Nel 1979, Hans Jonas si fermava su una collina verde vicino a New York, con il canto dei grilli che gli pizzicava le orecchie e una luce crepuscolare che accendeva un taccuino stretto tra le mani. Non era un uomo da città: robusto, con capelli bianchi e una voce che rimbombava come un tuono lontano, sembrava un contadino più che un filosofo. Nato nel 1903 a Mönchengladbach, in una Germania di industrie e fede, Jonas era cresciuto tra libri e un’Europa ferita. Quel giorno, scrivendo Il principio responsabilità, stava dando voce a un’etica nuova: la natura non era solo sfondo, ma futuro da custodire. Il Novecento, con Jonas, Latour e altri, trovava un allarme: la crisi climatica era filosofia, un appello a pensare oltre noi stessi.
Il XX secolo era un’epoca di fumo e promesse. L’industria divorava, il petrolio scorreva, la scienza – Turing, Monod – mappava il reale. Appiah pensava il cosmopolitismo, Habermas il dialogo; ma Jonas vedeva il pianeta: “Cosa lasceremo?” si chiedeva, con una voce che odorava di terra e carta. Studiò con Heidegger, fuggì dai nazisti – “La vita mi ha scosso,” pensava, con un taccuino che si riempiva – ma la tecnologia lo colpì: “Dominiamo troppo,” pensava, con una penna che pesava ogni sillaba. Tra esilio e riflessioni, trovò la sua strada: “La responsabilità è lunga.”
La sua filosofia era un patto. “Agiamo per domani,” scriveva, con mani che tremavano di passione. Immagina una foresta: non è solo alberi, ma un respiro che ci tiene – per Jonas, l’etica guardava i figli dei figli. Pensiamo a una fabbrica: non è solo lavoro, ma fumo che resta – in Principio, scavava: “La natura ci vincola,” pensava, con un sorriso stanco. Kant vedeva l’uomo, Jonas il mondo: “Siamo custodi,” pensava, con occhi che brillavano di un fuoco quieto – la crisi climatica non era tecnica, ma morale. Morì nel 1993, a 89 anni, con un ultimo respiro che odorava di bosco: “Ho ammonito,” pensava, con un corpo fragile.
Poi arrivò Bruno Latour, un altro profeta. Nel 2018, a Parigi, scribacchiava Dove atterrare?, con il rumore delle proteste climatiche che echeggiava fuori e una luce fioca che cadeva su fogli sparsi. Nato nel 1947 a Beaune, in una Francia di vini e torri, Latour era cresciuto tra antropologia e un mondo che si surriscaldava. “La Terra è viva,” pensava, con una penna che pesava ogni parola. Immagina un ghiacciaio: non è solo ghiaccio, ma un attore – per lui, la crisi climatica era un intreccio, uomo e natura insieme. Pensiamo a un temporale: non è solo pioggia, ma un grido – “Siamo terrestri,” pensava, con un ghigno saggio. Morì nel 2022, a 75 anni, con un ultimo respiro che odorava di città: “Ho connesso,” pensava, lasciando un’eredità.
La filosofia climatica reagiva al Novecento. Il progresso vedeva dominio; loro vedevano limiti: “La Terra ci parla,” pensava Jonas, con mani che sfogliavano testi. Heidegger li ispirava, ma lo superavano: “Non solo Essere, ma relazioni,” pensava Latour, con una voce che pesava il reale – la natura non era sfondo, ma partner. Immagina un fiume: non è solo acqua, ma un legame – cercavano il senso sotto la crisi. Non erano pessimisti: “Agiamo ora,” pensava Latour – ma l’“ora” era per sempre. Pensiamo a Singer: la cura li guidava – filosofia e pianeta si abbracciavano.
Vivevano tra teoria e urgenza. Jonas predicava con forza: “Pensate lontano,” diceva, con ascoltatori che pendevano dalle sue parole. Latour provocava con calma: “Riconnettete,” pensava, con studenti che respiravano le sue idee. Jonas, sposato, tre figli – “Loro mi spingono,” pensava, con un sospiro. Latour, padre di due – “La Terra mi guida,” pensava, con un’ombra negli occhi. Litigavano con i tecnocrati: “Troppo ciechi,” borbottavano, con un sopracciglio alzato. Lasciavano una sfida: “Salviamo,” dicevano, con una voce che pesava il futuro.
Nel 2025, li sentiamo ancora. In un mondo di tempeste e promesse, la loro filosofia vive: cura, reti, un ritorno alla Terra – il Novecento respira nei nostri cieli. Ma non erano perfetti: “Troppo gravi?” dicevano i critici di Jonas; “Troppo vaghi?” di Latour. Per uno studente di oggi, sono un richiamo: la vita non è solo noi, ma tutto. Immagina un albero: non è solo legno, è un Novecento che ci lega ancora.