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  • Cretesi: i miti

    Miti

    Tutta la cultura minoica si basa sulla mitologia. Vediamone brevemente alcuni.

    EUROPA
    Il termine Europa deriva da una leggenda greca, nella quale era così chiamata la figlia del re Agenore.
    Innamorato di lei, Zeus si trasforma in un toro bianco, Europa salì sulla groppa dell’animale, che velocissimo si lanciò tra i flutti del mare portando con sè la fanciulla fino a Creta. E’ così, che i Greci narrano che Europa, nell’innocenza del suo gioco con Zeus, subì la sua violenza. Questo mito testimonia le radici culturali dei popoli europei, poichè essi impararono dai Greci il gusto del bello,l’ideale dello sport,il principio della democrazia.
    Il mito la descrive come la rappresentazione stessa della gioia e dell’allegria, dell’entusiasmo per le avventure della vita, del coraggio nelle situazioni eccezionali.
    Dalla dea Afrodite ebbe l’annuncio che il suo nome sarebbe stato dato ad una parte del mondo, e così avvenne, i greci cominciarono a dare il nome di Europa ai territori situati oltre Creta.

    MINOSSE E IL MINOTAURO
    Figlio di Zeus e di Europa, fratello di Radamante. Era re di Creta ed abitava nel palazzo di Cnosso. Per la sua saggezza in terra e la sua onestà, alla sua morte, divenne uno dei tre giudici infernali che valutavano le colpe degli estinti.
    Minosse governava sull’isola e dominava con le sue navi tutti i mari circostanti. Di contro Poseidone, infuriato, fece innamorare la sposa di Minosse, Pàsifae, dello splendido toro e da questa unione nacque il Minotauro, un mostro possente, mezzo uomo e mezzo toro che si cibava di carne umana. Minosse chiamò allora un abile architetto, Dedalo e gli ordinò di costruire un palazzo sotterraneo: doveva essere un inestricabile susseguirsi di camere, corridoi, sale, finti ingressi e finte porte, un luogo dove perdersi e da cui fosse impossibile uscire.
    Lì il re avrebbe rinchiuso il Minotauro, suo figlio. Per nutrire il mostro che si cibava di carne umana, Minosse si faceva inviare ogni anno dalla città di Atene, come tributo di sottomissione per aver perso la guerra, “7 fanciulli e 7 fanciulle”.
    Il re di Atene, Egeo, era preoccupato, perché non aveva nessun eroe: aveva un figlio che si chiamava Teseo, però non lo aveva mai visto. Tanti anni prima, poiché desiderava avere un figlio, andò a chiedere la soluzione ad un oracolo di Delfi a quel sapientone del re di Trezene, Pitteo, che ne approfittò, e lo sposò, la notte stessa, alla figlia Etra, ormai zitella.
    La mattina seguente Egeo se ne andò dicendo alla moglie: “Se nascerà un figlio, mandamelo solo quando avrà la forza di spostare il sasso, sotto cui ho messo la mia spada e i miei sandali”.
    Teseo nacque e venne educato dal nonno: quando diventò grande e robusto, riuscì a spostare il masso e partì subito per Atene.
    Quando arrivò ad Atene tutti lo trattavano bene, perché avevano saputo che aveva ucciso molti mostri lungo la strada e il padre lo mandò a Creta a uccidere Minotauro.
    Se l’impresa fosse riuscita, al ritorno la nave su cui viaggiava avrebbe innalzato le vele bianche, altrimenti sarebbero state lasciate le vele nere issate alla partenza, in segno di lutto per le giovani vittime sacrificate.
    Giunto a Creta con le 14 vittime sacrificali, Teseo ottenne l’aiuto della bella Arianna, figlia di Minosse, che si era innamorata dell’eroe ateniese. Arianna introdusse Teseo nel labirinto e per ritrovare la strada da percorrere, legò il capo di un gomitolo di lana all’ingresso del palazzo, svolgendolo poi via via lungo il cammino. Guidato da Arianna, Teseo riuscì a raggiungere il Minotauro, a schivare un attacco, staccargli una delle corna e conficcarla nella fronte come un giavellotto.
    Questo infatti, come rivelato da Dedalo ad Arianna, era il solo modo per uccidere il mostro. I due riuscirono a ritrovare la via d’uscita e tornarono insieme ad Atene.
    Ma sulla via del ritorno dimenticarono di sostituire le vele nere così Egeo, che attendeva il ritorno del figlio dall’alto delle mura, scorgendo quel segno di sventura, disperato, si uccise gettandosi in quel mare che da lui prese il nome.
    Minosse incise notevolmente sulla cultura cretese che si chiamò minoica e popolò diverse zone del Mediterraneo. Tra queste ricordiamo Eraclea Minoa in Sicilia ove si dice che ebbe sepoltura il re, recatosi in quel luogo per catturare Dedalo.

    RADAMANTE
    Figlio di Zeus e di Europa. Era uno, insieme ad Éaco e a Minosse, dei tre giudici che valutavano le anime degli estinti che giungevano nell’Oltretomba e secondo il loro giudizio indirizzavano le anime nella zona dell’Èrebo (mondo dei morti) più adatta a loro. Tutti e tre erano ritenuti i giusti e i saggi per antonomàsia.

    DEDALO E ICARO
    Dedalo, di origine ateniese, era un bravo scultore e architetto. La sua costruzione più ammirata e famosa fu il labirinto di Cnosso costruito per il re Minosse nell’isola di Creta. Il labirinto era un intrico di mura altissime che occupava parecchi acri di terreno. Il disegno era così complicato che nessuno riusciva a trovare la via d’uscita tra i passaggi tortuosi. Fu costruito per il Minotauro, una creatura mostruosa mezzo uomo e mezzo toro che viveva al centro del labirinto e si nutriva di carne umana.
    Arianna sapeva che Teseo era cugino di Dedalo e riuscì non senza fatica a farsi rivelare da quest’ultimo come affrontare il Minotauro ed uscire poi dal labirinto. Così il giorno stabilito per il sacrificio Arianna andò con i giovani all’ingresso del labirinto con un gomitolo di filo di seta che consegnò a Teseo legandone un capo all’architrave della porta.
    Minosse infuriato, intuendo che solo Dedalo poteva aver favorito questa impresa, lo fece rinchiudere nel labirinto con il figlio Icaro. Dedalo, da uomo d’ingegno qual’era, uccise un’aquila usando un arco rudimentale e con penne e cera si costruì delle ali con cui lui ed il figlio lasciarono il palazzo alle prime luci dell’alba. “Non avvicinarti troppo al sole” aveva detto Dedalo al figlio, ma dopo qualche ora questi, rapito dall’ebbrezza del volo e attirato dalla luce dorata salì alto come un’aquila. Il calore del sole fece sciogliere la cera delle ali e Icaro precipitò in mare. Dedalo proseguì tristemente il suo volo e raggiunta Napoli dedicò le sue ali ad Apollo per recarsi poi in Sicilia dove si guadagnò nuova fama erigendo bellissimi templi.

    LABIRINTO
    Il mito del Minotauro e del labirinto cela un messaggio più profondo: chi entra nel labirinto penetra nei segreti della vita e del mondo.

    ATLANTIDE
    Le notizie più complete su Atlantide ci vengono fornite da Platone (Atene 428/27 – 348/47 a.C.) che la descrisse in due dei suoi famosi dialoghi, il Timeo e il Crizia.
    Secondo Platone, Atlantide era un’isola nella quale tutto abbondava e dove la vita era felice. In realtà (sempre seguendo Platone) anche se Atlantide sembrava essere il paradiso terrestre, partecipava a guerre, possedeva una flotta militare immensa e poteva contare su circa 1.200.000 soldati. Tra le altre, Atlantide sostenne una grande guerra contro Atene che riuscì a sconfiggerla, occupando persino la sua capitale. Ma subito dopo ci furono degli enormi cataclismi che sconvolsero il pianeta ed Atlantide sparì tra i flutti…
    “Molte grandi opere pertanto della città vostra (Atene) qui si ammirano, ma a tutte una ne va di sopra per grandezza e per valore; perocché dice lo scritto di una immensa potenza cui la vostra città pose termine, la quale violentemente aveva invaso insieme l’Europa tutta e l’Asia, venendo fuori dal mare atlantico. Infatti allora per quel mare la si poteva passare; che innanzi a quella foce stretta che si chiama, come dite voi, colonne d’Ercole, c’era un isola. E quest’isola era più grande della Libia e dell’Asia insieme. In tempi posteriori per altro, essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte […] tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l’isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve”.
    Così scrive Platone nel Timeo riportando il dialogo che il legislatore ateniese Solone (638 – 558 a.C.) ebbe con i sacerdoti Sais. Egli parla di una grande civiltà che esisteva fuori dal mondo conosciuto fino a quel momento, che aveva come centro il Mar Mediterraneo e l’Asia Minore, che sprofondo’ nel mare in poche ore, per cause non chiare (si parla di cataclismi ma solo in senso vago; secondo i più moderni studiosi questo terremoto può essere stato scatenato da un meteorite).
    Platone ribadisce la storia dei cataclismi che si scatenarono in quel periodo nelle Leggi:
    “…..un tempo vi furono grandi mortalità, causate da inondazioni e da altre generali calamità, dalle quale ben pochi uomini riuscirono a salvarsi. Ed è ovvio pensare che, essendo state le città completamente rase da tale distruzione, gran parte della loro civiltà fu con esse seppellita sotto le acque, ed è occorso lunghissimo tempo per ritrovarne la traccia, e cioè non meno di parecchie migliaia di anni.”
    Lo stesso Platone posiziona la distruzione di Atlantide nel 9500 a.C. circa, e poi ci parla di scontri tra gli abitanti del continente perduto e gli Ateniesi, cosa che non può in alcun modo essere avvenuta (la civiltà greca è di alcuni millenni posteriore).
    Comunque esiste una curiosa coincidenza tra gli scritti di Platone e le leggende successive: infatti si parla di quattro terremoti che portarono alla fine di Altantide ed il quarto cataclisma ebbe luogo nell’anno 9564 a.C., e, dopo essere stata ridotta dagli altri tre ad un’isola, essa fu inghiottita e sparì dalla terra.
    La teoria più recente e più interessante sul probabile sito dell’Atlantide si basa su alcune scoperte archeologiche fatte nell’isola greca di Thera (Santorini).
    Scavi e ricerche hanno rivelato l’esistenza di una grande civiltà, che però fu distrutta da un’enorme eruzione vulcanica nel 1400 a.C.
    Per coincidenza, tutta l’attenzione si è concentrata su un paradosso geografico di Platone, il quale poneva l’Atlantide nell’Atlantico ma nello stesso tempo diceva che essa era governata da Poseidone e da Eracle, entrambi decisamente associati all’Egeo, non all’Atlantico. Ciò ha permesso agli studiosi di pensare che potrebbe esserci stata davvero un’isola egea che scomparve, e quest’isola avrebbe potuto essere Thera.
    Scritti egiziani dell’epoca dell’esplosione di Thera parlano di oscurità prolungata, di inondazioni e di tuoni.
    È stato dimostrato che l’esplosione di Thera superò di gran lunga la malfamata eruzione di Krakatoa del 1883 e quindi potrebbe aver causato il fenomeno descritto dagli egizi.
    La teoria di Thera pone per altro qualche problema. Stando alla descrizione di Platone, l’isola era troppo grande per adattarsi all’Egeo, e anche la datazione dell’Atlantide da parte del filosofo greco (ossia prima del 9000 a.C.) non coincide con i dati di Thera. I sostenitori dell’ipotesi di Thera sostengono che Platone potrebbe aver ricavato i suoi dati da geroglifici egiziani inattendibili. A ulteriore sostegno di questa tesi uno studioso greco sovrappose alle rovine di Thera un disegno basato sulla teoria di Platone dell’Atlantide, e vide che collimavano. Egli disegnò anche un profilo verticale di Thera, basato su carte idrografiche, che confermò uno schema alterno di acqua e terra che Platone attribuiva alla struttura dell’Atlantide.
    E’ possibile che tale cataclisma avesse investito anche Creta, distruggendo la mitica civiltà minoica, lasciando il posto a quella micenea.

  • Greci: le guerre persiane

    Guerre persiane

    500-494: Le colonie ioniche dell’Asia Minore si ribellano all’egemonia dell’impero persiano, capeggiate da Aristagora di Mileto; solo Atene, per i suoi interessi sull’Egeo, le appoggia. I Persiani schiacciano la rivolta, che si conclude con la distruzione di Mileto e la deportazione dei suoi abitanti in Mesopotamia.

    492: I Persiani, comandati da Mardonio, conquistano Tracia e Macedonia e chiedono alle città greche di inviare l’acqua e la terra, in segno di sottomissione. Sparta e Atene rifiutano.

    490 (I guerra persiana): battaglia di Maratona. Un esercito ateniese, guidato dallo stratega Milziade, sconfigge l’esercito persiano, che aveva reputazione di invincibile. I Persiani erano guidati da Dati e Artaferne, e accompagnati dal tiranno spodestato Ippia.

    Il confronto fra Greci e Persiani è qualcosa di più di un confronto militare: si tratta di un vero e proprio scontro culturale, fra comunità di cittadini-soldati che si governano da sé, e un impero autocratico che riconosce solo sudditi, cioè – nell’interpretazione di Eschilo e di Erodoto – fra la libertà e la schiavitù. La libertà, in Grecia, non è percepita come una questione privata, ma sempre essenzialmente come autonomia politica, come autogoverno. Anche la libertà di parola, che “toglie le briglie” alla lingua degli uomini (Eschilo, Persiani) è intesa come strumentale all’autonomia politica.

    Temistocle si rende conto che la vocazione e la potenza di Atene è sul mare, e promuove l’allestimento della flotta (180 triremi entro il 481): le navi sono costruite a spese dello stato e l’armamento è finanziato dai cittadini più ricchi (liturgie). I teti trovano impiego come rematori, e questo dà loro voce in capitolo nella vita politica. La marina è un elemento di democratizzazione.

    481: alleanza militare (simmachia) panellenica, sotto l’egemonia spartana.

    480 (II guerra persiana): l’imperatore persiano Serse, successore di Dario, parte da Sardi con un esercito di 100.000 uomini. La Grecia è invasa, dopo una battaglia navale presso capo Artemisio. Leonida, re di Sparta, sacrificando se stesso e trecento spartani, copre la ritirata delle forze di terra elleniche alle Termopili. Temistocle capisce che sulla terra la partita è persa, e abbandona l’Attica e la Beozia al saccheggio dei Persiani, mettendo la popolazione in salvo sulle isole.

    Settembre 480: battaglia navale di Salamina, vinta dai Greci grazie alla strategia di Temistocle. Le navi persiane, più numerose e più grandi, non riescono a manovrare nel braccio di mare fra Atene e l’isola di Salamina, e hanno la peggio contro le navi elleniche, meno numerose ma più piccole e maneggevoli.

    Primavera 479: l’esercito di terra persiano viene sconfitto a Platea; la flotta persiana viene definitivamente debellata a Micale.
    Per consiglio di Temistocle, Atene comincia la costruzione delle “lunghe mura” che collegano la città al porto del Pireo.
    478: le città ioniche dell’Asia minore sono liberate da una flotta greca guidata dallo spartano Pausania. Gli efori lo richiamano, accusandolo di dispotismo. Atene rimane la sola potenza ellenica interessata all’Egeo e alla Ionia, contro i Persiani.

    477: fondazione della lega di Delo, guidata da Atene e composta da città ioniche, in funzione antipersiana. Nel trentennio successivo prosegue la lotta contro i Persiani. L’egemonia ateniese si rafforza, suscitando una crescente ostilità, spartana: si tratta, anche qui, di uno scontro non solo militare, ma anche politico e culturale, fra democrazia e oligarchia.

    448: pace di Callia. Le città greche dell’Asia minore rimangono nell’impero persiano, che ne garantisce l’autonomia. L’Egeo diventa un mare ateniese. Gli alleati della lega di Delo, orami superflua, vengono trasformati in vassalli di Atene.

    445: pace dei Trent’anni con Sparta. Sparta riconosce l’impero ateniese; Atene l’egemonia spartana sul Peloponneso.
    Ha inizio l’età di Pericle (443-429), che si fa rieleggere stratega di anno in anno, e influenza durevolmente la democrazia ateniese.

    Sparta diventa punto di riferimento per tutte le città che non sopportano l’egemonia imperiale ateniese.

    Guerra del Peloponneso (431- 404)

    Guerra archidamica (431-421): con alterne vicende, gli Spartani prevalgono sulla terra, gli Ateniesi sul mare. Questa fase – cui partecipa Tucidide – si conclude con la pace di Nicia (capo del partito oligarchico ateniese).

    Spedizione ateniese in Sicilia (415-413): prevalendo sul pacifista Nicia, il democratico Alcibiade induce Atene ad aiutare Segesta contro Siracusa e Selinunte, alleate di Sparta. L’esito dell’impresa è disastroso, come possiamo vedere dal resoconto di Tucidide.

    Guerra di Decelea (fortezza occupata dagli Spartani per devastare l’Attica, su consiglio del fuoriuscito Alcibiade; 413-404): declina la potenza ateniese, i Persiani, che erano stati espulsi dalla politica greca, intervengono a finanziare Sparta. Dopo alterne vicende, Atene, sconfitta dallo spartano Lisandro all’Egospotami, capitola. Le “lunghe mura” sono smantellate; si scioglie la lega di Delo. Sparta è egemone, ma il vero vincitore è l’impero persiano.

    Sparta promuove regimi oligarchici sotto il suo controllo. Ad Atene si instaura la Signoria dei cosiddetti Trenta Tiranni, i quali cercano di coinvolgere il massimo numero di cittadini nella responsabilità degli arresti indiscriminati da loro operati. Socrate rifiuta di obbedire ai loro ordini, proprio come si era opposto, in regime democratico, alla condanna a morte per gli strateghi della battaglia delle Arginuse (407), che era stata l’ultima vittoria di Atene nella guerra del Peloponneso.

    403: Trasibulo restaura la democrazia ad Atene.

    399: Socrate, accusato di empietà, viene condannato a morte, probabilmente per purgare la nuova democrazia di una personalità percepita come malsicura. Platone ha riportato il suo discorso di autodifesa, o Apologia.

  • Bergson Henri e lo slancio vitale

    Bergson è universalmente considerato il maggiore filosofo francese della prima metà dal XX secolo. Egli rappresenta il punto conclusivo del movimento spiritualista francese. Caratteristica fondamentale di questa corrente è la critica al positivismo per mettere in luce i tratti dello spirito umano. Il Positivismo si è interessato dello spirito come qualcosa di scientifico da poter analizzare ed è per questo che sono nate le varie scienze umane.
    Ma lo spirito vuole essere libero, non vincolato da regole fisse.
    Lo spirito ha come caratteristica l’asculatazione interiore cioè la riflessione interiore: riguarda il nostro stare con noi stessi. Lo Spiritualismo vuole mettere in luce questa riflessione interiore non soggetta a leggi universali. Esso prende spunto da filosofi quali S. Agostino e Cartesio i quali hanno basato la loro filosofia sulla riflessione interiore.
    Punto fondamentale di questo movimento è la superiorità dell’infinito rispetto al finito.
    Per Bergson essenza della vita, dell’universo e della realtà è lo slancio vitale (cioè l’eros di Platone), un’energia che dà la vita; Leibniz avrebbe parlato di monadi.
    Il mondo però resta mistero: si avverte nei rapporti con questo, uno slancio vitale per cui il dinamismo del mondo non è l’evoluzione tipica del Positivismo ma un evoluzione creatrice. (Evoluzione è un termine tipico di un interpretazione materialista della vita, mentre, evoluzione creatrice sembra quasi l’accostamento di due termini antitetici a cui Bergson da un’interpretazione mistica).
    Per Bergson l’uomo conosce attraverso due facoltà: l’istinto e l’intelletto. Qualsiasi espressione dello slancio vitale come evoluzione creatrice si presenta sempre con due biforcazioni che lui chiama istinto (parte materiale) e intelligenza (parte spirituale).
    L’aspetto dell’intelligenza si presenta per Spinosa come memoria, come ricordo. Bergson si sofferma molto sul ricordo che può essere puro o immagine.
    L’istinto si presenta più come percezione per sottolineare il nostro aspetto legato alla sensibilità. Quest’attività dell’uomo avviene nelle nostra coscienza, dato essenziale dell’uomo, dato fondamentale.
    La coscienza deve essere vista come fluire continuo in cui le immagini, i ricordi, l’istinto, appartengono alla coscienza che lui chiama durata reale (tempo della coscienza).
    Il tempo non esiste di per sé ma come tempo della coscienza, e lo spazio non è che il tempo spazializzato cioè un insieme di istanti messi vicini. Tempo e spazio non sono altro che l’essere della coscienza. S. Agostino diceva che il tempo è la distensione dell’anima. Il tempo non è oggettivo ma assolutamente soggettivo.
    Il momento finale in cui tutti e due gli aspetti si risolvono in un tutt’uno, è il momento dell’intuizione (aspetto del Decadentismo, non consente di conoscere ma rappresenta il tener presente tutta la persona).
    Intuere vuol dire comprendere se stessi immersi nella realtà. Questo si ritrova nelle “Due sorgenti della morale”.
    Bergson ci presenta due tipi di morale: la morale aperta e la morale chiusa.

    * La morale chiusa è quella basata su leggi e norme tradizionali seguite pedessiquamente.
    * La morale aperta è basata sull’evoluzione creatrice; è una morale che si mette in discussione, è critica (rivoluzionaria).

    Alle due morali corrispondono due tipi di religione:

    * La religione chiusa cioè quella del cerimoniale, del rito (la religione riesce ad incantare).
    * La religione aperta cioè quella dei grani mistici, di S, Francesco, di Santa Caterina, di S. Teresa, dei personaggi che sono stati eroi della religione e che hanno avuto una forza evolutiva, rivoluzionaria. I grandi santi rappresentano la morale aperta perché vanno avanti.

  • Einstein Albert

    Albert Einstein nacque il 14 Marzo 1879 a Ulm, in Germania. Suo padre era un operaio specializzato nella costruzione di apparecchiature elettriche. A causa di un fallimento economico suo padre fu costretto a trasferirsi con la famiglia prima a Munich poi a Milano. Non ci restano sufficienti informazioni sulla vita individuale di Einstein risalenti a questo periodo.
    Durante i suoi studi non mostrò particolari attitudini, in quanto non approvava i rigidi metodi dell’istruzione, e fu davvero un pessimo allievo. Però Einstein rimase affascinato dalla matematica e dalle scienze, materie che studiò autonomamente.
    Nel 1896 gli fu revocata la cittadinanza tedesca e nel 1901 divenne cittadino svizzero.
    Nel 1896 ebbe l’opportunità di entrare all’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia a Zurigo. Nonostante avesse un esigua retribuzione, divenne un esaminatore. Nei due anni seguenti si occupò di insegnamenti generali. Dal 1902 egli divenne un esaminatore ufficiale a Berna dove lavorò per sette anni.
    L’anno 1905 fu un grande momento per la scienza; infatti Einstein pubblicò, a soli 26 anni, quattro articoli sul giornale Annalen Der Physik, articoli che avrebbero alterato il corso della scienza del XX Sec. Il primo trattava dei casuali cambiamenti termici nelle molecole, chiamati Browniani, per prima riconosciuti nel 1827 dal botanico inglese Robert Brown. Il secondo articolo trattava la teoria quantistica della luce divulgata da Max Planck nel 1900. In esso Einstein mostra come la luce sia formata da fotoni rifacendosi al fenomeno fotoelettrico scoperto nel 1902. Per questo contributo gli fu conferito nel 1921 il Premio Nobel per la fisica. Il terzo articolo (il più famoso di Einstein) tratta della teoria della relatività: “Zur Electrodynamik bewegter Korper” (“Elettrodinamica dei corpi in movimento”). L’ultimo articolo di quell’anno introdusse l’ormai famosa equivalenza tra la massa e l’energia espressa dall’equazione E=mc2. Grazie a questi lavori Einstein ricevette, nel 1908, delle onorificenze all’università di Berna, che furono seguite da moltissime altre in Europa dopo che si stabilì all’istituto per Studi Avanzati di Princeton, nel 1933.
    Gli ultimi anni di Einstein furono trascorsi cercando una teoria per la forza universale che potesse unire le forze subatomiche con la gravitazione e l’elettromagnetisno, problema che nessuno mai è riuscito a risolvere. Einstein aveva un gran rispetto per le opere della natura, e notò che “La cosa più incomprensibile del mondo è che esso sia comprensibile”. Si considerava più un filosofo che uno scienziato, e in molti modi fu dello stesso stampo dei filosofi greci, come Platone ed Aristotele, cercando di capire la natura mediante la ragione anziché l’esperimento. Il suo successo deve molto al discernimento dei suoi predecessori e alla potenza d’analisi degli strumenti matematici, ma soprattutto ad una grande intuizione, che nessuno ha mai avuto.
    Morì il 18 Aprile del 1955 a Princeton, nel New Jersey, dopo aver ricevuto la cittadinanza statunitense.

    La teoria della relatività ristretta

    Il terzo e più importante studio del 1905, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell’interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l’uno rispetto all’altro.
    La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali: il principio della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro, estendendo il precedente principio di relatività galileiano, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo cui la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale, che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto.

    Critiche alla teoria di Einstein

    La teoria della relatività ristretta non fu immediatamente accolta dalla comunità scientifica. Il punto d’attrito risiedeva nelle convinzioni epistemologiche di Einstein in merito alla natura delle teorie scientifiche e sul rapporto tra esperimento e teoria. Sebbene affermasse che l’unica fonte di conoscenza è l’esperienza, egli era anche convinto che le teorie scientifiche fossero libera creazione dell’uomo e che le premesse sulle quali esse sono fondate non potessero essere derivate in modo logico dalla sperimentazione. Una “buona” teoria, per Einstein, è una teoria nella quale è richiesto un numero minimo di postulati per ogni dimostrazione.

    La teoria della relatività generale

    A partire dal 1907, anno in cui fu pubblicata la memoria contenente la celebre equazione che afferma l’equivalenza fra massa ed energia, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto accelerato l’uno rispetto all’altro. Il primo passo fu l’enunciazione del principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore in moto accelerato verso l’alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione o all’accelerazione costante dell’ascensore. La teoria della relatività generale venne pubblicata nel 1916, nell’opera intitolata I fondamenti della relatività generale. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l’azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale.
    Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, dando conto in modo soddisfacente del moto di precessione del perielio di Mercurio, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole. In base a quest’ultimo fenomeno, si è avuta una conferma sperimentale, realizzata in occasione dell’eclissi solare del 1919, che fu un evento di enorme rilevanza.
    Per il resto della sua vita Einstein si dedicò alla ricerca di un’ulteriore generalizzazione della teoria in una teoria dei campi che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti.
    Tra il 1915 e il 1930 si stava sviluppando la teoria quantistica, che presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-particella, postulato da Einstein fin dal 1905, nonché il principio di indeterminazione di Heisenberg, che fornisce un limite intrinseco alla precisione di un processo di misurazione. Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova teoria e partecipò attivamente al lungo e tuttora aperto dibattito sulla sua completezza. Commentando l’impostazione da un punto di vista strettamente probabilistico della meccanica quantistica, egli affermò che “Dio non gioca a dadi con il mondo”.

    Cittadino del mondo

    Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi, tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita per ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale.
    Durante la prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare la teoria della relatività.
    Con l’avvento al potere di Hitler, Einstein fu costretto a emigrare negli Stati Uniti, dove gli venne offerta una cattedra presso l’Institute for Advanced Study di Princeton, nel New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse assieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l’inizio dei piani per la costruzione dell’arma nucleare.
    Al termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi pacifici.

    Albert Einstein e il pensiero filosofico

    Einstein definì i principi fisici come libere invenzioni del nostro intelletto anziché come a comode formulazioni sintetiche dei rapporti fra fenomeni, come avrebbe supposto un vero seguace di Mach. Benché, però, potesse esserci bisogno dell’intelletto creativo umano per andare oltre i modi di pensiero tradizionali, ciò non significava che secondo Einstein qualsiasi vecchio principio potesse funzionare. Egli pensava, piuttosto, che quando una teoria riusciva a dare una correlazione matematica semplice e una rappresentazione altrettanto semplice nell’esperienza, stava fornendo una copia adeguata della realtà. Senza dubbio non intendeva asserire che la scienza sarebbe riuscita infine a conseguire una descrizione completa e definitiva del mondo. Nella sua filosofia della scienza c’era nondimeno una forte componente “realistica”: egli credeva che una teoria scientifica fosse composta da un insieme di assiomi o principi fondamentali che potevano essere scelti liberamente dall’atto creativo dello scienziato. Da questi assiomi si potevano dedurre matematicamente teoremi, i quali dovevano poi essere verificati sperimentalmente. A differenza di Newton, Einstein non credeva che gli assiomi potessero venire derivati direttamente o logicamente dai dati dell’esperienza, da fenomeni. Essi richiedevano, invece, un atto creativo di costruzione matematica. La connessione con i fenomeni veniva alla fine della catena di deduzioni, quando i teoremi del sistema matematico venivano messi a confronto con l’esperienza. L’intero processo era guidato da un assunto apparentemente a priori, che ci fosse una sorta di “armonia prestabilita” fra pensiero e realtà, quasi come avevano supposto molto tempo prima gli aristotelici.

  • Schopenhauer Arthur: tra irrazionalismo e pessimismo

    Alcuni caratteri del pensiero Hegeliano saranno criticati:

    • L’identità di reale e razionale. Come si spiega dunque il male? Il negativo? Non lascia spazio alla caducità, all’incidente.
    • La mancanza dell’individualità, ciascuno di noi è inserito nell’assoluto razionale.

    Schopenhauer è stato il primo ad esaminare questi aspetti. Egli ebbe contrasti con Hegel accusandolo di avere prostituito la filosofia. Considerava infatti, quella di Hegel, la più vuota chiacchierata che potevano fare delle teste di legno.
    Schopenhauer nasce a Danzica nel 1778, i suoi ideali sono Platone e Kant, la sua filosofia sarà irrazionalismo e pessimismo. Egli ha conosciuto la filosofia orientale, ciò è anche riscontrabile nel suo pensiero.
    La sua opera più grande fu “Il mondo come volontà e rappresentazione”, la tesi di laurea “Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente” cioè la causalità.
    La causa si esprime nell’essere, nel divenire, nel conoscere e nell’agire. Studia la causa e ritorna alla distinzione di fenomeno e noumeno.

    Il noumeno è la volontà, essa è l’unica vera realtà, è cieca, irrazionale e non sa nemmeno lei quello che vuole. Essa si estrinseca prima in un mondo di idee platonico, poi nel nostro mondo (spazio, tempo, causalità) e poi in ciascuno di noi, perché noi vogliamo in ogni momento, è un bisogno muscolare. Abbiamo un pensiero fisso, fino a quando non lo soddisfiamo. Dopo averlo soddisfatto, viviamo nella noia, e cerchiamo un altro bisogno, un altro dolore: la vita è un pendolino dalla noia al dolore.

    Sentirsi vivi per Schopenhauer è sentire la volontà.

    Ma non si può vivere così, dobbiamo tentare di non sentire più la volontà di vivere: potrebbe essere una soluzione il suicidio, ma non è così, perché facciamo ciò che vogliamo, cioè liberarsi dalla vita. Liberarsi significa squarciare il velo di Maya. Maya è la verità: ma noi non possiamo mai vedere la verità nuda, il noumeno.

    Ma Schopenhauer dice che possiamo liberarci dalla volontà di vivere in 4 gradi:

    • L’arte: è un modo per non pensare a noi stessi. In particolare la musica di Wagner. La musica ci fa dimenticare noi stessi.
    • La Compassione: patire insieme, rendersi partecipi ai problemi degli altri.
    • La giustizia: è una compassione legalizzata infatti la legge prevede il rispetto per tutti.
    • Nirvana: equivale alla beatitudine, non avvertire nessun dolore, cioè l’annullamento della volontà, il non sentire. Questo è la noluntas (negativo di voluntas).
  • Hegel: l’idealismo logico

    Hegel nasce a Stoccarda nel 1770 e studia in scuole religiose. Una volta laureato, viene chiamato a Berna a fare il precettore privato. Nelle famiglie ricche dove lavora ha la possibilità di frequentare grandi biblioteche dove si può accingere alla lettura dei classici. Egli studiò molto la cultura greca e soprattutto Platone. Voleva diventare un grande filosofo come Platone e non come il “genio” (Schelling) che solo in sogno conobbe la filosofia. Proprio mentre era a Berna scrisse le sue prime opere di natura religiosa: “La vita di Gesù”, “La positività della religione cristiana”. Le opere di questo periodo non ebbero grande successo anche se oggi sono state riscoperte e studiate.
    Successivamente pubblica: “Differenza fra il sistema filosofico di Fiche e quello di Schelling”, “Fenomenologia dello spirito”.
    Trasferitosi a Norimberga scrive “Scienza della logica” dove, partendo dall’idea prima di essere cerca di raggiungere la realtà determinata e quindi anche la coscienza.
    A Berlino divenne professore universitario facendo, con le sue lezioni, grande successo. Hegel divenne filosofo dello Stato Prussiano, con le “Lezioni Berlinesi”, libro contenente gli appunti delle sue lezioni, raccolti dai suoi alunni, esaltava le doti dello Stato tedesco e lo poneva come guida per gli altri.
    Egli sviluppa il suo pensiero tenendo presente il pensiero greco. Per Hegel il principio di ogni cosa è l’ Assoluto = distinzione di natura e spirito. L’assoluto (unità distinzione) ha un punto finale. “Tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale e reale” tutto ciò che si realizza ha una sua razionalità; ciò vuol dire credere alla provvidenza (ottimismo). Tutto ciò che è razionale si deve realizzare.
    Per Hegel l’assoluto si sviluppa secondo una struttura dialettica. Di dialettica ne hanno parlato i sofisti, ma era di natura bipolare; ne ha parlato Kant, ma rappresentava la pretesa della ragione di dimostrare le sue idee. Per Hegel invece, la dialettica rappresenta il movimento stesso dell’ Assoluto.

    STRUTTURA DELL’ASSOLUTO

    TESI: momento astratto intellettuale, Momento di posizione
    ANTITESI: opposizione, momento negativo della ragione
    SINTESI: momento positivo razionale, Movimento circolare
    L’antitesi si basa sul principio di opposizione che determina il movimento. La sintesi rappresenta il superamento dei limiti posti nella tesi e nell’antitesi.(SINTESI=AUFHBEN tagliare e conservare).

    Esempio:
    TESI: vita
    ANTITESI: morte
    SINTESI: specie (figli) (con i figli si può vivere oltre la morte).

    Quindi la tesi e l’antitesi vengono superati per affrontare un momento nuovo di ottimismo.

    Nelle opere giovanili già si può intuire questo metodo dialettico:
    TESI: momento rappresentato dalla religione greca; c’era armonia con la natura, la religione rispondeva ai bisogni dell’uomo.
    ANTITESI: rappresentata dalla religione ebraica; si rompe l’ equilibrio tra uomo e divinità mostrando l’uomo come schiavo, servo della divinità punitrice. Si ha quindi una scissione (separazione tra uomo e divinità).
    SINTESI: rappresentata dalla religione cristiana; la religione dell’amore. L’amore unisce l’uomo a Dio; come dice Platone: “nell’amore non c’è chi domina e chi è dominato, c’è unità. L’uomo della religione cristiana sa che è unito a Dio attraverso l’amore. Con l’amore si supera qualsiasi scissione (Fedro).

    Quindi l’assoluto rappresenta il momento culminante della filosofia. “La filosofia è come l’uccello di Minerva che vola al tramonto”.
    Minerva: Dea della sapienza
    Tramonto:momento di riflessione; (l’assoluto riflette su se stesso).

    L’idealismo di Hegel è un idealismo logico [sarà accusato di Panlogismo (tutto è razionalità)].

    FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO

    La fenomenologia dello spirito rappresenta la storia romanzata dello spirito che si racconta attraverso la storia. Lo spirito si presenta come:

    COSCIENZA: Spirito
    AUTOCOSCIENZA: Religione
    RAGIONE: Sapere Assoluto

    Lo spirito cerca di presentarsi:

    COSCIENZA:
    * Certezza sensibile
    * Percezione
    * Intelletto

    AUTOCOSCIENZA:
    * Servo – padrone
    * Libertà (Stoicismo, scetticismo, cristianesimo)
    * Coscienza infelice

    RAGIONE:
    * Osservativa (Rinascimento)
    * Attiva (piacere, virtù, cuore)
    * Etica

    La coscienza è il momento in cui inizia tutto. Lo spirito prende coscienza di se (certezza sensibile). Quando capisce la differenza tra uno e molti, si passa alla percezione.
    Con l’intelletto si fa il concetto che permette di cogliere l’universale concreto.
    Concetto reale (concreto) – razionale (universale).
    La coscienza diviene autocoscienza nel rapporto con gli altri. Noi siamo delle coscienze, tra l’una e l’altra si crea un rapporto di “servo – padrone”.
    C’è chi ha paura della morte, dell’incognito. allora non affronta la vita e si affida a qualcun altro. Chi non ha paura sarà sempre padrone nella vita, chi invece ha paura avrà sempre un atteggiamento di servo.
    Il padrone che si serve del servo, non si rende conto però che è lui stesso servo del suo servo poiché ha bisogno di lui. Allora il servo prende coscienza della sua importanza per il padrone, che non potrebbe essere tale senza il suo servo.
    Da questa opposizione scaturisce la libertà spirituale. Il Cristianesimo del Medioevo ha portato la coscienza infelice: durante quel periodo infatti, si diceva ai cristiani di vivere in questo mondo pensando sempre che il vero mondo è quello dell’aldilà. Allora il cristiano nel Medioevo, era scisso, lacerato, perché viveva in questo mondo sapendo che non era il suo mondo.
    Nel Rinascimento ci cogliamo come ragione (universale concreto). Ragione osservativa: l’uomo nel Rinascimento vuole fare scienza. Poi da osservativa diventa attiva (la ragione può agire per piacere, come Faust); o per ragioni di cuore (come Rousseau) o per virtù (come Don Chisciotte). Il momento culminate vede la ragione come etica.

    Percorso speculativo

    * SPIRITO
    La bella vita etica “Antigone”
    La cultura (Illuminismo, Robespierre, Terrore)
    L’anima bella (Romanticismo, Novalis)
    * RELIGIONE
    * SAPERE ASSOLUTO

    La bella vita etica è il mondo greco. Si rifà alla tragedia di Antigone. Lei era una fanciulla che ha disubbidito a Creonte seppellendo il fratello. Si viene a formare un conflitto tra legge umana e legge del cuore. Ciascuno di noi ha simpatia per Antigone, ma se ciascuno di noi la pensasse come lei, non ci sarebbe Stato. Le leggi vanno rispettate anche se non condivise per mantenere il giusto rapporto individuo-stato.
    Da questo conflitto si giunge al poter vivere in società. E’ il caso dell’impero romano. La cultura rappresenta la presenza della legge dello Stato. Ma questo ha comportato il momento del Terrore. Siamo tutti uguali, ma nello stesso tempo nessuno lo era. Il rapporto tra individuo e Stato nell’Illuminismo era di paura.
    E’ un’anima bella che rischia di impazzire o intisichire. E’ individualistica.

    ENCICLOPEDIA DELLE SCIENZE FILOSOFICHE IN COMPENDIO

    ASSOLUTO O IDEA
    * Idea in se o Logica
    Essere (qualità, quantità, misura)
    Essenza [contenuto dell’essere]
    Concetto
    * Idea fuori di se o Natura
    Meccanica
    Fisica (magnetismo, elettricità, chimismo)
    Organica (geologico, vegetale, animale[sensibilità, irritabilità, riproduzione{vita, morte, specie}])
    * Idea in sè e per sé o Spirito
    Soggettivo (antropologia[anima], fenomenologia[coscienza], psicologia[libertà]);
    Oggettivo (Diritto, moralità, eticità [famiglia, società civile, stato]);
    Assoluto (arte[idealità, intuizione, forma]{l’assoluto è intuito}, religione[orientale, personale, cristiana]{l’assoluto è rappresentato}, filosofia{l’assoluto è pensato come concetto}).

    Idea in se o LOGICA
    Per Hegel tutto è logica, tutto è razionalità. “Le mie categorie hanno mani e piedi”; le categorie, forme della logica non sono astratte, ma concrete. Il momento vero è la sintesi, il concetto. Il vero concetto è l’idea, il momento in cui l’idea, partita da essere diviene concetto.

    Idea fuori di sé o NATURA
    Nella filosofia della natura, l’idea si estranea da sé. Essa rappresenta il momento negativo razionale, quello dell’antitesi. E’ un momento importante, necessario ma che Hegel non ritiene interessante poiché qualunque suo spettacolo, anche se stupendo, è inferiore ad ogni azione dell’uomo, anche se malvagia; perché nell’uomo c’è lo spirito libero.
    Non è come Schelling che la studia approfonditamente attraverso la fisica speculativa.
    Hegel dice: “io non credo alla natura come ce l’ha presentata il Romanticismo, (“Deus sive natura” Spinoza). Egli la suddivide in meccanica, fisica ed organica.
    La natura meccanica studia la natura nello spazio e nel tempo (esteriormente).
    La natura fisica analizza le leggi della natura. Le leggi sono quelle di Schelling(elettricità, magnetismo, chimismo).
    La natura organica ci presenta l’organismo geologico (il fossile).
    Hegel studia l’organismo secondo la concezione di Aristotele di funzione vegetativa e sensitiva. L’organismo vegetale ha la funzione vegetativa cioè di crescere, nutrirsi e morire. L’organismo animale ha invece la funzione sensitiva, quindi ha anche la capacità di sentire gli stimoli. L’animale sente; è sensibile; quando sente degli stimoli reagisce ad essi, di qualsiasi natura essi siano, secondo la legge di stimolo e risposta. La riproduzione rappresenta la continuazione della vita (vita, morte, specie).
    La specie è il punto culminante della riproduzione. Con la specie vengono superate le barriere della morte con la vita stessa. Ciò determina la Storia dell’umanità.

    Idea in sé e per sé o SPIRITO
    * Lo spirito soggettivo
    Nell’Antropologia Hegel ci presenta lo spirito soggettivo come anima biologica cioè come funzionalità, come vita (alla maniera di Aristotele). Un’anima primordiale a contatto con l’ambiente (teoria dell’evoluzione).
    Nella Fenomenologia dello spirito, si parla di coscienza (certezza sensibile, percezione, intelletto).
    La Psicologia ci studia dal punto di vista della libertà. La psicologia non viene studiata come scienza; lo diventerà solo nel 1879. Per il momento viene studiata solo come espressione della nostra libertà.
    * Lo spirito oggettivo
    Lo spirito oggettivo riguarda i rapporti che si concretizzano tramite la libertà. La libertà individuale si esplica nelle istituzioni.
    Il primo momento è il contratto; si riferisce alla proprietà che è la prima libertà individuale. Quindi il diritto si presenta come un momento esteriore, come rapporto visibile. Il primo rapporto visibile è il contratto, ciascuno di noi si realizza come possesso, e quindi con tutto ciò che comporta avere il contratto e la conservazione della proprietà privata.
    Se il diritto è l’aspetto esteriore, quello interiore è la moralità. Per Hegel è sempre un aspetto individuale.
    Per superare gli aspetti limitativi l’unico momento vero è la sintesi: individualità in riferimento alla comunità (eticità, organismi etici). La sintesi ci presenta dunque l’eticità, il significato dell’individuo in relazione alla società.
    Gli organismi etici sono:
    La famiglia. Essa è l’unione che nasce con un contratto quando fra due individui c’è sentimento (si nota quindi l’unione tra tesi ed antitesi).
    La famiglia dà l’idea che la moralità individuale è già in rapporto alla moralità del coniuge. Hegel vede questo rapporto come un nucleo chiuso ed armonico al suo interno. Però, questo nucleo chiuso, per necessità si deve rompere, scindere, lacerare (antitesi) quando i figli, diventati grandi, escono dalla famiglia. Quando questi escono rompono l’armonia che c’era all’interno della loro famiglia.
    Hegel esamina questa lacerazione e la chiama società civile.
    Questa indica una comunità di famiglie aperte. Si crea così un rapporto continuo, dinamico tra i vari individui; questa comunità ha bisogno però di una ricongiunzione armonica e questa si raggiunge solo con lo Stato.
    Lo Stato rappresenta il momento della sintesi e lo si può considerare come una grande famiglia. Questo rappresenta la “realtà etica consapevole si sé” di un popolo, ossia la consapevolezza del fine cui va indirizzata la vita comune. In questo senso esso è per Hegel Dio in Terra.
    Lo Stato quindi rappresenta la sintesi, la realizzazione dell’assoluto dal punto di vista storico.
    Lo Stato è vita perché è ragione (“Il Dio che si fa realtà”). La sua vivacità si nota nella guerra. Proprio questa viene vista da Hegel come vento che non permette alle acque di stagnare. “lo capisco che nelle guerre si corrono molti rischi però bisogna affrontarli per permettere agli Stati giovani di affermarsi”.
    La guerra quindi è necessaria e come tale è razionalità. Tramite la guerra si affermano le nazioni. La guerra si serve dell’astuzia della ragione degli uomini per fomentare la battaglia, lo scontro. La ragione quando ha suscitato la guerra si serve anche degli eroi (individui cosmico storici).
    Gli eroi per Hegel sono l’assoluto. L’assoluto si è realizzato in un individuo che ha sentito lo spirito dell’assoluto e lo ha realizzato nella storia e nello spazio. Es: “Cesare distrutto due Repubbliche fantasma e ha realizzato lo spirito nuovo”.
    Una volta che questi eroi compiono il loro compito di mostrare l’assoluto, vengono messi da parte.
    Per Hegel l’unica realtà vera è lo Stato che sviluppa la razionalità. Noi possiamo studiare la storia attraverso la libertà, attraverso la realizzazione della libertà.
    “Negli Stati orientali la libertà è di uno solo, poi negli Stati greco – romani la libertà appartiene a pochi (il Senato, l’aristocrazia), è solo nello Stato tedesco che da Lutero in poi la libertà appartiene a tutti”. Quindi è solo nello Stato tedesco che tutti sono liberi e quindi è lo Stato tedesco che deve essere lo Stato guida di tutti gli altri Stati, perché è l’unico che ha realizzato l’assoluto. (idea PANGERMANICA – la Germania ha il diritto di guidare gli altri popoli).
    Questo fu un discorso pericoloso più dei “discorsi alla nazione tedesca” di Fiche. Mentre questi ultimi furono scritti per necessità, per stimolare i tedeschi contro l’oppressione dello straniero, i discorsi di Hegel sono rivolti allo Stato che viene giustificato attraverso la razionalità.
    Naturalmente questo discorso venne ripreso durante la I guerra mondiale.
    Hegel tratteggia questo grande scenario (storia – realizzazione dell’assoluto). Nella storia nulla è fatto per caso, ma tutto ha un suo fine, uno scopo ben determinato. Tutto è razionale, tutto compie un movimento razionale.
    * Lo spirito assoluto
    Lo spirito fin’ora è stato soggettivo, oggettivo, ed adesso lo si può cogliere nella sua pienezza. Tutte e tre le funzioni dello spirito hanno per oggetto l’assoluto (lo spirito che si coglie in sé e per sé). Questo è il momento in cui si prende coscienza del giorno cioè rappresenta lo svolgimento dell’assoluto.
    L’assoluto può essere intuito nell’arte, rappresentato nella religione e pensato come concetto nella filosofia.
    L’arte è il momento di intuizione soggettiva di chi ha una natura sensibile. Schelling ha visto l’arte come momento di intuizione dell’assoluto, per lui l’arte è il momento culminante (unione indifferenziata di natura e spirito). Per Hegel invece, l’arte è un momento particolare che deve essere superato. L’arte si sviluppa attraverso tre momenti particolari dell’artista: idealità, intuizione, forma.
    In queste tre fasi si può trovare delineata la storia dell’arte. All’inizio della storia, nell’arte è stata predominante la materia (arte simbolica). L’arte orientale poi, si è manifestata nell’architettura dei templi (uso del marmo, della pietra).
    Nell’arte greco – romana, c’è stato invece un equilibrio tra materia e idealità e questa forma di arte si è manifestata nella scultura (armonia tra intuizione dell’artista e forma).
    Infine si giunge all’età moderna, all’età tedesca con l’arte Romantica.
    In questo tipo di arte predomina la soggettività dell’artista, infatti le espressioni d’arte di questo periodo sono la pittura, la musica e la poesia.
    In questo senso, l’arte tedesca è quella superiore a tutte le altre. Nell’arte noi cogliamo in un momento soggettivo l’intuizione dell’assoluto. Hegel, comunque, pur affrontando la distinzione tra bello naturale e bello artistico, ritiene che il soggetto da cui si trae l’ispirazione è sempre superiore.
    Ma l’arte in sé è un momento affidato al soggetto. Ma l’assoluto ha bisogno di avere un momento di oggettività.
    Questo momento lo si ha con la religione. In essa, l’assoluto è colto da tutti tramite la fede che fa avvertire oggettivamente la presenza dell’assoluto. Anche la religione si può studiare attraverso tre momenti: religione orientale; religione personale; religione cristiana.
    La religione orientale, rappresenta il primo momento in cui l’assoluto è visto in un feticcio (in questa religione c’è il culto del Dio Sole, della metempsicosi), al massimo si può avere un certo animalismo (pensare che tutta la natura sia divinizzata).
    Ma questa rappresenta l’infanzia dell’umanità, poi si passa alla religione personale (la divinità è vista come persona). Questa religione, di natura personale è tipico della religione ebraica.
    Ma anche questo momento, non è quello culminate.
    Infatti il momento culminante è dato solo dalla religione cristiana che presenta Dio come trinità: Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo.
    Nemmeno la religione è un momento conclusivo, perché oggettivo. L’assolto è colto nella sua pienezza come natura concettuale (concetto).
    Il concetto è visto come complemento, coglie l’assoluto nella sua essenza. L’assoluto si può cogliere solo nella filosofia (panlogismo).
    Questo momento è il momento finale “E’ come l’uccello di Minerva che vola al tramonto”. C’è solo da riflettere, di prendere coscienza di ciò che è accaduto. Quindi la filosofia è anche storia.
    Attraverso i vari filosofi che hanno criticato le filosofie precedenti e le hanno superate si è potuto avere uno svolgimento nella storia, nella ricerca della filosofia finale.
    In questo svolgimento, l’assoluto cerca se stesso, cerca di farsi capire, di realizzarsi. La filosofia quindi risponde al tempo in cui si realizza e coglie quel momento storico in cui si sviluppa.
    Hegel dice che la sua filosofia è la massima filosofia, e come tale non potrà essere mai superata. Questa sua idea rappresenta il limite della filosofia hegeliana, perché la filosofia procede, come procede lo sviluppo dell’umanità.
    E’importante che la filosofia abbia un rapporto sociale con la storia e che instauri anche un rapporto con la religione.
    Però, pur considerando la filosofia come momento speculativo (sintesi), ritiene che la religione e la filosofia stiano sullo stesso piano.
    Per lui la filosofia non è superiore alla religione perché entrambe hanno lo stesso soggetto, l’assoluto.
    Un gruppo di suoi discepoli riterrà questa affermazione corretta (destra hegeliana), mentre un altro gruppo di studenti dirà che la religione e l’arte, non stanno sullo stesso piano della filosofia perché hanno lo stesso oggetto.

  • Socrate

    Vita e opere

    Socrate nacque ad Atene prima del 469 a.C.,dallo scultore Sofronisco e dalla levatrice Fenarete.
    Ebbe per moglie Santippe, tipo proverbiale di donna isbetica, che si dice abia sposato per provare continuamente la propria pazienza.
    Compì il suo dovere di cittadino, combattendo valorosamente nella guerra del Peloponneso, a Potidea, a Delo, ad Anfipoli.
    Nella sua missione si diceva assistito da un demone (forse la testimonianza della coscienza, che lo avvertiva di quello che doveva evitare.
    Già avanzato negli anni, fu accusato di ateismo e di corruzione dei giovani da Meleto, un oscuro poeta, dal mercante Anito e dal retore Licone; ma a tale accusa non dovettero essere estranei motivi politici, per essere stati suoi discepoli Crizia e Carmide aristocratici, detestati dal partito democratico, da poco ritornato in Atene.
    Comparso in giudizio parlò non da accusato, ma da maestro; ed invitato a proporre un’ammenda pecuniaria di trenta mine (che quattro dei suoi discepoli, tra cui Platone, avrebbero pagata per lui), propose invece di essere nutrito a spese pubbliche nel Pritaneo.
    Fu condannato con scarsa maggioranza a bere la cicuta, e, rinunciando ad ogni tentativo di fuga, morì imperturbato nel 399 a.C.

    Socrate non lasciò alcuno scritto, “la scrittura ha questo di grave, che se la interroghi, tace maestosamente”; ma il suo pensiero ci è noto dalle opere di due discepoli, Platone (Dialoghi) e Senofonte (Memorabili di Socrate).

    Pensiero

    Socrate si pone due problemi principali: il problema della scienza e il problema del bene.

    Problema della scienza.
    Socrate pur partecipando ancora della tendenza soggettivistica dei sofisti, reagisce vigorosamente allo scetticismo sofista, ponendo le condizioni della vera scienza.
    Egli afferma infatti che nel mondo della coscienza umana (cfr. il suo motto: “conosci te stesso”), sotto la varietà delle opinioni particolar, fondate sulle sensazioni mutevoli (“doxa”), esiste una verità necessaria ed universale (“aletheia”), in cui tutti devono credere: tale verità è il concetto (es. concetto di bene, sanità, giustizia, ect), che si fissa mediamente una definizione.
    Socrate perviene al concetto mediante il suo famoso metodo, che prese appunto il nome di “socratico”, e che si compone di due momenti successivi:

    • ironia, che consiste nel fingere di approvare le opinioni dell’interlocutore, per poi dimostrarne a poco per volta, con abili interrogazioni, l’ineguatezza e l’incongruenza.
    • maieutica (o arte della levatrice), che consiste nell’aiutare l’interlocutore, con opportune interrogazioni, a trovare in se stesso la verità.

    Problema del bene
    1. Socrate si occupò soprattutto del problema morale, tanto che fu definito, a ragione, “il fondatore della scienza morale”.
    Egli distingue le cose in due categorie:

    • le cose divine o metafisiche (“ta deimonia”), che sono negate alla coscienza umana: es. Dio, immortalità dell’anima, ect.
    • le cose umane (“ta anthropina”), che è possibile conoscere: es. concetto di bene, sanità giustizia, ect.

    2. Principio fondamentale dell’etica socratica è l’identificazione della scienza con la virtù (intellettualismo etico): non può essere virtuoso se non chi vive secondo scienza o ragione, il vizio è frutto di ignoranza.
    Tale intellettualismo, se da un lato è notevole perchè afferma per la prima volta nella storia del pensiero l’universalità o categoricità dei valori morali, dall’altro non va esente da gravi difficoltà, come quella di trascurare i fattori volitivi dell’azione.

    3. Altro principio dell’etica socratica è l’identificazione della virtù con la felicità (eudemonismo etico).
    Ma Socrate lascia indeterminato il concetto di felicità il cui contenuto può essere vario a seconda degli individui che vi aspirano (piacere, utile, ect.)
    Egli afferma che la felicità consiste nella virtù, e la virtù nella scienza; ma la scienza è a sua volta conoscenza della virtù e della felicità vera, per cui ci troviamo in un circolo chiuso.
    Sarà compito dei discepoli di Socrate, ispirandosi soprattutto alla vita del maestro, dare a questo eudemonismo etico un contenuto più concreto.

    Giudizio su Socrate

    Socrate è di un’enorme importanza nella storia della filosofia: egli è lo scopritore del concetto, fondamento di ogni speculazione filosofica, e bene meritò il titolo di “padre della scienza”.
    Anche tutta la filosofia greca posteriore (Platone, Aristotele, ect.) seguirà le sue orme, e assumerà d’ora innanzi un’impronta idealistica.

  • Platone

    Vita

    Nacque nel demo antico di Collito, nel 427 a.C., da nobile famiglia, che per parte di padre discendeva da Codro, e per parte di madre da Solone.
    Il suo vero nome fu Aristocle; il soprannome di Platone pare gli fosse dato dal maestro di ginnastica per la larghezza delle spalle (“platus”).

    Primo soggiorno ateniese (Socrate).
    Platone ebbe un’educazione accuratissima, e, giovane, si segnalò nella poesia; ma a vent’anni, entrato in relazione con Socrate, bruciò le sue composizioni e si diede tutto alla speculazione filosofica.
    Appartenne alla scuola di Socrate per circa otto anni, cioè fino alla morte del maestro (399).

    Viaggi (Dionigi il Vecchio)
    Dopo la morte del maestro, intraprese lunghi viaggi, a Megara, dove visitò la scuola megarica diretta da Euclide; in Egitto, a Cirene, e specialmente nella Magna Grecia e in Sicilia, ove prese conoscenza con la filosofia pitagorica.
    Fu anche alla corte di Dionigi il Vecchio, tiranno di Siracusa, ove volle partecipare all’attività politica e tentare con l’amico Dione, cognato del tiranno e capo del partito aristocratico, di indurre Dionigi alla fondazione di uno Stato ideale; ma fu da questi consegnato all’ambasciatore spartano come prgioniero di guerra, e solo per intercessione di amici potè sfuggire al pericolo di essere venduto come schiavo, e ritornare in Atene.

    Secondo soggiorno ateniese (Accademia)
    Ad Atene, sulle sponde del Cefiso, fondò una scuola, che dal nome dei giardini di Accademo (eroe attico), dove aveva sede, prese il nome di Accademia (387); e qui raccolse intorno a sè i migliori spiriti del tempo, tra cui lo stesso Aristotele.

    Nuovi viaggi (Dionigi il Giovane)
    Più tardi, essendo successo a Dionigi il Vecchio nel governo di Siracusa il figlio Dionigi il Giovane, accolse nuovamente l’invito di Dione, e si recò per ben due volte in Sicilia con la speranza di poter influire politicamente sull’animo del tiranno; ma corse gravissimo pericolo, e solo per l’intercessione dell’amico Archita di Taranto ebbe salva la vita.

    Terzo soggiorno ateniese
    Tornato ad Atene, dedicò gli ultimi anni all’insegnamento nell’Accademia; e morì a ottant’anni, nel 347, mentre stava correggendo la sua Repubblica

    Opere

    Ci rimangono, sotto il nome di Platone, 34 Dialoghi, l’Apologia di Socrate e 13 Lettere.

    1. Nei Dialoghi appare generalmente come protagonista Socrate; ma in essi l’espressione è piuttosto artistica che sistematica, perchè nessun rigore è nella distinzione dei problemi e nella ricerca metodica.
    Dove poi l’esposizione astratta non è possibileo inopportuna, Platone ricorre ai cosiddetti miti: specie di conoscenza analogica, che gli serve per varcare i limiti dell’esperienza sensibile e dare un’immagine approssimativa di ciò che la trascende (metafisica), come ad es. i miti dell’immortalità dell’anima e della vita d’oltretomba nel Gorgia, nel fedro, nel Fedone, nella Repubblica.

    2. I dialoghi platonici furono distribuiti in trilogie dal grammatico alessandrino Aristofane di Bisanzio (200 circa a.C.), e in tetralogie dal neopitagorico Trasillo (epoca di Tiberio), a seconda della materia trattata; ma oggi si preferisce distribuirli con un criterio storico-cronologico, a seconda della differenza di pensiero e di stile.
    Tuttavia, nonostante il contributo di valenti studiosi, la questione non è ancora definitivamente risolta.
    Riguardo all’autenticità di alcuni dialoghi non sono da ritenersi autentici: Alcibiade II, Ipparco, Anterasti, Teagete, Clitofonte, Minosse, Epinomide, ect.

    Riguardo alla cronologia si possono distribuire in tre gruppi:

    • dialoghi giovanili o socratici, nei quali Platone non sorpassa ancora il punto di vista socratico (concetto). Es. Critone (sul dovere dell’obbedienza alle leggi), Lachete (sul coraggio), Carmide (sulla conoscenza di sè), eutifrone (sulla santità), Liside (sull’amicizia), Ione (sull’ispirazione poetica), Protagora (sulla virtù), Eutidemo (contro l’eristica), Ippia Maggiore (sulla bellezza), Ippia Minore (sulla tesi paradossale che chi pecca volontariamente è meno colpevole di chi pecca involontariamente), Cratilo (sul linguaggio), Menesseno (sulle orazioni politiche).
    • dialoghi sistematici, in cui appare in piena luce la teoria delle Idee. Es. Simposio (sull’amore), Fedro (sulla retorica), Fedone (sull’immortalità dell’anima), Repubblica (sullo Stato ideale)
    • dialoghi della vecchiaia, nei quali Platone sottopone a revisione critica la sua teoria delle idee per renderla più atta a spiegare il mondo della natura e della storia. Es. teeteto (sulla conoscenza), Parmenide (sul rapporto tra l’uno e i molti), Sofista (sul rapporto tra l’essere e il non-essere), Politico (sull’ideale dell’uomo politico), Filebo (sul piacere), Timeo (sulla natura), Leggi (sulla legislazione dello Stato Ideale).

    Pensiero

    Platone si propose nella sua attività imo scopo non solamente filosofic, ma etico, sociale, pragmatico (“filosofia per la vita”): egli reagendo all’individualismo materialisticco, in cui era precipitata la vita greca del suo tempo (demagogismo, ect), mirò ad affermare un idealismo spiritualistico, rappresentato dalla sua teoria delle Idee.

    Teoria delle idee
    1. E’ il fondamento di tutta la filosofia di Platone.
    Platone, proseguendo il pensiero socratico, ammetta un dualismo metafisico: vi sono realtà materiali, contingenti e mutevoli (cfr. divenire di Eraclito); e realtà immateriali, eterne, immutevoli, o Idee (cfr. Essere di Parmenide): le prime sono come una copia delle Idee, e le Idee sono come un modello o archetipo delle cose materiali.
    Le Idee non hanno più solo una realtà logica o mentale, come i concetti di Socrate, ma una realtà ontologica, metafisica: esistono cioè realmente, al di fuori della nostra mente, nel mondo iperuranio: così, ad es., al di fuori di questo o quell’uomo esiste realmente l’Idea universale di Uomo, al di fuori di tutte le cose buone l’Idea universale di Bene, e così via.
    Queste Idee, inoltre, non sono più distribuite confusamente come i concetti di Socrate, ma sono ordinate gerarchicamente per generi e specie, con a capo l’Idea del Bene: idea suprema (forse lo stesso Dio di Platone), dalla quale tutte le Idee ricevono la luce “come l’universo dal sole” (dialettica delle Idee).
    Tale dialettica, o distribuzione gerarchica delle Idee, non è tuttavia ben chiara.
    Platone non fa altro che accennare alle due vie della definizione e della divisione: la definizione che, riducendo la molteplicità ad unità, sottopone la specie al genere; la divisione che, al contrario, scindendo l’unità nella molteplicità ricava a specie dal genere.
    Ma se tali rapporti tra le Idee non presentano alcuna difficoltà quando sono pensieri della nostra mente che li unifica e li distingue, diventano assai oscuri quando vengono proiettati fuori dalla nostra mente, cioè quando non v’è più una mente concreta che li unisce pensandoli insieme.
    A tale difficoltà cercheranno di ovviare Aristotele e S. Agostino, ammetendo l’esistenza delle Idee in una mente oggettiva, e più precisamente nella mente di Dio.

    2. Tra il mondo delle Idee e mondo delle cose vi è – si è detto – dualismo e separazione, ma anche una certa somiglianza.
    Come spiegare questa somiglianza?
    In un primo tempo Platone ricorre ai concetti di mimesi (le cose imitano le Idee), metessi (le cose partecipano in piccola parte all’essenza delle Idee), coinonia (le cose sono in comune con le Idee), ect.
    In un secondo tempo, che coincide con la composizione della Repubblica, egli comprende che le Idee, chiuse rigidamente in se stesse ed escludenti ogni principio di moto, non possono spiegare – come già la dottrina eleatica dell’essere – le cose, il divenire, e perciò, opera in esse una riforma radicale, concependole come causa finale del divenire medesimo: le cose desiderano divenire simili alle Idee, e perciò si muovono finalisticamente verso di esse.
    Nel Timeo si parla perfino di un Demiurgo (= Artefice), specie di divinità intermedia tra le Idee e le cose, che, mirando l’Idea del Bene, plasma ed ordina la materia, ispirando in essa un’Anima del mondo, cioè un principio di vita e di movimento verso le pure Idee.
    Bene, Demiurgo e Anima del mondo formano come una triade, che avrà grandissima importanza nella storia del pensiero: essa informa il neoplatonismo, e da taluni fu anche paragonata alla Trinità cristiana.

    3. Negli ultimi anni Platone, sempre al fine di rimuovere le difficoltà nascenti dal suo dualismo esagerato, andò accentuando il suo pitagorismo, interponendo tra le idee e le cose sensibili, come enti intermedi, i numeri eterni, realtà misteriose che accrescono e non tolgono le difficoltà stesse.

    Filosofia della natura
    1. Platone inaugura con il Timeo un concetto decisamente finalistico della natura: essa non è governata da leggi cieche e meccaniche (cfr. Democrito), ma è dotata di una immanente finalità, che si appunta verso il regno delle pure Idee (cfr. Demiurgo e Anima del mondo).

    2. Ma nella natura vi è n principio oscuro ed amorfo, causa di imperfezione e di male, la materia.
    Essa resiste spesso all’attività del Demiurgo, in modo che le cose riescono un’imitazione perfetta delle Idee: ed ecco perchè, ad un unico modello ideale eterno, corrisponde la molteplicità delle cose.
    Platone chiama la materia Non-essere, Indeterminato, necessità, Caos, Potenza, Selva.

    Teoria della conoscenza
    Platone ammette anche un dualismo gnoseologico: vi sono le rappresentazioni che conoscono ciò che diviene, le cose, e ci danno la conoscenza sensibile o opinione (“doxa”); e i concetti o idee, che conoscono ciò che è l’essenza delle cose, e ci danno la conoscenza razionale o verità (“aletheia”): ma le idee hanno caratteri tali di universalità, per cui non possono derivare dalle sensazioni particolari e contingenti, e quindi sono innate.
    Questo innatismo è poi da Platone connesso al mito orfico-pitagorico della preesistenza e della trasmigrazione delle anime (metempsicosi).
    L’anima umana – afferma Platone nel Fedone e nel Fedro -, prima di entrare nel corpo, ha vissuto nel mondo iperuranio, dove ha contemplato le Idee; quando poi, non sappiamo se per colpa o no, è precipitata nel corpo, ne ha oscurato il ricordo, che nell’atto della percezione, a contatto degli oggetti sensibili, si ridesta, per cui conoscere è ricordare (cfr. Menone, in cui uno schiavo ignorante, opportunamente interrogato da Socrate, riesce a risolvere da sè un difficile teorema di Pitagora).
    di qui l’amore (“eros”), o dialettica dell’anima, per elevarsi dalla conoscenza sensibile all’intuito originario della suprema verità; dialettica che si compone di quattro gradi, sensazione, percezione, ragione, intelletto (cfr. mito della caverna in Rep. VII, 1, 3).
    Più particolarmente la sensazione e la percezione appartengono alla sfera della conoscenza sensibile:

    • sensazione, o conoscenza delle immagini. Es. immagini di una statua;
    • percezione (“doxa”), o conoscenza delle cose sensibili. Es. la statua.

    La ragione e l’intelletto appartengono alla sfera della conoscenza razionale:

    • ragione (“dianoia”), o conoscenza (riflessa) dei rapporti matematici
    • intelletto (“noesis”), o conoscenza (intuitiva) delle Idee, che da luogo alla dialettica o pensiero puro.

    Questa dottrina del conoscere è molto importante, non solo perche sviluppa il procedimento dialettico iniziato da Socrate e prepara l’ulteriore sviluppo di Aristotele, ma anche perchè fissa i tre gradi o forme di conoscere, che saranno d’ora in poi ammesse fino a Spinoza, Kant, ect.: senso (sensazione e percezione), ragione, intelletto.
    Si noti infine come in Platone si possono propriamente distinguere tre significati della parola dialettica strettamente connessi tra di loro:
    – dialettica (oggettiva): distribuzione logica delle idee in generi e specie.
    – dialettica (soggettiva): attività dell’anima in quanto tende alla verità.
    – il grado supremo del conoscere (scienza del puro intelligibile), distinto dai gradi inferiori.

    Psicologia
    Platone è il primo che, a diferenza dei filosofi precedenti, riconosce all’anima una natura spirituale, e quindi immortale (Fedone)
    Egli ammette nell’uomo tre anime separate, che risiedono in diverse parti del corpo:

    1. a) anima razionale (“loghistikon, logos, nous”, ect.) che risiede nel cervello – cfr. nostra ragione;
    2. anima irascibile (“thymos”, o coraggio), che risiede nel petto, e tende a sottomettersi alla ragione e a rintuzzare gli appetiti – cfr. nostro volontà;
    3. anima concupiscibile (“epithymetikon”, o appetito), che risiede nel ventre e tende a ribellarsi alla ragione – cfr. nostro istinto.

    Nel Fedro (XXV-XXVI) l’anima umana è paragonata ad una biga, che un auriga (anima razionale) conduce verso il mondo iperuranio, spingendo innanzi il cavallo docile (anima iracibile) e quello indocile (anima concupiscibile).

    Etica
    1. Platone accogliendo l’intellettualismo etico di Socrate, afferma che sapienza e moralità coincidono, e che il fine non solo della conoscenza ma anche delal moralità, è il Bene universale, cioè il Bene in quanto Idea del mondo iperuranio.

    2. La felicità dell’uomo (“eudomonia”) consiste perciò nel fuggire il mondo sensibile, la “prigione corporea”, e nell’elevarsi con l’amore (“eros”) al mondo delle Idee.

    3. La virtù è il mezzo per raggiungere la felicità.
    Le principali virtù (che più tardi furono dette cardinali) sono quattro, secondo la partizione dell’anima:

    • saggezza (“sophia”), virtù propria dell’anima razionale;
    • fortezza (“andria”), virtù propria dell’anima irascibile;
    • temperanza (“sophrosyne”), virtù propria dell’anima appetitiva;
    • giustizia (“dikaiosyne”), virtù comune e più comprensiva, che non si riferisce all’una o all’altra delle tre parti dell’anima, ma a tutte insieme.

    Essa consistein quell’armonia interiore dell’anima, per cui ogni parte adempie ordinatamente l’ufficio che ad essa è proprio.

    Politica
    1. Ma l’etica individuale si completa nell’etica sociale, l’individuo si completa veramente nello Stato.
    E poichè Platone ebbe a vivere ebbe a vivere in un periodo di profonda decadenza politica (individualismo, materialismo, demagogia, ect.) egli eleva alla massima altezza il concetto dello Stato.

    2. Lo Stato ideale deve essere realizzato in modo da educare il cittadino alla virtù, specie a quell’unica virtù che comprende in sè tutte le altre, cioè la giustizia.
    Esso rappresenta in grande l’anima dell’uomo, e perciò le classi sociali sono tre, secondo le partizioni dell’anima:

    • i filosofi (“razza d’oro”), che corrispondono al’anima razionale e che devono praticare la saggezza. Essi conoscendo che cosa sia la virtù (cfr. intellettualismo etico di Socrate), devono essere i supremi reggitori dello Stato.
    • i guerrieri (“razza d’argento”), che corrispondono all’anima irascibile e devono praticare la fortezza.
    • i lavoratori (“razza di ferro”), che corrispondono all’anima appetitiva e che deovno praticare la temperanza.

    Lo Stato cura l’educazione dei cittadini delle prime due classi: e affinchè costoro non siano turbati, in quanto organo del tutto, da alcun interesse indivisibile, viene ad essi vietata la famiglia e la proprietà (comunismo).
    Platone non si cura dell’ultima classe, che deve soltanto soddisfare i bisogni materiali della comunità, e che deve ubbidire alle classi superiori.

    3. Più tardi, la lunga esperienza della vita e i disinganni dei viaggi in Sicilia dovettero persuadere il vechio filosofo che il suo Stato ideale era piuttosto un’utopia, e nelle Leggi introdusse qualche temperamento, attribuendo tra l’altro il governo non più ai filosofi, ma ai sacerdoti.
    Tuttavia la Repubblica di Platone, per quanto sia stata nella storia fonte di tutte le utopie politiche, ha il merito di aver saputo incarnare la profonda aspirazione dello spirito umano verso la giustizia e la moralità come norme supreme della vita politica: verso uno Stato non più solamente burocratico ed amministrativo, ma essenzialmente etico.
    E’ curioso notare che nel III sec d.C. Plotino cercò di realizzare l’utopia platonica, progettando una città di filosofi che doveva chiamarsi Platonopoli, e per la cui fondazione l’imperatore Gallieno aveva promesso il suo aiuto; ma il progetto andò a vuoto.

    Estetica
    1. L’arte è imitazione (“mimesi”) della natura: e poichè la natura è una imitazione del mondo delle Idee, l’arte si trova ad essere tre gradi lontana dalla suprema realtà.
    Perciò essa è allontanata dallo Stato ideale della Repubblica.
    2. Più tardi, nelle Leggi, il vecchio filosofo si avvide dell’assurdità della sua condanna, e giustificò l’arte come passatempo o riposo dopo la lunga fatica.
    Ma ad una giustificazione integrale del fatto artistico, inteso nei suoi valori di alta idealità spirituale, Platone non giunse mai; ed è questo forse uno degli aspetti più sconcertanti di tutto il suo pensiero.

    Giudizio sulla filosofia di Platone

    La filosofia platonica, per quanto sia dotata di un’enorme importanza nella storia del pensiero di tutti i tempi per la sua vigorosa affermazione idealistica, presenta una difficoltà fondamentale: il suo dualismo esagerato, che non solo distingue ma separa i due mondi della realtà sensibile e della realtà intellegibile, l’unità dalla molteplicità l’essere dal divenire, il divino dall’umano.
    Platone stesso avverte questa difficoltà, e va alla ricerca di un rapporto tra le Idee e le cose (mimesi, metessi, ect.); ma l’incertezza del linguaggio tradisce l’incertezza del pensiero.
    Contro questa difficoltà si rivolgerà la critica di Aristotele.

  • Cartesio

    Vita e opere

    Renato Descartes (latinamente Cartesio) nacque a La Haye (nella Touraine), da nobile famiglia, nel 1596.
    Fu educato in una delle migliori scuole del tempo, il Collegio di La Fleche, tenuto dai gesuiti; ma, fatta eccezione per le materie matematiche, ne uscì con una profonda inclinazione verso lo scetticismo.
    Sfiduciato e scontento, si prpose di non cercar più altra scienza fuori di quella che si può trovare “dentro di noi stessie nel gran libro del mondo”, e, perciò, si arruolò volontario in diversi eserciti durante la guera dei Trent’anni.
    Nell’inverno del 1619, all’età di 24 anni, mentre stava in riposo nei quartieri d’inverno dell’esercito imperiale in Baviera, ebbe come “in un mistico rapimento” l’intuizione del metodo; ne fece immediata applicazione alle matematiche, e, sentendosi ancora impari a un’impresa tanto grande, decise di estenderne più tardi l’applicazione ad ogni scienza i genere e al sapere filosofico in ispecie.
    Intanto, munito di una “morale provvisoria”, intraprese una serie di viaggi per l’Europa (fu anche in Italia per sciogliere un voto al santuario di Loreto); e al ritorno, dopo aver partecipato all’assedio della fortezza ugonotta di La Rochelle, decise di consacrarsi tutto agli studi.
    Nel 1629, a 33 anni, si ritirò in Olanda, dove, lontano dalle distrazioni della società aristocratica francese e dalla sorveglianza del Sant’Uffizio (l’Olanda era terra protestante), poteva più liberamente attendere al proprio pensiero: qui rimase per circa vent’anni attendendo alla compilazione delle sue opere.
    Nel 1649 si recò a Stoccolma, cedendo agli insistenti inviti della regina Cristina di Svezia, desiderosa di ricevere da lui lezioni di filosofia; ma i rigori del clima gli riuscirono fatali.
    Colto da bronchite, un pò per non aver fiducia nella scienza medica del tempo, un pò perchè il medico di corte era tedesco, volle curarsi da se, e nel 1650 morì.
    La sua salma fu qualche anno più tardi trasportata a Parigi.

    Opere – Discorso sul metodo, pubblicato a Leyda nel 1637, come introduzione ad una serie di saggi scientifici; Meditationes de prima philosophia (1641); Principia philosophiae (1644); Les passions de l’ame (1649); una raccolta di Lettere, ect.

    Pensiero

    Cartesio è il padre del razionalismo moderno, come Bacone lo è dell’empirismo.

    Il metodo deduttivo o matematico
    Mentre Bacone, per risolvere il problema del metodo, si era fondato sull’esperienza e sul metodo induttivo, Cartesio si fonda sulla ragione e sul metodo deduttivo: deduzione non sillogistica (di cui tanto aveva abusato la scolastica e che gli appariva, come a Bacone, sostanzialemnte infeconda), ma matematica, consistente cioè nel dedurre da un principio per se stesso evidente, non mediante sillogismo, ma mediante il criterio dell’evidenza (o delle idee chiare e distinte), tutte le altre verità.
    Cfr. Discorso del metodo, parte II, in cui è esposto il metodo cartesiano con le sue quattro regole:

    • evidenza: non accettare come vera una cosa se non appare evidentemente come tale, cioè se non presenta le caratteristiche della chiarezza e della distinzione.
    • analisi: dividere ogni difficoltà in tante parti, quanto è possiibile e necessario, per meglio risolverla.
    • sintesi: procedere col pensiero ordinatamente dagli ogetti più semplici e facili a conoscersi a quelli più complessi.
    • riprova: fare rassegne così complete da essere sicuro di non omettere nulla.

    In tal modo Cartesio, identificando il metodo della matematica, che è scienza dell’astratto, col metodo della filosofia, che è anche scienza del concreto (poesia, religione, storia, ect.), diventa iniziatore di quella mentalità razionalista, astrattista ed antistorica, che prevarrà nel diciottesimo secolo in Francia e in Europa (Illuminismo, Rivoluzione) fino al Romanticismo.

    Il dubbio metodico e il “cogito ergo sum”
    Rintracciato il metodo, Cartesio si propone di trovare quel principio, per se stesso evidente, da cui derivare altre verità.
    Egli parte dal dubbio metodico, cioè dal dubbio inteso non come fine a se stesso (dubbio scettico), ma come mezzo per giungere alla verità, e – come tale – mirante ad abbattere una volta per sempre lo scetticismo.
    Bisogna dubitare di tutto: dei sensi (che ingannano), della ragione (che può sbagliare), dell’esistenza della materia (come dimostrato dal sogno, in cui crediamo che quello che vediamo e sentiamo sia reale), e perfino delle stesse verità matematiche: un demone maligno e potentissimo avrebbe potuto circondarci di inganni. (E’ tuttavia da rilevare che Cartesio limita il dubbio al solo dominio speculativo, “poichè per quanto riguarda la vita pratica, se noi volessimo, prima di agire, aver risolto tutti i nostri dubbi, bene spesso lasceremmo pasare l’occasione dell’azione”).
    Ma pur dubitando di tutto, non si può dubitare di pensare, cioè di esistere: cogito, ergo sum.
    E’ questo il famoso principio, di per se stesso evidente, da cui cartesio deduca – sempe mediante il metodo matematico o dell’evidenza – tutte le altre verità.
    In tal modo Cartesio, identificando l’essere col pensare, diventa il precursore di quel soggettivismo gnoseologico, per cui la verità non è più in una realtà (o essere) opposta e presupposta al pensiero, ma nella realtà o essere del pensiero medesimo (identità di essere e di pensare).

    Psicologia, teologia, cosmologia
    Dal principio del cogito, ergo sum, Cartesio deduce, come si è detto, tutte le altre verità:

    a) la psicologia, attorno a cui vengono fatte tre principali affermazioni:

    • l’anima è una realtà insopprimibile, cioè una sostanza.
    • l’anima, in quanto pensiero, non occupa spazio alcuno ed è quindi distinta dal corpo.
    • l’anima è immortale.

    b) la teologia, cioè l’esistenza di Dio, di cui vengono date due principali dimostrazioni:

    • nel mio pensiero vi è l’idea di un essere perfettissimo, il quale, per essere veramente tale, implica l’esistenza, non soltanto possibile, ma necessaria ed eterna. E’ questa una prova analoga a quella di S. Anselmo, e come la prova di S. Anselmo, dotata del medesimo difetto, che consiste nel passare dall’ordine logico all’ordine ontologico, dal pensiero all’essere.
    • nel mio pensiero vi è l’idea di un essere perfettissim, che deve avere una causa adeguata: questa causa non posso essere io, essere imperfetto (tanto è vero che vado soggetto al dubbio), ma un essere perfettissimo, Dio.

    c) la cosmologia, cioè l’esistenza della materia e dei corpi.
    Dio, in quanto essere perfettissimo, non può ingannarci: dunque quel mondo, di cui in principio dubitavamo, esiste realmente, non è mera illusione.
    Riguardo alle cose materiali Cartesio ammette poi la distinzione tra qualità primarie (od oggettive), che noi concepiamo in modo chiaro e distinto (estensione, moto, ect.) e qualità secondarie (o soggettive), che noi concepiamo in modo oscuro e confuso (colori, odori, suoni, ect.), passando dal realismo ingenuo al cosiddetto realismo critico (cfr. Galileo, Lockr, ect.).

    Il duplice dualismo e le sue conseguenze
    1. Cartesio ha fin qui dimostrato l’esistenza, al di là dell’io, di Dio e del mondo; ma ciò lo porta ad affermare un duplice dualismo sul terreno delle sostanze:

    • sostanza infinita (Dio) e sostanza finita (mondo, creature).

    Sostanza infinita e sostanza finita, o, che è lo stesso, Dio e il mondo, sono due sostanze nel senso tradizionale della parola (res quae ita exsistit, ut nulla alia re indigeat ad exsistendum), ma mentre la prima è dotata di un’autosufficienza assoluta, la seconda è dotata di un’autosufficienza relativa, poichè per esistere ha bisogno del soccorso di Dio.

    • res cogitans (spirito) e res extensa (materia).

    Res cogitans (in quanto attributo essenziale dello spirito è il pensiero) e res extensa (in quanto attributo essenziale della materia è l’estensione) sono due sostanze irriducibili, due mondi separati, chiusi e impenetrabili l’uno all’altro.
    Essi si trovano tuttavia uniti nell’uomo, che è a un tempo anima e corpo: unione che ha luogo attraverso la cosiddetta glandola pineale, l’unico elemento spaiato del cervello, in cui lo spirito prenderebbe contatto col corpo.

    2. Il dualismo tra res cogitans e res extensa porta a sua volta a due notevoli conseguenze:

    • in gnoseologia all’innatismo (cfr. Platone).

    Se la res cogitans è separata dalla res extensa, le idee non possono derivare dall’esperienza sensibili, ma sono innate.
    Più propriamente si possono distinguere tre categorie di idee:
    idee innate, che troviamo in no;
    idee facticiae, che produciamo con la nostra attività mentale;
    idee adventiciae, che nè troviamo nè produciamo, e che quindi devono derivare dai sensi.

    • in cosmologia al meccanicismo.

    Se la res cogitans è pensiero e attività, la res extensa è estensione ed inerzia, cioè sottoposta alle leggi meccaniche del movimento.
    Con le leggi del movimento Cartesio tenta di spiegare non solo i fenomeni fisici, ma anche quelli della vita vegetale e animale: piante ed animali non sono che automi più o meno complicati; e l’uomo stesso è una macchina, che – a differenza degli altri animali – è solo dotata di anima razionale.
    Risale anche a Cartesio una spiegazione meccanica dell’origine dell’universo, che precorre le ipotesi evoluzionistiche di Kant e di Laplace.

  • Aristotele

    Vita e opere

    Nacque a Stagira (Tracia) nel 384 a.C. Da Nicomaco, medico di Aminta, re di Macedonia.

    Primo soggiorno ateniese (Platone) – A 18 anni andò ad Atene, ove entrò in relazione con Platone, alla cui scuola appartenne per circa venti anni, cioè fino alla morte del vecchio maestro (347 a.C.).

    Alla corte di Macedonia – Nel 343 fu chiamato da Filippo, re di macedonia, alla sua corte, come precettore del figlio Alessandro: e grande fu l’influenza esercitata da Aristotele sul futuro conquistatore di imperi; grandissimi gli aiuti che Aristotele si ebbe per i suoi studi e per la creazione di una ricca bibblioteca che egli, primo fra i Greci, potè radunare.
    La sua amichevole relazione con Alessandro fu troncata quando Callistene, nipote di Aristotele e fautore del partito greco, cadde in disgrazia dell’imperatore.

    Secondo soggiorno ateniese – Tornato ad Atene verso il 335, fondò una scuola presso il ginnasio, detta il Liceo (per la vicinanza del tempio di Apollo Licio); e poichè insegnava passegiando nei giardini, che colà servivano al pubblico passeggio, la scuola prese il nome di paripatetica.
    Essa coincide coi dodici anni (335-323), nei quali il grande Alessandro espandeva per il mondo con la forza della spada la civiltà e la cultura ellenica.

    Esilio di Calcide
    – Morto Alessandro, Aristotele, come tanti altri ateniesi che erano stati ligi al Macedone, fu preso di mira, e un certo Demofilo portò contro di lui la solità accusa di empietà. Ma il filosofo disse di non voler dare occasione agli ateniesi di rendersi un’altra volta colpevoli verso la filosofia, e, prevenendo il bando, si recò in volontario esilio a Calcide, nell’Eubea.
    Qui morì l’anno dopo, nell’estate del 322, di una malattia di stomaco, lasciando al discepolo Teofrasto la direzione della scuola e la ricchissima bibblioteca.

    Opere – Le opere di Aristotele vertono su un’infinità di argomenti, ma delle 146 opere a lui attribuite, solo 47, più o meno complete, sono giunte sino a noi.
    Importante per la storia dell’aristotelismo la storia di questi libri.
    Secondo un raconto di Strabone, ripetuto da Plutarco, i libri di Aristotele, dopo la morte di Teofrasto, passarono a Neleo da Scepsi, i cui eredi li tennero nascosti per circa un secolo in un sotterraneo.
    All’inizio del I sec. a.C. essi sarebbero stati scoperti da Apellicone di Teio, e portati ad Atene; e di qui, per ordine di Silla (86 a.C.), a Roma, ove trovarono un riordinatore in Andronico di Rodi.
    Secondo tale racconto, dunque, i paripatetici posteriori a Teocrasto avrebbero ignorato i libri di Aristotele; e quindi quelli che si servirono di essi dopo un secolo e più, così come furono trovati, guasti dall’umidità, non potevano neppure essere certi se l’ordinamento di Andronico corrispondesse al pensiero originale dell’autore.
    Ciò spiega il sorgere della questione aristotelica presso i moderni allo scopo di assecondare la genuinità dei libri aristotelici e di vagliare la verità del racconto di Strabone.
    Zeller, dopo erudite ricerche, giunse alla conclusione che è verosimile tutta la parte del racconto che si riferisce al destino dei libri ereditati da Neleo; ma che è inverosimile che questi libri fossero i soli esemplari esistenti delle opere aristoteliche, dal momento che essi si trovano citati nel tempo che corre tra il sotterramento fatto dagli eredi di Neleo e il disseppellimento per opera di Apellicone.
    Le opere di Aristotele erano divise in essoteriche, o destinate l pubblico; e in esoteriche o acroamatiche, destinate ai propri discepoli.
    Le prime appartengono in genere alla prima dimora in Atene, quando Aristotele era discepolo di Platone, e sono molto affini alle opere del maestro (forma dialogica, ect.); ma nessuna di esse è pervenuta sino a noi (fatta eccezione di qualche frammento dell’Eudemo, intitolato a nome di un amico e in cui si propugnava pure l’immortalità dell’anima).
    Le seconde, di gran lunga più importanti, si possono raccogliere in cinque gruppi: logica, metafisica, fisica, etica, retorica.

    Opere di logica
    Furono raccolte sotto il nome di Organon (titolo che non appartiene ad Aristotele, ma ai più tardi commentatori Bizantini), poichè per il loro carattere, si possono considerare come strumento della ricerca scientifica e introduzione a tutto il sistema.
    L’Organonsi compone di conque parti:

    • Categorie, sui concetti universali. Appartengono nella parte fondamentale ad Aristotele, ma furono accresciute, da mano posteriore, dei cosiddetti Postpredicamenti.
    • Interpretazione, sul giudizio.
    • Analitici primi (2 libri), sul sillogismo; e Analitici secondi (2 libri), sull’induzione, la definizione e i primi principi.
    • Topici (8 libri), sui sillogismi dialettici e verisimili.
    • Elenchi sofistici, ove sono esposte e confutate le conclusioni capziose usat dai sofisti.

    Opere di metafisica
    Furono anch’esse raccolte sotto il nome di Metafisica, titolo che non appartiene ad Aristotele (il quale soleva chiamarla filosofia prima), ma ad Andronico di Rodi, che nella sua raccolta dispose i libri relativi “dopo le opere fisiche” (“metà tà physikà”).
    La metafisica si compone di 14 libri: essa tratta dei principi supremi del reale, cioè ciò che è primo per natura, e che viene quindi, per noi, dopo le cose naturali.

    Opere di fisica
    Comprendono la maggior parte degli scritti di Aristotele, il quale molto si applicò alle ricerche empiriche e sperimentali, e si può considerare, tra l’altro, il padre della zoologia.
    Le principali opere fisiche sono:

    • Fisica (8 libri), in cui tratta dei principi naturali, del moto, ect.
    • Del Cielo (4 libri)
    • Della generazione e corruzione (degli esseri)
    • Meteorologia (4 libri).
    • Storia degli animali (10 libri), Delle parti degli animali, Della generazione degli animali, grandi trattati di zoologia, che contengono una vasta e ben fondata classificazione, degna di essere paragonata a quella di Linneo (sec. XVIII).
    • Dell’anima (3 libri), la più importante opera di fisica, prima grande trattazione di psicologia.

    Ai libri Dell’anima si rannodano quelle piccole dissertazioni, parte fisiologiche, parte psicologiche, che sono comprese sotto il titolo collettivo di Parva Naturalia, e che trattano del senso, della memoria, del sonno, della lunghezza e brevità della vita, della vita e della morte, ect.
    Alle opere fisiche invece si rannodano, quasi come appendice, trattatelli speciali di argomenti naturali vari, raccolti col titolo di Problemi, ma in gran parte di composizione postaristotelica, poichè Aristotele cita in 7 o 8 i Problemi, ma nessuna citazione si riscontra con quelli che noi abbiamo.

    Opere di etica
    Sono tre, che svolgono i medesimi motivi:

    • Etica Nicomachea (10 libri), il cui titolo deriva da Nicomaco, figlio di Aristotele, che forse la pubblicò. Essa rappresenta la redazione più antica, ed è sicuramente opera genuina di Aristotele.
    • Etica Eudemia (7 libri), che ha tre libri in comune con l’Etica Nicomachea, e fu forse redatta da Eudemo sopra i libri di Aristotele.
    • Magna Moralia (2 libri), che si possono considerare un riassunto delle due etiche precedenti, specialmente di quella di Eudemo, e che è opera di discepoli.

    Opere di politica

    • Politica (8 libri).
    • Costituzioni politiche, grande raccolta di più che cento costituzioni greche e barbare. Ci rimane soltanto la costituzione di Atene, scoperta nel 1890 in un papiro egiziano.
    • Economici, di cui non è forse genuino il secondo libro, attibuito a Teofrasto.

    Opere di retorica

    • Retorica (3 libri)
    • Poetica, largo frammento di una più ampia opera in 2 libri.

    Datazione delle opere
    L’ordine cronologico delle opere di Aristotele non è così essenziale alla comprensione del suo pensiero come nel caso di Platone, perchè pare che Aristotele abbia elaborato il suo pensiero tutto di getto, in modo che le singole parti risultino intimamente collegate.
    Secondo Zeller, primi ad ssere composti furono gli scritti logici, poi i fisici, poi l’Etica e la Politica, che presuppongono la trattazione dell’Anima; infine la Poetica, la Retorica, ed ultima la Metafisica, al quale sarebbe rimasta incompiuta e dedita solo dopo la morte di Aristotele.

    Pensiero

    L’ordine con cui si può distribuire la dottrina aristotelica è il seguente: logica, metafisica, fisica, morale, poetica, retorica.
    La Metafisica è in realtà la parte più importante, poichè senza di essa sarebbe impossibile intendere le altre parti della filosofia aristotelica: ma alla metafisica è indispensabile propedeutica la logica, per cui è bene far da essa aprire la serie delle dottrine di Aristotele.

    Logica
    Aristotele è il sistematore della logica induttiva, già intravista da Socrate e da Platone, e il padre della logica deduttiva, o sillogistica, o ragionamento.
    Aristotele ritiene infatti che il pensare si compie mediante due essenziali processi: quello dell’induzione, che procede dal particolare all’universale; e quello della deduzione, che consiste nel dedurre da un giudizio universale un giudizio particolare (conclusione).

    INDUZIONE o EPAGOGHE’
    1. L’induzione (o epagoghe), di cui Aristotele parla nei Secondi Analitici, consiste nel procedere per via astrattiva dal particolare all’universale (o concetto), cioè nell’astrare dal particolare le note contingenti e individuali e cogliere quelle comuni ed universali.
    In tal modo Aristotele si oppone all’innatismo platonico, e diventa un fervido assertore dell’empirismo: le nostre conoscenze derivano dall’esperienza mediante l’attività di astrazione esercitata su di essa dall’intelletto.

    2. Il concetto coglie l’essenza delle cose, ma è semplicemente significante, in quanto ancor fuori da ogni rapporto di vero e di falso, della vera affermazione e della vera negazione.
    Un nesso di concetti costituisce il giudizio, sia sotto la forma di definizione o giudizio universale (es. l’uomo è mortale); sia sotto quello di proposizione o giudizio del particolare (ed. Socrate è mortale).
    E’ proprio del giudizio l’affermare o il negare, cioè stabilire dei rapporti di vero o di falso: la verità non è infatti che un perfetto accordo tra il nesso dei concetti e il nesso delle cose (cfr. adaequatio rei et intellectus di S. Tommaso).

    3. Tra i concetti ve ne sono alcuni che possiamo considerare come i predicati più universali del reale, forme supreme dell’intelletto: essi sono le categorie, così denominate perchè mediante esse noi “accusiamo” (cioè predichiamo, qualifichiamo) gli oggetti tutti dell’esperienza.
    Le categorie sono dieci: la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, il luogo o spazio, il quando o tempo, il giacere o posizione, l’avere o inerenza, il fare o attività, il patire o passività.
    Le categorie, di cui parla Aristotele, si possono considerare sotto un duplice aspetto: logico o soggettivo; ontologico o oggettivo, metafisico.
    Esse infatti, in quanto predicati universali del reale, corrispondono alle forme universali del reale stesso: sono categorie del pensiero e categorie del reale, dell’essere.

    4. Aristotele studiò a fondo i concetti nei loro rapporti di specie e di genere, e nella loro estensione e comprensione.
    Quanto alla specie e al genere, i concetti si possono disporre secondo una gerarchia che in basso ha l’individuo e in alto le categorie, occupando in tale gerarchia il grado risultante dal genere prossimo e dalla differenza specifica.
    Definire un concetto – dice Aristotele – equivale a indicare del medesimo il genere prossimo e la differenza specifica. Così ad es., nella definizione del concetto uomo, “uomo è un animale ragionevole”, animale indica il genere prossimo, cioè il genere a cui il concetto appartiene; e ragionevole indica la differenza specifica, perchè distingue l’uomo dalle altre specie di animali. Genere è quindi il concetto più generale, in cui è incluso il concetto da definire. Specie è il concetto da definire, incluso nel genere.
    Quato all’estensione e alla comprensione, man mano che si procede dalle specie ai generi, si vanno formando concetti sempre più univrsali per l’estensione, ma sempre più poveri di comprensione, cioè dotati di una minor quantità di note essenziali: estensione e comprensione stanno in ragione inversa.

    LOGICA DEDUTTIVA
    1. La logica deduttiva di cui Aristotele parla specialmente negli Analitici Primi, presuppone la logica induttiva.
    L’induzione infatti, elaborando i concetti ed i giudizi, prepara la premessa al sillogismo o deduzione o ragionamento.

    2. il sillogismo consiste nel dedurre da un giudizio universale un giudizio particolare (conclusione): esso è definito da Aristotele quel discorso “nel quale, stabilite alcune cose (verità), un’altra ne deriva necessariamente, per il fatto che quelle sono tali verità”.
    Il sillogismo si compone di una premessa maggiore (l’uomo è mortale) e di una premessa minore (Socrate è uomo), aventi in comune un termine medio (uomo) e di una conclusione (Socrate è mortale).
    Le figure del sillogismo sono quattro:

    1. sub-prae, in cui il termine medio fa da soggetto (subiectum) nella premessa maggiore, e da predicato (praedicatum) nella minore.
    2. sub-sub, in cui il termine medio fa da soggetto sia nella premessa maggiore che nella minore.
    3. prae-prae, in cui il termine medio fa da predicato sia nella premessa maggiore che nella minore.
    4. prae-sub, in cui il termine medio fa da predicato nella premessa maggiore e da soggetto nella minore.

    3. Il sillogismo nella sua concatenazione e sviluppo è dominato dai cosiddetti assiomi, o principi supremi di ragione, che possono addirittura definirsi leggi del pensiero. Essi sono anapodittici, cioè indimostrabili perchè evidenti di per se stessi.
    Tali principi sono:

    • quello di identità, per cui si afferma che ciò che è, è; e ciò che non è, non è (A è A, Non A è Non A).
    • quello di contraddizione, che Aristotele stesso ha enunciato così: “è impossibile pensare che ad una stessa cosa convenga e non convenga lo stesso carattere (A non è Non A).
    • quello del terzo escluso, per il quale si afferma che fra i contraddittori non vi può essere alcun giudizio intermedio.

    Aristotele dona la massima importanza al principio di contraddizione, che egli dice essere principio anche degli altri tutti, sia per sè, come principio veramente essenziale del pensiero, sia per l’importanza che esso ha contro la concezione eraclitea, che affermava l’essere e insieme il non-essere delle cose nel perenne fluire del reale.

    4. Il sillogismo, di cui sonora si è parlato, è il sillogismo dimostrativo o apodittico, che, partendo da premesse certe e reali, conduce alla scienza.
    Accanto ad esso vi è il sillogismo dialettico (di cui Aristotele parla nei Topici), in cui le premesse sono soltanto verisimili, e che conduce all’opinione: e il sillogismo sofistico (di cui Aristotele parla negli Elenchi Sofistici), in cui le premesse sono semplicemente presunte per verisimili.

    5. Con questo complesso imponente di indagini Aristotele fonda la scienza del pensiero.
    Essa sarà modificata e integrata in questa e in quella parte dagli Stoici a Bacone a Galileo a Leibniz a Kant; con Hegel e coi suoi successori sorgeranno nuovi sviluppi e nuove logiche; ma in sostanza la logica aristotelica restò per circa 24 secoli a sorreggere il nostro pensiero.

    Metafisica
    La metafisica, o “filosofia prima“, è la scienza dell’Essere in quanto tale, cioè prescindendo dalle sue qualità sensibili.

    1. CRITICA DELLA DOTTRINA PLATONICA DELLE IDEE
    Aristotele inizia il proprio sistema con una profonda e serrata critica alla dottrina platonica delle Idee.
    Platone aveva detto che le Idee sono fuori dalle cose, Aristotele oppone a tale trascendenza tre obbiezioni fondamentali:

    • se le idee sono le essenze individuali, in che modo l’essenza può stare fuori di ciò di cui è l’essenza?
    • dato l’individuo sensibile da una parte e l’Idea dall’altra, ci vorrà un tipo, un’idea comune ad entrambi: ne nascerà una terza cosa. Questo argomento è detto del terzo uomo, perchè dalla dottrina platonica si inserisce la necessità di un terzo uomo, che sta sull’uomo individuo e sull’uomo-Idea, comune ad entrambi.
    • esiste l’universale, ma non fuori dell’individuale, bensì dentro di esso. Se avesse un’esistenza separata, sarebbe un duplicato inutile: l’idea fuori dalla cosa non spiega la cosa.

    2. TEORIA DELLA SOSTANZA
    La teoria della sostanza costituisce il centro di tutta la dottrina aristotelica.
    Sostanza è ciò che è, l’individuo. Es. Quest’uomo, questo tavolo.

    • La sostanza è sintesi (“sinolo”) di “materia” e di “forma”: la forma non è che l’Idea di Platone, strappata dal mondo iperuranio; resa da statica, dinamica; e immessa nella materia per organizzarla, per ordinarla. La forma è dunque l’attività organizzatrice della materia. Aristotele distingue la sostanza in sostanza prima , l’individuo; e sostanza seconda, la forma o essenza dell’individuo medesimo.
    • Ma la forma, in quanto organizza la materia, la muove, cioè fa passare dalla “potenza” all’“atto”, o, in altre parole, da uno stato di imperfezione e di indeterminazione a uno stato di sempre maggiore perfezione e determinazione. Es. da statua in potenza del marmo, a statua in atto o attuazione del medesimo. Potenza e atto sono dunque i due termini del moto, del divenire: potenza è la sostanza in quanto può assumere, attraverso il moto, una determinata forma; atto è la sostanza che ha assunto, sempre attraverso il moto, questa determinata forma. Aristotele distingue l’atto dall’entelechia: l’atto è tale in quanto realee concreta attività; l’entelechia è l’atto in quanto stato di perfezione a cui la sostanza aspira: mai la sostanza riesce ad attuare perfettamente la propria forma, eccetto Dio.
    • Ma per passare dalla potenza all’atto occorre uno stimolo, una causa efficiente, la quale operi in vista di un fine, di una causa finale. Lo sviluppo di una sostanza presuppone quindi 4 cause:
    1. materiale;
    2. formale;
    3. efficiente o motrice;
    4. finale.

    Es. nella sostanza statua possiamo distinguere:

    1. causa materiale: marmo;
    2. causa formale: idea della statua;
    3. causa efficiente: scultore;
    4. causa finale: idea della statua, ma in quanto si pone come fine dello scultore.

    Le ultime due cause si risolvono nella causa formale quando si tratta si sostanze naturali (le quali hanno in sè stesse la causa e il fine del moto); ma rimangono distinte quando si tratta di sostanze artificiali (le quali hanno fuori di sè la causa del moto e il fine), come è appunto il caso di una statua di marmo.

    3. TEOLOGIA
    La teoria sopra accennata porta di conseguenza ad ammettere l’esistenza di un Dio: è anzi ad Aristotele che si deve far risalire la prima dimostrazione filosofica dell’esistenza di Dio.
    Infatti il moto delle cose implica l’esistenza di un motore che giustifichi il moto medesimo, cioè il Motore immobile, Dio.
    In quanto motore immobile:

    • Dio non è causa efficiente, creativa del mondo, ma puramente finale, teleologica. Egli, come causa finale del mondo, attrae le cose, che si muovono verso di lui immobile.
    • Dio non può passare dalla potenza all’atto, ma è atto puro, pura forma, puro spirito, o – come si esprime Aristotele – “pensiero dei pensieri”.

    Egli, “come pensiero dei pensieri”, è assolutamente indifferente al mondo, puro pensiero teoretico, pura autocoscienza, privo di volontà e di personalità.

    Fisica
    La Fisica è in Aristotele non meno importante della Metafisica, poichè, a differenza di Platone (che, nonostante il disprezzo per i poeti, era dominato dalla fantasia), egli sapeva unire alla potenza sinteica del filosofo una grande attitudine all’analisi e all’osservazione scientifica.

    1. NATURA
    La natura è l’insieme delle sostanze che hanno in se stesse il principio del proprio moto, a differenza delle sostanze a cui il moto vien da fuori, per cui essa comprende non solo i corpi propriamente detti, ma anche l’uomo e l’anima umana.
    Anche Aristotele, come Platone, possiede un concetto finalistico della natura: questa non è per lui inerte, passiva, meccanica, ma intimamente viva, organica, animata.
    Tuttavia, a differenza di Platone, che aveva personificato questa finalità in un’Anima del mondo, Aristotele parla di una finalità inconscia ed intuitiva (panpsichismo?), e che chiama la noatura demoniaca, ma non divina.
    La natura, sospinta dalla sua immanente finalità, tende a svilupparsi in forme sempre più alte e perfette, determinando una gerarchia finalistica di sostanze, che va da quelle inorganiche a quelle organiche e all’anima umana, e che ha al proprio vertice il motore immobile, Dio.

    2. LA MATERIA
    La materia, come già per Platone, è principio oscuro ed amorfo, causa di imperfezione e di male.
    Essa resiste spesso all’attività e alla forma, ed è perciò causa dei caratteri accidentali delle sostanze.
    La materia, in quanto potenza che tende recarsi in atto, si muove: donde l’importanza che ha il moto nella fisica aristotelica.

    3. RELIGIONE CELESTE E RELIGIONE TERRENA
    L’universo aristotelico si divide in due regioni: regione celeste, dalla luna in su; e regione terrena, o sublunare.
    La regione celeste è perfetta e incorruttibile: sua materia è l’etere, detto anche quintessenza; il suo moto è circolare, cioè perfetto.
    La regione terrena è imperfetta e corruttibile: sua materia sono i quattro elementi tradizionali della filosofia greca, terra, acqua, aria, fuoco; il suo moto è rettilineo, cioè imperfetto.
    Da queste premesse si sviluppa l’astronomia aristotelica, che è un sistema geocentrico delle sfere omocentriche ideato dall’astronomo Eudosso, e che permetteva di collocare esteriormente il principio motore dell’universo, in opposizione ai pitagorici che lo collocavano al centro.
    La Terra, di forma sferica, sta immobile al centro dell’universo, e attorno ad essa si muovono le sfere dei pianeti e quella delle stelle fisse o firmamento: quest’ultimo è mosso da Dio, Motore immobile, e trasmette a sua volta il movimento alle sfere sottostanti.
    Perciò l’universo aristotelico è limitato nella sua forma sferica, cinto dal vuoto infinito; e in esso le posizioni (alto e basso) hanno un significato assoluto.

    4. L’ANIMA
    L’anima, che nela gerarchia degli esseri fisici occupa il posto supremo, si può definire la forma (“entelechia”) di un corpo organico, cioè di un corpo che è come organo o strumento di cui l’anima si serve per recare in atto il suo fine.
    Le piante possiedono solo l’anima vegetativa, che presiede alle funzioni di nutrizione e della riproduzione; gli animali, oltre la vegetativa, possiedono l’anima sensitiva, che presiede al moto e alla sensibilità; l’uomo, oltre alle sopracitate, possiede l’anima razionale.
    Aristotele, a differenza di Platone, non ammette nell’uomo anome separate, ma anime distinte nell’unità di una medesima anima: si tratta di funzioni diversedi una medesima anima.
    L’anima vegetativa presiede – si è detto – alle funzioni della nutrizione e della riproduzione.
    L’anima sensitiva presiede al moto e alla sensibilità; ma i sensi sono passivi, cioè hanno bisogno, per agire, di uno stimolo, di un oggetto sensibile in atto.
    Accanto ai sensi esterni ve ne sono altri interni, come il senso comune (o coscienza sensibile), che unifica in certo modo i sensi esterni; la fantasia, che riceve le immagini; e la memoria, che conserva le immagini, riconoscendo in esse una percezione già avuta.
    L’anima intellettiva presiede alla vera conoscenza, cogliendo le essenze o concetti delle cose.
    Essa si distingue in intelletto passivo (“nous patheticos”) e in intelletto attivo (“nous poieticos”).
    L’intelletto passivo (cosiddetto perchè ha bisogno di uno stimolo per agire) è l’intelletto in quanto può intendere l’universale contenuto nel particolare sensibile; ma, in quanto semplice possibilità d’intendere, non può passare all’atto se non sotto lo stimolo di un oggetto intelligibile in atto.
    L’intelletto attivo (cosidetto perchè non ha bisogno di uno stimolo per agire) è l’intelletto in wuanto rende intellegibile (per astrazione) l’universale contenuto nel particolare sensibile, e, resolo in tal modo intellegibile, lo presenta all’intelletto passivo, che, sotto tale stimolo, passa all’azione.
    Esso è come la luce che agisce sui colori, i quali nell’oscurità esistono soltanto in potenza, facendoli passare dalla potenza all’atto.
    Aristotele considera l’intelletto passivo come parte essenziale dell’anima umana, mentre definisce l’intelletto attivo come “separato” e “di natura divina”: esso proviene dall’alto entrando misteriosamente “per le porte dell’anima”, e ad esso soltanto sembra attribuisca l’immortalità.
    In realtà l’anima, in quanto forma di corpo organico, dovrebbe essere inseparabile dal corpo e, come questo, mortale. Di qui la varietà delle interpretazioni e dei commenti, che si contesero il pensiero aristotelico fino al Rinascimento, specie per quanto riguarda l’intelletto attivo nei suoi rapporti con l’intelletto passivo e col corpo.

    Etica
    1. Aristotele, a differenza di Platone e coerentemente alla critica mossa alla teoria delle Idee, non ammette che il fine delle cose il il Bene universale, che per la sua astrattezza non può essere realmente efficace, ma il bene particolare di ogni singola cosa.
    Tale bene particolare consiste a sua volta nell’attuazione dell’essenza propria della cosa medesima, come il fiore per la pianta, la bellezza per la gioventu, ect.

    2. La felicità dell’uomo (“eudemonia”) consiste perciò nell’attuazione del bene particolare dell’uomo medesimo, che è la ragione, cioè nel vivere secondo ragione.

    3. La virtù si identifica con la felicità, cioè consiste anch’essa nel vivere secondo ragione.
    Aristotele distingue due virtù:

    • virtù etiche, o virtù della parte affettiva dell’anima. Esse perfezionano la parte affettiva dell’anima, sottoponendola alla ragione; e poichè la ragione aspira a portare negli affetti dell’anima la medietà, il giusto mezzo fra gli estremi, la virtù etica consiste, più particolarmente, nel sottoporre gli affetti alla ragione in modo da importare in essi la medietà, il giusto mezzo, ed evitare ogni eccesso. Giusto mezzo, che non è la rigida media aritmetica, “perchè – osserva Aristotele – se, per uno, spendere dieci è troppo e spedere due è poco, ciò non vuol dire che il giusto mezzo sia sei”. Il giusto mezzo è, in altre parole, relativo agli individui: non potendo, ad es., la temperanza (virtù etica) richiedere la stessa quantità di cibo per un gigante e per un bambino. Le virtù etiche si acquistano con l’abitudine, o – in altre parole – con una volontà ben educata: concetto notevole, con cui Aristotele, opponendosi all’intellettualismo etico di Socrate e di Platone, afferma per la prima volta, nella storia del pensiero, che non basta la conoscenza per conseguire la virtù, ma occorre un altro importante elemento: la volontà. Virtù etiche sono, ad es., la fortezza, che è il giusto mezzo tra il timore e la fiducia; la temperanza, che è il giusto mezzo tra i piaceri; la liberalità, che è il giusto mezzo tra l’avarizia e la prodigalità; la giustizia, virtù etica suprema, ordine della società.
    • virtù dianoetiche, o virtù della parte razionale dell’anima. Esse perfezionano la parte razionale dell’anima, rendendola atta a ben conoscere ciò che si deve operare. Anche le virtù dianoetiche si acquistano con l’abitudine. Tali, ad es., la prudenza, intenta a discernere quelli che per l’uomo sono beni morali; e soprattutto la sapienza, virtù dianoetica suprema, perchè attività razionale pura, la più prossima al pensiero divino: essa è contemplazione della suprema verità, vita perfetta, “theoria”. In tal modo l’etica di Aristotele diventa l’espressione più compiuta dell’etica greca, e, con il più alto posto assegnato alla virtù teoretica per eccellenza, fissa il principio (che sarà accolto anche dal pensiero cristiano e sarà direttivo di tutta la filosofia sino all’epoca moderna) intellettualistico, per cui si celebrano nella virtù contemplativa l’essenza e il valore dell’etica umana.

    Politica
    1. Anche per Aristotele, come per Platone l’etica individuale si completa con l’etica sociale: l’individuo isolato non può raggiungere il suo fine perchè non basta a se stesso, e soltanto riunendosi in società può attuare il suo fine, la felicità.

    2. L’uomo è per natura un animale politico, cioè socievole: “fuori dalla società può esistere solo la belva o il Dio”.
    La famiglia è la prima società: essa ha come carattere essenziale la proprietà, di cui fan parte anche gli schiavi, perchè non è bene che gli uomini liberi si avviliscano nei lavori manuali.
    Lo Stato, benchè in ordine di tempo succeda alla famiglia, nel concetto le va innanzi, allo stesso modo che nell’organismo il tutto precede le parti, e il fine i mezzi destinati ad attuarlo: infatti lo Stato rappresenta la condizione di vita e di attività delle parti o individui che lo compongono.
    Il fine dello Stato è identico a quello degli individui: esso mira infatti alla falicità, o – che è lo stesso – al raggiungimento delle virtù etiche e dianoetiche degli individui medesimi.

    3. Le forme di Stato sono tre, come le loro degenerazioni, che si hanno quando chi governa, invece di mirare al vantaggio comune, mira al proprio vantaggio.
    Le forme sono la monarchia, che può degenerare in tirannide; l’aristocrazia, che può degenerare in oligarchia; la politia (moderna democrazia) che può degenerare in democrazia (moderna demagogia).
    Di tali forme è migliore quella che meglio risponde al carattere e ai bisogni del popolo, quantunque in astratto Aristotele preferisca una forma mista.

    4. Lo Stato di Aristotele, per quanto sia in esso evidente l’influenza platonica (Stato etico), è diverso da quello di Platone.
    Platone parte da una premessa idealistica: basta conoscere il bene per metterlo in pratica, e, perciò, basterà conoscere lo Stato politicamente perfetto, per poterlo attuare.
    Aristotele parte da una premessa realistica: non basta conoscere il bene per metterlo in pratica, e, perciò, è meglio costruire sul fondo dell’esperienza.
    Ne consegue che mentre Platone aveva concluso allo Stato ideale della Repubblica, proponendo la comunione delle donne, dei figli e dei beni, e concependo lo Stato come vuota e astratta unità; Aristotele conclude alla famiglia, alla proprietà, ai divrsi tipi di costituzione, concependo lo Stato come un organismo dove l’unità viva è raggiunta per via della molteplicità.

    Estetica
    Per Aristotele, come per Platone, l’arte è imitazione della natura (“mimesi”); ma a differenza di ùplatone, che condannava l’arte perchè imitazione dell’individuale sensibile, e perciò lontana tre gradi dal vero, Aristotele riabilita l’arte, perchè imitazione non dell’individuo quale è, ma come dovrebbe essere; non dell’individuale, ma dell’universale.
    Perciò l’arte differisce dalla storia (che ritrae solo i fatti particolari), in quanto “più filosofica e solenne della storia”.
    Certi generi, come la tragedia e la musica, determinano poi una speciale purificazione degli effetti, che prende il nome di catarsi: teoria oscura, in cui pare adombrato il moderno principio della spiritualità dell’arte.

    Giudizio sulla filosofia di Aristotele

    Aristotele si propone di eliminare il dualismo esagerato di Platone in nome di un maggiore realismo: riconciliazione dell’universale col particolare, dell’essere col divenire, dell’unità con la molteplicità, del divino con l’umano.
    Ma il tentativo, nonostante l’acutezza della polemica contro il Maestro, andò fallito.
    Nella Metafisica egli lasciò il dualismo di materia e di forma: disse che la prima non si può trovare senza l’altra, e poi concluse che la realtà somma (Dio, Motore immobile) era forma scevra di materia, cioè le ridivise di nuovo.
    Del resto, se la materia tende alla forma; perciò stesso è altro dalla forma; per di più resiste alla forma, sino al punto di apparire dominata dall’accidente e dal caso, e perciò è estranea e opposta alla forma medesima.
    Nella Fisica il dualismo di celeste e di terreno, di materia corruttibile o sublunare, e di materia incorruttibile o sopralunare: donde quel dualismo cosmologico, che è quasi il segno visibile del dualismo metafisico insuperato.
    Nella Psicologia lasciò il dualismo di nous passivo e nous attivo: quest’ultimo viene dal di fuori, e, pur trovandosi congiunto con le altre facoltà, non ha intima connessione con esse.
    Nell’Etica lasciò il dualismo di virtù etica e di virtù dianoetica: la virtù veramente umana è ora la prima, che consiste nella vita in comune; ora la seconda, che consiste nella contemplazione solitaria dell’uomo individuo.
    Sarà compito della filosofia posteriore, specialmente degli stoici e degli epicurei, cercar di eliminare tali dualismi, sulla base di un concetto più immanente della realtà.