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  • Pitagora: tra matematica e filosofia

    Si dice che la sua figura fosse non solo quella di un matematico e filosofo, ma anche quella di un sacerdote, mago, sovrannaturale, quasi divino. Nasce e vive a Samo, ma poi è costretto a fuggire perchè c’erano i partiti democratici.

    Fondò una scuola pitagorica, si racconta che in queste scuole si insegnasse matematica, ma non tutti erano ammessi, solo i più bravi, anche le donne potevano accedere. I pitagorici davano l’impressione di essere una setta perchè vestivano tutti uguali.

    Non mangiavano carne perchè erano convinti che l’anima, se non si fosse comportata bene si incarnava per punizione in un altro corpo, anche in animali. Se la persona si fosse comportata bene, andava in Paradiso, dove si contemplavano i numeri, che per loro era una bella cosa. Pitagora è famoso per aver scoperto i numeri e il teorema di pitagora.

    La sua teoria dice che tutto l’Universo è fatto di numeri; i numeri sono dei piccoli nuclei che si mettono insieme e formano le varie cose, ogni elemento si differenzia per la quantità di nuclei che ci sono in esso. I numeri si dividono in pari e dispari. Il numero 1 è parimpari perchè se aggiunto ad un pari lo fa diventare dispari, e se aggiunto ad un dispari lo fa diventare pari.

    I pitagorici ad un certo punto si rendono conto che ci sono anche grandezze incommensurabili (non misurabili) e, scoprendole, le hanno tenute segrete per non far chiudere la scuola, ma quando Ippaso Metaponto lo svelò, la scuola chiuse.

  • Platone

    Vita

    Nacque nel demo antico di Collito, nel 427 a.C., da nobile famiglia, che per parte di padre discendeva da Codro, e per parte di madre da Solone.
    Il suo vero nome fu Aristocle; il soprannome di Platone pare gli fosse dato dal maestro di ginnastica per la larghezza delle spalle (“platus”).

    Primo soggiorno ateniese (Socrate).
    Platone ebbe un’educazione accuratissima, e, giovane, si segnalò nella poesia; ma a vent’anni, entrato in relazione con Socrate, bruciò le sue composizioni e si diede tutto alla speculazione filosofica.
    Appartenne alla scuola di Socrate per circa otto anni, cioè fino alla morte del maestro (399).

    Viaggi (Dionigi il Vecchio)
    Dopo la morte del maestro, intraprese lunghi viaggi, a Megara, dove visitò la scuola megarica diretta da Euclide; in Egitto, a Cirene, e specialmente nella Magna Grecia e in Sicilia, ove prese conoscenza con la filosofia pitagorica.
    Fu anche alla corte di Dionigi il Vecchio, tiranno di Siracusa, ove volle partecipare all’attività politica e tentare con l’amico Dione, cognato del tiranno e capo del partito aristocratico, di indurre Dionigi alla fondazione di uno Stato ideale; ma fu da questi consegnato all’ambasciatore spartano come prgioniero di guerra, e solo per intercessione di amici potè sfuggire al pericolo di essere venduto come schiavo, e ritornare in Atene.

    Secondo soggiorno ateniese (Accademia)
    Ad Atene, sulle sponde del Cefiso, fondò una scuola, che dal nome dei giardini di Accademo (eroe attico), dove aveva sede, prese il nome di Accademia (387); e qui raccolse intorno a sè i migliori spiriti del tempo, tra cui lo stesso Aristotele.

    Nuovi viaggi (Dionigi il Giovane)
    Più tardi, essendo successo a Dionigi il Vecchio nel governo di Siracusa il figlio Dionigi il Giovane, accolse nuovamente l’invito di Dione, e si recò per ben due volte in Sicilia con la speranza di poter influire politicamente sull’animo del tiranno; ma corse gravissimo pericolo, e solo per l’intercessione dell’amico Archita di Taranto ebbe salva la vita.

    Terzo soggiorno ateniese
    Tornato ad Atene, dedicò gli ultimi anni all’insegnamento nell’Accademia; e morì a ottant’anni, nel 347, mentre stava correggendo la sua Repubblica

    Opere

    Ci rimangono, sotto il nome di Platone, 34 Dialoghi, l’Apologia di Socrate e 13 Lettere.

    1. Nei Dialoghi appare generalmente come protagonista Socrate; ma in essi l’espressione è piuttosto artistica che sistematica, perchè nessun rigore è nella distinzione dei problemi e nella ricerca metodica.
    Dove poi l’esposizione astratta non è possibileo inopportuna, Platone ricorre ai cosiddetti miti: specie di conoscenza analogica, che gli serve per varcare i limiti dell’esperienza sensibile e dare un’immagine approssimativa di ciò che la trascende (metafisica), come ad es. i miti dell’immortalità dell’anima e della vita d’oltretomba nel Gorgia, nel fedro, nel Fedone, nella Repubblica.

    2. I dialoghi platonici furono distribuiti in trilogie dal grammatico alessandrino Aristofane di Bisanzio (200 circa a.C.), e in tetralogie dal neopitagorico Trasillo (epoca di Tiberio), a seconda della materia trattata; ma oggi si preferisce distribuirli con un criterio storico-cronologico, a seconda della differenza di pensiero e di stile.
    Tuttavia, nonostante il contributo di valenti studiosi, la questione non è ancora definitivamente risolta.
    Riguardo all’autenticità di alcuni dialoghi non sono da ritenersi autentici: Alcibiade II, Ipparco, Anterasti, Teagete, Clitofonte, Minosse, Epinomide, ect.

    Riguardo alla cronologia si possono distribuire in tre gruppi:

    • dialoghi giovanili o socratici, nei quali Platone non sorpassa ancora il punto di vista socratico (concetto). Es. Critone (sul dovere dell’obbedienza alle leggi), Lachete (sul coraggio), Carmide (sulla conoscenza di sè), eutifrone (sulla santità), Liside (sull’amicizia), Ione (sull’ispirazione poetica), Protagora (sulla virtù), Eutidemo (contro l’eristica), Ippia Maggiore (sulla bellezza), Ippia Minore (sulla tesi paradossale che chi pecca volontariamente è meno colpevole di chi pecca involontariamente), Cratilo (sul linguaggio), Menesseno (sulle orazioni politiche).
    • dialoghi sistematici, in cui appare in piena luce la teoria delle Idee. Es. Simposio (sull’amore), Fedro (sulla retorica), Fedone (sull’immortalità dell’anima), Repubblica (sullo Stato ideale)
    • dialoghi della vecchiaia, nei quali Platone sottopone a revisione critica la sua teoria delle idee per renderla più atta a spiegare il mondo della natura e della storia. Es. teeteto (sulla conoscenza), Parmenide (sul rapporto tra l’uno e i molti), Sofista (sul rapporto tra l’essere e il non-essere), Politico (sull’ideale dell’uomo politico), Filebo (sul piacere), Timeo (sulla natura), Leggi (sulla legislazione dello Stato Ideale).

    Pensiero

    Platone si propose nella sua attività imo scopo non solamente filosofic, ma etico, sociale, pragmatico (“filosofia per la vita”): egli reagendo all’individualismo materialisticco, in cui era precipitata la vita greca del suo tempo (demagogismo, ect), mirò ad affermare un idealismo spiritualistico, rappresentato dalla sua teoria delle Idee.

    Teoria delle idee
    1. E’ il fondamento di tutta la filosofia di Platone.
    Platone, proseguendo il pensiero socratico, ammetta un dualismo metafisico: vi sono realtà materiali, contingenti e mutevoli (cfr. divenire di Eraclito); e realtà immateriali, eterne, immutevoli, o Idee (cfr. Essere di Parmenide): le prime sono come una copia delle Idee, e le Idee sono come un modello o archetipo delle cose materiali.
    Le Idee non hanno più solo una realtà logica o mentale, come i concetti di Socrate, ma una realtà ontologica, metafisica: esistono cioè realmente, al di fuori della nostra mente, nel mondo iperuranio: così, ad es., al di fuori di questo o quell’uomo esiste realmente l’Idea universale di Uomo, al di fuori di tutte le cose buone l’Idea universale di Bene, e così via.
    Queste Idee, inoltre, non sono più distribuite confusamente come i concetti di Socrate, ma sono ordinate gerarchicamente per generi e specie, con a capo l’Idea del Bene: idea suprema (forse lo stesso Dio di Platone), dalla quale tutte le Idee ricevono la luce “come l’universo dal sole” (dialettica delle Idee).
    Tale dialettica, o distribuzione gerarchica delle Idee, non è tuttavia ben chiara.
    Platone non fa altro che accennare alle due vie della definizione e della divisione: la definizione che, riducendo la molteplicità ad unità, sottopone la specie al genere; la divisione che, al contrario, scindendo l’unità nella molteplicità ricava a specie dal genere.
    Ma se tali rapporti tra le Idee non presentano alcuna difficoltà quando sono pensieri della nostra mente che li unifica e li distingue, diventano assai oscuri quando vengono proiettati fuori dalla nostra mente, cioè quando non v’è più una mente concreta che li unisce pensandoli insieme.
    A tale difficoltà cercheranno di ovviare Aristotele e S. Agostino, ammetendo l’esistenza delle Idee in una mente oggettiva, e più precisamente nella mente di Dio.

    2. Tra il mondo delle Idee e mondo delle cose vi è – si è detto – dualismo e separazione, ma anche una certa somiglianza.
    Come spiegare questa somiglianza?
    In un primo tempo Platone ricorre ai concetti di mimesi (le cose imitano le Idee), metessi (le cose partecipano in piccola parte all’essenza delle Idee), coinonia (le cose sono in comune con le Idee), ect.
    In un secondo tempo, che coincide con la composizione della Repubblica, egli comprende che le Idee, chiuse rigidamente in se stesse ed escludenti ogni principio di moto, non possono spiegare – come già la dottrina eleatica dell’essere – le cose, il divenire, e perciò, opera in esse una riforma radicale, concependole come causa finale del divenire medesimo: le cose desiderano divenire simili alle Idee, e perciò si muovono finalisticamente verso di esse.
    Nel Timeo si parla perfino di un Demiurgo (= Artefice), specie di divinità intermedia tra le Idee e le cose, che, mirando l’Idea del Bene, plasma ed ordina la materia, ispirando in essa un’Anima del mondo, cioè un principio di vita e di movimento verso le pure Idee.
    Bene, Demiurgo e Anima del mondo formano come una triade, che avrà grandissima importanza nella storia del pensiero: essa informa il neoplatonismo, e da taluni fu anche paragonata alla Trinità cristiana.

    3. Negli ultimi anni Platone, sempre al fine di rimuovere le difficoltà nascenti dal suo dualismo esagerato, andò accentuando il suo pitagorismo, interponendo tra le idee e le cose sensibili, come enti intermedi, i numeri eterni, realtà misteriose che accrescono e non tolgono le difficoltà stesse.

    Filosofia della natura
    1. Platone inaugura con il Timeo un concetto decisamente finalistico della natura: essa non è governata da leggi cieche e meccaniche (cfr. Democrito), ma è dotata di una immanente finalità, che si appunta verso il regno delle pure Idee (cfr. Demiurgo e Anima del mondo).

    2. Ma nella natura vi è n principio oscuro ed amorfo, causa di imperfezione e di male, la materia.
    Essa resiste spesso all’attività del Demiurgo, in modo che le cose riescono un’imitazione perfetta delle Idee: ed ecco perchè, ad un unico modello ideale eterno, corrisponde la molteplicità delle cose.
    Platone chiama la materia Non-essere, Indeterminato, necessità, Caos, Potenza, Selva.

    Teoria della conoscenza
    Platone ammette anche un dualismo gnoseologico: vi sono le rappresentazioni che conoscono ciò che diviene, le cose, e ci danno la conoscenza sensibile o opinione (“doxa”); e i concetti o idee, che conoscono ciò che è l’essenza delle cose, e ci danno la conoscenza razionale o verità (“aletheia”): ma le idee hanno caratteri tali di universalità, per cui non possono derivare dalle sensazioni particolari e contingenti, e quindi sono innate.
    Questo innatismo è poi da Platone connesso al mito orfico-pitagorico della preesistenza e della trasmigrazione delle anime (metempsicosi).
    L’anima umana – afferma Platone nel Fedone e nel Fedro -, prima di entrare nel corpo, ha vissuto nel mondo iperuranio, dove ha contemplato le Idee; quando poi, non sappiamo se per colpa o no, è precipitata nel corpo, ne ha oscurato il ricordo, che nell’atto della percezione, a contatto degli oggetti sensibili, si ridesta, per cui conoscere è ricordare (cfr. Menone, in cui uno schiavo ignorante, opportunamente interrogato da Socrate, riesce a risolvere da sè un difficile teorema di Pitagora).
    di qui l’amore (“eros”), o dialettica dell’anima, per elevarsi dalla conoscenza sensibile all’intuito originario della suprema verità; dialettica che si compone di quattro gradi, sensazione, percezione, ragione, intelletto (cfr. mito della caverna in Rep. VII, 1, 3).
    Più particolarmente la sensazione e la percezione appartengono alla sfera della conoscenza sensibile:

    • sensazione, o conoscenza delle immagini. Es. immagini di una statua;
    • percezione (“doxa”), o conoscenza delle cose sensibili. Es. la statua.

    La ragione e l’intelletto appartengono alla sfera della conoscenza razionale:

    • ragione (“dianoia”), o conoscenza (riflessa) dei rapporti matematici
    • intelletto (“noesis”), o conoscenza (intuitiva) delle Idee, che da luogo alla dialettica o pensiero puro.

    Questa dottrina del conoscere è molto importante, non solo perche sviluppa il procedimento dialettico iniziato da Socrate e prepara l’ulteriore sviluppo di Aristotele, ma anche perchè fissa i tre gradi o forme di conoscere, che saranno d’ora in poi ammesse fino a Spinoza, Kant, ect.: senso (sensazione e percezione), ragione, intelletto.
    Si noti infine come in Platone si possono propriamente distinguere tre significati della parola dialettica strettamente connessi tra di loro:
    – dialettica (oggettiva): distribuzione logica delle idee in generi e specie.
    – dialettica (soggettiva): attività dell’anima in quanto tende alla verità.
    – il grado supremo del conoscere (scienza del puro intelligibile), distinto dai gradi inferiori.

    Psicologia
    Platone è il primo che, a diferenza dei filosofi precedenti, riconosce all’anima una natura spirituale, e quindi immortale (Fedone)
    Egli ammette nell’uomo tre anime separate, che risiedono in diverse parti del corpo:

    1. a) anima razionale (“loghistikon, logos, nous”, ect.) che risiede nel cervello – cfr. nostra ragione;
    2. anima irascibile (“thymos”, o coraggio), che risiede nel petto, e tende a sottomettersi alla ragione e a rintuzzare gli appetiti – cfr. nostro volontà;
    3. anima concupiscibile (“epithymetikon”, o appetito), che risiede nel ventre e tende a ribellarsi alla ragione – cfr. nostro istinto.

    Nel Fedro (XXV-XXVI) l’anima umana è paragonata ad una biga, che un auriga (anima razionale) conduce verso il mondo iperuranio, spingendo innanzi il cavallo docile (anima iracibile) e quello indocile (anima concupiscibile).

    Etica
    1. Platone accogliendo l’intellettualismo etico di Socrate, afferma che sapienza e moralità coincidono, e che il fine non solo della conoscenza ma anche delal moralità, è il Bene universale, cioè il Bene in quanto Idea del mondo iperuranio.

    2. La felicità dell’uomo (“eudomonia”) consiste perciò nel fuggire il mondo sensibile, la “prigione corporea”, e nell’elevarsi con l’amore (“eros”) al mondo delle Idee.

    3. La virtù è il mezzo per raggiungere la felicità.
    Le principali virtù (che più tardi furono dette cardinali) sono quattro, secondo la partizione dell’anima:

    • saggezza (“sophia”), virtù propria dell’anima razionale;
    • fortezza (“andria”), virtù propria dell’anima irascibile;
    • temperanza (“sophrosyne”), virtù propria dell’anima appetitiva;
    • giustizia (“dikaiosyne”), virtù comune e più comprensiva, che non si riferisce all’una o all’altra delle tre parti dell’anima, ma a tutte insieme.

    Essa consistein quell’armonia interiore dell’anima, per cui ogni parte adempie ordinatamente l’ufficio che ad essa è proprio.

    Politica
    1. Ma l’etica individuale si completa nell’etica sociale, l’individuo si completa veramente nello Stato.
    E poichè Platone ebbe a vivere ebbe a vivere in un periodo di profonda decadenza politica (individualismo, materialismo, demagogia, ect.) egli eleva alla massima altezza il concetto dello Stato.

    2. Lo Stato ideale deve essere realizzato in modo da educare il cittadino alla virtù, specie a quell’unica virtù che comprende in sè tutte le altre, cioè la giustizia.
    Esso rappresenta in grande l’anima dell’uomo, e perciò le classi sociali sono tre, secondo le partizioni dell’anima:

    • i filosofi (“razza d’oro”), che corrispondono al’anima razionale e che devono praticare la saggezza. Essi conoscendo che cosa sia la virtù (cfr. intellettualismo etico di Socrate), devono essere i supremi reggitori dello Stato.
    • i guerrieri (“razza d’argento”), che corrispondono all’anima irascibile e devono praticare la fortezza.
    • i lavoratori (“razza di ferro”), che corrispondono all’anima appetitiva e che deovno praticare la temperanza.

    Lo Stato cura l’educazione dei cittadini delle prime due classi: e affinchè costoro non siano turbati, in quanto organo del tutto, da alcun interesse indivisibile, viene ad essi vietata la famiglia e la proprietà (comunismo).
    Platone non si cura dell’ultima classe, che deve soltanto soddisfare i bisogni materiali della comunità, e che deve ubbidire alle classi superiori.

    3. Più tardi, la lunga esperienza della vita e i disinganni dei viaggi in Sicilia dovettero persuadere il vechio filosofo che il suo Stato ideale era piuttosto un’utopia, e nelle Leggi introdusse qualche temperamento, attribuendo tra l’altro il governo non più ai filosofi, ma ai sacerdoti.
    Tuttavia la Repubblica di Platone, per quanto sia stata nella storia fonte di tutte le utopie politiche, ha il merito di aver saputo incarnare la profonda aspirazione dello spirito umano verso la giustizia e la moralità come norme supreme della vita politica: verso uno Stato non più solamente burocratico ed amministrativo, ma essenzialmente etico.
    E’ curioso notare che nel III sec d.C. Plotino cercò di realizzare l’utopia platonica, progettando una città di filosofi che doveva chiamarsi Platonopoli, e per la cui fondazione l’imperatore Gallieno aveva promesso il suo aiuto; ma il progetto andò a vuoto.

    Estetica
    1. L’arte è imitazione (“mimesi”) della natura: e poichè la natura è una imitazione del mondo delle Idee, l’arte si trova ad essere tre gradi lontana dalla suprema realtà.
    Perciò essa è allontanata dallo Stato ideale della Repubblica.
    2. Più tardi, nelle Leggi, il vecchio filosofo si avvide dell’assurdità della sua condanna, e giustificò l’arte come passatempo o riposo dopo la lunga fatica.
    Ma ad una giustificazione integrale del fatto artistico, inteso nei suoi valori di alta idealità spirituale, Platone non giunse mai; ed è questo forse uno degli aspetti più sconcertanti di tutto il suo pensiero.

    Giudizio sulla filosofia di Platone

    La filosofia platonica, per quanto sia dotata di un’enorme importanza nella storia del pensiero di tutti i tempi per la sua vigorosa affermazione idealistica, presenta una difficoltà fondamentale: il suo dualismo esagerato, che non solo distingue ma separa i due mondi della realtà sensibile e della realtà intellegibile, l’unità dalla molteplicità l’essere dal divenire, il divino dall’umano.
    Platone stesso avverte questa difficoltà, e va alla ricerca di un rapporto tra le Idee e le cose (mimesi, metessi, ect.); ma l’incertezza del linguaggio tradisce l’incertezza del pensiero.
    Contro questa difficoltà si rivolgerà la critica di Aristotele.

  • Romani

    L’Italia preromana
    Con il nome Italia, inizialmente veniva indicata solo la Calabria; nel III sec. a.C. l’Italia coincideva con la parte a sud dei fiumi Magra e Rubicone; nel 49 a.C., divenuta romana anche la Gallia Cisalpina, fu considerata Italia anche il Nord, mentre Sicilia e Sardegna di Diocleziano. La preistoria si protrasse in Italia più a lungo che nelle zone orientali. I primi documenti di civiltà in possesso degli storici risalgono al II millennio a. C.
    La vera e propria età storica vi ebbe inizio soltanto nell’VIII sec. a.C., ai tempi della colonizzazione greca in Italia meridionale e della fioritura della civiltà etrusca. Tra l’VIII e il IV sec. a.C. si stanziarono in Italia anche popolazioni indoeuropee, ricordate come Italici.
    Le colonie greche, intorno al VI sec. a.C., scatenarono feroci lotte per l’egemonia e furono poi oggetto delle mire egemoniche dell’Atene di Pericle. La civiltà etrusca fu indipendente per quattro secoli e sviluppò una cultura di elevato livello, anche rielaborando gli apporti della Grecia e dell’Oriente. La loro espansione li portò a scontrarsi con i Greci e con i Romani a sud e con i Galli a nord. Con progressive annessioni di città, l’Etruria venne incorporata nei possedimenti romani. Dalla preistoria all’VIII sec. a.C.
    Le prime comunità umane in Italia risalgono al tardo Paleolitico. Gradualmente si passò dalla caccia e dalla raccolta alla coltivazione del terreno e quindi a forme stabili di insediamento. Nella seconda metà del III millennio a.C. si cominciò a lavorare il rame.
    Agli inizi del II millennio a.C. si formarono alcune civiltà al nord, intorno ai laghi lombardi verso la metà del II millennio si diffuse la civiltà detta delle “terramare”, dai depositi di terre grasse rinvenuti archeologicamente (terra marna, terra grassa), nelle zone di Modena e Piacenza.
    La civiltà più progredita, la villanoviana, comparve alla fine del II millennio a.C.; dalla zona di Bologna si spinse verso sud fino al Piceno, costruendo villaggi di capanne. Dal XIV sec. a.C. si era diffusa una popolazione di pastori semi nomadi, lungo la dorsale dell’Appennino centrale, da cui il nome di civiltà “appenninica”.
    Iniziò poi la penetrazione di popolazioni indoeuropee dell’Europa centro-orientale che spinsero a sud le popolazioni già esistenti. Gli Italici si insediarono nella parte centro-sud della penisola, costringendo i siculi a emigrare in Sicilia.
    Con il nome Italici i romani indicarono poi le popolazioni non latine assoggettate nella penisola con una serie di guerre che caratterizzarono la fase più antica della loro storia. Durante le guerre puniche gli Italici si federarono con Roma e, dopo la vittoria, parte di essi ebbe riconosciuta la cittadinanza. Nell’VIII sec. a.C. Le principali popolazioni in Italia erano così stanziate: Liguri e Veneti a nord; Umbro-Sabelli e Latini al centro; Iapigi, Lucani e Bruzi a sud; Siculi e Sicani in Sicilia; Sardani e Liguri in Sardegna. In questo periodo, mentre l’Italia meridionale veniva colonizzata dai Greci, si sviluppava al centro-nord la civiltà etrusca.

    Le colonie della Magna Grecia
    Come dimostrano i rinvenimenti di ceramiche e altri materiali, i Greci frequentarono i porti italiani già in età micenea (sec. XVI-XI a.C.). Alla prima metà del sec. VIII a.C. risale l’insediamento calcidese sull’isola di Ischia che aprì la prima fase della colonizzazione greca d’Italia.
    I Calcidesi fondarono poi Cuma, Napoli, Reggio, Catania e Zancle; i Corinti fondarono Selinunte e Siracusa, i Rodiensi Gela e Agrigento; gli Achei dell’Acaia Sibari, Metaponto e Crotone, mentre Taranto fu l’unica colonia fondata da immigrati spartani.
    A partire dal sec. VI a.C. si scatenarono tra le città feroci lotte per l’egemonia. Le tre città achee distrussero verso l’inizio del secolo Siri, mentre fallì il tentativo di Crotone di sottometterne l’alleata Locri. Attorno al 510 a.C. ci fu uno scontro tra Sibari e Crotone; Sibari fu rasa al suolo. Negli anni centrali del sec. V a.C., su iniziativa degli Ateniesi, venne fondata sul sito dell’antica Sibari la colonia di Turi, osteggiata dai Tarantini.
    Negli ultimi anni del sec. V Crotone, Turi (in quanto erede di Sibari), Caulonia e Metaponto si unirono nella Lega italiota per difendersi dagli attacchi dei Lucani e del tiranno di Siracusa Dionigi I; alla Lega aderì in seguito anche Reggio, mentre Locri e Taranto furono dalla parte del tiranno. Dionigi, nel 389 a.C., sconfisse l’esercito della Lega espugnò e distrusse Reggio, ridusse la Lega sotto il controllo di Taranto che, col procedere del sec. IV, dovette più volte far ricorso a condottieri greci per difendersi dalle popolazioni sabelliche e iapigie.
    Dopo la parentesi del dominio tirannico di Agatocle, nei primi anni del sec. III, Taranto chiese l’intervento del re d’Epiro Pirro contro i Romani, a loro volta intervenuti in aiuto di Turi contro i Lucani; risultato del conflitto (280-275 a.C.) fu la sottomissione della regione a Roma.
    In età arcaica la Magna Grecia costituì una delle aree culturalmente più vivaci del mondo greco: nel tardo VI secolo la conquista persiana dell’Asia Minore produsse un movimento migratorio verso Occidente che vi trapiantò un gran numero di filosofi, intellettuali e artisti (tra i quali Pitagora e Senofane di Colofone), il fenomeno contribuì al sorgere di scuole filosofiche (a Elea, con Parmenide e Zenone) e mediche (a Crotone) di primissimo piano.
    La Magna Grecia svolse così un ruolo cruciale nella trasmissione della cultura greca a Roma.

    Gli Etruschi
    La civiltà etrusca fu il frutto dell’innesto di elementi stranieri (attorno ai quali non si hanno notizie certe) sulla preesistente cultura villanoviana, nell’area compresa tra l’Arno e il Tevere. Essenzialmente urbana, si organizzò in città-stato (Volterra, Fiesole, Arezzo, Cortona Perugia, Chiusi, Todi, Orvieto, Veio, Tarquinia ecc.) che, a scopi religiosi ed economici, diedero vita a una Lega formata da dodici città (dodecapoli).
    Ogni città era retta da re (detti lucumoni) e magistrati eletti tra i membri della casta aristocratica. Una prima fase espansiva (sec. VIII-VI a.C.) portò gli Etruschi a contendere a Greci e Cartaginesi il controllo delle rotte tirreniche e adriatiche e a estendere il proprio dominio dalla pianura padana alla Campania, fondando centri come Bologna, Mantova, Piacenza, Pesaro, Rimini, Ravenna, arrivando fino a Roma, che la tradizione vuole governata da re etruschi dal 616 al 509 a.C.
    L’autonomia di Roma e quindi la crescita della sua potenza si intrecciarono con la decadenza etrusca, acceleratasi dopo la sconfitta patita a Cuma nel 474 a.C. a opera dei Greci di Siracusa. La Campania fu persa di lì a poco per opera dei Sanniti e contemporaneamente i Galli dilagarono nella pianura padana. A partire dalla distruzione di Veio (395 a.C.), entro il sec. III a.C. Roma si impossessò di tutta l’Etruria.
    La scarsità di notizie precise attorno agli Etruschi deriva dal fatto che non hanno lasciato una letteratura, la loro lingua (che utilizza un alfabeto assimilabile a quello greco) è stata decifrata con l’aiuto di testi brevissimi, perlopiù iscrizioni sepolcrali. A speciali sacerdoti (gli aruspici, la fama dei quali rimase viva anche in età romana) era affidato il compito di prevedere il futuro e capire la volontà degli dei scrutando le viscere degli animali sacrificati e analizzandone il fegato.
    La centralità del culto dei morti presso gli Etruschi è attestata dalle numerose necropoli e tombe isolate disseminate in Toscana e nel Lazio: convinti che il defunto conservasse l’individualità congiunta alle proprie spoglie mortali, concepirono il sepolcro come un’abitazione sotterranea, arredata con letti, tavoli, utensili e affrescata da vivaci pitture.
    La società era formata da nobili, discendenti dei primi dominatori, e servi, discendenti delle popolazioni preesistenti all’occupazione etrusca. Vi erano schiavi adibiti ai lavori più pesanti, ma anche schiavi semiliberi che, per i loro meriti, potevano condurre vita migliore e anche elevarsi socialmente.

    Le origini di Roma: L’età dei re
    Sulla nascita di Roma sono più ricche di contenuto le leggende che non le conoscenze reali. Lo storico Tito Livio racconta dello sbarco dell’eroe omerico Enea, scampato alla Guerra di Troia, con il figlio Iulo e alcuni compagni.
    Enea fondò la città di Albalonga che, per otto secoli fu governata dai suoi discendenti. I gemelli Romolo e Remo, figli di Rea Silvia, la figlia del re Numitore, e del dio Marte, scamparono alla persecuzione del perfido Amulio, fratello di Numitore, che aveva usurpato il trono. Allevati da una lupa e poi dal pastore Faustolo, diventati adulti, uccisero Amulio e restituirono il trono al nonno. I fratelli decisero di fondare una nuova città ma, mentre Romolo ne tracciava i confini, Remo in segno di sfida saltò il solco e Romolo lo uccise. Era il 21 apr. 753 a.C., la data da cui si fa iniziare la storia di Roma. Per popolare la città, la leggenda narra che Romolo, invitati i Sabini a una manifestazione di giochi, rapì le loro donne. Il conflitto venne evitato in nome di una convivenza pacifica.
    Secondo le conoscenze storiche, invece, l’agglomerazione degli antichi insediamenti sparsi sui colli, specialmente attorno al Palatino (secoli IX e VIII a. C.), approdò alla formazione di un impianto urbano nel sec. VII a.C. La monarchia fu la forma di governo in auge fino al 509 a.C. La cacciata dell’ultimo re, l’intervento successivo di Cumani e Latini, assieme alla maturazione in ambienti aristocratici romani di un’avversione verso l’istituto monarchico, portò alla sua abolizione e alla nascita del regime repubblicano.
    Tra l’VIII e il I sec. a.C., per motivi di difesa dall’invasione etrusca, il villaggio del Palatino, ingranditosi e sviluppatosi in età dall’invasione precedente, si fuse con quelli vicini, Aventino, Esquilino, Celio, Viminale, Quirinale, Capitolino.
    Da questo processo di fusione (di cui rimane il ricordo della festa religiosa del Septimontium, a sottolineare anche il carattere religioso dell’unione), unito all’arrivo di popolazioni sabine, si formò la città di Roma. Secondo la tradizione, a Roma regnarono 7 re, fino al 509; probabilmente furono di più e quelli ricordati sono solo i più importanti. I primi quattro avevano origine latino-sabina, gli ultimi tre etrusca. Morto Romolo durante un temporale (i Romani credettero in una sua ascesa al cielo e lo adorarono col nome di Quirino).
    A Numa Pompilio vengono attribuite l’introduzione delle prime istituzioni religiose, la riforma del calendario con l’anno di 12 mesi e 365 giorni e 1’occupazione della fortezza etrusca del Gianicolo.
    A Tullo Ostilio sono legate le prime azioni militari, la conquista di Albalonga, la vittoria dei tre fratelli romani, gli Orazi, contro i tre fratelli albani, i Curiazi e l’espansione a danno delle popolazioni confinanti.
    Anco Marcio conquistò Ostia e Roma ottenne l’accesso sul mare stabilendo contatti con Etruschi, Cartaginesi e Greci.
    Tarquinio Prisco fu il primo re di origine etrusca. Fece costruire il Circo Massimo, il tempio di Giove Capitolino, la Cloaca Maxima. In campo amministrativo aumentò il numero dei senatori (da 100 a 200) permettendo l’accesso alla carica anche per meriti personali e non più solo per nobiltà di nascita.
    Servio Tullio, (secondo re etrusco) espanse ulteriormente il dominio verso sud; emanò una nuova costituzione basata sul censo (i comizi centuriati) e portò a 300 il numero dei senatori.
    Tarquinio il superbo (terzo re etrusco e ultimo re di Roma) fu un re dispotico e crudele, sospese le costituzioni e governò arbitrariamente con ogni tipo di sopruso.
    Secondo una tradizione, Tarquinio fu cacciato dai Romani e chiese aiuto al lucumone di Chiusi, Porsenna, che venne però sconfitto dagli eroi Orazio Coclite e Muzio Scevola. Secondo il racconto di Tacito invece fu lo stesso Porsenna invece a cacciare l’ultimo re. Da allora cominciò a prendere corpo l’ordinamento repubblicano.
    Dei sette re di Roma, quelli su cui comunque ci sono notizie più attendibili sono gli ultimi tre, perchè è certo che la potenza etrusca influenzò anche Roma; per gli altri purtroppo spesso la fantasia si sovrappone alla realtà.

    L’ordinamento politico
    Tre erano le principali istituzioni di governo nell’antica Roma: il re, il senato e comizi curiati. La carica di re non era ereditaria; il sovrano aveva anche il potere religioso (era sommo sacerdote) militare (era comandante dell’esercito) e giudiziario (era giudice supremo del popolo).
    Se il re pronunciava delle condanne a morte, però, il cittadino poteva fare appello all’assemblea de popolo (provocatio ad populum) e rimettersi al suo giudizio le funzioni di governo, compresi i poteri legislativo e giudiziario, erano svolte con l’assistenza di due assemblee: il senato e i comizi curiati. Il senato era composto da membri dell’aristocrazia scelti dal re e consultati per decisioni sia di politica estera che di politica interna; il senato doveva anche approvare o respingere le proposte di legge del sovrano e le deliberazioni dei comizi curiati.
    Alla morte del re dieci senatori sceglievano un nuovo candidato e lo proponevano ai comizi curiati. Questi ultimi erano formati da cittadini facenti parte delle 30 curie (ripartizioni della popolazione); ogni curia era formata da 10 genti (o gentes, gruppi gentilizi) doveva fornire all’esercito 100 fanti (una centuria) e 10 cavalieri oltre a un senatore per ogni gens (i senatori erano così 300, secondo la riforma di Servio Tullio). Le curie potevano riunirsi in assemblea, dichiarare la guerra, nominare il re, approvarne le proposte di legge e ratificare le condanne a morte. La sede delle riunioni era il Foro.

    Le classi sociali
    Due erano le grandi classi sociali: i patrizi, aristocratici proprietari terrieri, e i plebei, contadini, commercianti e artigiani, utilizzati anche dall’esercito. I patrizi avevano l’accesso alle cariche pubbliche, mentre i plebei ne erano esclusi.
    Con il miglioramento delle condizioni economiche, anche alcuni plebei divennero benestanti e iniziarono una serie di lotte per ottenere la parità di diritti. Al servizio dei patrizi vi erano i clienti che ricevevano dai loro padroni terreni da lavorare, bestiame e protezione in cambio del servizio militare e di un aiuto nella vita pubblica.
    Gli schiavi, prigionieri di guerra o plebei insolventi ai debiti, erano completamente nelle mani dei loro padroni, che potevano decidere della loro vita o anche donare loro la libertà; gli schiavi liberati erano detti liberti.

    La religione
    I culti delle diverse divinità erano affidati a dei collegi sacerdotali, il più importante dei quali era quello dei Pontefici, retto dal Pontefice massimo. Questi, che in età monarchica e imperiale coincideva con il re e con l’imperatore, presiedeva le cerimonie, stabiliva le feste e annotava i fatti storici (Annales).
    Vi erano poi il collegio dei Salii (che presiedeva il culto di Marte), quello delle Vestali (officiava il culto di Vesta, simbolo dell’eternità romana), quello degli Auguri (che dall’osservazione del volo e del canto degli uccelli e delle viscere degli animali sacri, i polli, traeva consigli sulle vie da seguire in caso di decisioni importanti) e quello dei Feziali (depositari del diritto riguardante guerre e alleanze).
    Tra gli dei, i tre più importanti erano luppiter (Giove), Marte e Quirino. Rilevante era anche l’importanza attribuita alle divinità familiari i Lari, gli spiriti degli antenati, e i Penati, protettori della dispensa.

    La Repubblica romana
    Cacciato l’ultimo re, Tarquinio il Superbo, la monarchia venne sostituita da un governo repubblicano a carattere aristocratico. In quel periodo, per alcuni anni, Roma dovette combattere contro Porsenna e contro le popolazioni latine preoccupate della sua ascesa.
    All’interno, il nuovo ordinamento provocò dei contrasti tra le due principali classi sociali, i patrizi e i plebei. Infatti, nonostante i vari poteri, legislativo, esecutivo, giudiziario e militare, fossero affidati a magistrature diverse, erano comunque nelle mani di pochi cittadini patrizi, mentre tutti i plebei ne erano esclusi. Le lotte tra patrizi e plebei si susseguirono per parecchi anni, fino a quando i plebei ottennero alcune concessioni: l’accesso al consolato, il tribunato, l’emanazione di leggi scritte, la cancellazione del divieto di matrimoni misti.
    Nel frattempo, l’esercito romano, dopo aver combattuto l’invasione dei Galli a nord, si preparò a nuove conquiste nell’Italia meridionale, sconfiggendo i Sanniti, occupando Taranto e la Magna Grecia.