La Fine della Seconda Guerra Mondiale

Il 1945 fu l’anno in cui la Seconda Guerra Mondiale si spense, dopo sei anni di fuoco e rovine che avevano ridotto il mondo a un’ombra di sé stesso. In Europa, la Germania di Hitler era un gigante con i piedi d’argilla, schiacciato da ogni lato. L’Unione Sovietica avanzava da est come una tempesta: il 16 aprile, il generale Georgij Žukov lanciò l’attacco finale su Berlino. Due milioni di soldati sovietici, con carri T-34 e cannoni che ruggivano, attraversarono l’Oder e si riversarono nella capitale del Reich. Le strade di Berlino, un tempo simbolo di potenza, erano un labirinto di macerie: i palazzi sventrati, i tram fermi, la gente nascosta nei rifugi. I tedeschi combattevano ancora, ma era una resistenza disperata: ragazzi della Hitlerjugend con fucili troppo grandi per loro, vecchi richiamati alle armi, un esercito di fantasmi che non poteva fermare l’inevitabile.

Il 30 aprile, i sovietici entrarono nel cuore della città. Hitler, rintanato nel suo bunker sotto la Cancelleria, era un uomo finito: pallido, tremante, con gli occhi scavati dalla paranoia. Quel giorno, mentre le bombe scuotevano le pareti di cemento, si uccise con un colpo di pistola. Accanto a lui, Eva Braun, la donna che aveva sposato poche ore prima, morì ingerendo cianuro. I loro corpi furono bruciati in un cortile, un’uscita misera per chi aveva sognato di dominare il mondo. I combattimenti continuarono per qualche giorno: i soldati tedeschi si arrendevano a gruppi, alzando bandiere bianche tra le rovine. Il 7 maggio, a Reims, i generali tedeschi firmarono la resa agli Alleati occidentali; l’8 maggio, a Berlino, la resa totale fu ratificata davanti ai sovietici. Era il VE Day, il giorno della vittoria in Europa: nelle città alleate, da Londra a New York, la gente ballava per strada, le campane suonavano, ma sotto la gioia c’era il peso di milioni di tombe.

In Italia, la fine arrivò un po’ prima. Il 25 aprile 1945, i partigiani – gruppi di resistenza cresciuti tra le montagne e le città del nord – liberarono Milano e Torino. Le strade si riempirono di bandiere tricolori, di uomini e donne con fucili presi ai tedeschi, di urla contro il fascismo. Mussolini, ormai un’ombra del Duce che era stato, cercò di scappare. Si travestì da soldato tedesco, con un elmetto troppo grande e un cappotto logoro, e si unì a una colonna in fuga verso la Svizzera. Ma il 28 aprile, vicino al Lago di Como, i partigiani lo trovarono. Lo fucilarono insieme alla sua amante, Claretta Petacci, contro un muro a Giulino di Mezzegra. I loro corpi furono portati a Milano e appesi a testa in giù in Piazzale Loreto, dove una folla inferocita li insultò e li colpì. Era una vendetta cruda, un epilogo per vent’anni di dittatura. Il 2 maggio, i tedeschi in Italia si arresero agli Alleati, che avevano raggiunto il Po: il Paese era libero, ma ridotto a un campo di rovine, con città distrutte e fame che mordeva ogni casa.

Nel Pacifico, il Giappone resisteva ancora, un nemico che non voleva cedere. Gli americani avanzavano isola per isola, in una guerra di logoramento che costava vite a ogni passo. Nel febbraio 1945, presero Iwo Jima dopo un mese di scontri brutali: i marines piantarono una bandiera sul Monte Suribachi, un’immagine che fece il giro del mondo, ma a terra c’erano migliaia di cadaveri. Ad aprile, toccò a Okinawa: tre mesi di combattimenti tra grotte e spiagge, con i giapponesi che si lanciavano in attacchi suicidi, i kamikaze, contro le navi alleate. Ogni vittoria americana era un bagno di sangue, e il Giappone non dava segno di arrendersi. Il presidente Harry Truman, succeduto a Roosevelt morto in aprile, si trovò davanti a una scelta terribile. Invadere il Giappone avrebbe significato un altro anno di guerra, forse un milione di morti tra i soldati alleati. C’era un’alternativa: la bomba atomica, un’arma nuova, testata nel deserto del New Mexico poche settimane prima.

Il 6 agosto 1945, l’Enola Gay, un bombardiere B-29, sganciò “Little Boy” su Hiroshima. Alle 8:15, una luce accecante squarciò il cielo: l’esplosione rase al suolo la città, uccidendo 140.000 persone in poche ore. Case, scuole, templi sparirono in un istante, sostituiti da un fungo di fumo e cenere. I sopravvissuti vagavano tra le rovine, ustionati, con la pelle che cadeva a pezzi. Il Giappone non si arrese subito. Il 9 agosto, un’altra bomba, “Fat Man”, colpì Nagasaki: 74.000 morti, un altro deserto di morte. Le due città erano immagini dell’apocalisse, un prezzo che Truman giustificò dicendo: “Ha salvato vite americane”. Il 15 agosto, l’imperatore Hirohito parlò alla radio, la prima volta che i giapponesi sentivano la sua voce. “Dobbiamo sopportare l’insopportabile”, disse, annunciando la resa. Il 2 settembre, sulla nave Missouri nella baia di Tokyo, i generali giapponesi firmarono davanti a Douglas MacArthur. La guerra era finita.

La Seconda Guerra Mondiale costò 70 milioni di vite: soldati caduti sui fronti, civili sotto le bombe, milioni sterminati nei campi di concentramento. L’Europa era un continente di macerie: Berlino un cumulo di pietre, Londra ferita dai razzi V2, Varsavia quasi cancellata. Il Giappone aveva città rase al suolo, un popolo in ginocchio. Gli Alleati avevano vinto, ma a un costo che lasciava il mondo stordito. Dalle ceneri emersero due nuove potenze: gli Stati Uniti, con le loro fabbriche intatte e la bomba atomica, e l’Unione Sovietica, con un esercito immenso e un’ideologia che guardava a ovest. Il 1945 chiuse un capitolo, ma ne aprì un altro: la Guerra Fredda, un’ombra che si stendeva su un pianeta già segnato. La pace arrivò, ma portava con sé cicatrici che non si sarebbero mai chiuse.

 

La Seconda Guerra Mondiale

  1. Le Cause della Seconda Guerra
  2. L’Europa sotto l’Asse: 1939-1941
  3. La Svolta del 1942: Stalingrado
  4. Gli Alleati in Africa: 1942-1943
  5. Lo Sbarco degli Alleati in Italia del 1943
  6. Il D-Day e la Liberazione: 1944
  7. La Fine della Seconda Guerra Mondiale: 1945
Storia e Filosofia
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