Era una giornata di sole del 1859, e John Stuart Mill sedeva nel suo cottage ad Avignone, in Francia, con il canto degli uccelli che filtrava dalle finestre e un vento leggero che sfogliava le sue carte. Non era un uomo imponente: alto, magro, con capelli castani che si diradavano e occhi che sembravano vedere lontano, portava un’aria di calma determinazione. Nato nel 1806 a Londra, in una casa piena di libri e aspettative, Mill era cresciuto sotto l’ombra di un padre severo e di un’educazione che lo aveva trasformato in un genio prima ancora di essere un bambino. Quando pubblicò Sulla libertà, non fu solo un saggio: fu un manifesto, un grido per difendere l’individuo dalle catene della società. La libertà individuale di Mill non era un capriccio: era il cuore di un’etica utilitarista che prendeva il calcolo di Bentham e lo scaldava con un soffio di umanità, un sogno di un mondo dove ognuno potesse essere se stesso.
L’Inghilterra di Mill era un paese in bilico. La Rivoluzione Industriale ruggiva, con fabbriche che sputavano fumo e città che si gonfiavano di operai dai volti stanchi. La regina Vittoria sedeva sul trono, e la morale vittoriana stringeva la società in un corsetto di regole e ipocrisia. Bentham, il maestro di Mill, aveva lasciato un’eredità: il bene è la felicità di tutti, misurata con numeri e logica. Mill arrivò in questo fermento con un passo diverso. Suo padre, James, un uomo con occhi freddi e una mente d’acciaio, lo aveva cresciuto come un esperimento: a tre anni leggeva greco, a otto studiava economia, a dodici discuteva di filosofia. Non giocava con i coetanei, non correva nei prati: “La mia infanzia è stata un libro,” scriveva, con un sorriso amaro. Ma a vent’anni crollò: una crisi lo piegò, lasciandolo a chiedersi: “E se tutto questo non mi rende felice?”
Sulla libertà (1859) fu la sua risposta. Bentham aveva detto: “Massima felicità per il maggior numero.” Mill annuì, ma aggiunse: “Non solo quantità, ma qualità.” Immagina un operaio di Birmingham: lavora, mangia, dorme – è felice, per Bentham. Ma Mill guardava oltre: “Meglio un Socrate insoddisfatto che un maiale soddisfatto,” scriveva, con una penna che danzava tra rigore e poesia. La libertà individuale era il suo pilastro: ogni persona deve poter pensare, parlare, vivere come vuole, purché non danneggi gli altri. Pensiamo a un mercato di Londra: un uomo predica idee strane, un altro vende fiori, una donna scrive poesie. Per Mill, questa diversità è sacra: “La tirannia della maggioranza,” diceva, è il pericolo – una società che schiaccia chi non si conforma, che soffoca il genio per paura del diverso.
Mill non era un teorico da salotto. Guardava l’Inghilterra – donne senza voce, operai senza diritti, idee censurate – e vedeva un’ingiustizia. Nel Sistema di logica (1843), aveva costruito un metodo scientifico; ora lo usava per l’etica. Proponeva riforme: il voto alle donne, l’istruzione per tutti, la fine delle leggi che punivano le opinioni. A Londra, come parlamentare negli anni ’60, parlava con una voce calma ma ferma: “La libertà è il motore del progresso,” diceva, mentre i conservatori scuotevano la testa. Amava Harriet Taylor, una donna brillante che sposò nel 1851 dopo anni di scandali: “Lei è la mia musa,” scriveva, dedicandole Sulla libertà. Harriet morì nel 1858, lasciandolo solo con il suo dolore e il suo libro.
La sua vita era un equilibrio tra mente e cuore. Viveva tra Londra e Avignone, in case semplici, con scaffali pieni e un giardino dove passeggiava pensando. Non era un oratore da folle: parlava lento, con pause, ma ipnotizzava. Lavorò alla Compagnia delle Indie Orientali, scrivendo rapporti di giorno e filosofia di notte. Amava la musica, leggeva poeti come Wordsworth, e portava una dolcezza che Bentham non aveva: “La felicità non è solo piacere,” diceva, “è crescere, essere liberi.” Nel Utilitarismo (1861), difendeva il maestro, ma lo superava: la giustizia, la dignità, contano quanto il calcolo.
Mill conquistò molti. I liberali inglesi lo videro come un faro, i riformatori presero le sue idee per cambiare leggi, i filosofi – da Rawls a oggi – lo studiarono con rispetto. Nel 2025, ci parla: in un mondo di social e conformismo, la sua libertà individuale è un grido vivo. Pensiamo a un attivista che protesta online: è Mill che lo sostiene, con un cenno dall’aldilà. Morì nel 1873, a 66 anni, ad Avignone, sepolto accanto a Harriet sotto un cielo che sembrava riflettere la sua vita: chiaro, ma con nuvole di lotta.
Ma non era perfetto. Alcuni lo trovarono elitario: “Socrate, non il popolo?” Altri criticarono il suo ottimismo: “La libertà basta?” Per uno studente di oggi, Mill è un compagno: ti dà una bussola – vivi libero, ma non ferire – e ti chiede di pensare. Immagina una piazza: non è solo rumore, è ogni voce che conta. È Bentham con un’anima, un’etica che respira.