Karl Marx e la Critica al Capitalismo

Era una notte fredda del 1848, e Karl Marx sedeva in un piccolo appartamento a Bruxelles, con una lampada a olio che tremolava sul tavolo e il fumo di un sigaro che riempiva l’aria. Fuori, il vento fischiava tra i vicoli, ma dentro la sua mente ribolliva: un uomo con barba nera e occhi infuocati scribacchiava parole che avrebbero fatto tremare i troni e le fabbriche. Nato nel 1818 a Treviri, in una Prussia ancora odorosa di vino e feudalità, Marx non era il tipo che si piegava al destino. Figlio di un avvocato ebreo convertito al cristianesimo, cresciuto tra libri e sogni di giustizia, aveva studiato Hegel a Berlino, bevendo la dialettica come un elisir. Ma non si fermò lì: prese il fuoco dell’Idealismo, lo gettò tra le strade polverose degli operai, e disse: “Non è lo Spirito a fare la storia, sono gli uomini, con le loro mani e il loro sudore.” Quando pubblicò il Manifesto del Partito Comunista con Engels, non fu solo un pamphlet: fu una chiamata alle armi, una critica al capitalismo che ancora oggi rimbomba come un tuono.

L’Europa di Marx era un continente in ebollizione. Le rivoluzioni del 1848 scuotevano le città, operai con camicie strappate marciavano contro re e padroni, e le macchine della Rivoluzione Industriale sputavano fumo nero sopra villaggi che un tempo odoravano di fieno. Marx arrivò in questo caos con una rabbia che gli bruciava dentro. Da ragazzo, a Bonn e poi a Berlino, si era perso tra poesie e filosofia: leggeva Hegel, ascoltava le sue lezioni con studenti dai cappotti logori, annuendo mentre il maestro parlava di Ragione e Storia. Ma qualcosa non tornava: “Troppo in alto,” pensava, “dove sono le fabbriche, il pane che manca?” Dopo la laurea, diventò giornalista, scrivendo articoli che pungevano come spine. Nel 1843, a Parigi, conobbe Friedrich Engels, un uomo con capelli rossicci e il cuore di un ribelle, figlio di un industriale che odiava il mondo dei padroni. Insieme, guardarono le strade: bambini scalzi che chiedevano l’elemosina, donne curve su telai che ronzavano giorno e notte. “Questo è il vero motore,” dissero, e iniziarono a scriverlo.

La critica al capitalismo di Marx non era un lamento: era un’analisi, una lama che tagliava il velo del mondo. Per Hegel, la storia era lo Spirito che si dispiegava, un processo razionale di tesi, antitesi e sintesi. Marx prese quella dialettica e la ribaltò: “Non è lo Spirito,” scrisse nelle Tesi su Feuerbach (1845), “è la materia, sono le condizioni della vita.” Immagina un operaio in una fabbrica di Manchester: lavora dodici ore, le mani sporche di carbone, il salario appena sufficiente per una zuppa acquosa. Per il capitalista, è una rotella in una macchina che sforna profitti; per Marx, è il cuore della storia. Nel Manifesto (1848), lo dice chiaro: “La storia di ogni società è la storia della lotta di classe.” Padroni contro servi, nobili contro contadini, ora borghesi contro proletari. Il capitalismo, con le sue fabbriche e i suoi mercati, era la tesi: un sistema che prometteva ricchezza ma succhiava la vita ai più. L’antitesi? La ribellione degli operai. La sintesi? Una società senza classi, il comunismo, dove ognuno dà secondo le sue capacità e riceve secondo i suoi bisogni.

Marx non si fermava alle parole. Nel Capitale (1867), il suo capolavoro, scende nei dettagli: ore di lavoro, macchine che ruggiscono, numeri che mostrano come il profitto nasca dallo sfruttamento. Immagina un telaio: una donna lo aziona, produce stoffa per ore, ma il padrone le paga solo una frazione del valore che crea. Quel “plusvalore” è il segreto del capitalismo: il lavoratore dà tutto, il capitalista prende il resto. Marx lo chiama “alienazione”: l’operaio non vede più se stesso nel suo lavoro, è una marionetta in un gioco che non capisce. A Londra, dove si trasferì nel 1849, Marx passava giorni nella biblioteca del British Museum, con libri ammucchiati e fogli sparsi, studiando economia mentre fuori le ciminiere oscuravano il cielo. Non era un teorico da poltrona: viveva la miseria, con la moglie Jenny e i figli che spesso avevano fame, mentre lui scriveva lettere a Engels chiedendo qualche scellino.

La sua vita era un fuoco che non si spegneva. Espulso da Parigi, poi da Bruxelles, trovò rifugio a Londra, una città di nebbia e fumo dove i poveri dormivano nei vicoli. Nel 1848, quando le rivoluzioni esplosero, lui ed Engels corsero a Colonia, stampando giornali che gridavano cambiamento. Ma i re vinsero, e Marx tornò a scrivere, con una penna che era un’arma. Non era un oratore da folle: parlava con voce bassa, un accento renano che inciampava, ma quando scriveva, le sue parole erano fiamme. “Il proletariato non ha patria,” diceva, un’idea che spaventava i potenti. Nel 1864, fondò l’Internazionale, un sogno di operai uniti oltre i confini. Morì nel 1883, a 64 anni, con il cuore stanco e il Capitale incompiuto, sepolto a Highgate sotto un cielo grigio che sembrava piangere con lui.

Marx cambiò il mondo. Lenin prese le sue idee e fece la Rivoluzione d’Ottobre, Mao le portò tra i campi di riso, operai di tutto il pianeta alzarono pugni leggendo il Manifesto. Nel 2025, ci parla ancora: in un mondo di disuguaglianze, dove i ricchi si arricchiscono e i poveri arrancano, la sua voce rimbomba. Pensiamo ai rider in bicicletta, che pedalano per pochi euro mentre le app incassano milioni: è il plusvalore di Marx, vivo sotto i nostri occhi. Ma non era perfetto. Alcuni lo accusano di utopia: “Una società senza classi è possibile?” Altri lo criticano per il dogmatismo: i regimi comunisti, con le loro prigioni, tradirono il suo sogno? Per uno studente di oggi, Marx è un pugno nello stomaco: ti chiede di guardare il mondo, non di accettarlo. Immagina una fabbrica: non è solo acciaio e rumore, è una lotta che aspetta il tuo passo.

 

L’Idealismo Tedesco e le Sue Derivazioni

  1. Fichte e l’Idealismo Soggettivo
  2. Schelling e la Filosofia della Natura
  3. Hegel e l’Idealismo Assoluto
  4. La Dialettica Hegeliana e la Storia
  5. Feuerbach e l’Umanesimo Ateistico
  6. Marx e la Critica al Capitalismo
  7. La Scuola Hegeliana e il Materialismo Storico
  8. Kierkegaard e la Critica al Sistema
Storia e Filosofia
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.