La Crisi Climatica nel XXI Secolo

la crisi climatica

Nel 2025, la crisi climatica è un gigante che incombe sul mondo, una minaccia che si respira nell’aria calda e si vede nei mari che salgono. Le sue radici affondano nel XIX secolo, quando le fabbriche iniziarono a sputare fumo nero, bruciando carbone per tessere cotone e forgiare acciaio. Poi arrivarono petrolio e gas, combustibili che alimentarono automobili e città, ma riempirono l’atmosfera di CO2. Nel 2023, la concentrazione di anidride carbonica toccò 420 parti per milione, un salto vertiginoso dai 280 ppm dell’era preindustriale. La Terra si scalda: dall’1850, la temperatura media è salita di 1,1°C, un aumento che scioglie ghiacci e sconvolge stagioni. L’Artico perde il 40% della sua superficie dal 1979, un mare bianco che si ritira sotto il sole. Il livello degli oceani cresce: isole come Tuvalu, nel Pacifico, vedono le onde lambire case di legno, mentre a Venezia l’acqua alta invade Piazza San Marco, come nel 2019, quando un miliardo di euro di danni sommerse la città.

Il clima si ribella con furia. Nel 2003, un’ondata di calore soffocò l’Europa: 70.000 morti, vecchi che collassavano nelle case senza aria condizionata. In Sicilia, nel 2021, il termometro toccò 48°C, un record che trasformò i campi in deserto. Ogni estate, incendi divorano i boschi della Sardegna, pennellate di fumo che oscurano il cielo. L’agricoltura soffre: al sud Italia, la siccità prosciuga fiumi, lasciando grano e ulivi a morire sotto un sole implacabile. Altrove, gli uragani colpiscono con rabbia: nel 2017, Irma devastò i Caraibi, strappando tetti e vite. In Africa, la siccità svuota villaggi: 25 milioni di persone vagano ogni anno, profughi di un clima che non perdona. L’Accordo di Parigi, firmato nel 2015, promise di fermare il riscaldamento a 1,5°C: i Paesi si impegnarono a tagliare le emissioni, a piantare alberi, a spegnere le ciminiere. Ma le promesse arrancano. La Cina, con il 30% delle emissioni globali, costruisce ancora centrali a carbone; gli Stati Uniti, al 15%, esitano tra petrolio e rinnovabili.

L’Italia cerca di reagire. Nel 2023, il 40% della sua energia veniva da sole e vento: pannelli solari brillano lungo le coste, turbine girano sulle colline toscane. Ma il gas resta un’abitudine, specie al nord, dove le industrie lo divorano. L’Unione Europea spinge con il Green Deal: zero emissioni entro il 2050, un piano di treni elettrici, città verdi, fabbriche silenziose. Costa miliardi, e non tutti sono d’accordo: i pescatori di Genova temono per le loro barche, gli operai di Taranto per l’acciaio. La crisi sposta popoli: in Bangladesh, il mare caccia milioni dalle coste, un esodo di barche e lacrime. In Italia, il turismo cambia pelle: le Alpi, con meno neve, vedono Cortina perdere sciatori, mentre Venezia combatte con il MOSE, la barriera attivata nel 2020 per fermare le maree. Funziona, ma il costo – 6 miliardi – pesa come un macigno.

Il mondo è diviso. I Paesi ricchi, che hanno bruciato carbone per secoli, devono pagare: Stati Uniti, Germania, Giappone siedono su montagne di responsabilità. Quelli poveri, come l’India, chiedono aiuto: “Ci serve energia per crescere,” dicono, puntando il dito a Occidente. Nel 2025, la sfida è titanica. Le auto elettriche sfrecciano per le strade di Milano, ma le batterie vengono dalla Cina, un cerchio che non si chiude. Le foreste cadono per fare spazio a campi, il metano sfugge dalle discariche. L’Italia sente il peso: Venezia affonda piano, la Puglia perde ulivi, il caldo estivo soffoca le città. È una corsa contro il tempo: i giovani marciano, con cartelli che gridano “Salviamo il pianeta,” ma i governi si muovono lenti, intrappolati tra economia e sopravvivenza. Se non si cambia, il termometro salirà ancora, un futuro di fuoco e acqua che nessuno vuole vedere.

 

Il Mondo Contemporaneo

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