: dipinge non per regole, ma per se stesso, dando forma al caos. Per Nietzsche, l’uomo comune è un “gregge”: segue la morale cristiana – umiltà, sacrificio – o i nuovi idoli – soldi, progresso – senza chiedersi perché. Il Superuomo no: dice “sì” alla vita, anche al dolore, e crea valori nuovi. “Siate duri,” scriveva, con una penna che sembrava incidere la roccia. Non era un invito alla crudeltà: era un richiamo alla forza, alla danza sopra l’abisso.

Nietzsche non parlava per astrazioni. Viveva in pensioni fredde, con un letto duro e una stufa che fumava, scrivendo su tavoli traballanti mentre la tosse lo spezzava. A Nizza, guardava il mare con occhi stanchi; a Torino, passeggiava sotto i portici con un cappotto logoro, parlando da solo. “Io sono un destino,” diceva, con una voce che si incrinava. E lo era: il Superuomo non era un sogno lontano, era una sfida. Nel Crepuscolo degli idoli (1888), colpiva i vecchi valori: “La morale è stanchezza,” scriveva, “la vita è volontà di potenza.” Pensiamo a un operaio di oggi, che lotta per un salario minimo: per Nietzsche, non è solo vittima, ma seme di qualcosa di più grande, se osa alzarsi. Il nichilismo svuota, il Superuomo riempie.

La sua vita finì in un lampo tragico. Nel gennaio 1889, a Torino, vide un cavallo frustato: lo abbracciò piangendo, crollò, e la sua mente si spense. Visse altri undici anni, muto, curato da una sorella che piegò le sue idee al nazionalismo – un tradimento che lui avrebbe odiato. Morì nel 1900, a 55 anni, con il corpo fragile ma le parole che ruggivano ancora. Influenzò tutti: gli esistenzialisti presero il suo vuoto, i poeti il suo fuoco, i nazisti – sbagliando – il suo Superuomo. Nel 2025, ci parla: in un mondo di crisi – clima, senso, identità – il nichilismo è il nostro specchio. Pensiamo a un ragazzo perso tra i social: non c’è Dio a guidarlo, ma può accendere una luce. È il Superuomo che aspetta.

Ma Nietzsche non era senza ombre. Alcuni lo trovarono oscuro: “Valori nuovi, ma quali?” Altri lo accusarono di follia: “È un delirio?” Per uno studente di oggi, è un pugno e un soffio: ti spaventa, ma ti spinge. Immagina un deserto: non c’è più acqua, ma puoi scavare un pozzo. È la morte di Dio con un sorriso, un invito a essere più grandi del vuoto.

 

Crisi della Metafisica e Nuove Prospettive

  1. Schopenhauer e la Volontà di Vivere
  2. Nietzsche e la Morte di Dio
  3. Nietzsche: Il Superuomo e il Nichilismo
  4. Comte e il Positivismo Sociale
  5. Bentham e l’Utilitarismo
  6. Mill e la Libertà Individuale
  7. Tocqueville e la Democrazia Liberale
  8. Darwin e l’Evoluzionismo
Storia e Filosofia
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