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  • Babilonesi: lo sviluppo babilonese

    Sviluppo babilonese

    Il regno di Babilonia conobbe il suo splendore con Nabopalassar, come già detto, che nel 626 a.C., unì le tribù caldee, si alleò con i vari regni limitrofi, nonché con la Media e mosse guerra all’Assiria. Probabilmente egli stesso era un caldeo e per questo fu accettato da tutti. Proseguì le gesta di Merodach Baladan, ricordato da tutti i caldei.
    Nel 614 a.C. e nel 612 a.C. caddero Assur e Ninive e, dopo la capitolazione della nuova capitale Harran nel 610 a.C., l’Assiria fu divisa tra medi e babilonesi.
    Nabonassar fa eseguire opere di ammodernamento nelle varie città, non assoggetta i vari popoli, ma li considera alleati, in quanto non si ritiene re, ma pastore di popoli, infine, getta le basi per la fondazione di un impero. In particolare nella località di Karkemish, in Siria, nel 606 a.C., con l’aiuto del figlio Nabucodonosor, sconfigge gli egiziani, che si erano coalizzati con Israele e Fenicia. Da questo momento gran parte del medio oriente è sotto il controllo babilonese, anche se dovranno essere combattute altre guerre e dovranno passare altri anni. Si arriverà al 601 a.C., quando gli egiziani abbandoneranno definitivamente l’area siro-palestinese.
    A questo punto si sviluppano le vie dei commerci e si forma sempre più ricchezza, con conseguenze positive per l’urbanizzazione ed anche per la cultura babilonese.
    Dal 605 a.C. al 562 a.C. regnerà Nabucodonosor II, dipinto dai testi biblici come lucifero, in quanto responsabile della deportazione ebrea a Babilonia.
    A questo proposito, aggiungiamo che la stessa città ci viene rappresentata come un luogo di peccato e degno di distruzione, in base alle profezie di Isaia e Geremia. A Babilonia si associa l’episodio biblico della Torre di Babele, in cui Dio porta tra gli uomini la confusione (da cui il termine babele), per evitare la costruzione della torre che li avvicini alla divinità.
    Queste mmagini ci fanno capire che sicuramente all’epoca Babilonia rivestiva un ruolo fondamentale tra le città del mondo. Tra l’altro rappresentava il cuore della religione orientale, per cui metterlo in cattiva luce significava anche contrapporre una religione monoteista ad una politeista di origini scite.
    Nabucodonosor fonderà un impero che va dall’Egitto alla Persia, attraverso la Palestina e la Siria, dalla Lidia (Asia Minore) al Golfo Persico. Controllerà la Media, in qualità di sposo della figlia del re Ciassarre ed, in qualità di garante di un accordo di pace tra quest’ultima e la Lidia, controllerà anche la stessa Lidia. Questo regno sarà ricchissimo e famoso per la cultura e la scienza. Il re babilonese non sottometteva i popoli conquistati, ma lasciava ai re locali al comando ed al popolo i propri usi e costumi.
    Realizzò un apparato burocratico saldo ed efficiente, basato su collaboratori (gli equivalenti dei ministri) retti e fedeli. Si avvaleva di controllori per monitorare la periferia e controllava anche le attività economiche legate alle proprietà terriere della classe sacerdotale. In poco tempo portò ordine in una situazione caotica, ove comandava solo chi aveva ricchezze. Tuttavia, nel suo regno, l’inflazione era abbastanza alta. Anche la giustizia fu ben amministrata, ribaltando completamente la precedente situazione gestita da una classe ristretta di ricchi. A tale proposito si raccontano casi di condanna esemplare con pene dure, al fine di fornire un monito per chi voleva ripristinare la precedente situazione caotica.
    Molto religioso, non mancava di partecipare alla festa del nuovo anno. Diffuse e rafforzò il culto del dio Marduk: egli non si proclamava re, ma pastore di popoli, servo degli dei.
    Circa l’episodio della deportazione degli ebrei bisogna considerare alcuni aspetti. Nel 609 a.C. il re Giosia, simpatizzante per i babilonesi oppure mosso verso l’indipendeza del suo piccolo regno, si oppone all’avanzata degli egiziani, guidati dal faraone Nicho II, corso in aiuto degli assiri, e muore presso Megiddo. Gli egiziani instaureranno in Israele un re anti-babilonese e formeranno una lega con siriani, palestinesi, fenici ed ebrei. Questo esercito sarà poi sconfitto dai babilonesi, come già detto, presso Karkemish.
    Nel 593 a.C. Gerusalemme, guidata ancora dai filo-egiziani, legati al faraone Psametico II, è assediata dai babilonesi. Il re Joachin, dopo aver resistito, fa atto di sottomissione, ma viene fatto prigioniero e portato a Babilonia con altri notabili ebrei. Tutti verranno trattati bene me riceveranno uno stipendio, in base a quanto è indicato nel racconto di Susanna. Nabucodonosor non nomina un re a lui fedele, ma consente a Sedecia di salire al potere, lasciato ad Israele ampia libertà.
    Nel 587 a.C., nonostante Geremia invitasse il suo popolo alla sottomissione babilonese, c’è una nuova rivolta assieme ai fenici e agli abitanti di Edom. La punizione è esemplare: Sedecia viene portato a Babilonia con la sua famiglia e viene accecato, ne vengono uccisi i figli e vengono deportati circa 5.000 abitanti, tutti artigiani, fabbri, commercianti, che faranno la loro fortuna a Babilonia, sviluppando grandi attività economiche. Inoltre fu proprio a Babilonia che cominciano ad essere composti i primi libri della Bibbia.
    Gerusalemme subisce alcune devastazioni, ma rimane comunque popolata e governata da Ghedalia, nobile giudeo. Considerati i tempi, Nabucodonosor si comportò in modo magnanimo, anche perché non si impose come tiranno, e non vi fu una deportazione di massa del popolo.
    Gli ebrei faranno ritorno a casa solo verso 550 a.C., quando Ciro il Grande, annettendo Babilonia alla Persia, pronunciò un editto in tale direzione. Alcuni ebrei rimarranno nella città mesopotamica perché avevano delle considerevoli attività economiche e commerciali.
    Dal 562 a.C. al 556 a.C. ci saranno tre re babilonesi che si succederanno, alcuni come figli e discendenti diretti di Nabucodonosor, altri come usurpatori:
    Amel Marduk (562-560) figlio del grande re, che restituirà la libertà al re giudeo Joachin, come simbolo della non continuità della politica paterna;
    Neriglissar (560-556) suocero di Nabucodonosor, fa un colpo di tasto in cui muore il re, taglia completamente con la politica del passato, fa opere di abbellimento a Babilonia e Sippar, compie un’incursione militare in Cilicia, comunque mina all’unità del paese mettendo in cattiva luce il grande re;
    Labashi Marduk (556) figlio di Neriglissar, va al potere bambino e perde subito il potere. Nabucodonosor, alla sua morte, aveva preso coscienza che la sua dinastia non avrebbe regnato a lungo.
    Dal 556 a.C. al 539 a.C. regnerà Nabonedo, ultimo re babilonese, salito al potere con un colpo di stato, proveniente dall’Assiria, dalla città di Harran. La storia ce lo tramanda come un re incapace, appassionato di archeologia. Oggi sappiamo che fu vittima di una propaganda effettuata dai persiani, con l’appoggio dei sacerdoti babilonesi, al fine di conquistare il regno senza effettuare guerre. Sostituì la triade divina dei babilonesi con Sin-Shamash-Ishtar, legata ad un culto lunare e più cara agli assiri. Questo non fu motivato solo dalla sua origine, ma anche dal fatto che, accorgendosi del potere sempre più forte dei persiani, voleva ricercare alleati verso ovest. In tal senso, siglò un accordo con Lidia, Sparta ed Egitto. A questo punto è necessario fare un passo indietro.
    Nel 700 a.C. la Persia era divisa in due regioni (Parsumash e Parsa) ed era sotto il dominio della Media. Nel 600 a.C. il re medio Ciassarre riunifica le due regioni, affidando il regno a Cambise che sposerà la figlia di Astiage, nuovo re di Media, e si insedierà nella prima capitale persiana Pasargade. Successivamente venne costruita Persepoli, che diventerà sempre di più la vera capitale persiana. Da questa unione nascerà Ciro II il Grande che governerà dal 559 a.C. al 529 a.C., inventando il modello delle satrapie, che gli consentì di costruire un grande impero (Egitto, Anatolia, Mesopotamia, Arabia, Persia).
    Secondo una leggenda, nata per esaltare la grandezza di Ciro II, Astiage ebbe un sogno nel quale si vedeva ucciso da un giovane re, per cui fece dei tentativi per eliminare il giovane futuro re persiano, senza riuscirci.
    Verso il 550 a.C. Ciro II si allea con Nabonedo (non sembra sicuro) ed insieme prendono la Media. I babilonesi occupano l’Assiria ed i persiani il resto del regno. Successivamente Ciro II invade la Lidia ed insegue il re Creso fino a Sardi, conquistando l’intero regno. In questo modo Ciro II impedisce a Nabonedo di mettere in pratica l’alleanza precedentemente ricordata e comincia a circondare Babilonia. Il re babilonese fu l’unico che aveva capito il pericolo persiano.
    Le vie del commercio verso l’India sono sotto il controllo persiano e l’inflazione a Babilonia arriva al 400%. Si raccontano diversi episodi di carestia. Nabonedo abbandona Babilonia e si reca in Arabia, dove la popolazione locale non lo vedeva di buon occhio. Lo scopo di questo viaggio fu quello di trovare altre vie di commercio per riportare ricchezza al proprio paese. E’ in questo periodo che viene individua la famosa via delle spezie. L’economia babilonese si risolleva.
    Nel frattempo Ciro II trama con i religiosi babilonesi. Nabonedo appare come il traditore, colui che ha dissacrato il nome del dio Marduk, sostituendolo con altre divinità. Alla luce di quanto esposto in precedenza, il re babilonese appare come un incompreso più che un traditore. Il frutto della propaganda fu la cacciata di Nabonedo e l’acclamazione di Ciro II a nuovo re: la Persia si era impossessata di Babilonia senza combattere. Come discorso di insediamento il re persiano si proclamò “nuovo figlio del dio Marduk”, richiamandosi alla propaganda da lui attuata segretamente. Restituì la libertà agli ebrei nel famoso editto e si impadronì della Siria, Palestina, Israele ed Egitto. L’impero persiano fu molto vasto e ricco.
    I persiani rispettarono la bellezza di Babilonia, facendole vivere un secondo splendore con Cambise II e Dario I. Sotto questi sovrani ci furono diverse rivolte a Babilonia i cui capi presero il nome di Nabucodonosor, a ricordo del mito trasmesso dal leggendario re al suo popolo. Queste rivolte furono sedate, senza violente ripercussioni per la città. Serse I, in seguito alle sconfitte con la Grecia, impose tasse ai babilonesi, che si ribellarono di nuovo. Babilonia fu messa al sacco. Artaserse I continuò nella politica repressiva del padre. Comunque Babilonia continuò ad avere un certo prestigio ed una determinata importanza.
    Nel 331 a.C. Alessandro Magno entra a Babilonia e ne rimane affascinato e la proclama capitale del suo nuovo impero. Vengono eseguiti lavori di ammodernamento. A Babilonia verranno celebrati i funerali di Efestione, amico di Alessandro morto ad Ectabana. Lo stesso Alessandro morirà nella città mesopotamica nel 323 a.C.
    Dunque Babilonia fu la città di tre grandi: Nabucodonosor, Ciro ed Alessandro.
    I diadochi successivi continuarono a dare splendore alla città, fino all’avvento di Seleuco prima ed Antioco poi che fecero costruire una nuova città: Seleucia. Nel 275 a.C. fu emanato un editto in base al quale tutti i babilonesi dovevano lasciare la città e recarsi nella nuova. Ma la città continuò a vivere perché non fu abbandonata da tutti. Gli stessi diadochi si impegnarono per fare opere di ricostruzione. Verso il 100 a.C. la diadochia seleucide entra in guerra con i Parti, popolo situato ad oriente della Persia, e la città fu abbandonata.
    Nel 116 d.C. Traiano svernò a Babilonia, ma ormai era diventata un cumulo di macerie.
    Dunque solo molti secoli dopo si realizzarono le profezie di Isaia, di Daniele e di Geremia sulla distruzione della città, che per secoli venne considerato il centro culturale e politico del mondo. La distruzione morale fu poi continuata dai padri della chiesa, tra Origene e S.Agostino, che la rappresentarono come simbolo del male. Essi ripresero la tradizione iniziata nell’Apocalisse di San Giovanni.

    Bibliografia
    “Babilonia” G. Pettinato 1988, Rusconi

  • Fenici: lo sviluppo

    Sviluppo
    Nata verso il 1150 a.C., la civiltà fenicia si avviò ad un lento declino verso l’850 a.C., con la dominazione assiro-babilonese, fino al 350 a.C., periodo della dominazione macedone di Alessandro Magno.
    Tramite una fitta rete di commerci e attraverso l’uso delle navi triremi di loro invenzione, si sparsero in tutto il Mediterraneo, fondando città ovunque. E’ possibile riassumere la seguente situazione.
    Libano: Tiro, Sidone, Tripoli, Haifa, Arvad, Beruta (Beirut);
    Africa Settentrionale: Leptis Magna, Utica, Cartagine, Tunisi, Lisso (dopo le colonne d’Ercole);
    Sicilia occidentale: Drapana (Trapani), Lilibeo (Marsala), Panormo (Palermo), Mothya (Mozia);
    Spagna: Gadir (Cadice), Ibiza e Cartagena;
    Sardegna: Nora, Cagliari, Bythia, Carloforte, Tharros e Sant’Antioco;
    Creta, Rodi, Melo, Malta, Gozo, Cipro.
    Si presume che anche la città di Tebe in Grecia abbia origini fenicie. Su alcuni documenti si racconta della presenza fenicia anche in alcuni porti dell’Asia Minore
    I Fenici subirono diverse dominazioni, ma le affrontarono intelligentemente, rispettandole. In cambio poterono mantenere una certa autonomia economica.
    La Fenicia convisse con Israele in modo pacifico, sviluppando un’intensa attività commerciale. A Tale proposito, ricordiamo che intorno al 1600 a.C. l’Egitto si trovava sotto il controllo degli Hyksos. Questo era un popolo di origine hurrita, cioè caucasico, proveniente dalle regioni dell’Urartu, molto favorevole agli ebrei, che aveva conquistato la mesopotamia, stabilendosi tra Siria ed Assiria, ed era in lotta con gli ittiti. I semiti, seguendo Giuseppe, migrarono dalle dure terre palestinesi verso il delta del Nilo, dove vissero in pace e serenità.
    Successivamente nel 1570 a.C., il faraone Ahmose dell’Alto Egitto cacciò gli Hyksos e fondò il Regno Nuovo, destinato a durare quattro secoli. Sotto Tutmosi III, gli ebrei migrarono dall’Egitto, guidati da Mosè (forse un seguace del monoteista Akhenaton, che si avvalse di Aronne per comunicare con i semiti) e si ristabilirono nella Palestina, occupata nel frattempo da altri popoli, fondando le dodici tribù. Siamo intorno al 1200-1100 a.C., a questo punto, come già detto, entra in scena Davide che riunisce le tribù e fonda il regno di Israele, approfittando del fatto che l’Egitto, in lotta con gli Ittiti, lascia un po’ di autonomia alla Palestina.
    In seguito alla dominazione dei popoli del mare nasce il regno dei Fenici. Le città di Tiro, fondata da Hiram prima del 1100 a.C., e Sidone prendono il posto, come importanza, di Biblo. La convivenza con Israele, basata sul commercio, si interruppe per questioni religiose.
    La convivenza con l’Egitto fu ottima e sempre imperniata al commercio. Verso l’850 a.C. gli assiri di Assurnarsipal II, non più minacciati dal pericolo dei Medi, conquistarono i fenici, i quali, consapevoli della loro inferiorità, andarono incontro agli aggressori con pace e proponendo commerci. Ciò ebbe i suoi frutti fino al 700 a.C., quando tutte le città parteciparono ad una rivolta armena antiassira, subito sedata da Sennacherib, che impose una tassazione elevata. Sidone subì devastazioni, Tiro si difese e la sua isola non fu presa, nonostante alcune città fenicie collaborarono con gli assiri, come faranno secoli dopo con Alessandro Magno.
    Sotto il successore assiro Asarhaddon, Sidone si ribellò e stavolta fu Tiro a collaborare con i mesopotamici. Sidone fu distrutta. Fu poi la volta di Assurbanipal che continuò a controllare la zona.
    In generale, però la Fenicia, anche se divisa in due provincie (settentrionale e meridionale), continuò a prosperare con i commerci.
    Intorno all’800 a.C. alcuni abitanti di Tiro migrarono in Africa e fondarono Cartagine.
    La cultura che ne deriverà acquisterà sempre più potere, fino allo scontro con quella romana, che segnerà la sua fine.
    Nel 600 a.C. la civiltà di Assur e di Ninive lasciò il posto a quella di Babilonia, sotto il dominio di Nabucodonosor II, che scese fino in Egitto. I Fenici si allearono con Israele per contrastarlo, ma furono sconfitti. Gli ebrei conobbero la cattività babilonese, ma Tiro resistette di nuovo, dal 585 a.C. al 572 a.C., proponendo alla fine un patto di pace, in cui formalmente veniva annessa a Babilonia, mantenendo comunque una certa autonomia economica. Questo grazie anche alla politica del lungimirante re babilonese che sognava un grande impero in armonia. Gli ingegneri fenici lavorarono a Babilonia e la resero una delle città più belle del mondo.
    Nel 539 a.C. il re persiano Ciro II conquistò la Mesopotamia e quindi la Fenicia. I fenici costituirono la marina persiana e aiutarono gli ebrei a ricostruire Gerusalemme, abbandonata per il periodo di cattività. La convivenza con la Persia fu eccellente, anche se Tiro perse Cipro, presa dall’Egitto.
    Nel 525 a.C. il re persiano Cambise conquistò anche l’Egitto ed i Fenici collaborarono nell’impresa, avendo in cambio la quasi totale indipendenza.
    Nel 500 a.C., Dario era il re dell’impero persiano. Dinanzi a Salamina di Cipro i fenici furono sconfitti dai greci, inferiori come numero ed esperienza, successivamente presso Samo, con l’aiuto di Dario i fenici vinsero.
    Nel 480 a.C., Serse I, nuovo re di Persia, con 1207 navi, comandate da fenici, affrontò le 313 navi greche di Temistocle, presso la baia di Salamina in Grecia, venendo sconfitto. Fu poi la volta della sconfitta di Micale, presso Mileto. Contemporaneamente, presso Imera, in Sicilia, i siracusani (alleati dei greci) sconfissero truppe cartaginesi ed etrusche. Dunque, la Grecia fece la sua comparsa sui mari che prima erano fenici. Nel 465 a.C. gli elleni presero Cipro ed ormai, assieme a Cartagine, presero il posto dei libanesi, sempre più sotto le satrapie persiane.
    Verso il 350 a.C. Tripoli fu nominata capitale della federazione fenicia. I fenici avevano capito che dovevano unirsi, ma ormai era troppo tardi. Le città fenicie rimasero sotto il giogo persiano, nonostante qualche rivolta di Sidone e di Tiro.
    Nel 332 a.C. Alessandro Magno, diretto in Egitto, comincia ad assediare Tiro, dopo aver annesso le altre città fenicie. Secondo la sua strategia questa città doveva essere distrutta, perché rappresentava sempre la marina dei persiani. Fu aiutato da altre città fenicie e realizzò una diga che tolse ai tirii l’elemento naturale di difesa: il mare. Tiro, che aveva ricevuto la promessa di aiuto da parte di Cartagine, si difese strenuamente, poi, non ricevendo alcuna collaborazione esterna, capitolò. Fu la fine del regno fenicio. Tiro fu distrutta e rifiorì un po’ sotto i romani.
    Verso il 300 a.C. Alessandro Magno non c’era più ed il suo impero fu diviso in tre diadochie: la Macedonia sotto gli agonidi, l’Egitto sotto i tolemaici e l’Asia Minore sotto i seleucidi. Per quanto riguarda la Fenicia, anche se il suo regno non c’era più, ci furono ancora delle attività commerciali di svariato tipo. L’elemento dominante era però l’ellenizzazione dei costumi e della società: basti pensare che ogni 5 anni a Tiro si svolgevano i giochi.
    In questo periodo lo spirito fenicio sopravvisse in Cartagine che ebbe un grande splendore e presto si scontrò dapprima con i greci e poi con i romani.

  • Fenici: le attività

    Attività
    Le fonti storiche che racconta no dei Fenici non sono moltissime: Erodoto, Livio, Diodoro Siculo, Plinio, la Bibbia.
    Inventarono il vetro e lo diffusero in tutto il mondo allora conosciuto, creando il commercio di massa. Impiegarono la porpora per colorare vestiti, sfruttando dei molluschi marini, che commercializzavano ad altissimo costo.
    Furono buoni conoscitori della scienza medica e dell’astrologia. Abili musicisti, si dilettavano con il flauto.
    Perfezionando il codice “lineare B” adottato dai Cretesi (ripreso anche dagli egizi ed i popoli mesopotamici), furono i primi ad introdurre nella civiltà l’alfabeto che fu poi perfezionato dai Greci.
    Furono i primi a circumnavigare l’Africa, ad andare in America.
    vevano rotte preferenziali con il Camerun e la Costa d’Avorio, da cui traevano ricchezza e schiavi da rivendere nei mercati.
    Inventarono il commercio e barattavano con i loro prodotti oro, ferro, stagno, tessuti, avorio e altro materiale.
    Grandissimi navigatori, fondarono tantissime colonie, come base di rifornimento e di sosta, mai a scopo militare (se non nel periodo cartaginese). Inventarono il mito delle colonne d’Ercole in onore del dio Baal.
    Grandi ingegneri realizzarono palazzi e templi importanti come quello di Salomone a Gerusalemme o di Nabucodonosor a Babilonia.
    Costruirono porti in grado di difendersi automaticamente dalle maree o da fenomeni di insabbiamento: basti pensare a Sidone, Cartagine e altre città. Realizzarono città importanti e potenti come Tiro (costruita su un’isola) e Cartagine.
    Tutte le città fenicie erano belle, decorate, risplendenti d’oro, come nel caso di Tiro, caratterizzate da possenti mura difensive e da porti funzionali.
    Le navi entravano in porto solo per operazioni di carico e scarico, mentre, per il resto, restavano in mare. Progettarono e realizzarono il canale di Suez, assieme agli egizi.
    Abili lavoratori del ferro e del metallo, fondarono la città di Esion Gheber sul Mar Rosso e commerciarono con le Indie. Tipico poi era il luogo nel quale si potevano trovare città fenicie: una baia protetta, un’altura limitrofa, una sorgente d’acqua nelle vicinanze e un po’ di terra coltivabile per le emergenze. Svilupparono anche una discreta industria tessile, indirizzata sempre a fini commerciali.
    Dal punto di vista militare non avevano grossi eserciti. L’unica attività bellica fenicia che la storia ci tramanda è legata alla conquista di Cipro, isola ricca di minerali che facevano gola ai mercanti di Tiro e Sidone.
    Il considerare una città separata dalle altre fu un limite per questa civiltà, in quanto non venivano mai intraprese operazioni comunitarie. Numerosi sono gli esempi di attività bellica difensiva delle città. In particolare, Tiro ci ha tramandato numerosi artifici difensivi per non cadere sotto gli Assiri, i Babilonesi, i Persiani ed i Macedoni, che la distrussero.
    Diversa è la situazione di Cartagine che intraprese numerose attività belliche, che la portarono alla conquista di quasi tutta la Spagna, la Sicilia, la Sardegna e alla guerra contro Roma. In principio erano impiegati soldati mercenari, ma poi, con l’evoluzione della società punica, maturò un senso civico, da cui nacque un esercito proprio.

  • Greci: le guerre persiane

    Guerre persiane

    500-494: Le colonie ioniche dell’Asia Minore si ribellano all’egemonia dell’impero persiano, capeggiate da Aristagora di Mileto; solo Atene, per i suoi interessi sull’Egeo, le appoggia. I Persiani schiacciano la rivolta, che si conclude con la distruzione di Mileto e la deportazione dei suoi abitanti in Mesopotamia.

    492: I Persiani, comandati da Mardonio, conquistano Tracia e Macedonia e chiedono alle città greche di inviare l’acqua e la terra, in segno di sottomissione. Sparta e Atene rifiutano.

    490 (I guerra persiana): battaglia di Maratona. Un esercito ateniese, guidato dallo stratega Milziade, sconfigge l’esercito persiano, che aveva reputazione di invincibile. I Persiani erano guidati da Dati e Artaferne, e accompagnati dal tiranno spodestato Ippia.

    Il confronto fra Greci e Persiani è qualcosa di più di un confronto militare: si tratta di un vero e proprio scontro culturale, fra comunità di cittadini-soldati che si governano da sé, e un impero autocratico che riconosce solo sudditi, cioè – nell’interpretazione di Eschilo e di Erodoto – fra la libertà e la schiavitù. La libertà, in Grecia, non è percepita come una questione privata, ma sempre essenzialmente come autonomia politica, come autogoverno. Anche la libertà di parola, che “toglie le briglie” alla lingua degli uomini (Eschilo, Persiani) è intesa come strumentale all’autonomia politica.

    Temistocle si rende conto che la vocazione e la potenza di Atene è sul mare, e promuove l’allestimento della flotta (180 triremi entro il 481): le navi sono costruite a spese dello stato e l’armamento è finanziato dai cittadini più ricchi (liturgie). I teti trovano impiego come rematori, e questo dà loro voce in capitolo nella vita politica. La marina è un elemento di democratizzazione.

    481: alleanza militare (simmachia) panellenica, sotto l’egemonia spartana.

    480 (II guerra persiana): l’imperatore persiano Serse, successore di Dario, parte da Sardi con un esercito di 100.000 uomini. La Grecia è invasa, dopo una battaglia navale presso capo Artemisio. Leonida, re di Sparta, sacrificando se stesso e trecento spartani, copre la ritirata delle forze di terra elleniche alle Termopili. Temistocle capisce che sulla terra la partita è persa, e abbandona l’Attica e la Beozia al saccheggio dei Persiani, mettendo la popolazione in salvo sulle isole.

    Settembre 480: battaglia navale di Salamina, vinta dai Greci grazie alla strategia di Temistocle. Le navi persiane, più numerose e più grandi, non riescono a manovrare nel braccio di mare fra Atene e l’isola di Salamina, e hanno la peggio contro le navi elleniche, meno numerose ma più piccole e maneggevoli.

    Primavera 479: l’esercito di terra persiano viene sconfitto a Platea; la flotta persiana viene definitivamente debellata a Micale.
    Per consiglio di Temistocle, Atene comincia la costruzione delle “lunghe mura” che collegano la città al porto del Pireo.
    478: le città ioniche dell’Asia minore sono liberate da una flotta greca guidata dallo spartano Pausania. Gli efori lo richiamano, accusandolo di dispotismo. Atene rimane la sola potenza ellenica interessata all’Egeo e alla Ionia, contro i Persiani.

    477: fondazione della lega di Delo, guidata da Atene e composta da città ioniche, in funzione antipersiana. Nel trentennio successivo prosegue la lotta contro i Persiani. L’egemonia ateniese si rafforza, suscitando una crescente ostilità, spartana: si tratta, anche qui, di uno scontro non solo militare, ma anche politico e culturale, fra democrazia e oligarchia.

    448: pace di Callia. Le città greche dell’Asia minore rimangono nell’impero persiano, che ne garantisce l’autonomia. L’Egeo diventa un mare ateniese. Gli alleati della lega di Delo, orami superflua, vengono trasformati in vassalli di Atene.

    445: pace dei Trent’anni con Sparta. Sparta riconosce l’impero ateniese; Atene l’egemonia spartana sul Peloponneso.
    Ha inizio l’età di Pericle (443-429), che si fa rieleggere stratega di anno in anno, e influenza durevolmente la democrazia ateniese.

    Sparta diventa punto di riferimento per tutte le città che non sopportano l’egemonia imperiale ateniese.

    Guerra del Peloponneso (431- 404)

    Guerra archidamica (431-421): con alterne vicende, gli Spartani prevalgono sulla terra, gli Ateniesi sul mare. Questa fase – cui partecipa Tucidide – si conclude con la pace di Nicia (capo del partito oligarchico ateniese).

    Spedizione ateniese in Sicilia (415-413): prevalendo sul pacifista Nicia, il democratico Alcibiade induce Atene ad aiutare Segesta contro Siracusa e Selinunte, alleate di Sparta. L’esito dell’impresa è disastroso, come possiamo vedere dal resoconto di Tucidide.

    Guerra di Decelea (fortezza occupata dagli Spartani per devastare l’Attica, su consiglio del fuoriuscito Alcibiade; 413-404): declina la potenza ateniese, i Persiani, che erano stati espulsi dalla politica greca, intervengono a finanziare Sparta. Dopo alterne vicende, Atene, sconfitta dallo spartano Lisandro all’Egospotami, capitola. Le “lunghe mura” sono smantellate; si scioglie la lega di Delo. Sparta è egemone, ma il vero vincitore è l’impero persiano.

    Sparta promuove regimi oligarchici sotto il suo controllo. Ad Atene si instaura la Signoria dei cosiddetti Trenta Tiranni, i quali cercano di coinvolgere il massimo numero di cittadini nella responsabilità degli arresti indiscriminati da loro operati. Socrate rifiuta di obbedire ai loro ordini, proprio come si era opposto, in regime democratico, alla condanna a morte per gli strateghi della battaglia delle Arginuse (407), che era stata l’ultima vittoria di Atene nella guerra del Peloponneso.

    403: Trasibulo restaura la democrazia ad Atene.

    399: Socrate, accusato di empietà, viene condannato a morte, probabilmente per purgare la nuova democrazia di una personalità percepita come malsicura. Platone ha riportato il suo discorso di autodifesa, o Apologia.

  • Marco Polo e i Mongoli

    La paura delle tribù che vivevano nella zona dell’Asia centrale creavano una barriera tra i popoli d’Oriente e d’Occidente. Allora nel XIII secolo dalla Mongolia giunse un conquistatore, il creatore di un impero che abbatte questa barriera tra l’Europa e l’Asia: Gengis Kan. Un giovane e temutissimo capo mongolo, di nome Temucin, fu colui che nell’anno 1196 ebbe l’idea di sbarazzarsi di tutti gli altri capi e di unificare i diversi clan del suo popolo in uno solo grande organo politico. Questo semplice pastore anafalbeta giunto alla testa del suo popolo all’età di trent’anni, fu il pimo che distribuì la poplazione nomade del deserto del Gobi in gruppi socializzati modernamente. Nel 1205 i Mongoli si volsero dapprima contro la Cina. Battendosi per dieci anni, essi riuscirono a conquistare buona parte del suo territorio. Dopodichè, passarono ad attaccare l’uno dopo l’altro gli Stati dei Turchi, dei Persiani, la Russia meridionale e l’Afghanistan. Stavano già protendosi verso l’Europa, quando il loro prestigioso capo venne improvvisamente a morte, nel 1227. Il figlio che riuscì a diventare Gran Khan fu Ogudai.
    Ogudai passo a invadere la Russia centrale, nel 1236 i soli stati russi che riuscì a mantenere una certa indipendenza nei confronti dei mongoli fu Pskov e Navgorod; sempre nel 1236 si impadroniva della Bulgaria (regione del Kama). Nel 1241, i Mongoli si scontrarono coi Tedeschi a Liehnitz,e li sbaragliarono, invadendo la Slesia e travolgendo sul fiume Sajo gli Ungheresi. Per la seconda volta la morte fulminò il Gran Khan Ogudai. Mongka fu il successore di Ogudai.
    Dopo la conquista mongola venne la pace mongola: Gengis Kan e i suoi eredi portarono la legge e l’ordine in tutta l’Asia centrale. Crearono una rete di strade che collegavano l’Oriente all’Occidente, i mercanti poterono quindi viaggiare liberamente tra l’Asia e l’Europa e con loro l’idee. A distanza di un giorno di viaggio costruirono le stazioni postali. Le stazioni postali fornivano anche cibo e riparo al viaggiatore lungo le strade della Mongolia. Le truppe mongole riuscirono a conquistare in poco tempo Aleppo, Damasco e Baghdad, spingendosi verso il Nordafrica e l’Egitto. Per la prima volta incontrarono un avversario capace di respingerli: i Malmecchi, che nel 1260 riuscirono a sconfiggere gli invasori.
    Nel 1277, un giovane mercante veneziano, di nome Marco Polo, incotrò appunto questo Gran Khan, e ne ricevete fiducia e persino delicati incarichi politici, stabilendo la prima relazione commerciale fra l’Europa e la Cina. Le straordinarie avventure di Marco Polo sono raccolte nel libro intitolato Il Mlione. Marco vive l’infazia e l’adolescenza senza conoscere il padre (Niccolo Polo). Niccolo e suo fratello Matteo sono mecanti veneziani partiti per l’oriente e da anni non se ne hanno più notizie. Quando ritornano lui a sedici anni. A causa di una deviazione furtuosa verso est per evitare una guerra sono arrivati sino in Cina. Forse non sono i primi occidentali ad essersi spinti fino a quelle terre lontane, ma sono sicuramente i primi ad essere riusciti a ritornare per raccontarlo. Ma c’è qualcosa di più: sono partiti mercanti, ma sono rirtonati ambasciatori del Grande Khan, presso il Doge di Venezia. E’ molto possibile convincere il senato della repubblica sull’opportunità di instaurare rapporti diplomatici e commerciali con un impero tanto lontano da sembrare irrangiungibile. Anche la carta moneta, abitualemente in uso in Cina non viene compresa da chi è abiutuato a trattare solo in oro e in cose solide e tangibili. Con l’appoggio del Doge nel 1271 i fratelli Polo possono finalmente ripartire. Oltre ai regali preziosi portano con sè, non i cento saggi nominati dal papa che aveva chiesto il Gran Khan, ma solo due frati, che alle prime difficoltà torneranno indietro. Ma soprattutto questa volta portano con sè il giovane Marco, che ha ancora tutto da imparare. Dopo trenta mesi di odissea arrivano nella capitale Kambalik, in Cina. E’ nuovissima, la prima città stanziale dei mongoli, popolo nomade per eccelenza. Nei suoi racconto differisce anche dei suoi rapoorti amichevoli con la famiglia imperiale degli incarichi di fiducia ricevuti dal Gran Khan. Raccontò la sotira dei suoi viaggi in un libro. La possibilità di scriverlo la ebbe innaspetatamente quando fu fatto prigionieri in una guerra commerciale locale.
    Le campagne di conquiste si arrestarono. Alcuni territori dell’impero, come la Persia, l’Irak e l’Afghanistan, accentuarono la loro autonomia fino a diventare indipendenti. Nel 1368, il popolo cinese, si solleva contro la dominazione mongola guidata da Zhu Yuanzhang (Hongwu), fondatore della dinastia Ming.
    Verso la metà del XIV secolo i Mongoli tornarono alle antiche gesti gierriere: questa volta avevano avevano un nuovo grande capo, Timur lo Zoppo. Egli aveva tre obiettivi: riconquista della Cina, invasione dell’India e invasione della Turchia. Per oltre trent’anni le orde di Timur seguitarono a guerreggiare. L’India viene invasa come l’Anatolia nel 1402. La morte del loro capo, nel 1405 segno l’inizio del declino del suo potente impero.

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  • L’impero persiano

    Gli inizi della dinastia persiana degli Achemenidi sono ancora poco conosciuti; verso il 700 a.C. i Persiani erano stanziati a Parsumach, ai piedi dei monti Bakhtiyari, dove, sotto la direzione di Achemene, fondarono un piccolo regno; l’Elam non era più abbastanza potente per fare opposizione. Il regno persiano continuò a espandersi: Teispe (675-640 a.C.), figlio di Achemene, che portava già il titolo di re di Anzan, si annettè la provincia di Parsa (Fars). Alla morte di Teispe il regno fu diviso tra i due figli: Ariaramne di Media (640-590 circa) e Ciro I di Persia (640- 600 circa). Dopo la distruzione totale dell’Elam da parte degli Assiri, Ciro I riconobbe l’autorità di questi ultimi, inviando uno dei suoi figli come ostaggio. Il successore di Ciro, Cambise I, obbligò il figlio di Ariaramne ad abdicare in suo favore, lasciandogli tuttavia il governo della provincia di Parsa, e sposò la figlia di Astiage di Media: da questa unione nacque Ciro II il Grande (558-528 circa).
    I due regni iraniani che si formarono, quello dei medi e quello dei persiani, vennero unificati dal re persiano Ciro, detto il Grande, nel 599 a.C. Dopo aver consolidato la sua posizione all’interno, Ciro sottomise l’Asia Minore, conquistò Babilonia (539), assumendo il controllo della Siria e ottenendo la sottomissione dei re fenici. Alla sua morte l’Impero passò a Cambise II (529-521 a.C.), che aveva regnato con il padre per otto anni. Il nuovo re dovette domare diverse rivolte in Persia, prima di partire alla conquista dell’Egitto nel 525; nel 522, abbandonando il progetto di conquistare Cartagine e l’Etiopia, ritornò in patria, dove un usurpatore, Gaumata, si era proclamato re; morì poco dopo in circostanze misteriose. Il suo successore Dario I (521-485) era figlio di Istaspe, satrapo dell’Ircania, e nipote di Ariaramne. Egli iniziò la sua opera ristabilendo l’ordine nel paese e nell’Impero; in seguito estese la sua azione a Oriente, sottomettendo il Gandhara, l’India occidentale e la valle dell’Indo; quindi combattè gli Sciti della Russia meridionale ed estese il suo potere sulle città greche della costa. Di lì si volse alla conquista della Grecia stessa, dando origine alle cosiddette guerre persiane, dopo le quali la lotta per i confini occidentali dell’Impero e per le città greche continuò per un secolo e mezzo: laddove la forza non bastava, l’oro del Gran re interveniva, suscitando e mantenendo le lotte intestine in Grecia. Con gli ultimi Achemenidi Artaserse I (465- 424), Dario II (424-404), Artaserse II (404-358), Artaserse III (358- 338), maturò lentamente la decadenza dell’Impero, fino alla definitiva sconfitta di Dario III (331 a.C.) a opera di Alessandro Magno.
    La forza dei persiani era in primo luogo militare: un potente esercito , costituito da un nucleo di nobili cavalieri persiani fornite dalle province assoggettate, era lo strumento per mantenere il controllo dell’impero. A essa si univa però anche una notevole capacità di assimilazione culturale (a cominciare da Ciro, che conquistata Babilonia nel 539 a.C., restituì la libertà agli ebrei che vi erano stati deportati da Nabucodonsor nel 596). Ma grande fu anche l’abilità con cui Dario seppe organizzare l’immenso impero. Il potere era centralizzato: il sovrano governava attraverso i satrapi, membri dell’aristocrazia persiana, ai quali era affidato il controllo delle diverse province, o satrapie, dell’impero.

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  • Il conflitto tra Atene e Sparta e le guerre greco persiane

    A partire dalla fine dell’VIII secolo, i governi aristocratici presero il posto dei regimi monarchici, si diffusero il modello della polis (città ). Nella polis greca il governo era cosa dei cittadini, che in vario modo partecipavano all’elaborazione delle leggi e alla gestione del governo. Tutta la storia della polis nell’età arcaica (VIII e VI secolo a.C.) è dominato dallo scontro sociale e politico fra i nobili e il demos. Molti greci allora si diressero verso Occidente (Italia meridionale, Francia, Malta, Spagna e Africa settentrionale, Ponto) e poi, dalla mèta del VII secolo a.C., verso Oriente (Egeo settentrionale e mar Nero). Questa colonizzazione diffuse la civiltà greca anche in un area molto più vasta della madrepatria: la cosiddetta Magna Grecia o grande Grecia.
    Ogni città greche ebbe caratteristiche proprie. Questo frazionamento derivava dal fatto che il territorio della Grecia è montuoso, con ristrette pianure e valli separate da rilievi.
    Così nacquero le costituzioni di Sparta e Atene, le due piu’ importanti Poleis della Grecia. Sparta, dominata da un’oligarchia potentissima militarmente, sottomise fra l’VIII e il VI secolo a.C. quasi tutto il Peloponneso e formò in seguito con le città sottomesse la Lega Peloponnesiaca. La sua fondazione deve essere stata opera di genti che invasero la regione senza però fondersi con la popolazione locale che fu sottomessa e mantenuta poi in una condizione di quasi schiavitù. A questa particolare origine è prpbabilmnte dovuta alla rigida struttura della società spartana, divisa in tre classi fortemente differenziate: gli Spartani, i soli a godere di diritti politici; non svolgevano alcuna attività economica e dedicavano l’intera esistenza all’esercizio delle armi; i Perieci: uomini liberi, avevano il diritto di possedere terre e svolgere attività artigianali o commerciali, ma erano esclusi dall’assemblea cittadina e dal governo della città ; gli Iloti, servi dello Stato messi a disposizione degli Spartani.
    Atene, del tutto diversa, anzichè verso le conquiste territoriali, si indirizzò verso il raggiungimento all’interno d’una solida democrazia. Le sue origini sono scarse e incerte. Sappiamo dai resti archeologici che sorse in età micenea e che fu probabilmente risparmiata dalle invasioni che si abbatterono sulla penisola greca. Verso il 700 a.C. l’aristocrazia abbattè la monarchia. L’arconte Solone diede ad Atene una costituzione basata sulla divisione della popolazione in classi secondo la ricchezza, permettendo così la partecipazione al governo anche dei non nobili. In seguito il governo di Atene passò nelle mani di Clistene, la cui costituzione segnò la nascita della democrazia in Atene, dove ora tutti i cittadini avevano uguali diritti e tutti, anche i piu’ poveri, potevano partecipare al governo della città . In politica estera, Atene si avvicina ad Argo, abbandona Sparta e si dota di nuove mura. Appoggiando Megara, tuttavia, provoca l’avvicinamento di Corinto a Sparta, la quale intreccia un patto anche con Tebe (460 a.C.). La guerra comincia con una vittoria di Sparta e Tebe a Tanagra e con una di Atene a Enofita (457 a.C.), mentre gli Ateniesi annettono al proprio territorio Beozia, Focide e Locride, dominando così l’intera Grecia centrale. Inoltre, la Lega delio-attica, ormai strumento politico di Atene, costringe Egina a consegnare la propria flotta, eliminandone così la concorrenza commerciale. Cimone, richiamato in patria, stipula con Sparta una tregua quinquennale (451 a.C.).
    Ormai Atene possiede un vero e proprio impero, ma il Congresso panellenico della pace non può tenersi per l’opposizione di Sparta. Un esercito costringe Atene alla Pace dei Trent’anni (445 a.C.): Sparta riconosce l’impero ateniese ma pretende il dominio assoluto sul Peloponneso.
    Pericle fa valere il proprio carisma per instaurare una sorta di tirannia personale, tesa alla potenza e al fasto di Atene. Le molte concessioni con cui egli s’ingrazia le classi sociali più povere generano un vero sistema assistenziale. Le migliori menti di Grecia (Anassagora, Socrate, Erodoto, Sofocle, Euripide, Tucidide) si ritrovano libere di pensare e di creare. Nonostante qualche ribellione (come quella di Samo, sedata da Pericle), oltre 400 città greche sono costrette ad aderire alla Lega delio-attica e a pagarne i tributi.
    Per gli Spartani la situazione è insostenibile, tanto che si giunge al conflitto. La Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) si apre con l’intenzione di Pericle di non affrontare sul campo il superiore esercito spartano, limitandosi a rintanarsi entro le mura di Atene. Mentre la flotta ateniese è attiva lungo il Peloponneso, gli Spartani di Archidamo attaccano l’Attica (429 a.C.). Potidea cade, dopo due anni di assedio, nelle mani degli Ateniesi, ma questi sono poi sconfitti a Spartolo. Intanto, la peste uccide un terzo degli abitanti d’Atene, fra cui Pericle (429 a.C.), sostituito dal popolare Cleone e dall’oligarchico Nicia. Quando Platea viene espugnata dagli Spartani, Archidamo decreta la morte dei suoi difensori. Ma a Sfacteria (425 a.C.) gli Ateniesi ottengono una clamorosa vittoria, che induce Sparta a chiedere la pace. Ora Nicia caldeggia un accordo e lo ottiene: Sparta e Atene siglano una pace per cinquant’anni (421 a.C.) e si alleano contro i possibili attacchi di Argo e delle città del Peloponneso.
    Sparta domina la situazione in Grecia, sostenendo i vari governi oligarchici, mentre le città dell’Asia Minore patiscono di nuovo il tallone persiano. Ma Atene ben presto restaura la democrazia ad opera di Trasibulo (403 a.C.), sotto il cui governo si decreta anche la morte di Socrate (399 a.C.). Sparta, che si sente ormai erede della supremazia ateniese, interviene in aiuto alle polis nell’Asia Minore inviando una spedizione al comando di Agesilao (399 a.C.). La Persia cerca appoggi e li trova in Atene, Corinto, Tebe ed Argo, che si alleano a lui contro Sparta iniziando la Guerra Corinzia (395-387 a.C.). La flotta persiana al comando dell’ateniese Conone vince i Lacedemoni a Cnido (394 a.C.), ma questi ultimi battono Ateniesi e Tebani a Coronea. Conone decide di riedificare le mura d’Atene. Ciò porta al riavvicinamento di Sparta con il re persiano Artaserse II, che blocca il Bosforo al fine di impedire approvvigionamenti di grano ad Atene dalla Scizia.
    La situazione si sblocca con la Pace del Re (o di Antalcida – 387 a.C.) tra Atene e Sparta mediata da Artaserse II, che prevede il dominio persiano sulle città dell’Asia Minore e il controllo spartano sulle rimanenti città greche. Ma gli Ateniesi costituiscono presto la Seconda Lega delio-attica (377 a.C.), che riunisce 60 città , mentre Tebe rifiuta di restituire la libertà alla Beozia. Tebe prosegue la lotta, invadendo Messenia e Arcadia e provocando l’alleanza fra Sparta e Atene (369 a.C.). La vittoria di Mantinea (362 a.C.) su Ateniesi e Lacedemoni decreterebbe il trionfo tebano se non fosse per la morte sul campo di Epaminonda. Con lui finisce il predominio stesso di Tebe, la quale deve soggiacere a un nuovo, potente Stato che si affaccia sul mondo greco: la Macedonia.
    Conflitti e rivalità divisero spesso tra loro le città greche. All’alba del V secolo a.C. le rivalità fra le città greche dovettero essere momentaneamente accantonate per fronteggiare un potente avversario che metteva in pericolo l’indipendenza di tutti i greci: l’impero persiano. Nel corso della prima guerra greco-persiana (490 a.C.) l’attacco di Dario fu respinto dai soli fanti ateniesi. Nella seconda guerra greco-persiana (480-479 a.C.) inizialmente i greci subirono gravi perdite, per poi trionfare nella battaglia navale di Salamina e quella terrestre di Platea. La vittoria sui persiani aprì un periodo di ascesa economica e politica per Atene.
    Dopo la vittoria sui persiani, la vita politica greca fu caratterizzato dalla “resa dei conti” fra Atene e Sparta. Un primo conflitto fra Atene e Sparta, portò nel 446 a.C. alla firma di una tregua trentennale, che fissava le rispettive zone di influenza delle due potenze. Ma lo scontro decisivo fu la guerra del Peloponneso che si aprì nel 431 per concludersi nel 404 a.C. con la sconfitta ateniese. Atene che, fiaccata militarmente e moralmente dal fallimento fu costretta ad arrendersi nel 404 a.C. Atene dovette accettare un presidio militare spartano e rinunciare ai possedimenti fuori dall’Attica.
    La principale fonte di ricchezza era costituito dall’agricoltura, dalla produzione di olio e di vino e dalla pastorizia. Quando si parla di commerci, si intende quasi esclusivamente quelli via mare. Un’altra importante fonte di ricchezza del lavoro degli schiavi. Per possederne uno era sufficiente acquistarlo al mercato.
    Cittadini si era per nascita. Tra i cittadini esistevano profonde differenze sociali: tra i pochi ricchi aristocratici e i molti contadini. Accanto ai cittadini e agli schiavi, incontriamo un altro gruppo sociale importante: i meteci. Si tratta degli immigrati che possono vivere e lavorare nella città , ma non essendo cittadini, non esercitavano i diritti politici.
    La religione ufficiale era quella olimpica, il culto olimpica, il culto delle divinità che abitavano la vetta del monte sacro, l’Olimpo. Signoreggiati da Zeus, dio del cielo e dei fenomeni atmosferici, gli dei olimpici presiedevano e proteggevano diversi settori della vita umana. L’antropomorfismo caratterizzava la religione greca: agli dei erano attribuiti sentimenti, comportamenti e abitudini umane. La religione costituiva un importante fattore di coesione.
    La famiglia era la struttura potente della società greca. Nella famiglia contadina tutti lavoravano; nelle famiglie nobili o benestanti, in cui maschi si dedicavano alla vita politica, erano le donne e gli schiavi a svolgere le attività domestiche. La vita della donna si svolgeva completamente all’interno del nucleo famigliare: la donna non usciva quasi mai e abitava le stanze più riparate e protette, nella zona all’interno della casa. Escluse dai diritti politici, esse erano del tutto soggette all’autorità del padre e del marito.
    Ad Atene, l’educazione del cittadino prendeva le mosse dai poemi omerici. L’educazione di un ateniese era cosa molto diversa dalla formazione militare di un cittadino spartano.
    La storiografia è una disciplina scientifica che studia la storia dell’uomo. Sono state elaborate forme culturali adatte a rispondere a domande fondamentali, come: “Da dove veniamo? Qual è il nostro pianeta?”. La storiografia si pone un problema che per il mito non esisteva: quello del metodo dell’indagine. Come si può essere certi della verità di ciò che si racconta?
    Al centro della cucina greca vi erano i prodotti tipici di quella che i gastronomi del XX secolo hanno chiamato dieta mediterranea: olio d’oliva, cereali, frutta e i loro derivati. Erano molto apprezzate le verdure, come cipolla, aglio, crescione, rapa, porro, in genere consumate in forma di minestre. La frutta aveva un posto di non minor rilievo: fichi, uva, pere, mele, nespole, mandorle e meloni erano presenti frequentemente sulle tavole dei greci. Ma frutta e cereali costituivano pure la materia prima delle bevande alcoliche, tra le quali la più importante era ovviamente il vino, prodotto in molte varietà . Per i greci i banchetti costituivano il momento centrale di alcuni importanti riti sociali: dai riti religiosi a quelli legati a circostanze politiche. Ma il banchetto svolgeva un ruolo centrale anche nella vita di tutti i giorni: non era pensabile che un uomo degno di questo nome mangiasse da solo.

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  • Romani: l’impero e la diffusione del cristianesimo

    La dinastia dei Severi
    Alla morte di Commodo gli succedette per breve tempo il generale Elvio Pertinace, eletto dal senato. I pretoriani lo assassinarono e offrirono il regno al miglior offerente, il senatore Didio Giuliano, fino a quando l’esercito stanziato sul Danubio proclamò imperatore il comandante Settimio Severo.
    Questi, in guerra contro i Parti, conquistò Ctesifonte e ricostituì la provincia di Mesopotamia (199-202).Per risanare la crisi economica interna, centralizzò il sistema delle corporazioni, controllate direttamente dallo Stato, e dimezzò la quantità di argento nelle monete per emetterne una quantità maggiore.
    Alla sua morte furono nominati imperatori i suoi figli Caracalla e Geta che fu assassinato dai pretoriani. Caracalla tentò di conquistare consenso con una politica espansionistica (buoni risultati contro gli Alamanni nel 213) e facendosi oggetto di esaltazione religiosa. Con un importante Editto, la Constitutio Antoniniana, nel 212 concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero. Morì in seguito a una congiura ordita dal prefetto del pretorio Macrino, che gli succedette (217).
    Deposto Macrino da una congiura militare, il potere tornò ai Severi con il giovane Eliogabalo. Sacerdote in Siria del dio solare El Gabal, dedicò ogni energia a promuovere la propria religione. Ucciso dai pretoriani nel 222, gli succedette il cugino Alessandro Severo il quale cercò di conciliarsi il senato ma, per il suo atteggiamento pacifista, fu avversato dai militari, che lo uccisero nel 235.

    Da Massimino a Diocleziano
    I militari elessero imperatore il centurione Massimino (primo imperatore di umili origini). Dopo di lui, ucciso da una cospirazione del senato, tra il 238 e il 284 (periodo detto dagli storici anarchia militare), il potere passò tra le mani di 21 imperatori di cui 19 perirono assassinati. Lo Stato era vicino al tracollo: gruppi di Germani, tra cui i Goti varcavano i confini, a Oriente premeva la dinastia dei Sassanidi, discendenti dei Persiani.
    Durante il regno di Gallieno (253-268), alcune regioni, organizzatesi autonomamente pur rimanendo fedeli all’Impero, riuscirono a contenere l’avanzata nemica. Le frontiere furono ristabilite al Reno e al Danubio.
    L’anarchia militare di questo periodo fu arrestata dai cosiddetti imperatori illirici (tutti nativi della Dalmazia), i quali furono tutti valenti soldati, fautori della più rigida disciplina e fedeli all’ideale di Roma.
    I principali fra essi furono Claudio II, soprannominato il Gotico (268-270) per le sue vittorie sui Goti e gli Alamanni.
    Aureliano (270-275) che continuando l’operato del suo precedessore cinse Roma di una poderosa cerchia di Mura (Mura Aureliane).
    Probo (276-282) e Caro (282-283) che continuarono a difendere l’Impero contro le sempre più frequenti irruzioni dei barbari.
    La ripresa definitiva si ebbe con Diocleziano. Imperatore dal 284, divise il potere con il commilitone Massimiano a cui affidò il compito di governare l’Occidente. Sedi degli Augusti erano Nicomedia e Milano, capitale d’Occidente fino al 404 d.C.
    Domata una ribellione in Egitto, Diocleziano si dedicò alla riorganizzazione dell’Impero. Ripartì il territorio in 12 diocesi che comprendevano più province. Tentò di consolidare le finanze stabilendo un tetto a salari e prezzi e imponendo un regime di doppia tassazione, sulla proprietà fondiaria e sulla persona.
    Nel 293 creò la cosiddetta “tetrarchia” in base alla quale il potere fu ripartito tra due “Augusti”, lui e Massimiano, e due “cesari”, nella veste di successori designati, Galerio e Costanzo Cloro. In questo modo veniva inaugurata l’epoca del dominato (da dominus, signore). Nel 303, di fronte all’opposizione suscitata dal rilancio del carattere divino del l’imperatore, emanò una serie di editti di persecuzione contro i cristiani. Nel 305, malato, depose il potere con Massimiano a favore dei Cesari.

    La crisi dell’Impero Romano e l’affermarsi del Cristianesimo
    La gestione dell’Impero ideata da Diocleziano (tetrarchia) invece di facilitare il problema della successione lo complicò. Costantino, prevalso tra i pretendenti, rinsaldò il potere centrale, riorganizzò in modo efficiente l’esercito e cercò di porre fine ai conflitti religiosi e culturali.
    Con l’Editto di Milano, con cui si concedevano ampie libertà ai cristiani, il destino dell’Impero cominciò a legarsi a quello della Chiesa. Negli ultimi decenni del IV sec. i Goti, stanziatisi nell’lmpero per concessione dell’imperatore d’Oriente Valente, sconfissero l’esercito romano, penetrarono in Tracia e minacciarono Costantinopoli.
    La pace fu stipulata dal nuovo imperatore d’Oriente, Teodosio e i Goti si allearono all’Impero fornendo sempre più soldati all’esercito romano. Teodosio e Graziano (imperatore d’Occidente), con l’Editto di Tessalonica, fecero del Cristianesimo l’unica religione dell’Impero. Alla morte di Teodosio, il generale vandalo Stilicone, al servizio di Roma, non riusci a impedire l’invasione dei Goti e la nascita del primo Regno barbarico nelle Gallie.
    Nel 410 il visigoto Alarico saccheggiava Roma. Anche i Vandali e gli Unni invasero l’Impero, che nessun imperatore seppe risollevare.
    Nel 476 il capo dell’esercito barbaro Odoacre depose l’ultimo imperatore d’Occidente Romolo Augustolo.

    L’Impero di Costantino e la diffusione del Cristianesimo
    Dopo l’abdicazione di Diocleziano e Massimiano sembrò funzionare il meccanismo della tetrarchia: i due Cesari divennero Augusti e nominarono altri due Cesari.
    Alla morte di Costanzo Cloro si scatenò la lotta alla successione. Tra tutti i pretendenti prevalsero in Occidente il figlio di Costanzo Cloro, Costantino (che sconfisse il rivale Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio a Roma nel 312) e in Oriente Licinio (nominato da Diocleziano, intervenuto per calmare i contrasti).
    Nel 313 i due imperatori, incontratisi a Milano, emanarono un Editto, con il quale concedevano libertà di culto ai cristiani e promulgavano leggi in loro favore. Quando Licinio prese a perseguitare di nuovo i cristiani, Costantino gli mosse guerra e nel 324, sconfittolo, divenne unico imperatore e trasferì la capitale a Bisanzio, chiamandola Costantinopoli. Rese quindi più efficiente l’esercito e ampliò l’apparato burocratico, inoltre la figura dell’imperatore fu definitivamente assimilata a quella del sovrano assoluto di stampo orientale, circondato da un’aura sacrale.
    Dopo aver sconfitto i Goti nel 332 Costantino morì nel 337 mentre si preparava ad affrontare i Persiani. Nei confronti del Cristianesimo egli aveva adottato una politica sempre più favorevole, arrivando a esortare i sudditi orientali ad abbracciare questa religione e affidando ai cristiani incarichi nell’esercito e nella pubblica amministrazione.

    Il Cristianesimo e i motivi delle persecuzioni
    Le prime comunità cristiane erano sorte in seguito alla predicazione di Gesù Cristo (vissuto ai tempi di Augusto e Tiberio), degli apostoli e alla predicazione itinerante di Paolo di Tarso.
    I centri cristiani più importanti furono Antiochia Corinto, Efeso, Alessandria e Roma. La penetrazione nell’Impero romano non fu arrestata nemmeno dalle periodiche persecuzioni scatenate dagli imperatori (tra cui Nerone, Domiziano, Decio, Valeriano e Diocleziano).
    Le ragioni delle persecuzioni erano varie: la preoccupazione delle autorità politiche per la forza persuasiva delle comunità cristiane che, con la loro organizzazione gerarchica, apparivano come uno “Stato nello Stato”; il rifiuto dei cristiani di riconoscere la divinità dell’imperatore; l’inquietudine dell’opinione pubblica che vedeva nella crisi dell’Impero una vendetta degli dei. Le cose cambiarono con Costantino e Teodosio, quando il Cristianesimo divenne elemento costitutivo dell’Impero.

    Da Giuliano a Teodosio
    Alla morte di Costantino gli succedettero i tre figli Costante, Costanzo e Costantino II. Costanzo, prevalso sui fratelli, scelse come successore Giuliano, il generale che aveva sconfitto gli Alamanni nel 357.
    Questi, circondatosi di intellettuali e filosofi pagani cercò di escludere i cristiani dalle cariche dirigenziali e tentò di restaurare il paganesimo (i cristiani lo soprannominarono l’Apostata, cioè il Rinnegatore, poiché aveva abbandonato la religione cristiana). Per acquistare prestigio presso il popolo progettò di eliminare totalmente l’Impero persiano ma morì in battaglia. Verso la fine del IV sec. i Goti, spinti dagli Unni, arrivarono al confine danubiano e chiesero di essere ammessi nell’Impero.
    Valente, imperatore d’Oriente, accettò, sperando di utilizzarli nell’esercito ma i continui saccheggi nelle regioni imperiali portarono alla guerra. Nel 378 a Adrianopoli, in Tracia, l’esercito romano fu duramente sconfitto. I Goti dilagarono allora in Tracia, saccheggiando e distruggendo. Graziano, già imperatore d’Occidente, rimase sul trono, mentre in Oriente fu eletto imperatore un generale spagnolo, Teodosio (379).
    Invece di continuare a combattere, Teodosio contrattò la pace, i Goti divennero alleati dell’Impero, sposarono donne romane ed ebbero incarichi dirigenziali. Graziano e Teodosio, nel 380, promulgarono l’Editto di Tessalonica, con il quale il Cristianesimo diventava l’unica religione dell’Impero e veniva cancellata ogni usanza pagana (sacrifici, giochi olimpici, templi).

    Il crollo dell’Impero d’Occidente
    Morto Teodosio, unico imperatore dalla morte di Graziano, gli succedettero i figli Arcadio (a Oriente) e Onorio (a Occidente) che, ancora giovani, furono affidati al generale di origine vandala Stilicone.
    I Goti, controllati tramite concessioni di terre e denaro, divennero sempre più esigenti e decisero di penetrare in Italia guidati da Alarico. Stilicone, nonostante li avesse sconfitti, patteggiò la pace. Altri barbari premevano in Gallia e Spagna: Svevi, Alamanni e Vandali. La classe dirigente, trasferita la capitale a Ravenna e fatto uccidere Stilicone, cercò di affrontare gli invasori.
    Alarico, nel 410, saccheggiò Roma; il suo successore, Ataulfo, fondò nelle Gallie il primo Regno barbarico e sposò la sorella di Onorio. Nel frattempo, i Vandali di Genserico conquistarono Cartagine, impadronendosi della provincia d’Africa (429).
    Nel 430 l’Impero d’Occidente era costituito dall’Italia, da parti della Gallia e da poche terre nei Balcani. All’inizio del V sec. fecero irruzione in Europa, saccheggiando molte città orientali, gli Unni, popolazione asiatica guidata dal feroce Attila. Il generale romano Ezio, alleatosi con i Visigoti, li affrontò e sconfisse ai Campi Catalaunici, nella Francia del nord (451).
    Quando Attila tornò in Italia, l’anno seguente, devastando il Veneto, gli fu mandato incontro il papa Leone I, per contrattare la pace. Colpiti dalla peste, gli Unni si ritirarono e Attila morì nel 453 in annonia. Cessato il pericolo degli Unni, l’Impero era ormai stremato. Capo effettivo, nonostante l’imperatore fosse Valentiniano III, discendente di Teodosio, era il generale Ezio.
    Morto Valentiniano III (455) i Vandali devastarono Roma spogliandola di tutte le sue ricchezze. Dopo un periodo in cui regnarono vari imperatori controllati dal barbaro Ricimero, il patrizio Oreste fece proclamare imperatore il figlio Romolo Augustolo.
    Dopo pochi mesi, costui fu deposto da Odoacre, capo dell’esercito barbaro al servizio dell’Impero, che accettò da Zenone, imperatore d’Oriente, di governare l’Italia. Di fatto era la fine dell’Impero d’Occidente.(476)

    Economia e società nell’Impero Romano
    La fine delle guerre civili e l’instaurazione da parte di Augusto del regime imperiale sono i presupposti politici fondamentali per comprendere l’evoluzione economica dei secoli successivi. L’unità imperiale e i lunghi periodi di pace interna che i successori di Augusto riuscirono a garantire allo Stato romano consentirono una grande crescita della produzione e della circolazione di beni, sia a livello locale e regionale sia nell’ambito del grande commercio.
    Le attività economiche si svolsero infatti all’interno di una cornice unificante costituita da un forte govemo centrale, da un comune sistema monetario e fiscale e da un orientamento generale teso a superare le diversità etniche e culturali dell’lmpero, che culminò nel 212 con la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti (Constitutio Antoniniana di Caracalla). La mobilità sociale, cresciuta anche all’intemo, ebbe un ruolo importante nell’economia. Il numero sempre maggiore di liberti alimentò un nuovo ceto di piccoli borghesi, artigiani, mercanti, banchieri e poi funzionari dello Stato. Il dispositivo militare, collocato in epoca imperiale lungo le frontiere, oltre ad alimentare scambi economici, provocò nuovi stanziamenti e offri possibilità di vita decorosa e anche di carriera a molti soldati.

    Evoluzione economica nell’Impero
    A partire dal I sec. si possono delineare nell’Impero diverse aree economiche. In Italia la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, il Settentrione; in Oriente la Grecia, Creta, la Cirenaica, la Palestina, la Siria, la Mesopotamia; in Africa l’Egitto, Tripoli, il Marocco, Cartagine; e inoltre la Gallia, la Britannia, la Germania occidentale. A partire dal II sec., il prezzo delle terre, inferiore a quello dell’Italia, attirò sempre più persone in queste regioni, causando contemporaneamente nella penisola un aumento delle terre incolte e un crescente spopolamento.
    L’unità politica e amministrativa consentì il funzionamento di una complessa e capillare rete di circolazione fra le province di derrate alimentari (soprattutto grano, vino, olio), materie prime e manufatti di ogni genere. L’immenso Impero, esteso su tre continenti e comprendente aree geografiche diversissime, ebbe il suo fattore unificante nel Mediterraneo. Sul grande mare interno gravitavano le poche megalopoli (Roma Cartagine, Antiochia, Alessandria e, dal IV sec., Costantinopoli) le quali non avrebbero potuto sopravvivere senza i rifornimenti transmarini.
    Il modello di civiltà e di rapporti economici esistente da secoli sulle coste del Mediterraneo si estese nelle parti continentali dell’Europa e dell’Africa, notevolmente arretrate al momento della conquista. Fra il I e il II sec. Roma trasformò profondamente queste aree con un’intensa e programmatica opera di “romanizzazione” il cui strumento principale fu la creazione di città.
    Nelle regioni del Maghreb, in Spagna, nell’Europa settentrionale (Gallia e Britannia) e in tutta l’area danubiana l’urbanizzazione comportò la sistematica riorganizzazione dei territori e la trasformazione, spesso profonda, delle loro vocazioni produttive.
    L’estensione del modello sociale ed economico della città mediterranea implicava, infatti, assoluta prevalenza dell’agricoltura, sedentarizzazione delle popolazioni nomadi e seminomadi, contrazione dell’economia pastorale, un articolato sistema artigianale destinato a soddisfare i bisogni delle città, sviluppo dei commerci, adozione generalizzata della moneta negli scambi.
    Crebbero, quindi, i legami fra centro mediterraneo e periferie continentali, divenne intensa la circolazione delle merci e delle persone, e si fecero complessi i rapporti economici nei quali si inserirono anche le popolazioni barbariche.

    Cambiamenti politici e cambiamenti economici
    Mentre nel I sec. terminò la supremazia agricola e commerciale che l’Italia aveva esercitato nei secoli precedenti, crebbero le esportazioni (olearie e vinarie soprattutto) della Gallia meridionale, della Tarraconense e della Betica.
    Col sec. III iniziò per queste province una fase di regresso economico e subentrò una nuova egemonia, quella africana, fondata sull’esportazione dell’olio e, collateralmente, di ceramiche. Caduto l’Impero d’Occidente e occupata l’Africa dai Vandali nella prima metà del V sec., iniziarono a prevalere nel Mediterraneo le esportazioni di merci e derrate provenienti dalle province dell’Egeo, dell’Asia Minore e dell’area siropalestinese.
    In generale, si può dire che l’economia seguì i tempi della politica. Considerato il lungo arco dell’età imperiale, i secoli I e II furono interessati da un generale movimento espansivo che rallentò ed entrò in crisi nella seconda metà del sec. III, quando l’Impero fu scosso da alcuni decenni di insicurezza politica e militare.
    Con l’avvento di Diocleziano anche la compagine produttiva recuperò vigore ma all’interno di una forma autoritaria di governo che interveniva pesantemente nel funzionamento dei meccanismi economici per mezzo della fiscalità. Il IV sec. segnò in complesso un momento di recuperata floridezza che cominciò a declinare in Occidente a seguito delle invasioni barbariche del V sec. e seguirà, sia pure con recuperi parziali un andamento discendente sotto i Regni romano-barbarici dei secoli. Vl-VII.

    Società e mobilità sociale
    In età monarchica e repubblicana la società era formata da pochi ceti prevalenti, i patrizi (che alimentavano l’esercito e il ceto dirigente), i plebei (soprattutto contadini) e gli schiavi. Al tempo di Augusto i cittadini più in vista potevano percorrere il cursus honorum, aspirando alle cariche più alte, coloro che possedevano almeno 400 000 sesterzi, per diritto di famiglia o per concessione dell’imperatore, potevano invece aspirare alla carriera equestre (i cavalieri erano inizialmente formati da coloro che potevano armarsi per combattere a cavallo) e diventare governatori di province minori e amministratori del fisco. Il patrimonio dava quindi la possibilità di aspirare a una classe sociale più elevata.

    Esercito e mobilità sociale
    Inizialmente potevano far parte dell’esercito solo i patrizi che potevano permettersi di comprarsi armi e armature.
    Un importante cambiamento fu introdotto da Mario che ammise nell’esercito anche volontari nullatenenti e distribuì terre ai suoi veterani. In questo modo, molti poveri cittadini, arruolandosi in un esercito professionale, trovavano un mezzo di sostentamento.
    Con Augusto questa possibilità fu aperta anche ai provinciali che, arruolandosi, diventavano cittadini romani e potevano fare carriera. In età imperiale inoltre molte truppe furono stanziate ai confini dell’Impero e con Adriano cominciarono a essere arruolati anche alcuni barbari.
    Molti soldati, dopo la ferma, si trasferivano nelle regioni vicine, provocando un certo spopolamento soprattutto in Italia; molti accampamenti, inoltre, costituirono il nucleo di future città.

    La mobilità dei liberti
    Fin dall’età repubblicana uno schiavo meritevole poteva essere “affrancato”, cioè liberato (pur mantenendo un vincolo di fedeltà al padrone) e diventare liberto, a tutti gli effetti un cittadino romano.
    La presenza dei liberti fu un elemento di dinamismo economico in quanto molti di essi, abili e intraprendenti, facevano fortuna in attività artigianali, culturali o finanziarie (banchieri, mercanti).
    Sotto Claudio molti liberti acquistarono influenza negli affari statali, poiché inquadrati nell’apparato burocratico dello stato.

    La romanizzazione e il valore della cittadinanza romana
    Erano cittadini di diritto i figli legittimi di un cittadino o i figli naturali di una cittadina. Potevano diventarlo, invece, gli schiavi affrancati o intere popolazioni assoggettate quando Roma lo avesse deciso. Dopo la guerra sociale il senato fu costretto a concedere la cittadinanza a tutta l’Italia.
    Progressivamente, in età imperiale, la cittadinanza fu estesa a molte province e, nel 212, a tutti gli abitanti. Ma quale valore aveva diventare cittadini romani? Innanzitutto i cittadini non erano sottoposti a tortura o fustigati e potevano essere condannati a morte solo da un’assemblea cittadina e non da un semplice magistrato.
    Inoltre, solo i cittadini avevano diritti politici e potevano aspirare a far parte della classe dirigente. In età imperiale molti funzionari, senatori, consoli e anche imperatori (es. Traiano) furono di origine provinciale.
    Concedendo la cittadinanza, Roma assimilava le popolazioni sottomesse e soprattutto legava a sé le loro classi dirigenti. Questo spiega perché durante l’Impero, a differenza dell’età repubblicana, furono rare le rivolte dei popoli vinti.

    BIBLIOGRAFIA: Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse – Tutto Storia De Agostini

  • Persiani: attività, sviluppo e religione

    Attività del popolo persiano

    Il popolo persiano ha sviluppato numerose e differenti attività. Abile nella lavorazione della pietra, dei vasi e della ceramica, era conosciuto anche per la lavorazione dell’oro e dei preziosi. Dal punto di vista archeologico risulta interessante il Tesoro di Saqquiz , di epoca scita, ricco di sculture bronzee, riproducenti fedelmente la realtà e le espressioni della vita quotidiana.

    In particolare si sviluppò l’arte sasanide che era caratterizzata dal dinamismo e dal realismo delle figure rappresentate.

    Dal punto di vista urbanistico, realizzarono templi caratteristici. Le case erano costituite da un cortile interno, secondo il modello ” ivan “, diffuso nel mondo, in particolare nel periodo sasanide.

    Le città persiane (Ectabana, Persepoli, Pasargade, Ctesifonte ed Ecatompilo) erano ricche e caratterizzate da imponenti costruzioni e palazzi. Assieme ai Fenici ed agli Egiziani hanno attivato il canale di Suez.

    Per la conformazione geografica e la posizione del loro territorio, erano ottimi mercanti. Hanno sviluppato un buon sistema viario e fondato il sistema delle carovane e delle stazioni di servizio e di cambio. Per la navigazione si servivano prevalentemente dei Fenici, anche se compirono grandi imprese marittime, quali l’aver coperto la rotta dall’India al Mar Rosso in poco tempo.

    Dal punto di vista bellico non erano molto organizzati strategicamente, perché gli eserciti erano strutturati secondo i paesi di provenienza, ma utilizzavano correttamente il carro da guerra e la cavalleria. Tale carenza organizzativa fu sfruttata in pieno da Alessandro Magno, nella disfatta dell’Impero Achemenide.

    Dal punto di vista legislativo seppero erigere un valido sistema ed una buona organizzazione. Nel campo della sovranità seppero amministrare con lungimiranza, rispettando gli usi e le tradizioni dei popoli sottomessi. In questo modo seppero sviluppare una splendida arte ed una buona letteratura.

    Sviluppo

    Dal 700 a.C. al 651 d.C. i persiani furono i proprietari di un estesissimo impero, approfittando all’inizio della debolezza mesopotamica e poi contendendo il potere prima con Roma e successivamente con Bisanzio. Il loro ricchissimo regno andava dall’Egitto, dalla Nubia e dall’Etiopia, all’inizio dell’India, dalla Tracia, Grecia orientale e dall’Asia Minore, all’attuale Afganistan, dal Caucaso al Mar Caspio.

    Religione

    Nel corso dei 3 millenni di regno in territorio persiano si svilupparono numerose religioni quasi tutte a carattere monoteista.

    Durante la sovranità achemenide si mostrarono tolleranti verso l’ebraismo, in quanto era una religione monoteista, che in un certo senso si ricollegava alla loro.

    Successivamente questa venne perseguitata assieme al cristianesimo, in quanto era vista come un potenziale avversario delle religioni di stato.

    Anche il cristianesimo subì delle modificazioni in Iran. Nacquero il nestorismo, secondo la quale Cristo aveva sia la natura divina che quella umana, ed il monofismo, imperniato su una sola natura. Inoltre venne indetto un concilio cristiano a Seleucia, in cui si fondò la Chiesa Iranica che prese le distanze da quella di Costantinopoli.

    Nel corso dei secoli si svilupparono le seguenti religioni principali:
    Mazdeismo
    Zoroastrismo
    Manicheismo

    Mazdeismo
    Questa religione è stata quella a lungo più venerata nell’impero persiano. Essa nacque nel periodo achemenide ed era legata anche al potere che la classe sacerdotale gestiva nella struttura sociale.

    Il grande dio era Ahuramazdah, creatore di tutto. E’ lui che guida gli atti del re, a cui ha dato direttamente il potere. Tuttavia bisogna precisare che la Persia degli achemenidi non era uno stato fondato sulla religione, cioè integralista, come avverrà per i califfi arabi che regneranno al posto dei persiani.

    Vi sono altre divinità: Mitra (sole) che verrà venerato anche dai romani; Mah (luna), Zam (terra), Atar (fuoco), Apam Napat (acqua), Vayu (vento). Questo modello religioso si sviluppa con Dario a cui il potere è conferito da dio stesso. Si tratta di divinità legate alla natura ed alle esigenze primarie degli iranici.

    Con Antaserse II assistiamo alla presenza di questa trinità: Ahuramazdah, Mitra, dio del sole, dei contratti (legato al commercio) e della redenzione, Anahita, dea delle acque, della fecondità e della procreazione.

    I Persiani veneravano le loro divinità con sacrifici di sangue, secondo l’influenza indo-iranica. Tra i sacerdoti ricordiamo la classe particolare dei magi, di origine meda, che era l’espressione di una religiosità di tipo sciita, la quale svolgeva un’attività a parte rispetto agli altri sacerdoti e deteneva un fortissimo potere presso la corte. Rappresentavano una comunità isolata che praticava il matrimonio tra consanguinei e non usavano l’inumazione dei cadaveri, come avveniva tra i Persiani, ma li esponevano all’aria per essere escarnificati.

    Essi credevano nel BENE e nel MALE. Essi preparavano l’haoma, una pozione inebriante impiegata durante i riti religiosi. Dal commercio di tale bevanda traevano numerosi proventi economici. Inoltre i magi custodivano le tombe reali, educavano la gioventù maschile, interpretavano i sogni, celebravano i sacrifici, prendevano parte all’incoronazione reale presso Pasagarde. Si osservi come molte pratiche dei magi saranno simili a quelle celtiche. Ciò è dovuto alla comune origine della religione nel popolo scita.

    I Persiani non avevano numerosi templi, ne ricordiamo tre: a Pasargade, realizzato da Ciro, a Susa, costruito da Antaserse II ed a Naqs-i Rustam, eretto da Dario. La maggior parte delle cerimonie religiose veniva praticata all’aria aperta, su altari poste in campagna.

    Alcuni imperatori achemenidi eressero alcune statue alle divinità, come è avvenuto ad Ectabana o presso Babilonia per la dea Anahita.

    Non si tratta di una religione monoteista, ma è indubbio che il ruolo principale è svolto da Ahuramazdah.

    Nel periodo partico il culto della dea Anahita, conosciuta anche come Artemide, occupò un ruolo principale. Sorsero numerosi templi in tutto l’impero dedicati a questa divinità: Arsak, Ectabana, Kengavar, Susa, Istahr, Siz. In questo periodo ebbero un forte sviluppo anche i magi, che gestirono un potere in tutto l’impero.

    Il dio Mitra conobbe una rapida diffusione nell’impero romano nel periodo di dominazione di Pompeo in oriente. Egli, infatti, riportò numerosi prigionieri a Roma che trasmisero la propria religione.

    Zoroastrismo
    Il profeta Zoroastro o Zarathustra, originario della Media, riformò il Mazdeismo. Egli andò via dal suo paese e si rifugiò in Iran Orientale ove trovò numerosi proseliti, tra cui viene annoverato il principe Histape, padre di Dario. La popolazione locale era continuamente esposta al pericolo delle invasioni delle popolazioni nomadi, per cui era ben disposta ad accettare una nuova religione basata sulla redenzione.

    La morale zoroastriana si basa sulla triade “buon pensiero, buone parole, buone opere”.

    Secondo Zoroastro il mondo era retto da due principi: il BENE ed il MALE. Il primo si identifica in Ahuramazdah, aiutato da altre divinità ispirate alle forze della natura, il secondo nello spirito malefico Ahriman. I due spiriti hanno ingaggiato una lotta, interpretata come la lotta tra il pensiero e l’intelligenza, terminata con la vittoria dello spirito buono.

    Siamo di fronte ad un “monoteismo imperfetto”, in quanto è presente solo il bene. Anche l’umanità partecipa a questa lotta, in quanto è divisa tra uomini retti e pii e uomini cattivi ed atei, che seguono due divinità diverse.

    Dopo la morte, ognuno verrà giudicato: i buoni andranno in paradiso, i cattivi subiranno una lunga pena. Vi sarà poi un giudizio universale, secondo il quale tutti subiranno la prova del fuoco.

    L’uomo deve evitare e combattere l’eretico, deve essere buono con gli animali, curarli e trattarli bene. Un buon principe combatte per la religione, difende il popolo, nutre il povero, protegge il debole. E’ considerato cattivo chi è un pessimo giudice, l’uomo che abbandona il campo e colui che opprime gli altri.

    I sacrifici di sangue sono vietati, perché gli animali sono venerati. La bevanda inebriante haoma è anche essa vietata. I morti non possono essere né sepolti, né bruciati, né immersi per non sporcare i tre elementi sacri che sono la terra, l’acqua ed il fuoco. I cadaveri vengono esposti sulle montagne o su torri innalzate a questo scopo: le ossa scarnificate si devono poi racchiudere in ossari che vengono deposti in tombe in muratura o scavate nella roccia.

    Questa religione ha molti punti in comune con il buddhismo, nato in India nello stesso periodo. Entrambi i movimenti nascono dalla protesta contro le pratiche crudeli ed i riti sanguinari delle antiche religioni ariane. Il primo era frutto della classe aristocratica, il secondo era un’espressione del popolo. Per questo motivo il buddhismo si è diffuso molto di più dello zoroastrismo.

    Tuttavia quest’ultima religione venne venerata presso le corti imperiali persiane e speso difesa come religione di stato.

    Manicheismo
    All’inizio della dominazione sasanide, nella regione del Fars erano venerate le divinità Ahuramazdah e Anahita. Il re Sapur I si pose l’obiettivo di creare una religione di stato che potesse esprime il neonazionalismo iranico. Trovò la risposta nel manicheismo che suscitò l’avversione della classe sacerdotale mazdaica e venne distrutto con la scomparsa dell’imperatore.

    Mani, uomo nobile, si professava inviato da dio, al pari di Zaratustra, Gesù e Buddha. Egli si ispirava alle tradizioni iranica, babilonese, buddhista e cristiana.

    Secondo la sua religione, il mondo è formato dalla lotta tra il BENE ed il MALE, luce e tenebre. Nell’uomo l’anima ed il corpo rappresentano rispettivamente la luce ed il corpo: la morale manichea si sviluppa attorno alla liberazione dell’anima dal corpo.

    Quando tutta la luce e tutte le anime tenute prigioniere saranno liberate e saliranno al sole, il cielo e la terra (la materia) crolleranno e si separeranno, mentre il regno della luce durerà in eterno.

    I fedeli si dividono tra eletti ed uditori. I primi si identificano nel clero che è tenuto al celibato, devono astenersi dalla carne ed evitare la cupidigia e la menzogna. I secondi hanno diritto di sposarsi, possono lavorare, devono conservarsi puri e non aspirare alla ricchezza.

    Non sono ammessi sacrifici cruenti né immagini divine, ma preghiere e digiuni. I manichei praticano il battesimo, la comunione e ricevono l’assoluzione prima della morte.

    Il manicheismo subì l’influenza gnostica, in quanto dimostrò un’avversione per l’ebraismo, considerata la religione delle tenebre. Gli inni, di ispirazione babilonese, sono enunciati da Zoroastro; dal cristianesimo vengono presi il dogma della trinità ed alcune parti del Vangelo; i nomi degli angeli erano siriani.

    Sapur I vede la debolezza delle religioni tradizionali iraniche e cerca di contrapporre all’ascesa del cristianesimo e del buddhismo, che nel regno Kusana era divenuta religione di stato, questo nuovo culto, sperando di farlo divenire religione di stato.

    Il mazdeismo si trovò minacciato all’interno, nonché stretto all’esterno dalle altre religioni monoteiste. Alla morte di Sapur I, si diffusero violente persecuzioni contro tutte le religioni, in particolare contro il manicheismo. Mani venne sottoposto a giudizio e condannato al supplizio. I suoi fedeli lasciarono l’Iran e si recarono in Asia centrale, la Siria e l’Egitto, dove diffusero la propria religione. Essa conobbe un discreto successo in Cina (dove si diffuse anche il cristianesimo nestroriano), Mongolia e Nord Africa, dove venne combattuto da S. Agostino. Da qui il manicheismo si diffuse nel sud della Francia, dando vita alla seta purista dei Catari, che nel 1200 venne combattuta aspramente dai cattolici che ne massacrarono tutti i proseliti.

    Con l’imperatore Narsete il manichiesmo conobbe un nuovo periodo di successo, in quanto fu posto in contrapposizione con il cristianesimo che si stava diffondendo in Mesopotamia, finchè lo zoroastrismo non lo annientò definitivamente in Iran, divenendo religione di stato.

    Bibliografia
    “La civiltà persiana antica”, Roman Ghirshman, Einaudi 1972

  • Persiani: i Sasanidi

    Questa dinastia si sviluppò nella provincia del Fars, posta nell’Iran sud-occidentale. Il fondatore della dinastia è Sasan, un preposto al tempio di Istahr. Suo figlio Papak, con un colpo di stato prende il potere nel 208 d.C.. Suo figlio Ardasir, ucciso il fratello Sapur, prende il potere e conquista quasi tutta la Persia.

    Artabano V gli oppone un esercito, che presso Susa venne sconfitto (224). In tale circostanza il re dei parti perse la vita. Ardasir venne incoronato a Ctesifonte.

    Dopo cinque secoli e mezzo la corona torna ai persiani. La dinastia Arsacide si coalizza con il re d’Armenia Cosroe I e con il re dei Kusana, che aveva chiamato in aiuto gli Sciti ed aveva ricevuto il sostegno dei romani. Ardasir sbaraglia la coalizione, male addestrata e coordinata. E’ padrone di un impero che va da Merv all’Eufrate, da Herat al Seistan (praticamente Iraq, Iran, Pakistan). Solo l’Armenia continua la lotta.

    I Sasanidi formano un esercito regolare (sarà questa la loro forza) ed amministrativamente fondano il loro stato su un sistema feudale, secondo le precednti usanze partiche. Il regno sasanide è stretto in una morsa che vede ad oriente il regno dei Kusana, ad occidente i Romani ed al nord l’Armenia.

    Sale al trono Sapur I che regola subito la questione orientale, invadendo il regno dei Kusana. Viene presa la capitale Peshawar, la Bactriana, Samarcanda ed il Taskent. La dinastia indiana fondata da Kaniska viene deposta ed al suo posto subentra un re di area sasanide che si pone a capo di un regno vassallo della Persia. Questa vittoria è celebrata nei bassorilievi del tempio di Naqs-i-Rustam.

    Si occupa poi della questione occidentale, invadendo la Siria e prendendo Antiochia. La morte dell’imperatore Gordiano a Roma e l’ascesa al trono capitolino di Filippo l’Arabo portano alla pace il re sasanide che annette al suo regno la Mesopotamia e l’Armenia (244).

    Nel 260 Sapur conquista numerose città siriane e presso Odessa sconfigge i romani, facendo prigioniero l’imperatore Valeriano e 70.000 legionari deportati in Iran, nel Khuzistan dove fonderanno diverse città, la cui pianta era basata sui castra romani. Questo successo è stato ricordato sulle pareti rocciose del Fars da sculture che rappresentano l’imperatore ai piedi del “Re dei Re”. L’impero sasanide conosce un particolare splendore, la scienza, la filosofia e l’arte si diffondono nel regno. Sapur favorisce la diffusione della religione manichea, ispirata da Mani e legata al zoroastrismo, come religione universale allo scopo di isolare la potente casta sacerdotale mazdaica.

    Alla morte del re (272), Mani viene giustiziato dal successore Bahram I, segno che il processo religioso introdotto da Sapur era fallito.

    Dal 276 al 293 sale al trono Bahram II, che sigla un accordo con Roma che prevede la cessione della Mesopotamia settentrionale e dell’Armenia e si getta nella lotta ad oriente contro il fratello che aveva provocato una ribellione.

    Sotto il regno di Narsete, succeduto a Bahram III che aveva regnato pochi mesi, i sasanidi conoscono nuove sconfitte ad opera dei romani: in un episodio la famiglia reale cade in mano ai legionari. Tuttavia non subisce sensibili perdite di territori. Ad oriente si unisce ai Kusana, combinando un matrimonio tra sua figlia ed il re locale.

    Dopo un periodo di disordini sale al trono il giovanissimo Sapur II che regna dal 309 al 379. Sicuramente fu uno dei più importanti regnanti sasanidi. Annette il regno Kusana al proprio impero entra in contatto con la Cina ove diffonde la cultura iranica.

    Riprende la lotta contro Roma ad occidente e solo dopo l’uccisione dell’imperatore Giuliano, riprende la Mesopotamia. Successivamente annette all’impero l’Armenia. Di nuovo ad oriente fronteggia un invasione dei Chioniti e degli Eftaliti, ridicendoli a confederazione indiana.

    L’ascesa al trono romano di Costantino favorisce la diffusione del cristianesimo nell’impero romano. Questa religione viene praticata anche in Armenia ove Sapur II la perseguita. Dunque nuovamente l’Armenia è dilaniata da lotte interne delle due fazioni: romana e iranica.

    Alla morte di Sapur II segue un secolo di crisi dove la monarchia perde potere e diventa ostaggio della classe nobile che gestisce un enorme potere.

    Nel 389 Bahram IV si accorda con Roma per dividere l’Armenia: all’Iran spetteranno i 4/5 della provincia. Intanto continuano le persecuzioni cristiane che cesseranno sotto il regno di Yezdgerd I, sposato ad un’ebrea, che addirittura convoca un concilio a Seleucia. In questo periodo si assiste ad episodi di repressioni dei cristiani contro i seguaci di Zoroastro. Intanto nel regno dei Kusana, i Chioniti e gli Eftaliti riprendono il potere minacciando l’India.

    Bahram V (421-438) riprende il potere aiutato da un principato estero arabo. E’ il primo caso di ingerenza esterna alle questioni iraniche. Questo sovrano passerà alla storia come amante dell’arte e del saper vivere. Sarà oggetto di leggende e di tradizioni popolari. A lui si dovrà la nascita della chiesa iranica che si sottrarrà dall’influenza di Bisanzio. Assieme ai romani costruirà delle fortificazioni nel Caucaso per fronteggiare le invasioni delle popolazioni nomadi, in particolare degli Unni, che nel 395 avevano invaso l’Armenia e la Siria.

    Yezdgerd II (438-459) continua nella lotta contro gli Eftaliti e, fervente seguace di Zoroastro, perseguita e deporta cristiani ed ebrei. Le persecuzioni, specialmente contro gli ebrei, continuano con Peroz (459-484), che porterà il paese sull’orlo della crisi, dovendo fronteggiare le invasioni orientali e numerose carestie. In questo periodo i cristiani si dividono in nestoriani, che vedono in Cristo due nature (divina ed umana) e monofisti che vedono una natura. In questo periodo vi sono numerose prove che dimostrano come i Bizantini avessero pagato gli unni per indebolire il regno sasanide con continue invasioni. Peroz perderà la vita per mano degli Eftaliti che si inseriranno nella dinastia reale.

    Dopo vari tentativi, nel 488 sale al trono sasanide Khavad (488-531), di ispirazione eftalita. Questi segue una politica popolare, ispirata alla filosofia mazdakista.

    Secondo il filosofo iranico Mazdak, seguace di Mani, il popolo doveva evitare l’odio e la lotta. Ad esso spetta l’uguale distribuzione delle ricchezze. Questa sorta di comunismo iranico si oppone profondamente al sistema sociale sasanide, basato su classi chiuse, su una disomogeneità nella distribuzione delle ricchezze, su una forte presenza di schiavi. Khavad si fa portavoce di questa filosofia, ma subisce un complotto. Si rifugia presso gli Eftaliti e riprende il potere, con l’aiuto esterno. Una volta rinsediato sul trono, non segue più il mazdakismo: tutti i suoi seguaci vengono massacrati e tale filosofia troverà accoglienza presso gli Arabi.

    Lotta con Bisanzio prima e con gli Unni poi, ottenendo alcuni successi. Intanto tra i cristiani si diffonde il nestorismo.

    Cosroe I (531-579) riporta l’ordine nel proprio regno. Si attivano diverse riforme nell’amministrazione: nasce il catasto, nascono delle nuove imposte più eque basate sulla classe sociale, l’educazione giovanile ha un nuovo ordinamento, si ricostruiscono villaggi e si migliora il sistema dei canali e delle strade, si realizzano imponenti fortificazioni ai confini, l’esercito ha un nuovo ordinamento che vede 4 comandanti e la formazione di contadini-soldati che difendono più tenacemente il proprio territorio.

    Nel 540 viene presa la Siria e ricostruita Antiochia, copiando Ctesifonte. Al sud viene annesso lo Yemen e, ad oriente, il regno degli Eftaliti è ridotto a stato vassallo. Inoltre la Mesopotamia e l’Armenia entrano a fare parte dell’impero sasanide. Questo regno vede la debolezza di Bisanzio ed è ricordato come il più florido e vasto per i Sasanidi.

    Hormuzd IV (579-590) tenta di continuare l’opera del padre e promuove come sudditi anche i cristiani, suscitando il malcontento dei zoroastriani. Sotto il suo regno si assiste all’opera del valoroso condottiero Bahram Ciobin che riporta vittorie contro gli Unni ed i turchi, ma subisce sconfitte ad opera dei Bizantini. Il re cadrà vittima di una congiura.

    Consroe II (590-628) vedrà una congiura dello stesso Bahram Ciobin. Per questo chiederà aiuto all’imperatore Maurizio, che in cambio prenderà l’Armenia e parte della Mesopotamia. Nel 610, alla morte dell’imperatore di Costantinopoli, il re sasanide si riprende i territori concessi ai bizantini, nonché il Bosforo, Cesarea, la Cappadocia, la Siria e Gerusalemme ove uccide 50.000 cristiani. Nel 616 prende l’Egitto e parte dell’Etiopia. L’impero sasanide raggiunge i confini che aveva avuto con gli achemenidi. Inoltre viene presa l’Asia Minore e si pone l’assedio a Costantinopoli.

    L’imperatore romano Eraclio passa al contrattacco e si riprende l’Asia Minore, l’Armenia e, con l’aiuto dei Khazari, assedia Ctesifonte. Consroe II è ucciso e viene siglata la pace. Questo sovrano aveva sottoposto i sudditi a pesanti tributi ed aveva perseguitato i cristiani. Sotto il suo governo si assiste ad una crisi demografica del popolo iranico dovuta al fatto che tutti i maschi erano andati al fronte e la maggior parte vi aveva perso la vita.

    Dopo 12 anni di lotte di potere sale al trono l’ultimo re della dinastia sasanide, Yezdgerd III. Ormai la forza dei sasanidi è cessata, la classe nobile è vittima di continue lotte intestine. Ne approfittano gli Arabi che nel 651, presso Merv, uccidono il re e dissolvono l’impero persiano durato oltre 30 secoli.

    Nella vita economica ha più spazio l’agricoltura che il commercio, a causa del feudalesimo diffuso nell’impero. La moneta (dirhem) ha un vasto impiego. Comunque la posizione geografica del paese consente una ricchezza elevata soprattutto nelle mani dei signori locali.

    L’arte sasanide conosce un periodo di splendore, soprattutto nel bassorilievo. Anche nell’urbanistica si assiste ad un certo sviluppo, in particolare nella tecnica dove venivano impiegate scaglie di pietra. Si pratica l’uso della volta a botte su vasta scala.

    Affreschi si praticano presso tutti i palazzi nobili, specialmente a Ctesifonte. Le immagini riprendono una immobilità che fu degli achemenidi.

    Si diffonde l’uso della ceramica.

    Società, Amministrazione ed Attività
    Le classi sociali sasanidi si articolano su gruppi ben distinti, separati tra loro e articolati su una struttura piramidale al cui vertice c’è il re.

    Seguono i principi vassalli, minori di numero a quelli presenti in epoca partica. Quelli delle periferie gestivano anche meno potere. Tutti erano comunque obbligati a fornire un contingente militare.

    Vi sono poi i sette capi delle grandi famiglie , il cui numero è stato fissato in epoca partica. Queste provvedevano alle necessità dei nobili ed in cambio gestivano un certo potere locale.

    La classe dei nobili e dei grandi fungeva da interfaccia tra il popolo ed i nobili. Questa costituisce una nuova classe rispetto al periodo partico; è la nuova forza del regno. Da essa si attinge per ministri, amministratori, generali.

    La classe degli uomini liberi era rappresentata dai nobili terrieri e capi di villaggi. Essi rappresentano il collegamento con lo Stato.

    Vi sono infine i contadini, veri servi della gleba, la cui vita aveva poca importanza e veniva venduta assieme alla terra.

    Nell’amministrazione il posto più alto era occupato dal primo ministro, o gran visir , che svolgeva le mansioni dell’imperatore in sua assenza. Vi erano poi i ministri (diwan) e gli agenti ed i funzionari contabili addetti alla riscossione delle entrate. Inoltre vi erano i generali che gestivano un forte potere e rispondevano direttamente all’imperatore.

    L’esercito era addestrato ed organizzato non più in base al paese di provenienza. Venivano impiegate la fanteria, la cavalleria ed i reparti corazzati, con l’uso degli elefanti. La sua potenza ed efficienza non erano inferiori a quelle dei Romani.