Il Crollo del Comunismo: la Fine dell’URSS

Dicembre 1991 segnò la fine di un titano. L’Unione Sovietica, la superpotenza rossa che per quasi settant’anni aveva dominato mezzo mondo, si spense senza fanfare, senza battaglie epiche. Non ci fu un’invasione straniera, né un’esplosione che squarciò il cielo: fu un collasso silenzioso, un gigante che crollò sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Per decenni, l’URSS era stata il contrappeso degli Stati Uniti, un impero con missili nucleari che potevano distruggere il pianeta, un esercito immenso che marciava sotto la bandiera di falce e martello, un’ideologia che prometteva uguaglianza a un mondo diviso. Ma nel 1991, quella promessa si era ridotta a code per il pane fuori negozi vuoti, fabbriche ferme, un popolo stanco di credere in un sogno che non si era mai realizzato. La Guerra Fredda non finì con un botto, ma con un lungo, triste sospiro.

Tutto iniziò con Mikhail Gorbachev, l’uomo che voleva salvare l’URSS e invece la seppellì. Salito al potere nel 1985, trovò un Paese in agonia. La guerra in Afghanistan, iniziata nel 1979, era una ferita aperta: migliaia di giovani tornavano in bare di zinco, mentre i costi dissanguavano un’economia già fragile. La pianificazione centrale, pilastro del sistema sovietico, non funzionava più: gli scaffali dei negozi erano deserti, ma i burocrati si arricchivano con il mercato nero. Gorbachev, con i suoi occhiali tondi e il sorriso aperto, propose un cambiamento radicale: la glasnost aprì le porte alla critica, lasciando parlare un popolo che per decenni aveva taciuto; la perestroika cercò di modernizzare un’economia bloccata, introducendo elementi di mercato. Ma il sistema era troppo rigido, un castello di carte che tremava al primo soffio. Le repubbliche sovietiche – Ucraina, Bielorussia, Estonia, Lituania, Lettonia – iniziarono a sognare l’indipendenza, a guardare oltre il Cremlino.

La caduta del Muro di Berlino nel 1989 fu il primo colpo. L’Europa orientale, per anni tenuta al guinzaglio da Mosca, si liberò: Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania voltarono le spalle al comunismo, e Gorbachev non mosse un dito per fermarle. A Mosca, la situazione peggiorava. Nel 1990, la Lituania dichiarò l’indipendenza, un atto di sfida seguito da Estonia e Lettonia. Gorbachev cercò di tenere insieme l’URSS con un nuovo trattato di unione, una federazione più flessibile, ma il tempo giocava contro di lui. Nell’agosto 1991, un gruppo di duri comunisti – generali, capi del KGB, burocrati nostalgici – tentò un colpo di stato. Misero Gorbachev agli arresti domiciliari nella sua dacia in Crimea e mandarono carri armati nelle strade di Mosca. Ma il popolo non li seguì. Boris Eltsin, il presidente della Russia con i capelli bianchi e la voce tonante, salì su un carro davanti al parlamento russo, la “Casa Bianca”, sfidando i golpisti. In tre giorni, il colpo fallì: i soldati si ritirarono, la folla esultò, Gorbachev tornò. Ma il suo potere era svanito, un’ombra di ciò che era stato.

Le repubbliche accelerarono la fuga. L’Ucraina, il granaio dell’URSS, votò per l’indipendenza il 1° dicembre 1991, un referendum che ottenne il 90% dei sì: senza di lei, l’Unione non poteva sopravvivere. L’8 dicembre, Eltsin incontrò i leader di Ucraina e Bielorussia in una dacia a Belaveža, una foresta al confine polacco. Firmarono un accordo che scioglieva l’URSS e creava la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), una fragile alleanza di ex repubbliche. Gorbachev resistette, implorando di salvare l’Unione, ma era solo. Il 25 dicembre 1991, apparve in televisione, il volto stanco e gli occhi bassi. Annunciò le sue dimissioni: “L’URSS, come soggetto geopolitico, cessa di esistere,” disse. Quella sera, la bandiera rossa con falce e martello fu ammainata dal Cremlino, sostituita dal tricolore russo. Dopo 69 anni, l’esperimento sovietico era finito.

Per i cittadini dell’ex URSS, fu uno shock misto a confusione. “Non sapevamo cosa sarebbe successo,” ricorda una donna di Minsk. “Avevamo paura, ma anche una strana speranza.” L’economia crollò: l’inflazione schizzò alle stelle, le fabbriche chiusero, la disoccupazione dilagò. A Mosca, le code per il cibo si trasformarono in mercati improvvisati, dove si vendeva di tutto, dai vecchi distintivi sovietici a pezzi di pane raffermo. Gli Stati Uniti restarono l’unica superpotenza, un colosso senza rivali che guardava un mondo improvvisamente più semplice, ma anche più caotico. Le repubbliche ex sovietiche affrontarono il loro destino: alcune, come i Baltici, corsero verso l’Europa; altre, come l’Ucraina, cercarono una via tra Est e Ovest; molte, come il Tagikistan, sprofondarono in guerre civili.

La fine dell’URSS chiuse la Guerra Fredda, un’epoca di tensione che aveva tenuto il mondo in bilico per quasi mezzo secolo. Per chi l’aveva vissuta, era la fine di un incubo e l’inizio di un’incertezza. Eltsin prese le redini della Russia, promettendo democrazia e mercato, ma il cammino fu accidentato: corruzione, oligarchi, una transizione che spezzò più vite di quante ne salvò. Gorbachev, l’uomo che aveva aperto la porta, fu dimenticato da molti, odiato da altri, un tragico eroe di un dramma che non aveva scritto. Il 1991 non fu solo la fine di un Paese: fu la nascita di un nuovo ordine mondiale, un vuoto che ancora oggi cerchiamo di riempire, tra le rovine di un sogno rosso e le promesse di un futuro incerto.

 

La Guerra Fredda

  1. L’Inizio della Guerra Fredda
  2. Il Piano Marshall e la NATO
  3. La Guerra di Corea: 1950-1953
  4. La Crisi di Cuba: 1962
  5. Il Vietnam e la Distensione
  6. La Caduta del Muro di Berlino: 1989
  7. La Fine dell’URSS: 1991
Storia e Filosofia
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