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  • La Russia tra 600 e 700

    La dinastia dei Romanov, salita al trono nel 1613, tentò di consolidare il potere degli zar, termine che in Russia indicava l’imperatore. Fu riorganizzata il sistema fiscale, giudiziario e amministrativom fu rafforzato l’eserciti e la Chiesa ortodossa venne sempre più sottomessa agli zar. Lo sviluppo dell’assolutismo toccò il suo culmine tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700 con Pietro I il Grande, che usò l’ampio potere raggiunto per fare della Russia uno stato in gradi di competere con il resto d’Europa. La plurisecolare dinastia dei Rjurik, che aveva fondato il primo Stato russo, si estinse nella persona del figlio secondogenito di Ivan il Terribile, Fëdor I (1584-1598). Debole di mente e malaticcio, Fëdor lasciò le redini del governo dapprima allo zio materno Nikita Romanov (1584-1585), poi al cognato Boris Godunov (1585-1598). Grazie all’appoggio della Chiesa e al prestigio derivatogli da alcuni successi militari, consolidò rapidamente la sua posizione, sicchè alla morte di Fëdor senza eredi (suo fratello Demetrio era stato assassinato in circostanze misteriose nel 1591), si fece incoronare zar (1598-1605). Nel 1603, mentre il paese era in preda all’anarchia e bande di Cosacchi e guarnigioni polacche e svedesi dilagavano in Moscovia, contro Godunov si levò il falso Demetrio (un avventuriero sostenuto dalla Polonia e dalla Chiesa cattolica che si spacciava per il redivivo fratello di Fëdor), il quale usurpò il trono per quasi un anno (1605-1606). A questo succedette il boiaro Basilio Šujskij (1606- 1610), contro il quale insorse un secondo falso Demetrio, detto l’Impostore o il Brigante di Tušino (1607-1610). La situazione degenerò rapidamente quando il re di Polonia, Sigismondo III Vasa, per prevenire un rafforzamento della Svezia in Russia (re Carlo IX di Svezia era intervenuto in favore dello Šujskij), occupò Smolensk (1609) e Mosca e impose sul trono di Russia il proprio figlio Ladislao (1610), cui progettava di succedere egli stesso, mentre gli Svedesi occupavano Novgorod. Tutto ciò non fece che accelerare la fine del periodo dei torbidi. Il regno di Michele III fu quasi completamente assorbito dai problemi della ricostruzione nazionale dopo le devastazioni del periodo dei torbidi.
    La situazione si sbloccò sotto il figlio di Michele, Alessio (1645- 1676), quando l’atamano Bogdan Chmelnitzkij, capo della rivolta antipolacca dei Cosacchi ucraini (1648-1654), chiese l’intervento dello zar (trattato di Perejaslav, 1654). Il conflitto che ne seguì (1654-1667) permise ai Russi di procedere all’annessione (trattato di Andrusovo, 1667) dei territori ucraini a est del Dnepr e di Kiev, annessione che venne resa definitiva col riavvicinamento russo- polacco seguito all’invasione ottomana dell’Ucraina occidentale (1672- 1699).
    L’ascesa al trono di Pietro era avvenuto in modo veramente insolito. Alessio si era sposato due volte. Dalla prima ebbe dieci figli. Dalle seconde nozze nacque Pietro. Quando Alessio morì, fra le due famiglie si scatenò una dura lotta per il trono. Divenne prima zar Fiodor, dopo la morte prematura del quale il regno doveva passare a Ivan, frattelastro di Pietro. Era un ragazzo di quindici anni con evidenti ritardi mentali. Nominare zar il giovane Pietro, allora un bambino di dieci anni, fu una soluzione a cui Sofia si oppose aizzando i reggimenti degli strelizi, la guardia di Mosca. Forte dell’appoggio di questa milizia, scatenata contro la famiglia di Pietro, Sofia potè dettare le sue condizioni: “Appena maggiorenne Ivan diventare zar e io mi dimetterò da reggente. Se Ivan dovesse morire Pietro li succederà “. Sofia mantenne la reggenza sul regno di Russia, ma a sedere sul trono dello zar furono per la prima volta in due: Ivan e Pietro. A un certo punto, Pietro I riuscì a diventare l’unico padrone della Russia, il suo fratellastro morì.
    I suoi rapporti con la mogie e il figlio erano pessimi. Considera il figlio, Alessio, un debole e un incapace. Cerca di farne un uomo d’azione, ma inutilmente. Di amori, lo zar ne ha in continuazione, ma c’è una donna che predilige: Caterina, un bionda lituana conosciuta quando era al servizio come domestica di un pastore luterano. Pietro I finirà addirittura per incoronarla come imperatrice dopo la morte con la moglie, con il nome di Caterina I.
    E’ il 1703 e Pietro il Grande riesce finalmente a creare un insediamento nel baltico, si tratta di una fortezza destinata a diventare il primo nucleo della futura città : Pietroburgo. Le pietre bisogna portarle una per una da fuori. Incorono migliaia e migliaia di operai, prelevati come bestiame dai villaggi della regione. Pietro obbliga l’aristocrazia russa a trasferirsi a san Pietroburgo. Approfita di qualche incendio: per esempio ci fu un enorme incendio che distrusse una parte di Mosca e lui trasferì 5000 famiglie senza tetto a San Pietroburgo. Per incoraggiare il trasferimento promuove nel campo nuovi ceti, così i marinai migliori diventano ammiragli e gli artigiani veri e propri imprenditori.
    Pietro aveva una preoccupazione: quella di cercare una soluzioni ai continui intrighi e complotti che si tramavano in quel momento a Mosca nei suoi confronti. La sua è una violenza repprssiva che non conosce regole. Alla sorella, la mente della congiura, li verra risparmita la vita, ma non l’esilio. Chi ha partecipato alla cospirazione è condannato a morte. Alla fine farà torturare suo figlio accusato di complottare contro di lui e lo farà uccidere. Lo sforzo espansivo che fin dal 1696 intraprese sul Mar Nero e verso i Balcani diede i suoi frutti con l’acquisizione Azov del 1700; quello stesso anno volse le sue mire contro la Svezia di Carlo XII al quale, dopo una lunga guerra dalle vicende alterne, inflisse la sconfitta decisiva di Poltava (1709). La Russia entrò così in possesso delle coste orientali del Mar Baltico e, con successive operazioni, della Livonia e dell’Estonia (1710). Subito dopo lo zar riprese le ostilità contro la Turchia (1711), che però si risolsero in un disastro per la Russia e nella perdita dell’accesso al Mar Nero. A fianco di Danimarca, Polonia, Sassonia, Prussia e Hannover, combattè di nuovo contro la Svezia, alla quale impose la pace di Nystad (1721) e la cessione della Finlandia sudorientale. La guerra del 1723 contro la Persia gli assicurò poi le rive occidentali del Mar Caspio (1723).
    L’azione energica e a volte spietata di Pietro I il Grande impresse alla storia della Russia una brusca svolta, che trasformò un paese povero e arretrato in uno Stato moderno di tipo europeo.
    Per far questo Pietro I aprì scuole, incoraggiò gli studi scientifici, favorì il sorgere di industrie tessili e metallurgiche; modificò persino i costumi, proibendo l’uso degli abiti di foggia tartara e imponendo ai nobili il taglio delle imponenti barbe all’orientale.
    Affermò con forza il suo assolutismo infrangendo per sempre il potere dei boiari, che trasformò in docili funzionari. Riorganizzò il governo e l’esercito, costruì una moderna flotta.
    Quasi a sottolineare la trasformazione subita dallo Stato, spostò la capitale da Mosca a Pietroburgo, al confine con l’Occidente, per disporre di una finestra aperta sull’Europa.
    C’è una domanda geografica che assila Pietro: la Russia confina con l’America? Per scoprirlo manda un capitano danese, nel 1725, poco prima della morte di Pietro. Nell’agosto del 1728, arrivò a pocchissima distanza dalle coste dell’Alaska, ma non li vide a causa di una fitta nebbia. Incalzato dalla fine dell’estate tornò indietro senza rendersi conto di essere arrivato quasi in America. Bering fu incaricato di guidare una nuova missione che partì nel 1733.
    Alla morte di Pietro sarà Caterina a salire sul trono, ma solo per due anni. Alla sua morte seguirono oltre un decennio con lotte al potere, fino a quando al trono salì Elisabetta (1741), figlia di Pietro il Grande e Caterina. Con lei San Pietroburgo conobbe un balzo in avanti. Per tenere a bada i nobili concesse a loro poteri illimitati. Il 16 giugno 1741 il veliero di Bering avvistò le coste dell’Alaska. A poca distanza dalle coste russe incontrò una nuova tempesta, una violenta ondata spinse il velierio sulle roccie di un’isola, affondandola. Ai naufraghi non restò che raggiungere terra. Molti perirono, fra cui lo stesso Bering. I viaggiatori tornati in patria portarono con sè qualcosa che avrebbe destato interesse ad alcuni loro connazionali: pelliccia di lontra che fece muovere verso l’Alaska flotte di avventurieri. Questi spietati commercianti di pelli occuparono le isole Aleutine. Gli aleutani furono costretti a cacciare giorno e notte. Quando alcuni aleutiani si ribellarono nascondensi su alcune rocce che ritenevano sicure i commercianti massacrarono migliaia di persone innocenti.
    Quando Pietro III sale al trono, nel maggio del 1762 impartisce direttive politiche e militari che lasciano esterefati ministri e generali. Viene definito da tutti un uomo pazzo. Nel giro di qualche settimana il complotto è organizzato. Pietro III viene destituito e arrestato, il suo regno dura poco più di un mese. Viene arrestato e dopo un mese viene trovato morto. Sale al trono Caterina II. Sotto il suo governo i territori dell’impero si allargarono notevolmente, soprattutto a spese della Polonia e della Turchia. Grazie all’alleanza con la Prussia e con l’Austria, ottenne dalla Polonia, con le spartizioni del 1772, del 1793 e del 1795, tutte le regioni orientali; alla Turchia strappò prima le steppe russe meridionali fino al fiume Bug e alcune città di grande importanza commerciale come Azov e Kinburn (1768-74), quindi la Crimea, il Taman e il Kuban (1783). Nè mancarono all’interno sommosse e rivolte sanguinose, come quella del cosacco Emeljan Pugacëv, repressa nel 1775. C’è una aspetto molto importante nella vita di Caterina la Grande, cioè la sua amicizia con gli illuministi. Caterina cercò di convincere la nobiltà a rinunciare ai privilegi, ma il problema era troppo vasto e profondo.

    Documentario della RAI- Ulisse, il piacere della scoperta / CD, ACTA- Mille anni di storia (Il settecento) / Libro, Edizioni il capitello- Le origini del mondo attuale

  • La rivoluzione inglese

    Nel 1603 a Elisabetta I Tudor, che non lasciava eredi diretti, succedette sul trono il suo parente più prossimo, Giacomo I Stuart, che era già re di Scozia. Per la prima volta furono così unificate la corona inglese e quella scozzese. A partire dal regno di Carlo I Stuart (1625-49), la monarchia cercò di accentrare tutto il potere, abolendo i poteri del parlamento. Questo organo, creato dalla nobiltà durante il Medioevo per imporre un controllo sull’operato del re, era composto dalla Camera dei Lords (alta aristocrazia, nominato dal re) e dalla Camera dei Comuni (basso clero, piccola nobiltà e borghesia, eletti dalle categorie rappresentate). Il sovrano doveva sottoporre all’approvazione delle Camere tutte le leggi che prevedevano degli aumenti di spese. Quando Carlo I fu costretto a ricorrere ad esse per finanziare le sue spedizioni militari e i costi di mantenimento della sua lussuosa corte, si trovò a una forte opposizione, alla quale reagì sciogliendo il parlamento. Ne seguì una vera guerra civile fra sostenitori del re e sostenitori del parlamento. Questi ultimi trovarono in Oliver Cromwell un capo politico e militare. L’esercito da lui comandato fu in grado di combattere e sconfiggere quello del re. Condannato a morte, il re venne giustiziato nel 1649. L’Inghilterra di Cromwell divenne una repubblica. La repubblica finì con la morte di Cromwell (1658). L’ultimo degli Stuart, Giacomo II, cattolico, cercò di ristabilire un potere assoluto. Era tuttavia di carattere debole e indeciso, e quindi il parlamento riuscì a cacciarlo. Al suo posto, lo stesso parlamento chiamò sul trono la figlia Maria Stuart e il marito Guglielmo d’Orange, un nobile olandese, che dovettero giurare fedeltà alla Dichiarazione dei diritti. Solo dopo questo impegno furono incoronati (1689). Con questi eventi, noti nella storia d’Inghilterra come gloriosa rivoluzione, naque un nuovo sistema politico, cioè un nuovo modo di organizzare e govrnare lo Stato.

    Libro, La monnier-Storia progetto modulare 2 / Libro, Edizioni Il capitello- Le radici del mondo attuale

  • La rivoluzione americana

    Durante la guerra di Successione spagnola i tentativi di invasione guidati da Walker per mare e da Nicholson per terra si risolsero in un fallimento (1711) e soltanto l’Acadia, dopo essere stata perduta e riconquistata più volte, cadde definitivamente nelle mani degli Inglesi nel 1710 e fu loro ceduta dalla pace di Utrecht (1713). La Nuova Francia, che dopo le esplorazioni compiute fra il 1731 e il 1749 da La Vèrendrye si era estesa fino alle Montagne Rocciose, non disponeva della manodopera necessaria per sfruttare questo immenso territorio, essendosi l’immigrazione arrestata nel periodo delle guerre che impegnarono Luigi XIV in Europa. Nel sessantennio 1680-1740 non giunsero nella colonia più di 5.000 immigrati. Di fronte all’esigua consistenza numerica dei coloni della Nuova Francia le colonie britanniche della Nuova Inghilterra, forti, alla metà del secolo, di 1.500.000 abitanti, rappresentavano una minaccia, tanto più che la frontiera canadese sbarrava loro la strada verso l’interno; così, scoppiata la guerra dei Sette anni, l’Inghilterra decise la conquista del Canada. Per qualche tempo il generale Montcalm potè arrestare gli attacchi inglesi, riuscendo a più riprese vittorioso (presa del forte di Oswego, 1756; battaglia di Fort Carillon, 1758), ma fu sconfitto alle pianure d’Abraham (1759) dall’esercito britannico guidato dal generale Wolfe. Nel 1763 la pace di Parigi la cedeva definitivamente all’Inghilterra.
    Nel 1774 la prima legge (statuto) costituzionale (Atto di Quebec) introdusse nel campo penale il diritto inglese, ritenuto più equo, sancendo al tempo stesso la validità delle leggi francesi nel campo civile. Fu proclamata la libertà dei cattolici di professare la loro religione e la Chiesa cattolica mantenne i suoi antichi privilegi. Poco più di due secoli fa, il continente americano era un’enorme territorio poco popolato, che le grandi nazioni europee si erano divise e colonizzato solo in parte. L’intenzione dell’Inghilterra era quella di ricavare ricchezza per la madrepatria: molti cittadini britannici furono allora spinti a trasferivisi e a sviluppare col loro lavoro l’economia di quei territori, dove si sviluppò una fiorente vita economica e civile. Chi erano i coloni che si stabilivano in America? Erano rappresentati da dissidenti religiosi, come puritani, perseguitati politici, contadini rimasti senza lavoro, piccoli mercanti e artigiani, giovani esponenti della nobiltà minore; erano per lo più inglesi, ma anche francesi, scozzesi, irlandesi, tedeschi, olandesi, svedesi. Inoltre erano persone in genere emarginate in patria, spesso animate da forti ideali politico-religioso e dal desiderio di farsi una nuova vita. Da questo polo vario nacque una società più mobile e fluida di quella europea dell’Antico Regime. Di terra, in America, ce n’era in abbondanza e diveniva proprietà di chi riusciva a coltivarla, spesso cacciandone, con spietata durezza, le popolazioni indigene.
    Dal punto di vista economica e sociale queste colonie avevano una caratteristica in parte diversa. Le colonie del Sud, la Virgigna, il Maryland, la Carolina del Nord, la Carolina del Sud e la Georgia erano caratterizzate da un’economia agricola. La mano d’opera ultilizzata era formata quasi tutti da schiavi provenienti dall’Africa. Le quattro colonie del Centro (New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware) erano abitate in prevalenza da inglesi con forti minoranze di olandesi, tedeschi, irlandesi e scozzesi. Anche se proviste di una buona agricoltura, tali colonie traevano i loro guadagni soprattutto dal commercio. Trattava anche schiavi, ma normalmente non li impegavano e preferivano rivenderli al Sud. Infine, le quattro colonie del Nord (Massachusetts, Connecticut, New Hampshire e Rhode Island) costituivano la regione chiama New England. Anche queste colonie possedevano una ricca agricoltura.
    In ogni colonia risiedeva un governatore nominato dal re d’Inghilterra. Le colonie dovevano acquistare solo merci inglesi e i loro trasporti dovevano essere realizzati su navi inglesi.
    La tensione con Londra andò crescendo, sino a sfociare in ribellione quando il governo inglese, con la legge del bollo, cercò di imporre agli americani il pagamento di una tassa su giornali, tti legali, documenti commerciali. Gli americani opposero un netto rifiuto in base al principio, già sostenuto dai rivoluzionari inglesi nel Seicento, che non può essere tassato chi non gode di rappresentanza politica e le colonie non avevano rappresentanza eletti al parlamento inglese. Nel 1774 il parlamento inglese impose alle colonie di acquistare solo il tè importato dalla compagnia inglese delle Indie Occidentali. Come tutta risposta , i coloni organizzarono il boicottaggio delle merci e delle navi inglesi. Nel 1774 si riunì a Filadelfia il primo congresso dei rappresentanti delle colonie, che stabilì la fondazione di un esercito unitario, e ne affidò il commando a Gorge Washisgton, in previsione dello scontro imminente. Di fronte alla disobbedienza dei coloni, il governo inglese fece intervenire l’esercito. Si arrivò così a un primo scontro armato: a Lexigton la milizia del Massachusetts combattè contro i soldati inglesi (1775). Il Congresso approvò il 4 luglio 1776 una Dichiarazione di indipendenza. L’esercito inglse, era superiore e assai meglio armato. Ma i coloni tuttavia potevano contare su un grande entusiasmo popolare e sul fatto che gli inglesi non conoscevano i territori nei quali si combatteva. Nel 1778 la Francia entrò in guerra, a fianco degli Stati Uniti d’America. L’intervento francese si rivelò determinante.
    Con il trattato di Versailles, firmato nel 1783 l’Inghilterra riconobbe l’indipendenza degli Stati Uniti e cedette alla Francia alcune isole delle Antille e la colonia africana nel Senegal.
    Dopo la firma del trattato di Versailles (1783), con cui veniva riconosciuta l’indipendenza degli Stati Uniti, numerosissimi lealisti, cioè coloni della Nuova Inghilterra rimasti fedeli alla bandiera inglese, emigrarono nel Canada. L’immigrazione dei lealisti avendo quindi considerevolmente alterato il rapporto numerico tra Francesi e Inglesi nel Canada, il governo britannico ritenne ormai superato il tipo di amministrazione, in gran parte di impronta francese, che era stato varato con l’Atto di Quebec. Un nuovo atto costituzionale (Canada Act), approvato dal parlamento britannico nel 1791, divise il territorio del San Lorenzo in due province, separate tra loro dal fiume Ottawa, ciascuna con un proprio governo: la provincia del Basso Canada (Quebec), prevalentemente francese, in cui la vecchia legislazione francese contenuta nell’Atto di Quebec restava ancora in vigore, e quella inglese dell’Alto Canada (Ontario), in cui tutte le leggi rispecchiavano il modello inglese.

    CD, Rizzoli Larousse 2001- Enciclopedia multimediale / Libro, La monnier-Storia progetto modulare2 / Libro, Edizioni Scolastiche Bruno Mondatori- Il lavoro dell’uomo 2

  • L’Italia nel settecento

    Stato di Milano: Nel Settecento Milano si trovava sotto il dominio degli Asburgo: già dal 1706 gli Austriaci avevano soppiantato gli Spagnoli nel controllo della città , ma fu solo al termine della Guerra di Successione spagnola, con le paci di Utrecht e Rastatt (1713 1714), che il dominio austriaco venne riconosciuto. Il ceto dirigente milanese fu molto attivo e riuscì a restaurare un’economia, caduta a causa delle ingenti spese di guerra; in campo culturale poi Milano fu il centro di maggior penetrazione illuministica dell’Italia Settentrionale. A Milano gli Intellettuali partecipavano attivamente anche alla vita pubblica: per esempio Gian Rinaldo Carli, già collaboratore del Caffè, nel 1765 fu incaricato dal Governo austriaco di presiedere il Consiglio Economico di Milano. L’Imperatrice Maria Teresa infatti aveva riorganizzato l’istruzione, attuando nelle scuole un programma di alfabetizzazione e riformando i collegi; furono anche create Scuole elementari statali e furono migliorate le condizioni di insegnamento.
    Repubblica di Genova: La guerra della Lega d’Augusta o dei Nove Anni (1688-1697) scoppiata per contrastare l’espansionismo di Luigi XIV, rappresenta infatti un’ottima occasione per Genova che approfitta dell’impegno bellico per rianimare la propria marina mercantile. Analoghe opportunità vengono sfruttate, pur tra le molte pressioni dei due schieramenti in lotta che entrambi vorrebbero costringere la Repubblica a unirsi a loro, nel corso della guerra di Successione spagnola (1700-1714), la quale tra l’altro, concludendosi con l’insediamento di un nipote di Luigi XVI (Filippo V di Borbone) sul trono di Madrid determina un’intesa franco-spagnola nel patriziato genovese. L’idillio tra Genova e Versailles, che nella pace di Aquisgrana garantisce alla prima il prezioso marchesato del Finale per il quale la Repubblica era scesa in guerra, non può tuttavia nascondere motivi di contrasto, legati soprattutto alla Corsica. L’isola ha goduto d’una relativa tranquillità fra il 1567 e il 1729. Ma nel 1730 il fuoco che covava sotto le cenere ricominciava a bruciare e dà vita a una nuova rivolta, la quale ben presto si trasforma in questione internazionale perchè ogni potenza teme l’eventualità che la Corsica finisca sotto il controllo d’uno Stato rivale. D’altronte è Genova stessa, militarmente troppo debole, che deve chiamare in causa eserciti stranieri per reprimere l’insurrezione. Se dapprima è l’Austria a intervenire, ben presto la Francia vuole prendere il posto: ufficialmente per mettere pace, in realtà per costringere Genova a cedere volontariamente la Corsica. Ci vorranno più di trent’anni perchè il suo piano si realizzi. Il 16 maggio 1768 si conclude quel trattato di Versailles che per titolo, bugiardo quant’altri mai, Conservation de l’isle de Corse à la Republique de Genes: in realtà esso trasferisce alla Francia ogni sovranità sulla Corsica.

    Internet- Compendi di Storia / Libro, Banca Carige- Genova e la Francia

  • L’Illuminismo

    Il termine (in francese significa capacità illuminatrice) indica il vasto movimento di pensiero, originatosi nel XVIII sec. L’indirizzo dell’illuminismo fu di impegno costante nell’utilizzare la critica e la guida della ragione in ogni campo dell’esperienza umana. Scopo precipuo della corrente illuministica è quello di condurre i lumi della ragione in ogni settore, per sviluppare non solo il metodo scientifico, ma anche il modo di vivere, la cultura e le istituzioni. L’illuminismo si erse quindi contro l’assolutismo monarchico, la chiesa e l’aristocrazia feudale, facendosi portatore del vessillo del progresso. Tra i caratteri fondamentali del movimento, una severa analisi critica di ogni forma di autoritarismo; una profonda fiducia nella ragione, unico mezzo per chiarire e risolvere tutti i problemi dell’uomo; il culto del progresso e dell’educazione dell’uomo; la polemica contro la tradizione filosofica medievale; la consapevolezza del fatto che una nuova era stesse per nascere; la ricerca di un nucleo di verità morali originario, comune a tutti gli uomini e superiore a qualunque forma di dogma imposto dall’alto; la violenta opposizione a ogni forma di superstizione e di intolleranza; l’impegno a espandere e a diffondere ogni tipo di conoscenza, principalmente quella scientifica, per demolire i muri innalzati nel passato e aprire le porte al nuovo che avanza. Un’idea fondamentale, nella corrente illuminista, è quella del diritto naturale (diritto di natura, diritto delle genti), da cui deriva lo spirito universale di giustizia e libertà che fornì grande impulso alle rivoluzioni francese e americana. Il programma fondamentale dell’illuminismo, riesaminare ogni cosa alla luce della ragione, si realizzò nell’Encyclopèdie. Gli enciclopedisti promettevano d’indagare in ogni campo del sapere. La teoria della conoscenza più diffusa tra gli illuministi fu quella del sensismo. La sensazione è l’unica nostra fonte di conoscenza, in quanto tutte le nostre idee si generano dai sensi e non vi sono idee innate. Una corrente più materialistica fu il meccanismo secondo la quale l’uomo è una macchina, tutte le sue attività psichiche sono verificabili attraverso leggi matematiche. Uno dei primissimi bersagli furono le credenze religiose. Secondo i deisti, ciascun uomo può conoscere questo Essere supremo con la forza della ragione. Una minoranza di illuministi era ateista, per loro, nessun Dio creatore sta all’origine. Il pensiero illuminista offrì il meglio di sè nel capo delle idee politiche.
    I tre maggiori teorici delle idee politiche dell’illuminismo furono Montesquieu, Voltaire e Rousseau. Fin dalle Lettere persiane, satira della frivola società del tempo, Montesquieu cerca di definire le leggi che regolano la vita sociale. Con grande senso realistico e seguendo il modello della costituzione inglese, Montesquieu afferma la necessità di una rigida distinzione tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, affinchè la libertà del cittadino sia garantita. Il pensiero di Rousseau è illuminista nella critica alla storia e alla società , ma già romantico nella rivendicazione della spontaneità del sentimento contro la ragione. Nel seguire l’evoluzione umana da un ideale stato di natura alla sua decadenza sociale (l’uomo nasce buono, la società lo perverte) egli proclama il contratto sociale (in base al quale ogni cittadino partecipa alla vita politica).
    I fenomeni elettrici furono un argomento scientifico ampiamente dibattuto nel Settecento. Da pochi anni Benjamin Franklin aveva enunciato il principio della conservazione della carica elettrica e aveva mostrato che a questi fenomeni era legata una quantità enorme di energia.
    Alessandro Volta chiarì il concetto di corrente elettrica, ponendo fine al mistero che avvolgeva i fenomeni elettrici, ritenuti anche origine dei terremoti.
    Il Settecento fu un periodo di grande fervore scientifico. In Europa e in America settentrionale andavano moltiplicandosi gli ingegnosi sperimentatori e gli attenti osservatori della natura che.
    Gli intellettuali creano una rete davvero cosmopolita: dalle vaccinazioni contro le malattie endemiche alle barriera doganali, dalla scoperta dei popoli selvaggi alla necessità della diffusione dell’istruzione.

    CD-Tecniche nuove, Eureka 2000 / Libro, Edizioni Scolastiche Bruno Mondatori- La Letteratura / CD, ACTA- Mille anni di storia (Il Settecento)

  • Il Barocco

    In Italia, già nella seconda metà del Cinquecento, gli ideali umanistici e rinascimentali erano in gran parte spenti ed era ormai venuta meno l’ottimistica fiducia nell’uomo, nella sua libertà creatrice, nell’affermazione delle sue capacità . A essi si era sostituito un sentimento più doloroso e travagliato della vita umana e i principi religiosi dettati dalla Chiesa cattolica tornati di nuovo in primo piano. Il fine dell’arte non doveva più essere il piacere suscitato dalla bellezza, ma l’edificazione morale. Nel Seicento, in seguito alle scoperte scientifiche e geografiche che allargono all’infinito i confini dell’universo, entrò in crisi la visione umanistica e rinasciemhtale dell’uomo, situato al centro dell’universo e in grado di dominare il mondo esterno. La realtà apparve complicata, misteriosa e l’atteggiamento dell’artista divenne di stupore, di ansia di conoscenza dell’ignoto, di ricerca di modi nuovi per rappresentare la complessità del mondo.
    La produzione artistica del Rinascimento è stata sempre legata a singole personalità , gelosi della propria arte. L’esperienze seicentesca dei Carrucci assume pertanto un rilievo nuovo e particolarissimo nella storia dell’arte europea. Intorno al 1585 i pittori bolognesi Ludovico, Agostino e Annibale Carracci si riuniscono per fondare quella che potremmo definire la prima scuola privata di pittura dell’Età Moderna.

    Libro, Mondadori-Percorsi di letteratura

  • La rivoluzione nasseriana

    Fu proprio in Asia che scoppiò il primo conflitto legato alla guerra fredda: la guerra di Corea (1950-1953). Alla fine della guerra la Corea era stata divisa in due parti: la Corea del Nord, guidata da un governo comunista e la Corea del Sud alleata degli americani. Nel 1950 la Corea del Nord aggredì quella del Sud. La guerra terminò nel 1953, con la riaffermazione del confine delle due Coree.
    Ma la crisi più grave fu senz’altro quella che si svolse a poche migliaia della costa degli USA: a Cuba. Fidel Castro, uomo politico cubano (presso Santiago di Cuba 1926). Figlio di un facoltoso piantatore, si dedicò agli studi giuridici e conseguì la laurea all’università dell’Avana. Divenuto avvocato, partecipò a vari moti insurrezionali contro il dittatore dominicano Trujillo e contro il governo Batista. Il 26 luglio 1953 con alcuni compagni diede l’assalto alla caserma Moncada di Santiago, ma fu catturato e dovette esulare. Dal Messico, dove si era rifugiato, nel dicembre 1956 con il fratello Raàºl e ottanta seguaci sbarcò clandestinamente sulla costa cubana e nella Sierra Maestra organizzò la guerriglia contro Batista.
    I continui colpi di mano dei guerriglieri castristi (chiamati barbudos) e l’abile propaganda costrinsero il presidente Batista a fuggire (1° gennaio 1959), mentre Castro diventava padrone effettivo dell’isola. Primo ministro il 15 febbraio 1959, iniziò una serie di riforme destinate a mutare profondamente il paese, come la riforma agraria e la nazionalizzazione dell’industria saccarifera; al tempo stesso il movimento castrista (detto “del 26 luglio”) e il governo che ne era l’espressione assunsero sempre più l’aspetto di una dittatura. Per questo e per i contrasti di carattere commerciale con gli Stati Uniti, le cui proprietà furono radicalmente espropriate da Castro, un’acuta tensione si venne creando con il governo di Washington a partire dal luglio 1960.
    L’accentuata tendenza marxista della politica di Castro (sostenuta dalla frazione estremista di Guevara) portò nell’aprile 1961 a uno sbarco nella baia dei Porci (baia Cochinos) di volontari cubani esuli appoggiati dagli americani, fallito il quale i legami di Cuba con l’URSS si rafforzarono ulteriormente. Negli anni Settanta Castro si legò ulteriormente all’URSS, assecondandone la politica di penetrazione in Africa con il sostegno cubano all’Angola e all’Etiopia. Nel 1995 ha rilanciato la sua immagine internazionale, in sede ONU, al vertice sullo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo e l’anno successivo è stato ricevuto in Vaticano da papa Giovanni Paolo II che nel 1997 sarebbe andato in visita a L’Avana.
    Nel 1953 morì Stalin. Il suo successore, Nick Kruscev, dimostrò subito di voler chiudere l’epoca scura del stalinismo e cercò di migliorare le relazione con il mondo occidentale. L’apertura di questo processo di pur cauta destalinizzazione fu accolto positivamente negli Stati Uniti, dove nel 1960 venne eletto presidente il democratico John Fitzgerald Kennedy. In Polonia i dirigenti di partito legati a Stalin furono sostituiti. Ma in Ungheria che si fece il tentativo più ambizioso. Il capo di governo volle portare l’Ungheria fuori dal Patto di Varsavia, ma fece intervenire l’Armata Rossa e soffocò nel sangue il tentativo riformatore.
    Gli Usa hanno cercato di bloccare l’espansione del comunismo nel sud-est asiatico. Dal 1964 al 1973, particolarmente importante fu l’impegno americano contro il Vietnam del Nord, comunista, e a sostegno del Vietnam del Sud, filo-occidentale. L’intero Vietam cadde così sotto il controllo nordvietnamita.
    Alle origini dei grandi rivolgimenti politici dell’Europa orientale è stata l’elezione, nel 1985, di Mikail Gorbaciov a segretario del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Socùvietica). Infatti spetta a Gorbaciov il merito di aver rinunciato al principio della sovranità limitata sugli stati comunisti dell’Europa orientale, in base alla quale l’Unione Sovietica si sentiva autorizzata a intervenire, anche militarmente, quando si profilava il pericolo che fosse minacciato il potere comunista in uno stato soggetto alla sua influenza. La politica di Gorbaciov ha ridato fiato agli stati satelliti.
    Nel settembre 1989 in Polonia, nacque un governo formato non soltanto dai comunisti. Contemporaneamente i comunisti della Germania Est lasciarono il potere ai riformisti a tra il 9 e il 10 novembre 1989 migliaia di tedeschi abbatterono il muro. Si trattava di un muro che nel 1956 il governo della Germania Est aveva fatto costruire lungo il confine tra i due settori di Berlino per impedire ai suoi cittadini di sfuggire nella Germania dell’Ovest. Dall’apertura delle frontiere alla riunificazione delle due Germanie il percoso è stato breve e rapido il primo luglio 1990 è entrata in vigore l’unificazione economica e monetaria e finalmente, il 3 ottobre, è stata proclamata l’unificazione politica. La strada della riconquistata democrazia non risulta facile per questi popoli. Sottomessi per decenni a un regime autoritario e quindi non abituati alla partecipazione attiva alla vita politica. Così si comprende il ritono al potere, in seguito ad elezioni, degli ex-partiti comunisti. Con la caduta dei regimi comunisti, le nuove autorità hanno deciso di vendere ai privati le aziende agricole e le industrie statali. Ma la privatizzazione delle imprese statali è un operazione difficile, perchè spesso si tratta di aziende poco efficienti o addirittura improduttive. Gorbaciov ha cercato di riformare dall’interno lo Stato, cioè di correggere gradualmente i principali aspetti negativi del sistema comunista. Rendendosi conto degli immensi problemi del suo paese, ha cercato di riformare il sistema comunista, redendo meno rigido il controllo sull’economia e concedendo libertà civili e religiose. Ha dato inizio a una nuova fase della politica internazionale, caratterizzata dalla conclusione definitiva della rivalità militare con gli Stati Uniti e dal progressivo disarmo atomico. Ma nel giro di pochi giorni la prudione agricola e industriale ha subito un gravissimo crollo. Così nell’agosto 1991 i conservatori tentarono un colpo di stato e destituirono Gorbaciov. Il colpo di stato guidato dal radicale Boris Eltsin fallì. Nel dicembre 1991 così i presidenti delle repubbliche sovietiche, ad eccezione di quelle baltiche che si erano proclamate indipendenti, sciolsero l’Unione Sovietica. Il 21 dicembre del 1991 ad Alma Ata, la capitale del Kazakistan, i dirigenti di undici repubbliche (Russia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Armenia, Azerbajdzan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tadzikistan, Kazakistan e Kirghistan) hanno proclamato ufficialemente la fine dell’Unione Sovietica e hanno dato vita alla Confederazione degli Stati Indipendenti (CSI). Con il crollo dell’Unione Sovietica la guerra fredda è veramente finita.

    Libro, Editrice La Scuola- Storia per gli istituti professionali / Libro, Bulgarini- Attraverso i territori / Libro, Edizioni Scolastiche Bruno Mondatori- Il lavoro dell’uomo 2 / CD, Rizzoli Larousse- Enciclopedia multimediale

  • La guerra fredda

    Fu proprio in Asia che scoppiò il primo conflitto legato alla guerra fredda: la guerra di Corea (1950-1953). Alla fine della guerra la Corea era stata divisa in due parti: la Corea del Nord, guidata da un governo comunista e la Corea del Sud alleata degli americani. Nel 1950 la Corea del Nord aggredì quella del Sud. La guerra terminò nel 1953, con la riaffermazione del confine delle due Coree.
    Ma la crisi più grave fu senz’altro quella che si svolse a poche migliaia della costa degli USA: a Cuba. Fidel Castro, uomo politico cubano (presso Santiago di Cuba 1926). Figlio di un facoltoso piantatore, si dedicò agli studi giuridici e conseguì la laurea all’università dell’Avana. Divenuto avvocato, partecipò a vari moti insurrezionali contro il dittatore dominicano Trujillo e contro il governo Batista. Il 26 luglio 1953 con alcuni compagni diede l’assalto alla caserma Moncada di Santiago, ma fu catturato e dovette esulare. Dal Messico, dove si era rifugiato, nel dicembre 1956 con il fratello Raàºl e ottanta seguaci sbarcò clandestinamente sulla costa cubana e nella Sierra Maestra organizzò la guerriglia contro Batista.
    I continui colpi di mano dei guerriglieri castristi (chiamati barbudos) e l’abile propaganda costrinsero il presidente Batista a fuggire (1° gennaio 1959), mentre Castro diventava padrone effettivo dell’isola. Primo ministro il 15 febbraio 1959, iniziò una serie di riforme destinate a mutare profondamente il paese, come la riforma agraria e la nazionalizzazione dell’industria saccarifera; al tempo stesso il movimento castrista (detto “del 26 luglio”) e il governo che ne era l’espressione assunsero sempre più l’aspetto di una dittatura. Per questo e per i contrasti di carattere commerciale con gli Stati Uniti, le cui proprietà furono radicalmente espropriate da Castro, un’acuta tensione si venne creando con il governo di Washington a partire dal luglio 1960.
    L’accentuata tendenza marxista della politica di Castro (sostenuta dalla frazione estremista di Guevara) portò nell’aprile 1961 a uno sbarco nella baia dei Porci (baia Cochinos) di volontari cubani esuli appoggiati dagli americani, fallito il quale i legami di Cuba con l’URSS si rafforzarono ulteriormente. Negli anni Settanta Castro si legò ulteriormente all’URSS, assecondandone la politica di penetrazione in Africa con il sostegno cubano all’Angola e all’Etiopia. Nel 1995 ha rilanciato la sua immagine internazionale, in sede ONU, al vertice sullo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo e l’anno successivo è stato ricevuto in Vaticano da papa Giovanni Paolo II che nel 1997 sarebbe andato in visita a L’Avana.
    Nel 1953 morì Stalin. Il suo successore, Nick Kruscev, dimostrò subito di voler chiudere l’epoca scura del stalinismo e cercò di migliorare le relazione con il mondo occidentale. L’apertura di questo processo di pur cauta destalinizzazione fu accolto positivamente negli Stati Uniti, dove nel 1960 venne eletto presidente il democratico John Fitzgerald Kennedy. In Polonia i dirigenti di partito legati a Stalin furono sostituiti. Ma in Ungheria che si fece il tentativo più ambizioso. Il capo di governo volle portare l’Ungheria fuori dal Patto di Varsavia, ma fece intervenire l’Armata Rossa e soffocò nel sangue il tentativo riformatore.
    Gli Usa hanno cercato di bloccare l’espansione del comunismo nel sud-est asiatico. Dal 1964 al 1973, particolarmente importante fu l’impegno americano contro il Vietnam del Nord, comunista, e a sostegno del Vietnam del Sud, filo-occidentale. L’intero Vietam cadde così sotto il controllo nordvietnamita.
    Alle origini dei grandi rivolgimenti politici dell’Europa orientale è stata l’elezione, nel 1985, di Mikail Gorbaciov a segretario del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Socùvietica). Infatti spetta a Gorbaciov il merito di aver rinunciato al principio della sovranità limitata sugli stati comunisti dell’Europa orientale, in base alla quale l’Unione Sovietica si sentiva autorizzata a intervenire, anche militarmente, quando si profilava il pericolo che fosse minacciato il potere comunista in uno stato soggetto alla sua influenza. La politica di Gorbaciov ha ridato fiato agli stati satelliti.
    Nel settembre 1989 in Polonia, nacque un governo formato non soltanto dai comunisti. Contemporaneamente i comunisti della Germania Est lasciarono il potere ai riformisti a tra il 9 e il 10 novembre 1989 migliaia di tedeschi abbatterono il muro. Si trattava di un muro che nel 1956 il governo della Germania Est aveva fatto costruire lungo il confine tra i due settori di Berlino per impedire ai suoi cittadini di sfuggire nella Germania dell’Ovest. Dall’apertura delle frontiere alla riunificazione delle due Germanie il percoso è stato breve e rapido il primo luglio 1990 è entrata in vigore l’unificazione economica e monetaria e finalmente, il 3 ottobre, è stata proclamata l’unificazione politica. La strada della riconquistata democrazia non risulta facile per questi popoli. Sottomessi per decenni a un regime autoritario e quindi non abituati alla partecipazione attiva alla vita politica. Così si comprende il ritono al potere, in seguito ad elezioni, degli ex-partiti comunisti. Con la caduta dei regimi comunisti, le nuove autorità hanno deciso di vendere ai privati le aziende agricole e le industrie statali. Ma la privatizzazione delle imprese statali è un operazione difficile, perchè spesso si tratta di aziende poco efficienti o addirittura improduttive. Gorbaciov ha cercato di riformare dall’interno lo Stato, cioè di correggere gradualmente i principali aspetti negativi del sistema comunista. Rendendosi conto degli immensi problemi del suo paese, ha cercato di riformare il sistema comunista, redendo meno rigido il controllo sull’economia e concedendo libertà civili e religiose. Ha dato inizio a una nuova fase della politica internazionale, caratterizzata dalla conclusione definitiva della rivalità militare con gli Stati Uniti e dal progressivo disarmo atomico. Ma nel giro di pochi giorni la prudione agricola e industriale ha subito un gravissimo crollo. Così nell’agosto 1991 i conservatori tentarono un colpo di stato e destituirono Gorbaciov. Il colpo di stato guidato dal radicale Boris Eltsin fallì. Nel dicembre 1991 così i presidenti delle repubbliche sovietiche, ad eccezione di quelle baltiche che si erano proclamate indipendenti, sciolsero l’Unione Sovietica. Il 21 dicembre del 1991 ad Alma Ata, la capitale del Kazakistan, i dirigenti di undici repubbliche (Russia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Armenia, Azerbajdzan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tadzikistan, Kazakistan e Kirghistan) hanno proclamato ufficialemente la fine dell’Unione Sovietica e hanno dato vita alla Confederazione degli Stati Indipendenti (CSI). Con il crollo dell’Unione Sovietica la guerra fredda è veramente finita.

    Libro, Editrice La Scuola- Storia per gli istituti professionali / Libro, Bulgarini- Attraverso i territori / Libro, Edizioni Scolastiche Bruno Mondatori- Il lavoro dell’uomo 2 / CD, Rizzoli Larousse- Enciclopedia multimediale

  • La formazione delle due Cine e annessione del Tibet alla Repubblica Popolare

    Nei porti meridionali della Cina, aperti ai contatti internazionali, si era andata formando una nuova classe sociale, la borghesia. Borghesi, intellettuali e studenti diedero i loro consensi al primo partito organizzato con criteri moderni, il Kuonomintang, fondato nel 1904 e diffuso nelle regioni meridionali, che preconizzava uno stato repubblicano, la nazionalizzazione di alcuni servizi pubblici e fomentò sommosse che portarono alla caduta dell’impero. La repubblica (1911) nata fragile, malvista dalle grandi potenze, si traformò ben presto in una dittatura. Intanto il Tibet conseguì l’indipendenza.
    Fra i dirigenti comunisti emerse ben presto la figura di Mao Zedong che dopo la rottura dei comunisti con il Kuomintang sostene, distaccandosi dall’ottica marxista, che la lotta comunista andava combattuta nelle campagne, i cui spazi immensi offrivano la possibilità di condurre una guerriglia contro i proprietari, i militari e le autorità del Partito Nazionalista. Ove otteneva successo, la terra veniva tolta ai proprietari e divisa tra i contadini. Per trasferirsi a nord l’armata guidata da Mao compì l’epica Lunga Marcia. Centomila uomini e trentacinque donne, calzando sandali di paglia, valicarono montagne dalle nevi eterne, attraversarono a nuoto fiumi impetuosi, guadarono paludi. L’influenza comunista affermarsi anche quale forza contro l’aggressiona giapponese ottene sempre più consensi in tutto il paese. Il 1 ottobre 1949 fu proclamata la Repubblica Popolare Cinese. In politica estera, dopo un periodo di stretti rapporti con l’URSS, la Cina, in seguito alle rivendicazioni di alcuni territori asiatici sotto l’influenza sovietica e a dissensi ideologici, si avvicinò agli USA, che nel 1971 riconobbero ufficialmente il regime comunista.
    Ciò che rimaneva dell’esercito nazionalista si rifugiarono a Formosa, attuale Taiwan, che divenne uno stato a sè (Repubblica Nazionalista Cinese).
    L’attuale Dalai Lama, il cui nome significa Oceano di saggezza (premio Nobel per la pace nel 1989), è il quattordicesimo; ha assunto il controllo dello Stato all’età di sedici anni, due anni prima di quando vorrebbe la tradizione, su richiesta del governo tibetano allarmato dall’occupazione cinese del Tibet orientale. L’Assemblea Nazionale chiede subito al Dalai Lama di rifugiarsi a Yadong per evitare ogni rischio, ma dopo la firma dell’accordo cino-tibetano (1951) torna a Lhasa. Nel 1954, quando i cinesi sono già stabilmente in Tibet, il Dalai Lama si reca in visita a Pechino, dove incontra Mao Tze-tung in alcuni colloqui solo apparentemente cordiali. Infatti già l’anno seguente (1955) i cinesi si annettono il Kham e l’Amdo (Tibet orientale e nord orientale). Le guardie rosse di Mao cercano di introdurre il loro comunismo nelle regioni conquistate, ma i tibetani si ribellano con continue, piccole insurrezioni che culminano con una vera e propria rivolta a Lhasa nel 1959.
    Il 17 marzo il Dalai Lama, travestito da soldato, scappa da Norbulinka con la famiglia e una scorta armata. Inizia così il suo lungo esilio in India. La rivolta provoca migliaia di morti sia tibetani che cinesi. La repressione durissima continua per anni con esecuzioni, carcerazioni e deportazioni in colonie penali. Il governo tibetano viene sciolto, i monasteri sono svuotati e i loro beni confiscati, i monaci mandati a lavorare nei campi. Con un vero e proprio clima di terrore i cinesi governano il Tibet, anche dopo l’inaugurazione ufficiale della “regione autonoma Xizang”, come chiamano da questo momento il Tibet, del 1965. Il Dalai Lama fin dal 1959 costituisce un governo in esilio a Dharamsala, in India, che diventa la voce di denuncia della situazione tibetana davanti al mondo e un importante punto di riferimento per gli esuli tibetani e la loro cultura.

    Libro,Zanichelli- Geografia del turismo nei Paesi extraeuropei / CD, ACTA- Mille anni di storia (Il Novecento n.3)

  • Il secondo dopoguerra

    Dopo la conclusione della guerra contro il comune nemico nazista, le differenze tra i paesi dell’Occidente e l’Unione Sovietica non potevano essere nascoste. Già prima della fine della guerra i tre grandi (Gran Bretagna, Usa, Urss), con la conferenza di Yalta, in Crimea (febbraio 1945) si erano accordati circa dell’Europa postbellica in sfere d’influenza. Terreno principale di scontro fu, in Europa, la Germania. La Germania rimase perciò divisa in dua parti, rispecchiando la situazione militare del 1945: una, la Repubblica federale tedesca, inserita nel blocco occidentale; l’altra, la Repubblica democratica tedesca, in quello sovietico. Secondo Truman, nuovo presidente americano, i partititi comunisti europei non si rafforzavano solo grazie al sostegno dell’Unione Sovietica ma anche a causa della grave situazione. Gli americani quindi dovevano appoggiare i partiti anticomunisti e aiutare l’Europa. A tal fine Truman fece organizzare un grande programma di aiuti per i paesi europei. Questo programma è noto come Piano Marshall, dal nome dell’uomo politico che la preparò. Nel 1949, infatti gli Stati Uniti, la Francia, il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo, il Canada, la Norvegia, la Danimarca, l’Islanda, il Portogallo e l’Italia firmarono il Patto Atlantico. Nel 1997 si aggiungono Polonoia, Ungheria e Repubblica Ceca.
    Con tale patto si organizzarono in un’alleanza militare: la NATO. Nel 1955 così anche i paesi comunisti si unirono in un’alleanza militare: il Patto di Varsavia. Il blocco orientale fu realizzato attraverso lo sovietizzazione dei paesi che erano stati liberati dall’Armata Rossa con l’appoggio politico e militare dei russi i partiti comunisti dei diversi paesi concentrarono progressivamente il potere nelle loro mani, eliminando le opposizioni e dando vita a regimi ispirati al modello sovietico, le cosiddette democrazie popolari. La scelta delle zone d’influenza si impose come quella più semplice per evitare uno scontro totale. Non furono però evitate decine di guerre locali e quello scontro sistematico tra USA e URSS che è stato chiamato guerra fredda.
    ITALIA: Il 18 maggio 1949 l’Assemblea delle Nazioni Unite bocciava nel suo complesso il compromesso Bevin-Sforza per accettarne in verità una sola parte: quella che pianificava il futuro di Cirenaica e Fezzan. Per entrambe le regioni libiche si prevedeva una trusteeship (amministrazione fiduciaria) internazionale con responsabilità alla Gran Bretagna nel caso della Cirenaica, e alla Francia per il Fezzan. L’accordo che il ministro degli esteri italiano era riuscito a strappare al suo corrispettivo inglese in un’atmosfera internazionale fluida sostanzialmente disinteressata alle questioni italiane, prevedeva che Roma recuperasse Tripolitania e Somalia, seppure solo per un’amministrazione fiduciaria, rinunciando però, come visto, alle altre parti della Libia, e all’Eritrea che veniva ceduta e Etiopia e Sudan. Per quanto in gran parte consolatorio, l’accordo venne suonato da Sforza come una vittoria della diplomazia italiana. Quella che veniva giudicata la vittoria londinese di Sforza non potè però concretizzarsi. Di fronte ai membri dell’Assemblea delle Nazioni Unite, infatti, l’accordo anglo-italiano trovò una consistente opposizione che ebbe però la meglio solo grazie al voto negativo espresso all’ultimo momento dal delegato di Haiti. Nelle memorie dei testimoni, la votazione assume un sapore faceto. Il ministro Sforza ricorda: “Tragicomico apparve quello che si seppe negli Stati Uniti e qualche ora dopo in Europa: cioè che il solo voto contrario che fece fallire il progetto presentato dall’Inghilterra e calorosamente appoggiato dalla Francia e dagli USA, fu dato dal rappresentante di Haiti, un tipo di cui le personalità più serie di Haiti ammisero, quasi scusandosi, che quella sera “era ubriaco e comunque non sapeva nulla della Somalia.” Altra versione degli stessi fatti è quella data dall’Ambasciatore Tarchiani: “Quel rappresentante, ottenuto un relativamente lauto compenso per cambiare parere all’ultima ora, bevve un doppio whisky ed entrò nell’aula per votare contro.” La delusione e l’amarezza per la bocciatura all’ONU dell’accordo Bevin-Sforza furono tanto più profonde in quanto alla questione dei possedimenti africani il governo aveva legato il concetto di sopravvivenza del Paese come potenza.

    Libro, Editrice La Scuola- Storia per gli istituti professionali / Internet- Cronologia