Nel 1927, Martin Heidegger si ritirava in una capanna di legno nella Foresta Nera, con il crepitio del camino che gli scaldava le orecchie e una luce fioca che danzava su un tavolo coperto di fogli. Non era un uomo da città: alto, con baffi folti e una voce che rimbombava come un tuono lontano, sembrava un boscaiolo più che un filosofo. Nato nel 1889 a Messkirch, in una Germania cattolica e rurale, Heidegger era cresciuto tra campane e un’Europa che si preparava al caos. Quel giorno, scrivendo Essere e tempo, stava scavando l’ontologia moderna: l’essere non era un concetto, ma una domanda viva. Il Novecento, con Heidegger, Pareyson e altri, trovava un terreno: l’ontologia si legava all’estetica, un pensare che toccava l’arte e il reale.
Il XX secolo era un vortice di ombre e luci. La Grande Guerra aveva ferito, la scienza – Bohr, Heisenberg – smontava il mondo, la semiotica di Eco leggeva segni. Althusser pensava l’ideologia, Gadamer il passato; ma Heidegger cercava l’Essere: “Cosa siamo?” si chiedeva, con una voce che odorava di resina e carta. Studiò con Husserl a Friburgo – “La fenomenologia mi ha preso,” pensava, con un taccuino che si riempiva – ma il nazismo lo compromise: “Ho sbagliato,” pensava, con una penna che pesava ogni sillaba. Tra boschi e aule, trovò la sua strada: “L’essere si svela.”
L’ontologia moderna era un abisso. “L’Essere si dimentica,” scriveva, con mani che tremavano di passione. Immagina un uomo che guarda il cielo: non è solo stelle, ma un sentirsi qui – per Heidegger, l’esserci (Dasein) era il punto. Pensiamo a un martello: non è solo oggetto, ma uso – in Essere, scavava: “Siamo gettati,” pensava, con un sorriso stanco. Kant vedeva categorie, Heidegger apertura: “L’Essere ci parla,” pensava, con occhi che brillavano di un fuoco oscuro – la filosofia non era sistema, ma ascolto. L’estetica si intrecciava: l’arte non decorava, rivelava.
Poi arrivò Luigi Pareyson, un altro cercatore. Nel 1954, a Torino, scribacchiava Estetica, con il rumore delle strade che si mescolava al fruscio della sua penna e una luce morbida che cadeva su libri aperti. Nato nel 1918 a Piasco, in un Piemonte di colline e guerra, Pareyson era cresciuto tra fede e un’Italia ferita. “La bellezza è forma,” pensava, con una penna che pesava ogni parola. Immagina un dipinto: non è solo colori, ma un dire – per lui, l’estetica era ontologia, l’arte un’apertura all’essere. Pensiamo a una poesia: non è solo versi, ma verità – “L’arte interpreta,” pensava, con un ghigno saggio. Morì nel 1991, a 72 anni, con un ultimo respiro che odorava di libri: “Ho formato,” pensava, lasciando un’eredità.
Ontologia ed estetica reagivano al Novecento. Il positivismo vedeva cose; loro vedevano senso: “L’Essere è mistero,” pensava Heidegger, con mani che sfogliavano testi. Husserl li ispirava, ma lo superavano: “Non solo coscienza, ma mondo,” pensava Pareyson, con una voce che pesava il reale – l’essere non era astratto, ma concreto. Immagina una scultura: non è solo pietra, ma un’apparire – cercavano il senso nell’arte. Non erano romantici: “Pensiamo l’essere,” pensava Pareyson – ma l’essere era bellezza. Pensiamo a Gadamer: il dialogo li guidava – filosofia e arte si abbracciavano.
Vivevano tra silenzio e parole. Heidegger passeggiava nei boschi: “L’Essere mi chiama,” diceva, con studenti che pendevano dalle sue pause. Pareyson insegnava con calma: “Guardate la forma,” pensava, con aule che respiravano le sue parole. Heidegger, sposato, padre di due figli – “La vita mi sfida,” pensava, con un sospiro. Pareyson, uomo di fede, si apriva: “Dio mi guida,” pensava, con un’ombra negli occhi. Litigavano con i positivisti: “Troppo freddi,” borbottavano, con un sopracciglio alzato. Lasciavano una sfida: “Sentite l’essere,” dicevano, con una voce che pesava il futuro.
Nel 2025, li sentiamo ancora. In un mondo di crisi e immagini, ontologia ed estetica vivono: arte, domande, un ritorno al profondo – il Novecento respira nei nostri sguardi. Ma non erano perfetti: “Troppo oscuri?” dicevano i critici; “E il chiaro?” si lamentavano altri. Per uno studente di oggi, sono un’eco: la vita non è solo materia, ma senso. Immagina un quadro: non è solo tela, è un Novecento che ci abita ancora.