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  • Babilonesi: lo sviluppo babilonese

    Sviluppo babilonese

    Il regno di Babilonia conobbe il suo splendore con Nabopalassar, come già detto, che nel 626 a.C., unì le tribù caldee, si alleò con i vari regni limitrofi, nonché con la Media e mosse guerra all’Assiria. Probabilmente egli stesso era un caldeo e per questo fu accettato da tutti. Proseguì le gesta di Merodach Baladan, ricordato da tutti i caldei.
    Nel 614 a.C. e nel 612 a.C. caddero Assur e Ninive e, dopo la capitolazione della nuova capitale Harran nel 610 a.C., l’Assiria fu divisa tra medi e babilonesi.
    Nabonassar fa eseguire opere di ammodernamento nelle varie città, non assoggetta i vari popoli, ma li considera alleati, in quanto non si ritiene re, ma pastore di popoli, infine, getta le basi per la fondazione di un impero. In particolare nella località di Karkemish, in Siria, nel 606 a.C., con l’aiuto del figlio Nabucodonosor, sconfigge gli egiziani, che si erano coalizzati con Israele e Fenicia. Da questo momento gran parte del medio oriente è sotto il controllo babilonese, anche se dovranno essere combattute altre guerre e dovranno passare altri anni. Si arriverà al 601 a.C., quando gli egiziani abbandoneranno definitivamente l’area siro-palestinese.
    A questo punto si sviluppano le vie dei commerci e si forma sempre più ricchezza, con conseguenze positive per l’urbanizzazione ed anche per la cultura babilonese.
    Dal 605 a.C. al 562 a.C. regnerà Nabucodonosor II, dipinto dai testi biblici come lucifero, in quanto responsabile della deportazione ebrea a Babilonia.
    A questo proposito, aggiungiamo che la stessa città ci viene rappresentata come un luogo di peccato e degno di distruzione, in base alle profezie di Isaia e Geremia. A Babilonia si associa l’episodio biblico della Torre di Babele, in cui Dio porta tra gli uomini la confusione (da cui il termine babele), per evitare la costruzione della torre che li avvicini alla divinità.
    Queste mmagini ci fanno capire che sicuramente all’epoca Babilonia rivestiva un ruolo fondamentale tra le città del mondo. Tra l’altro rappresentava il cuore della religione orientale, per cui metterlo in cattiva luce significava anche contrapporre una religione monoteista ad una politeista di origini scite.
    Nabucodonosor fonderà un impero che va dall’Egitto alla Persia, attraverso la Palestina e la Siria, dalla Lidia (Asia Minore) al Golfo Persico. Controllerà la Media, in qualità di sposo della figlia del re Ciassarre ed, in qualità di garante di un accordo di pace tra quest’ultima e la Lidia, controllerà anche la stessa Lidia. Questo regno sarà ricchissimo e famoso per la cultura e la scienza. Il re babilonese non sottometteva i popoli conquistati, ma lasciava ai re locali al comando ed al popolo i propri usi e costumi.
    Realizzò un apparato burocratico saldo ed efficiente, basato su collaboratori (gli equivalenti dei ministri) retti e fedeli. Si avvaleva di controllori per monitorare la periferia e controllava anche le attività economiche legate alle proprietà terriere della classe sacerdotale. In poco tempo portò ordine in una situazione caotica, ove comandava solo chi aveva ricchezze. Tuttavia, nel suo regno, l’inflazione era abbastanza alta. Anche la giustizia fu ben amministrata, ribaltando completamente la precedente situazione gestita da una classe ristretta di ricchi. A tale proposito si raccontano casi di condanna esemplare con pene dure, al fine di fornire un monito per chi voleva ripristinare la precedente situazione caotica.
    Molto religioso, non mancava di partecipare alla festa del nuovo anno. Diffuse e rafforzò il culto del dio Marduk: egli non si proclamava re, ma pastore di popoli, servo degli dei.
    Circa l’episodio della deportazione degli ebrei bisogna considerare alcuni aspetti. Nel 609 a.C. il re Giosia, simpatizzante per i babilonesi oppure mosso verso l’indipendeza del suo piccolo regno, si oppone all’avanzata degli egiziani, guidati dal faraone Nicho II, corso in aiuto degli assiri, e muore presso Megiddo. Gli egiziani instaureranno in Israele un re anti-babilonese e formeranno una lega con siriani, palestinesi, fenici ed ebrei. Questo esercito sarà poi sconfitto dai babilonesi, come già detto, presso Karkemish.
    Nel 593 a.C. Gerusalemme, guidata ancora dai filo-egiziani, legati al faraone Psametico II, è assediata dai babilonesi. Il re Joachin, dopo aver resistito, fa atto di sottomissione, ma viene fatto prigioniero e portato a Babilonia con altri notabili ebrei. Tutti verranno trattati bene me riceveranno uno stipendio, in base a quanto è indicato nel racconto di Susanna. Nabucodonosor non nomina un re a lui fedele, ma consente a Sedecia di salire al potere, lasciato ad Israele ampia libertà.
    Nel 587 a.C., nonostante Geremia invitasse il suo popolo alla sottomissione babilonese, c’è una nuova rivolta assieme ai fenici e agli abitanti di Edom. La punizione è esemplare: Sedecia viene portato a Babilonia con la sua famiglia e viene accecato, ne vengono uccisi i figli e vengono deportati circa 5.000 abitanti, tutti artigiani, fabbri, commercianti, che faranno la loro fortuna a Babilonia, sviluppando grandi attività economiche. Inoltre fu proprio a Babilonia che cominciano ad essere composti i primi libri della Bibbia.
    Gerusalemme subisce alcune devastazioni, ma rimane comunque popolata e governata da Ghedalia, nobile giudeo. Considerati i tempi, Nabucodonosor si comportò in modo magnanimo, anche perché non si impose come tiranno, e non vi fu una deportazione di massa del popolo.
    Gli ebrei faranno ritorno a casa solo verso 550 a.C., quando Ciro il Grande, annettendo Babilonia alla Persia, pronunciò un editto in tale direzione. Alcuni ebrei rimarranno nella città mesopotamica perché avevano delle considerevoli attività economiche e commerciali.
    Dal 562 a.C. al 556 a.C. ci saranno tre re babilonesi che si succederanno, alcuni come figli e discendenti diretti di Nabucodonosor, altri come usurpatori:
    Amel Marduk (562-560) figlio del grande re, che restituirà la libertà al re giudeo Joachin, come simbolo della non continuità della politica paterna;
    Neriglissar (560-556) suocero di Nabucodonosor, fa un colpo di tasto in cui muore il re, taglia completamente con la politica del passato, fa opere di abbellimento a Babilonia e Sippar, compie un’incursione militare in Cilicia, comunque mina all’unità del paese mettendo in cattiva luce il grande re;
    Labashi Marduk (556) figlio di Neriglissar, va al potere bambino e perde subito il potere. Nabucodonosor, alla sua morte, aveva preso coscienza che la sua dinastia non avrebbe regnato a lungo.
    Dal 556 a.C. al 539 a.C. regnerà Nabonedo, ultimo re babilonese, salito al potere con un colpo di stato, proveniente dall’Assiria, dalla città di Harran. La storia ce lo tramanda come un re incapace, appassionato di archeologia. Oggi sappiamo che fu vittima di una propaganda effettuata dai persiani, con l’appoggio dei sacerdoti babilonesi, al fine di conquistare il regno senza effettuare guerre. Sostituì la triade divina dei babilonesi con Sin-Shamash-Ishtar, legata ad un culto lunare e più cara agli assiri. Questo non fu motivato solo dalla sua origine, ma anche dal fatto che, accorgendosi del potere sempre più forte dei persiani, voleva ricercare alleati verso ovest. In tal senso, siglò un accordo con Lidia, Sparta ed Egitto. A questo punto è necessario fare un passo indietro.
    Nel 700 a.C. la Persia era divisa in due regioni (Parsumash e Parsa) ed era sotto il dominio della Media. Nel 600 a.C. il re medio Ciassarre riunifica le due regioni, affidando il regno a Cambise che sposerà la figlia di Astiage, nuovo re di Media, e si insedierà nella prima capitale persiana Pasargade. Successivamente venne costruita Persepoli, che diventerà sempre di più la vera capitale persiana. Da questa unione nascerà Ciro II il Grande che governerà dal 559 a.C. al 529 a.C., inventando il modello delle satrapie, che gli consentì di costruire un grande impero (Egitto, Anatolia, Mesopotamia, Arabia, Persia).
    Secondo una leggenda, nata per esaltare la grandezza di Ciro II, Astiage ebbe un sogno nel quale si vedeva ucciso da un giovane re, per cui fece dei tentativi per eliminare il giovane futuro re persiano, senza riuscirci.
    Verso il 550 a.C. Ciro II si allea con Nabonedo (non sembra sicuro) ed insieme prendono la Media. I babilonesi occupano l’Assiria ed i persiani il resto del regno. Successivamente Ciro II invade la Lidia ed insegue il re Creso fino a Sardi, conquistando l’intero regno. In questo modo Ciro II impedisce a Nabonedo di mettere in pratica l’alleanza precedentemente ricordata e comincia a circondare Babilonia. Il re babilonese fu l’unico che aveva capito il pericolo persiano.
    Le vie del commercio verso l’India sono sotto il controllo persiano e l’inflazione a Babilonia arriva al 400%. Si raccontano diversi episodi di carestia. Nabonedo abbandona Babilonia e si reca in Arabia, dove la popolazione locale non lo vedeva di buon occhio. Lo scopo di questo viaggio fu quello di trovare altre vie di commercio per riportare ricchezza al proprio paese. E’ in questo periodo che viene individua la famosa via delle spezie. L’economia babilonese si risolleva.
    Nel frattempo Ciro II trama con i religiosi babilonesi. Nabonedo appare come il traditore, colui che ha dissacrato il nome del dio Marduk, sostituendolo con altre divinità. Alla luce di quanto esposto in precedenza, il re babilonese appare come un incompreso più che un traditore. Il frutto della propaganda fu la cacciata di Nabonedo e l’acclamazione di Ciro II a nuovo re: la Persia si era impossessata di Babilonia senza combattere. Come discorso di insediamento il re persiano si proclamò “nuovo figlio del dio Marduk”, richiamandosi alla propaganda da lui attuata segretamente. Restituì la libertà agli ebrei nel famoso editto e si impadronì della Siria, Palestina, Israele ed Egitto. L’impero persiano fu molto vasto e ricco.
    I persiani rispettarono la bellezza di Babilonia, facendole vivere un secondo splendore con Cambise II e Dario I. Sotto questi sovrani ci furono diverse rivolte a Babilonia i cui capi presero il nome di Nabucodonosor, a ricordo del mito trasmesso dal leggendario re al suo popolo. Queste rivolte furono sedate, senza violente ripercussioni per la città. Serse I, in seguito alle sconfitte con la Grecia, impose tasse ai babilonesi, che si ribellarono di nuovo. Babilonia fu messa al sacco. Artaserse I continuò nella politica repressiva del padre. Comunque Babilonia continuò ad avere un certo prestigio ed una determinata importanza.
    Nel 331 a.C. Alessandro Magno entra a Babilonia e ne rimane affascinato e la proclama capitale del suo nuovo impero. Vengono eseguiti lavori di ammodernamento. A Babilonia verranno celebrati i funerali di Efestione, amico di Alessandro morto ad Ectabana. Lo stesso Alessandro morirà nella città mesopotamica nel 323 a.C.
    Dunque Babilonia fu la città di tre grandi: Nabucodonosor, Ciro ed Alessandro.
    I diadochi successivi continuarono a dare splendore alla città, fino all’avvento di Seleuco prima ed Antioco poi che fecero costruire una nuova città: Seleucia. Nel 275 a.C. fu emanato un editto in base al quale tutti i babilonesi dovevano lasciare la città e recarsi nella nuova. Ma la città continuò a vivere perché non fu abbandonata da tutti. Gli stessi diadochi si impegnarono per fare opere di ricostruzione. Verso il 100 a.C. la diadochia seleucide entra in guerra con i Parti, popolo situato ad oriente della Persia, e la città fu abbandonata.
    Nel 116 d.C. Traiano svernò a Babilonia, ma ormai era diventata un cumulo di macerie.
    Dunque solo molti secoli dopo si realizzarono le profezie di Isaia, di Daniele e di Geremia sulla distruzione della città, che per secoli venne considerato il centro culturale e politico del mondo. La distruzione morale fu poi continuata dai padri della chiesa, tra Origene e S.Agostino, che la rappresentarono come simbolo del male. Essi ripresero la tradizione iniziata nell’Apocalisse di San Giovanni.

    Bibliografia
    “Babilonia” G. Pettinato 1988, Rusconi

  • Sumeri: lo sviluppo

    Sviluppo

    I Sumeri conobbero il loro maggiore sviluppo tra il 2500 ed 2350 a.C.. All’inizio di questo periodo la Mesopotamia meridionale era caratterizzata da villaggi che via via vennero fortificati, in particolare Uruk.

    Antecedentemente a tale periodo in ogni villaggio, ricco per i fiorenti commerci, dominava un ensi, che spargeva terrore e soprusi sulla popolazione locale.

    Nel 2500 a.C. la città di Lagash fonda un principato e domina nella regione conquistando altre città sumere. Si assiste a lotte tra le varie città che richiamano l’attenzione del vicino e bellicoso Elam. Finalmente con il re Urnanshe, la città di Lagash ottiene il sopravvento sulle altre. La lotta è dura, perchè molte città sumere vedono ridotto il loro potere economico e si ribellano.

    Il re Eannatum, nipote di Urnanshe, estese il dominio di Lagash su quasi tutte le città sumere, sottomise l’Elam e sconfisse la città di Mari, situata nella Siria. Questo testimonia che i sumeri estesero il loro dominio al di là del proprio territorio. Inoltre avevano anche un dominio marittimo nel Golfo Persico.

    In realtà Sumer era divisa in due principati: il primo controllato da Eannatum di Lagash ed il secondo, più a nord e separato da un fossato di confine, sottomesso alla città di Umma, governata dall’ensi Urlumma. Quest’ultimo, tuttavia, pagava un tributo a Lagash.

    Con il successore di Eannatum, re Entemena, i territori a nord di Lagash, controllati dalla città di Umma, si ribellarono di nuovo. Gli Ummaiti vennero sconfitti dai “sumeri meridionali” e subirono l’aggressione dell’ensi di Zabalam, città vicina ad Umma, che si chiamava Il, il quale si proclamò nuovo re di Umma che ebbe una certa influenza anche su Lagash.

    Dunque ad un’iniziale dominio di Lagash ne seguì uno ummaita. Entemena, dunque, perde il controllo ed acquistano potere anche i sommi sacerdoti di Lagash che portarono al potere Lugalanda, il quale non migliorò molto la situzione economico-sociale dei sumeri, soprattutto del ceto povero: l’inflazione era molto alta.

    Salì al trono Urukagina, che fu il primo re del popolo. Risanò l’economia, si avvalse di funzionari di controllo, ridimensionò la classe sacerdotale, proclamandosi anche egli sacerdote, istituì un primo codice di diritto.

    Intanto, nel 2350 a.C., ad Umma era salito al potere Lugalzagesi, uomo ambizioso e poco pacifico, che segnò un nuovo periodo per Sumer. Questi unificò Sumer attraverso il sangue e le distruzioni delle diverse città del principato di Lagash. Le sue atrocità sopravvissero in futuro nelle legende sumeriche. Uccise il re Urukagina, la cui fama di pace sopravvisse nei secoli, annesse Lagash, Ur, Uruk e Kish al suo regno spargendo ovunque terrore.

    Dalla sua amata capitale Uruk, che venne cinta di mura, cercò di dimostrare al popolo che il dio Enlil era dalla sua parte e regnò per 25 anni dall’Elam alla Siria, attirando su di se tutto il malcontento degli ensi di Sumer.

    Di tale situazione approfitto un principe di origine semita: Sargon, il quale fondò una dinastia che regnò dal 2350 al 2150 a.C..

    Raccogliendo il consenso dei vari ensi sumeri e disponendo di un esercito mobile e di una cavalleria (più manovrabile dei carri e delle falangi sumere) annientò i sumeri. Questo scontro rappresentò una lotta tra due mondi: quello nomade semita, più giovane, assetato di ricchezze, più equipaggiato militarmente; quello sumero, più civile, meno dedito alla guerra, più stanziale.

    Sargon fece prigioniero Lugalzagesi e lo espose alla gogna per dimostrare al popolo sumero che gli dei erano dalla sua parte. Fu un ottimo re: mantenne religione ed amministrazione locali e non si impose con la violenza. La lingua ufficiale del suo regno fu il sumero, anche se veniva parlato l’accadico. Il suo regno fu il primo vero e proprio impero: Elam. Mesopotamia, Siria, Fenicia, Parte dell’Anatolia e dell’Arabia (odierno Oman).

    Fondò la capitale ad Accad, tra i due fiumi mesopotamici: dunque ricca di commerci e di fasto. Nacque così la civiltà accadica che regnò per 200 anni. Sargon fu al potere per 56 anni. Dopo di lui vennero al potere altri re che non seppero mantenere l’unità del paese (Rimush, Manishtusu, Naramsin, Sharkalisharri). Alcuni si chiamarono “Signore dei quattro regni”, come Sargon, altri più semplicemente re di Accad, mostrando un diverso grado di umiltà, ma non seppero tenere il paese unito per le rivolte dei vari ensi sumeri.

    Dal 2150 a.C. al 2050 a.C. Sumer subì l’invasione dei Gutei, popolazione barbara di origine armena, che depredarono tutte le città e mieterono vittime. I sargonidi non seppero resistere all’invasione e persero il loro regno: Accad venne distrutta.

    Vi furono alcuni ensi che collaborarono con i Gutei, altri, come quello di Uruk, che vi resistettero.

    La rivolta sumera partì proprio da Uruk con il re Gudea, noto nella leggenda come Utukhengal, che dopo 100 anni di lotta respinse la popolazione barbarica, governata dal re Tirigan.

    Egli regnò in pace un paese già dilaniato dalle numerose guerre.

    Per i successivi 100 anni regnò la dinasti di Ur: Urnammu, Shulgi, Amarsuena, Shusin, Ibbisin.

    Il primo fu un generale che prese il potere e portò il potere politico presso Ur.

    Governò in pace ed estese il potere di Sumer, proclamandosi re di Sumer e Accad, indicando che il potere politico si stava spostando verso il centro della Mesopotamia. Egli entrò nel mito come Gilgamesh attraverso il racconto del Viaggio di Urnammu agli inferi, nel quale anche lui ha ricercato l’immortalità. La sua importanza sta nel fatto di aver introdotto la dominazione della città di Ur, che lasciò le sue impronte nella Bibbia come patria di Abramo.

    In questo periodo, detto urrita, i sumeri dominavano sull’intera mesopotamia e su parte dell’Elam. Il re Shulgi riportò il benessere nel paese e risanò l’economia. Fece erigere una muraglia di 63 km per evitare l’invasione degli amorriti, popolazione nomade semita. Tuttavia gli amorriti invasero Sumer, ma vennero respinti.

    I sumeri si indebolirono e vennero conquistati dagli Elamiti. siamo nel 1950 a.C. e scompare l’autonomia sumera. Risorgerà nel mito, nella cultura, nelle scienze, nel diritto grazie ad Hammurabi che segnò l’inizio della dinastia Babilonese e riscattò i sumeri dal giogo elamita.

  • Sumeri: le attività

    Attività

    Il regno di Sumer era caratterizzato da diverse depressioni geologiche e da varie inondazioni fluviali che rendevano la zona estremamente paludosa. Solo l’abilità e l’ingegno sumero, attraverso numerose opere di bonifica, la resero fertile e ricca di pascoli.

    Le attività principali erano dunque la pastorizia e l’agricoltura; non mancavano però numerosi segni di civilizzazione che trasmisero ai Babilonesi ed al mondo intero.

    Furono grandi conoscitori dell’astrologia: inventarono un calendario che non si discosta molto da quello impiegato attualmente, individuarono tutte le costellazioni. Grandi matematici, risolvevano equazioni algebriche di terzo grado e sistemi vari. Eseguivano calcoli complicati nel campo dell’ingegneria edile.

    Furono i primi ad usare i numeri.

    Inventarono la scrittura, anche se poi venne perfezionata dai Cretesi, attraverso il codice “lineare B”.

    Grandi ingegneri, realizzarono canali che resero completamente navigabile e bonificata la bassa Mesopotamia; costruirono città, templi e palazzi. Importanti erano le Ziqqurat.

    Abili lavoratori di alabastro, realizzarono immagini votive.

    Numerose sono le stele, in cui i Sumeri registravano gli eventi che accadevano nella loro cultura.

    I Sumeri istituirono la scuola come luogo di cultura ed istruzione. Inoltre furono propositori nel diritto, in particolare con il re Eannatum, uno dei primi re sumeri, che cercò di regolamentare una situazione di sopraffazione e di ingiustizia.

    Avevano una buona educazione sanitaria e si curavano nell’abbigliamento. Erano profondi conoscitori delle erbe mediche.

    Nell’ambito della letteratura, osservando tutti i loro poemi, si può dire che furono dei grandissimi precursori della cultura. Fra tutti si ricorda lo scrittore Sinleqe Unnini.

    Non amavano molto la guerra, anche se utilizzarono il carro da guerra, impiegato dagli Sciti, ma erano dediti al commercio. Fondamentale fu il commercio con l’Egitto, il quale subì anche diverse influenze dai sumeri sia dal punto di vista architettonico che religioso: il mito di Osiride, riprende quello di Dumuzi; le piramidi si rifanno agli ziqqurat.

  • Fenici: lo sviluppo

    Sviluppo
    Nata verso il 1150 a.C., la civiltà fenicia si avviò ad un lento declino verso l’850 a.C., con la dominazione assiro-babilonese, fino al 350 a.C., periodo della dominazione macedone di Alessandro Magno.
    Tramite una fitta rete di commerci e attraverso l’uso delle navi triremi di loro invenzione, si sparsero in tutto il Mediterraneo, fondando città ovunque. E’ possibile riassumere la seguente situazione.
    Libano: Tiro, Sidone, Tripoli, Haifa, Arvad, Beruta (Beirut);
    Africa Settentrionale: Leptis Magna, Utica, Cartagine, Tunisi, Lisso (dopo le colonne d’Ercole);
    Sicilia occidentale: Drapana (Trapani), Lilibeo (Marsala), Panormo (Palermo), Mothya (Mozia);
    Spagna: Gadir (Cadice), Ibiza e Cartagena;
    Sardegna: Nora, Cagliari, Bythia, Carloforte, Tharros e Sant’Antioco;
    Creta, Rodi, Melo, Malta, Gozo, Cipro.
    Si presume che anche la città di Tebe in Grecia abbia origini fenicie. Su alcuni documenti si racconta della presenza fenicia anche in alcuni porti dell’Asia Minore
    I Fenici subirono diverse dominazioni, ma le affrontarono intelligentemente, rispettandole. In cambio poterono mantenere una certa autonomia economica.
    La Fenicia convisse con Israele in modo pacifico, sviluppando un’intensa attività commerciale. A Tale proposito, ricordiamo che intorno al 1600 a.C. l’Egitto si trovava sotto il controllo degli Hyksos. Questo era un popolo di origine hurrita, cioè caucasico, proveniente dalle regioni dell’Urartu, molto favorevole agli ebrei, che aveva conquistato la mesopotamia, stabilendosi tra Siria ed Assiria, ed era in lotta con gli ittiti. I semiti, seguendo Giuseppe, migrarono dalle dure terre palestinesi verso il delta del Nilo, dove vissero in pace e serenità.
    Successivamente nel 1570 a.C., il faraone Ahmose dell’Alto Egitto cacciò gli Hyksos e fondò il Regno Nuovo, destinato a durare quattro secoli. Sotto Tutmosi III, gli ebrei migrarono dall’Egitto, guidati da Mosè (forse un seguace del monoteista Akhenaton, che si avvalse di Aronne per comunicare con i semiti) e si ristabilirono nella Palestina, occupata nel frattempo da altri popoli, fondando le dodici tribù. Siamo intorno al 1200-1100 a.C., a questo punto, come già detto, entra in scena Davide che riunisce le tribù e fonda il regno di Israele, approfittando del fatto che l’Egitto, in lotta con gli Ittiti, lascia un po’ di autonomia alla Palestina.
    In seguito alla dominazione dei popoli del mare nasce il regno dei Fenici. Le città di Tiro, fondata da Hiram prima del 1100 a.C., e Sidone prendono il posto, come importanza, di Biblo. La convivenza con Israele, basata sul commercio, si interruppe per questioni religiose.
    La convivenza con l’Egitto fu ottima e sempre imperniata al commercio. Verso l’850 a.C. gli assiri di Assurnarsipal II, non più minacciati dal pericolo dei Medi, conquistarono i fenici, i quali, consapevoli della loro inferiorità, andarono incontro agli aggressori con pace e proponendo commerci. Ciò ebbe i suoi frutti fino al 700 a.C., quando tutte le città parteciparono ad una rivolta armena antiassira, subito sedata da Sennacherib, che impose una tassazione elevata. Sidone subì devastazioni, Tiro si difese e la sua isola non fu presa, nonostante alcune città fenicie collaborarono con gli assiri, come faranno secoli dopo con Alessandro Magno.
    Sotto il successore assiro Asarhaddon, Sidone si ribellò e stavolta fu Tiro a collaborare con i mesopotamici. Sidone fu distrutta. Fu poi la volta di Assurbanipal che continuò a controllare la zona.
    In generale, però la Fenicia, anche se divisa in due provincie (settentrionale e meridionale), continuò a prosperare con i commerci.
    Intorno all’800 a.C. alcuni abitanti di Tiro migrarono in Africa e fondarono Cartagine.
    La cultura che ne deriverà acquisterà sempre più potere, fino allo scontro con quella romana, che segnerà la sua fine.
    Nel 600 a.C. la civiltà di Assur e di Ninive lasciò il posto a quella di Babilonia, sotto il dominio di Nabucodonosor II, che scese fino in Egitto. I Fenici si allearono con Israele per contrastarlo, ma furono sconfitti. Gli ebrei conobbero la cattività babilonese, ma Tiro resistette di nuovo, dal 585 a.C. al 572 a.C., proponendo alla fine un patto di pace, in cui formalmente veniva annessa a Babilonia, mantenendo comunque una certa autonomia economica. Questo grazie anche alla politica del lungimirante re babilonese che sognava un grande impero in armonia. Gli ingegneri fenici lavorarono a Babilonia e la resero una delle città più belle del mondo.
    Nel 539 a.C. il re persiano Ciro II conquistò la Mesopotamia e quindi la Fenicia. I fenici costituirono la marina persiana e aiutarono gli ebrei a ricostruire Gerusalemme, abbandonata per il periodo di cattività. La convivenza con la Persia fu eccellente, anche se Tiro perse Cipro, presa dall’Egitto.
    Nel 525 a.C. il re persiano Cambise conquistò anche l’Egitto ed i Fenici collaborarono nell’impresa, avendo in cambio la quasi totale indipendenza.
    Nel 500 a.C., Dario era il re dell’impero persiano. Dinanzi a Salamina di Cipro i fenici furono sconfitti dai greci, inferiori come numero ed esperienza, successivamente presso Samo, con l’aiuto di Dario i fenici vinsero.
    Nel 480 a.C., Serse I, nuovo re di Persia, con 1207 navi, comandate da fenici, affrontò le 313 navi greche di Temistocle, presso la baia di Salamina in Grecia, venendo sconfitto. Fu poi la volta della sconfitta di Micale, presso Mileto. Contemporaneamente, presso Imera, in Sicilia, i siracusani (alleati dei greci) sconfissero truppe cartaginesi ed etrusche. Dunque, la Grecia fece la sua comparsa sui mari che prima erano fenici. Nel 465 a.C. gli elleni presero Cipro ed ormai, assieme a Cartagine, presero il posto dei libanesi, sempre più sotto le satrapie persiane.
    Verso il 350 a.C. Tripoli fu nominata capitale della federazione fenicia. I fenici avevano capito che dovevano unirsi, ma ormai era troppo tardi. Le città fenicie rimasero sotto il giogo persiano, nonostante qualche rivolta di Sidone e di Tiro.
    Nel 332 a.C. Alessandro Magno, diretto in Egitto, comincia ad assediare Tiro, dopo aver annesso le altre città fenicie. Secondo la sua strategia questa città doveva essere distrutta, perché rappresentava sempre la marina dei persiani. Fu aiutato da altre città fenicie e realizzò una diga che tolse ai tirii l’elemento naturale di difesa: il mare. Tiro, che aveva ricevuto la promessa di aiuto da parte di Cartagine, si difese strenuamente, poi, non ricevendo alcuna collaborazione esterna, capitolò. Fu la fine del regno fenicio. Tiro fu distrutta e rifiorì un po’ sotto i romani.
    Verso il 300 a.C. Alessandro Magno non c’era più ed il suo impero fu diviso in tre diadochie: la Macedonia sotto gli agonidi, l’Egitto sotto i tolemaici e l’Asia Minore sotto i seleucidi. Per quanto riguarda la Fenicia, anche se il suo regno non c’era più, ci furono ancora delle attività commerciali di svariato tipo. L’elemento dominante era però l’ellenizzazione dei costumi e della società: basti pensare che ogni 5 anni a Tiro si svolgevano i giochi.
    In questo periodo lo spirito fenicio sopravvisse in Cartagine che ebbe un grande splendore e presto si scontrò dapprima con i greci e poi con i romani.

  • Greci: le guerre persiane

    Guerre persiane

    500-494: Le colonie ioniche dell’Asia Minore si ribellano all’egemonia dell’impero persiano, capeggiate da Aristagora di Mileto; solo Atene, per i suoi interessi sull’Egeo, le appoggia. I Persiani schiacciano la rivolta, che si conclude con la distruzione di Mileto e la deportazione dei suoi abitanti in Mesopotamia.

    492: I Persiani, comandati da Mardonio, conquistano Tracia e Macedonia e chiedono alle città greche di inviare l’acqua e la terra, in segno di sottomissione. Sparta e Atene rifiutano.

    490 (I guerra persiana): battaglia di Maratona. Un esercito ateniese, guidato dallo stratega Milziade, sconfigge l’esercito persiano, che aveva reputazione di invincibile. I Persiani erano guidati da Dati e Artaferne, e accompagnati dal tiranno spodestato Ippia.

    Il confronto fra Greci e Persiani è qualcosa di più di un confronto militare: si tratta di un vero e proprio scontro culturale, fra comunità di cittadini-soldati che si governano da sé, e un impero autocratico che riconosce solo sudditi, cioè – nell’interpretazione di Eschilo e di Erodoto – fra la libertà e la schiavitù. La libertà, in Grecia, non è percepita come una questione privata, ma sempre essenzialmente come autonomia politica, come autogoverno. Anche la libertà di parola, che “toglie le briglie” alla lingua degli uomini (Eschilo, Persiani) è intesa come strumentale all’autonomia politica.

    Temistocle si rende conto che la vocazione e la potenza di Atene è sul mare, e promuove l’allestimento della flotta (180 triremi entro il 481): le navi sono costruite a spese dello stato e l’armamento è finanziato dai cittadini più ricchi (liturgie). I teti trovano impiego come rematori, e questo dà loro voce in capitolo nella vita politica. La marina è un elemento di democratizzazione.

    481: alleanza militare (simmachia) panellenica, sotto l’egemonia spartana.

    480 (II guerra persiana): l’imperatore persiano Serse, successore di Dario, parte da Sardi con un esercito di 100.000 uomini. La Grecia è invasa, dopo una battaglia navale presso capo Artemisio. Leonida, re di Sparta, sacrificando se stesso e trecento spartani, copre la ritirata delle forze di terra elleniche alle Termopili. Temistocle capisce che sulla terra la partita è persa, e abbandona l’Attica e la Beozia al saccheggio dei Persiani, mettendo la popolazione in salvo sulle isole.

    Settembre 480: battaglia navale di Salamina, vinta dai Greci grazie alla strategia di Temistocle. Le navi persiane, più numerose e più grandi, non riescono a manovrare nel braccio di mare fra Atene e l’isola di Salamina, e hanno la peggio contro le navi elleniche, meno numerose ma più piccole e maneggevoli.

    Primavera 479: l’esercito di terra persiano viene sconfitto a Platea; la flotta persiana viene definitivamente debellata a Micale.
    Per consiglio di Temistocle, Atene comincia la costruzione delle “lunghe mura” che collegano la città al porto del Pireo.
    478: le città ioniche dell’Asia minore sono liberate da una flotta greca guidata dallo spartano Pausania. Gli efori lo richiamano, accusandolo di dispotismo. Atene rimane la sola potenza ellenica interessata all’Egeo e alla Ionia, contro i Persiani.

    477: fondazione della lega di Delo, guidata da Atene e composta da città ioniche, in funzione antipersiana. Nel trentennio successivo prosegue la lotta contro i Persiani. L’egemonia ateniese si rafforza, suscitando una crescente ostilità, spartana: si tratta, anche qui, di uno scontro non solo militare, ma anche politico e culturale, fra democrazia e oligarchia.

    448: pace di Callia. Le città greche dell’Asia minore rimangono nell’impero persiano, che ne garantisce l’autonomia. L’Egeo diventa un mare ateniese. Gli alleati della lega di Delo, orami superflua, vengono trasformati in vassalli di Atene.

    445: pace dei Trent’anni con Sparta. Sparta riconosce l’impero ateniese; Atene l’egemonia spartana sul Peloponneso.
    Ha inizio l’età di Pericle (443-429), che si fa rieleggere stratega di anno in anno, e influenza durevolmente la democrazia ateniese.

    Sparta diventa punto di riferimento per tutte le città che non sopportano l’egemonia imperiale ateniese.

    Guerra del Peloponneso (431- 404)

    Guerra archidamica (431-421): con alterne vicende, gli Spartani prevalgono sulla terra, gli Ateniesi sul mare. Questa fase – cui partecipa Tucidide – si conclude con la pace di Nicia (capo del partito oligarchico ateniese).

    Spedizione ateniese in Sicilia (415-413): prevalendo sul pacifista Nicia, il democratico Alcibiade induce Atene ad aiutare Segesta contro Siracusa e Selinunte, alleate di Sparta. L’esito dell’impresa è disastroso, come possiamo vedere dal resoconto di Tucidide.

    Guerra di Decelea (fortezza occupata dagli Spartani per devastare l’Attica, su consiglio del fuoriuscito Alcibiade; 413-404): declina la potenza ateniese, i Persiani, che erano stati espulsi dalla politica greca, intervengono a finanziare Sparta. Dopo alterne vicende, Atene, sconfitta dallo spartano Lisandro all’Egospotami, capitola. Le “lunghe mura” sono smantellate; si scioglie la lega di Delo. Sparta è egemone, ma il vero vincitore è l’impero persiano.

    Sparta promuove regimi oligarchici sotto il suo controllo. Ad Atene si instaura la Signoria dei cosiddetti Trenta Tiranni, i quali cercano di coinvolgere il massimo numero di cittadini nella responsabilità degli arresti indiscriminati da loro operati. Socrate rifiuta di obbedire ai loro ordini, proprio come si era opposto, in regime democratico, alla condanna a morte per gli strateghi della battaglia delle Arginuse (407), che era stata l’ultima vittoria di Atene nella guerra del Peloponneso.

    403: Trasibulo restaura la democrazia ad Atene.

    399: Socrate, accusato di empietà, viene condannato a morte, probabilmente per purgare la nuova democrazia di una personalità percepita come malsicura. Platone ha riportato il suo discorso di autodifesa, o Apologia.

  • Il primo dopoguerra

    La prima e forse più importante eredità del conflitto fu la fine della secolare egemonia europea: l’Europa del dopoguerra non era più il centro economico e politico del mondo. Questo ruolo venne occupato dagli Stati Uniti. Quando le armi tacquero, tutte le potenze del continente si trovarono pesantemente inebitate nei confronti degli Stati Uniti, che divennero non solo i maggopri produttori, ma anche i maggiori creditori mondiali. La lunghezza del conflitto, unita all’itilizzo di armi pesanti sempre più sofisticate richiese grandi investimenti economici e tecnologici e la mobilitazione delle strutture industriali. Nel breve periodo, questo creò grandi problemi: i paesi europei si trovarono alle prese con una grave inflazione, causata dall’emissione di moneta per finanziare le spese belliche, con un pesante deficit pubblico e con la rincoversione produttiva (necessità di convertire l’apparato industriale della produzione bellica a quella civile). Ma più importante è la crescita dell’intervento dello stato nell’economia, dovuta alla necessità di determinare la produzione, sia militare sia civile, in base all’esigenze belliche. Finito il conflitto, si dovette dunque fare i conti con una partecipazione alla vita politica di dimensioni prima sconosciute: milioni di donne, mobilitate in modo massiccio nella produzione in sostituzione degli uomini al fronte, fecero il loro ingresso nel mondo del lavoro, acquisendo autonomia e indipendenza economica.
    Nel gennaio 1919 si riunì a Parigi la conferenza di pace. Ad essa parteciparono i rappresentanti delle nazioni vincitrici. I paesi vinti non furono chiamati alla conferenza. Francia e Inghilterra erano intenzionate a trarre dalla pace grandi vantaggi. Soprattutto la Francia voleva infliggere un’umiliazione vera e propria alla Germania. E in questo anche l’aspetto formale assunse la sua importanza: il trattato di pace veniva infatti firmato a Versailles, là dove, mezzo secolo prima, era stato proclamato l’impero tedesco di Guglielmo I e di Bismark. Con il trattato di Versailles firmato il 28 giugno 1919 la Germania cedette al Belgio i piccoli distretti di Eupen e Malmedy, restituì alla Francia l’Alsazia-Lorena e consentì che si tenesse nello Schleswuing un pebliscito per la determinazione del confine della Danimarca. Inoltre cedette per quindici anni alla Francia la regione carbonifera della Saar, il cui destino sarebbe poi stato determinato da un referendum, mentre l’esercito tedesco veniva ridotto a centomila uomini e si proibiva alla Germania di costruire aerei militari, artiglieria pesante e carri armati. La Germania rinunciava a tutti i suoi diritti sull’impero coloniale del Reinch. In seguito alla nascita di due nuovi stati, Polonia e Cecoslovacchia, alla prima cedette il corridoio polacco, mentre il porto di Danzica veniva amministrata dalle Società delle Nazioni. Alla Cecoslovacchia cedette la piccola zona di Troppau, mentre veniva stabilito nelle aree plurinazionali della Prussia orientale e della Slesia settentrionale si tenessero plebisciti.
    Dallo smembramento dell’impero-austro-ungarico nacquero svariate nazioni: la repubblica austriaca, la repubblica ungherese, la repubblica cecoslovacca, unendo Boemia, Moravia e Slovacchia.
    L’Italia ottenne il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Guglia, Trieste e l’Istria. Restò invece apetta la questione di Fiume e della Dalmazia: a Fiume la maggioranza della popolazione era italiana, mentre in Dalmazia era slava. L’accordi di Londra del 1915 accenava alla Dalmazia, ma non a Fiume, e il nuovo regno jugoslavo non voleva cedere la regione dalmata.
    Il nostro paese non ottene invece nessuno nuova colonia africana nè mandati internazionali in Medio Oriente. Molti pensarono, allora che l’Italia non era stata ricompensata abbastanza per i sacrifici che aveva sostenuto. Si diffuse l’idea della vittoria mutilata.
    Nei Balcani fu formato il regno di Jugoslavia, unendo insieme nazioni diverse: Croazia, Slovenia, Bosnia Erzegovina (che appartenevano all’impero austro-ungarico); Serbia e Montenegro (che erano regni autonomi). La Jugoslavia fu una creazione artificiale dei diplomatici della conferenza di Parigi, realizzata nella speranza che un unico Stato, di una certa autonomia, rendesse più stabile e calma la zona balcanica, tradizionalmente turbata da conflitti e di discordie.
    Negli Stati Uniti, il presidente Wilson propose l’istituzione di una Società Generale delle Nazioni che doveva “fornire garanzie reciproche di indipendenza politica e territoriale ai piccoli come ai grandi stati”. A tal fine gli stati membri s’impegnavano a rispettare l’integrità territoriale e l’indipendenza di tutti gli altri (art. 10): dichiaravano materia d’interesse e pertanto d’intervento della Società qualsiasi guerra o minaccia, anche se diretta contro uno stato non membro (art.11); s’impegnavano a sottoporre le loro controversie o a un giudizio arbitrale o all’esame del Consiglio della Società (art.12). Molte speranze collegate con la Società andarono deluse negli anni successivi alla sua fondazione. Eppure nonostante questi aspetti negativi, l’esperimento societario non fu inutile al progresso di tutte le nazioni. Le esperienze piuttosto negative insegnarono molto, se non altro a non commettere alcuni errori sostanziali. Nella rielaborazione dei valori morali e politici del primo dopoguerra cominciò a farsi strada più insistentemente l’opinione che, per opporsi efficacemente al nazionalismo, lo stato nazionale doveva essere sostituito da quello continentale e che l’Europa doveva organizzarsi in federazione. Nel 1924 gli stati avevano ancora mostrato di nutrire fiducia nello spirito societario, votando il Protocollo di Ginevra, con il quale s’impegnavano ad accettare l’arbitrato obbligatorio in un certo numero di casi gravi. Ma il Protocollo rimase lettera morta quando in Inghilterra, dopo alcune settimane, il governo laburista fu sostituito da quello conservatore che denunciò l’approvazione precedentemente data. Con gli accordi di Locarno siglati il 16 ottobre 1925: 1) La Germania si impegnava a non compiere alcuna aggressione conto la Francia e il Belgio, paesi che assumevano una obbligazione analoga nei suoi confronti; 2) La Gran Bretagna e l’Italia garantivano l’inviolabilità dei confini tra la Germania e Francia, e tra Germania e Belgio. Si dava così un riconoscimento all’esistenza della Società delle Nazioni, ma in una forma che denunciava sfiducia nel suo funzionamento. Altri accordi di natura bilaterale furono stipulati a Locarno dalla Germania con il Belgio, la Cecoslovacchia, la Francia e la Polonia. L’orientamento ufficiale degli stati fu di raggiungere delle garanzie di sicurezza attraverso ulteriori accordi regionali. La Società delle Nazioni era terminata con un fallimento anzitutto per l’assenza degli Stati Uniti, responsabili dell’esistenza della nuova organizzazione e, data la loro potenza, della sicurezza del mondo. Il conflitto italo-etiopico fu veramente la tomba della Società delle Nazioni. Esso non dimostrò soltanto debolezza dell’organismo, ma anche la scarsa sincerità di chi in suo nome, aveva assunto un deciso atteggiamento morale. Ne derivò il crollo dell’edificio societario nella stima dei governi e dei popoli, e l’inizio di tutte le iniziative intese a scuotere la pace e la legge internazionale.
    Nel novembre del 1916 il vecchio imperatore Francesco Giuseppe era morto e gli era succeduto il diciannovenne Carlo I (o Carlo VIII), animato da propositi di pace, ma politicamente impreparato e privo di una valida guida. Il 12 novembre 1918, con la proclamazione della repubblica austriaca, veniva ufficialmente consacrata la dissoluzione del grande edificio plurinazionale costituito dagli Asburgo nel corso dei sette secoli di storia. Con trattato di saint-Germain essa cedeva all’Italia il Tirolo dal passo del Brennero, il Trentino, Trieste e l’Istria; alla Cecoslovacchia la Boemia, la Moravia, la Slesia austriaca e parte della Bassa Austria; alla Romania la Bucovania e al nuovo stato di Jugoslavia la Bosnia, l’Erzegovina e la Dalmazia. Non migliore fu il trattamento riservato all’Ungheria che dovette cedere immensi territori ai paesi vicini, soprattutto alla Romania, e accettare che tre milioni di magiari diventassero sudditi di altri Stati. In Austria, quale forza politica emerse il Partito socialdemocratico. Drammatico fu il dopoguerra in Ungheria, divenuta stato sovrano nella forma della repubblica parlamentare. Mentre i socialdemocratici austriaci erano di orientamento moderato, molto forte era nel socialismo ungherese la tendenza rivoluzionaria e comunista, che trovava i suoi punti di forza nei consigli operai sorti in molte fabbriche. Socialdemocratici e comunisti si allearono per dare vita a un regime di tipo socialista, una repubblica sovietica (fondata cioè sui soviet), proclamata il 21 marzo 1919 sotto la guida del comunista Bèla Kun.
    In Germania, dopo la caduta dell’imperatore (9 novembre 1918) venne proclamata la repubblica: anche qui la maggiore forza politica uscita dal collasso del paese risultò esse il Partito socialdemocratico, cui venne affidato il governo provvisorio. Nell’agosto 1919 fu approvata la costituzione di Weimer, così chiamata dal nome della città in cui si tennero i lavori dell’assemblea costituente. La Germania si presentava come una repubblica parlamentare federale. La Gran Bretagna uscì dalla guerra come grande potenza in declino, quasi incarnado in sè la fine dell’egemonia europea. In Francia e Inghilterra la crisi post-bellica non mise in pericolo le istituzioni democratiche; diversamente accadde in Itali, dove i primi anni venti videro il crollo dello stato liberale e l’avvento della dittatura fascista. La prima guerra mondiale aveva distolto l’attenzione dei governi europei dai propri possedimenti africani aprendo spazi ai movimenti indipendentisti e nazionalisti che si diffondono in modo particolare nell’area settentrionale e in quella nord-orientale. Sono queste le aree popolate dagli arabi, in maggioranza islamici, dotati di un forte patrimonio culturale e tradizionalmente avversi alle forme di civiltà europea. Ma i tempi dell’indipendenza matureranno soltanto dopo la seconda guerra mondiale. Diverso è il discorso per l’Egitto che in questo periodo riesce a conquistare, almeno formalmente, la propria indipendenza. Nel marzo del 1919 scoppia un’insurrezione nazionalista contro il dominio inglese: il governo britannico affida al generale Allenby, nominato commissario, il compito di gestire la fine del protettorato. L’Egitto viene dichiarato indipendente nel febbraio del 1922 e nell’aprile del 1923 il Khedivè Fu’ad viene eletto re. L’Inghilterra mantiene comunque una forte influenza politico-economica sul paese africano e mantiene anche un proprio contingente militare. Le proteste dei nazionalisti, molto numerosi nel parlamento egiziano, contro la presenza militare inglese spingono il re Fu’ad a sciogliere il parlamento e a sospendere la costituzione. Nel 1929 un nuovo accordo anglo-egiziano che limita la presenza dei militari inglesi alla sola zona del canale di Suez riporta la normalità nel paese subito rotta, però, nel 1930 da una nuova stretta autoritaria da parte della monarchia. Il movimento nazionalista (Wafd) avvia allora una lunga battaglia contro la dittatura che porta, nel 1935, alla restaurazione della costituzione liberale. Nell’aprile del 1936 muore il re Fu’ad e gli succede il figlio Faruq. Questi nel 1938 entra in contrasto con il primo ministro, scioglie il parlamento e indice nuove elezioni da cui esce vincente.
    Il sorgere e la diffusione dei movimenti di indipendenza nazionale rappresentano il segnale di una generale presa di coscienza da parte delle popolazioni africane. Nonostante le differenze etniche e religiose, la comune condizione di genti colonizzate alimenta una solidarietà diffusa che trova espressione nel movimento panafricanista, mirante all’unità politica del continente. Nel 1963 troverà infine un’espressione concreta nella costituzione dell’Organizzazione dell’unità africana (OUA).
    La storia del Sudafrica si distingue da quella delle altre nazioni del continente africano per la presenza di un forte conflitto razziale. Colonizzate dagli olandesi (boeri) sin dal XVII secolo, le regioni del Sudafrica subiscono nel corso dell’ottocento la sistematica occupazione da parte degli inglesi che con la guerra anglo-boera del 1899-1902 emarginano gli antichi colonizzatori e trasformano il paese in dominion (1910). Ciononostante continua il conflitto tra le due componenti europee che trova espressione nella battaglia politica tra il Partito del popolo, guidato dai generali Louis Botha e Jan Christian Smuts, e il partito nazionalista capeggiato dal generale James Barry Munnick Hertzog. La prima formazione si batte per un più grande Sudafrica nel quadro del Commonwealth, la seconda vuole invece eliminare l’influenza politica inglese. Nel primo dopoguerra (il Sudafrica partecipa al conflitto al fianco della Gran Bretagna e ottiene l’amministrazione della ex colonia tedesca della Namibia) prevale il Partito unionista di Botha e Smuths che getta le basi giuridiche della segregazione, vietando ai neri il possesso delle terre, e al tempo stesso tenta un’operazione di integrazione con l’apertura alle formazioni politiche espressione della maggioranza nera, come l’African national congress (ANC) fondato nel 1912. Nel 1924 giunge però al potere il partito nazionalista di Hertzog, espressione della destra afrikaner che nel 1926 estende i principi della segregazione precludendo ai neri le attività indutriali e negando loro i diritti politici, sotto la pressioni del movimento apertamente razzista e fiolotedesco di D.F. Malan. Nel 1934 si costituisce il governo di coalizione Hertzog-Smuths che unisce i due vecchi partiti antagonisti nel Partito nazionale unico sudafricano. Il 1934 è anche l’anno in cui il Sudafrica raggiunge la completa autonomia dalla Gran Bretagna nel campo della politica interna. Il dominio della popolazione bianca si definisce nel 1936 con le leggi sulla rappresentanza dell’elemento indigeno che istituisce un Consiglio degli autoctoni con funzioni esclusivamente consultive. Solo nel secondo dopoguerra si parlerà di Apartheid (con i divieti dei matrimoni misti, l’imposizione di aree residenziali differenziate, il divieto di ogni organizzazione politica di rasppresentanza dei neri) ma le basi di quella politica vengono gettate, sia giuridicamente che politicamente, negli anni venti e trenta.
    Nell’immediato dopoguerra le regioni mediorientali, già appartenenti all’impero turco, vengono affidate dalla Società delle nazioni al controllo della Francia e della Gran Bretagna con la formula del mandato. Alla Francia vanno la Siria e il Libano, all’Inghilterra la Palestina, la Transgiordania e parte della Mesopotamia. In teoria non si tratta di colonie – il mandato prevede infatti che i territori siano soltanto indirizzati allo sviluppo e all’autogoverno – ma l’intenzione delle potenze europee è quella di sfruttare i grandi giacimenti petroliferi dei quali ottengono le concessioni. Nell’area di influenza inglese nascono presto due Stati indipendenti: nel 1921 il Regno dell’Iraq e nel 1923 quello della Transgiordania. Nell’area francese il processo di emancipazione nazionale è invece più lento: la Siria ottiene l’indipendenza nel 1936 e il Libano soltanto nel 1941. Fino alla seconda guerra mondiale tutta la regione mediorientale rimane comunque sotto l’influenza politica ed economica delle due potenze europee.
    La situazione politica della Palestina, che rimarrà sotto il mandato britannico fino al 1948, è molto più complessa per la presenza del contrasto religioso tra arabi ed ebrei. Questi ultimi avevano iniziato a trasferirvisi sin dalla fine dell’ottocento richiamati dall’appello del movimento sionista che rivendicava al popolo ebreo l’antica Terra promessa. Negli anni venti e trenta la comunità ebraica, organizzata in colonie di tipo collettivistico (i kibbutz), è ormai numerosa e provoca le prime reazioni della popolazione araba. La questione palestinese scoppierà in tutta la sua drammaticità dopo il 1948, quando si costituirà lo Stato d’Israele.
    I movimenti di indipendenza ottengono risultati anche nelle altre regioni del Medio Oriente. Nella penisola arabica, nel 1930 l’Inghilterra è costretta a limitare il proprio controllo a una ristretta area costiera lasciando che nel resto della penisola sorga lo Stato indipendente dell’Arabia Saudita con capitale Riyad (1932). Nell’antichissimo impero persiano (Iran), diviso in zone d’influenza inglese e sovietica, il movimento di riscossa nazionale è guidato da un generale che, detronizzato lo Shah, si fa proclamare nel 1926 imperatore con il nome di Reza Pahlawi. Egli avvia una politica di riforme e di investimenti pubblici che incontra il favore dell’Unione sovietica con la quale firma nel 1927 un trattato di non aggressione.
    In ultimo, bisogna ricordare la Repubblica turca che si forma nel 1923 sotto la guida del leader nazionalista Mustafà Kemal. Essa è ciò che rimane, dopo due secoli di progressiva dissoluzione, dell’antico impero ottomano disgregatosi definitivamente dopo il primo conflitto mondiale. Sotto la guida di Kemal la Turchia avvia un processo di sviluppo e di modernizzazione.

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  • Le crociate

    L’intolleranza religiosa dei turchi Selgiuchidi, che, dopo aver strappato Gerusalemme e la Siria ai Fatimidi d’Egitto, annientarono nel 1071 l’esercito bizantino nella battaglia di Manzicerta, provocò l’interruzione dei rapporti tra l’Occidente cristiano e la Terrasanta. Nel 1095 l’imperatore di Bisanzio Alessio I Comneno invocò l’aiuto del pontefice Urbano II che nel novembre di quello stesso anno, al concilio di Clermont, chiamò signori e cavalieri a un pellegrinaggio armato inteso a liberare il Santo Sepolcro. Ad esse parteciparono: 1) i più grandi feudatari (re, duchi, conti, ecc.) che volevano ingrandire i propri possedimenti, aumentare le entrate e consolidare la propria influenza in Europa; 2) i piccoli feudatari (o cavalieri), che costituivano il nucleo principale delle forze crociate: infatti il beneficio vitalizio, che l’imperatore concedeva ai vassalli maggiori, trasformandosi in fondo ereditario, cioè passando in proprietà dal padre al primogenito (maggiorasco), aveva determinato uno strato numeroso di cavalieri (cadetti) che non possedevano feudi e che finivano o coll’entrare nei monasteri facendo la carriera ecclesiastica o si davano alla ventura, nel tentativo di procurarsi dei territori, asservendo i contadini ivi residenti; 3) i mercanti più ricchi di molte città (Venezia, Genova e Pisa soprattutto), che cercavano d’invadere i mercati del vicino Oriente; 4) la chiesa cattolica, che era la più grande proprietaria feudale, aveva come scopo quello di sottomettere la chiesa ortodossa, estendendo la propria giurisdizione nell’Europa orientale; 5) infine ingenti masse proletarie e affamate che cercavano di affrancarsi dalla servitù della gleba e dalla miseria.
    La I crociata (1096) fu detta dei pezzenti perchè composta da gente molto povera o contadina, proveniente soprattutto da Francia, Germania e Italia, che pensava di trovare in Oriente la liberazione dall’oppressione dei feudatari e nuove terre in cui insediarsi. Vi erano anche donne e bambini. Essi erano disarmati, non avevano nè provviste nè denaro e lungo la via verso Costantinopoli si dedicavano al furto e all’elemosina, compiendo anche violenze a danno degli ebrei. Naturalmente la popolazione (ungari e magiari) dei paesi attraversati da questi crociati cercò di combatterli con ogni mezzo. Furono quasi tutti sterminati nel primo scontro con i turchi.
    La prima vera crociata (sempre del ’96) fu composta da cavalieri ben armati ed equipaggiati. Gli eserciti feudali, forti di 250 mila uomini, si riunirono a Costantinopoli e, insieme alle truppe bizantine di Alessio I Comneno, espugnarono Nicea nel 1097. Ma presto l’accordo si ruppe perchè i crociati non avevano intenzione di mantenere gli impegni presi e di restituire a Bisanzio i territori riconquistati ai turchi. Dopo la vittoria cristiana di Dorileo, conseguita nello stesso anno, un contingente guidato da Baldovino di Fiandra si staccò dalla spedizione per recarsi in soccorso delle popolazioni cristiane dell’Armenia, conquistando la città di Edessa, alle soglie della Mesopotamia, di cui lo stesso Baldovino assunse il governo col titolo di conte; il grosso delle truppe assediò e prese la grande città siriana di Antiochia (1098), che fu data in feudo a Boemondo di Taranto, principe di quella dinastia normanna che i Comneni consideravano il maggiore dei loro nemici. Per questa ragione -e anche per le divergenze religiose derivanti dallo scisma d’Oriente- bizantini e crociati ruppero i rapporti. I cavalieri europei continuarono da soli la marcia verso Gerusalemme, che raggiunsero dopo tre anni di combattimenti, ormai decimati dalle perdite in battaglia e dalle epidemie. La città nel frattempo era stata tolta di nuovo ai turchi dai principi arabi dell’Egitto (i Fatimidi), contro i quali si scatenarono i crociati; la città fu espugnata nel luglio del 1099 e la popolazione massacrata spietatamente. L’intera Terrasanta era nelle mani degli occidentali.
    Sui territori conquistati con la prima spedizione i crociati importarono le istituzioni della loro patria e crearono una quantità di piccoli stati feudali, legati da tenui fili di sudditanza al regno di Gerusalemme che fu attribuito prima a Goffredo di Buglione (ca. 1061-1100) col titolo di difensore del Santo Sepolcro, poi, col titolo di re, al fratello Baldovino (1058-1118). In Siria furono creati il principato di Antiochia, la contea di Edessa, la contea di Tripoli. Si trattava tuttavia di una costruzione politica molto fragile: i territori erano molto ristretti, formati da una striscia di terra fra mare e deserto, e per di più esposti alle offensive musulmane; i difensori erano molto pochi e il loro numero diminuì con il ritorno dei crociati in Occidente dopo la fine della spedizione. I bizantini non erano più in grado di garantire nè soldati nè rifornimenti, a cui però provvidero le città marinare italiane alle quali in cambio fu consentito di fondare colonie nei maggiori porti e città del Levante. Le successive crociate, fortemente volute dal papato, furono tutte deludenti e in certi casi mancarono addirittura l’obiettivo. La II Crociata (1147-48), predicata da san Bernardo di Chiaravalle e guidata da Corrado III di Svevia e da Luigi VII di Francia, tentò senza successo di porre l’assedio a Damasco; intanto Edessa era già stata riconquistata dai musulmani nel 1144. Una trentina di anni più tardi l’Egitto e gran parte della Siria si unificarono sotto la guida del sultano Saladino che conquistò quasi tutta la Palestina e Gerusalemme (1187). Ai cristiani rimasero solo le città di San Giovanni d’Acri e di Tiro (quel che rimaneva del regno di Gerusalemme) e, più a nord, Antiochia e Tripoli.
    Papa Gregorio VIII bandì allora la III crociata (1190-92) cui aderirono i maggiori potenti dell’epoca: Federico I Barbarossa, Filippo Augusto re di Francia, Riccardo Cuor di Leone re d’Inghilterra, Guglielmo II re di Sicilia. L’imperatore Federico I annegò nel superare un fiume dell’Asia Minore; Filippo II e Riccardo ottennero la vittoria di San Giovanni Acri (1191) ma, divisi fra loro da discordie, non furono in grado di riconquistare Gerusalemme, che rimase ai musulmani con quasi tutta la Palestina.
    La IV Crociata (1202-04) voluta da papa Innocenzo III fu guidata da Baldovino di Fiandra e Bonifacio del Monferrato. I veneziani, che finanziarono la spedizione, dirottarono i crociati alla conquista di Costantinopoli.
    La V crociata (1217-21) si combattè in Palestina e in Egitto sotto il comando del duca Alessandro d’Austria. Non ebbe alcun risultato pratico, ma grazie alla diplomazia di Federico II i luoghi santi furono resi accessibili ai pellegrini.
    Senza alcun esito fu anche la VI crociata (1248-54) voluta dal re di Francia Luigi IX il Santo e diretta contro l’Egitto.
    Anche la VII crociata (1270) venne guidata da Luigi IX; fu rivolta contro Tunisi, dove lo stesso re morì di peste.
    Per difendere i territori in mano ai cristiani e i pellegrini che giungevano in Terrasanta furono utilizzate, accanto alla tradizionale cavalleria feudale, le molte confraternite laiche di ospedalieri che si adoperavano per l’assistenza ai pellegrini che arrivavano ammalati in Terrasanta, distrutti dal lungo e faticoso viaggio. Nel 1118 il cavaliere francese Ugo di Payns pensò per primo di organizzare militarmente i propri ospedalieri, e poichè la loro sede era un edificio che sorgeva sul luogo dell’antico Tempio di Salomone, essi furono chiamati Templari o Cavalieri del Tempio. Il grande propagandista delle crociate, Bernardo di Chiaravalle, che era anche una delle maggiori autorità religiose dell’epoca, vide subito la possibilità di inserire quest’organizzazione nelle istituzioni ecclesiastiche, fare cioè di quei cavalieri anche dei monaci: nacque così il primo ordine monastico-cavalleresco per il quale lo stesso Bernardo dettò, nel 1128, la regola. I Templari si votavano a difendere la fede con la spada, giuravano obbedienza, rinunciavano al lusso, praticavano la castità .
    A Costantinopoli i crociati erano considerati utili alleati contro i turchi, ma anche temibili e incomodi ospiti. I musulmani li disprezzavano perchè i crociati facevano spavaldamente tutto quello che il Corano proibiva: bevevano molto, giocavano d’azzardo, mangiavano carne impura di maiale e, oltre al loro Dio, pregavano i santi (“Non vi è altro Dio che Allah” diceva il Corano). Inoltre non li capivano. I franchi facevano un gran parlare di cavalleria, di vedove e di orfani da proteggere, ma poi si accanivano crudelmente contro le popolazioni civili, distruggevano ciò che conquistavano -anche con fatica- invece di conservarlo per trarne vantaggio, davano importanza alle virtù guerriere, ma non si curavano di quelle intellettuali: erano analfabeti, superstiziosi, non sapevano nè di scienza nè di arte, avevano costituito le confraternite degli ospedalieri ma le loro conoscenze di medicina erano molto rozze.
    Intanto c’è chi le ripropone migliaia di chilometri lontano. Fra il 1202 e il 1237 i membri dell’Ordine dei cavalieri Portaspada, partendo dalla base di Riga, sul baltico, fondano città e vescovati tedeschi in Curlandia, Livonia e Semegallia, mentre a partire dal 1230 i Cavalieri Teutonici impongono con la Croce e la spada il cattolicesimo romano alle popolazioni slave della Prussia.
    La volontà di Innocenzo III di riaffermare la piena autorità del pontefice non era una rivolta solo all’esterno della chiesa: si trattava anche di combattere l’eresie. Per combattere le eresie la chiesa organizzò un sistema repressivo che trovò il suo strumento principale nel tribunale dell’inquisizione, fondato nel 1231. Nel 1216 nacque l’ordine domenicano, fondato da Domenico di Guzman (1170-1228); l’ordine francescano, fondato da Francesco d’Assisi (1182-1228), essi si proponevano il comune obiettivo di combattere l’eresia con le sue stesse armi, la predicazione e l’esempio della povertà .

    CD, ACTA- Mille anni di storia (Il medioevo) / Internet- Compendi di Storia

  • Alessandro Magno e la Macedonia

    Il regno macedone si era costituito dal VI secolo a.C. nella regione montuosa a nord della Grecia. All’inizio del IV secolo a.C. la monarchia macedone si presentava come uno stato fortemente centralizzato.

    Con l’ascesa al trono del sovrano Filippo II (359 a.C.) maturò il progetto di un’espansione verso la Grecia. La superiorità militare macedone ebbe la meglio sulla volontà di resistenza dei greci, che furono sconfitti nella decisiva battaglia di Cheronea, in Beozia (338).
    Succedete a Filippo suo figlio Alessandro. Aveva venti anni e nutriva in cuore una ambizione smisurata. Educato dal filosofo Aristotetele, addestrato alle armi e alla politica dai generali di suo padre, dotato di grande intelligenza, di energia e di tenacia, creò un impero mondiale. Appena salito al trono, Alessandro si fece confermare i diritti di cui aveva goduto suo padre, il comando supremo dell’esercito.

    Quindi volle dimostrare ai popoli soggetti che la morte di Filippo non aveva diminuito la forza della Macedonia: accorse in Illiria a domare una ribellione e, essendo insorta Tebe alla falsa notizia della sua morte, se ne impadronì con la forza, la rese al suolo e ne vendette schiavi gli abitanti. L’esempio era sufficiente per dissuadere gli altri confederati da ogni insubordinazione e potè dedicarsi alla guerra nazionale contro la Persia. Nella primavera del 335 a.C. si diresse verso la Siria, e a Isso affrontò affronto l’esercito del re di Persia Dario III.

    Gli Asiatici, sebbene superiori di numero, furono travolti dalle falangi macedoni e Dario si salvò con la fuga. Prima di penetrare nell’interno dell’Asia, egli volle assicurarsi il possesso di tutta la costa mediterranea. Penetrò nell’Egitto. Presso il ramo sinistro del delta del Nilo fondò una città, Alessandria. Dall’Egitto, Alessandro ritornò sui suoi passi, sconfisse nuovamente Dario presso Guaguamela, in Mesopotamia.

    Con questa vittoria caddero nelle sue mani Babilonia, Susa e Persepoli. Continuando l’inseguimento di Dario, Alessandro penetrò nella Media. Nel 328 a.C., aveva attraversato tutto l’Iran, giungendo con un amplissimo giro fina alla Battriana: aveva toccato gli estremi dell’impero.
    Prima di varcare il passo Khyber e entrare in India, Alessandro sentì il bisogno di riorganizzare l’armata che aveva guidato attraverso l’Iran e la Battriana e di adattarla al clima e al terrno differente.

    Bruciò tutti i carriaggi colmi di bottino che impedivano la sua mobilità e congedò un gran numero dei suoi veterani ormai inutilizzabili, riforgiando la sua armata con l’impiego di parecchie migliaia di cavalieri iranici. Le forze combattenti ammontavano a circa 40000 uomini.

    Mentre le truppe pesanti, al comando di Perdicca ed Efestione, mossero insieme ai bagagli attraverso la valle del Kabul fino all’attuale Charsadda, Alessandro alla testa di truppe armate più alla leggera si spinse più a nord, attraverso le regioni dello Swat, abitate da popolazioni montanare indiane estremamente bellicose e restie a sottomettersi. Perdicca ed Efestione che, avevano compiuto un percorso più facile, avevano costruito un ponte sull’Indo, e su esso, nella Primavera del 326, Alessandro passò nel territorio del Punjab, che come dice il nome, è una regione composta da cinque fiumi, affluenti dell’Indo che convogliano su di esso le acque della catena Hymalaiana.
    Il territorio in cui era penetrato l’esercito macedone era dominato da tre potentati. Nella Primavera del 326 Alessandro entrò nel regno di Ambhi, da lui poi ribattezzato Taxila, e ricevette un’accoglienza amichevole dal sovrano, che lo equipaggiò con elefanti e truppe.

    I regni di Taxila e Poro erano in relazioni ostili e per questa ragione Alessandro poteva contare in Taxila come un valido alleato.

    Abisare preferì una tattica più attendista, pronto a soccorrere il vincitore dello scontro che si andava profilando. Alessandro raggunse l’Idaspe (una regione del Poro), proprio mentre stava iniziando la lunga stagione delle piogge monsoniche e il fiume si stava gonfiando.

    Sull’altra sponda il Re indiano aveva schierato le sue truppe al completo, circa 30000 uomini e 200 elefanti. Attraversare il fiume su zattere davanti al nemico non era un piano che avesse prospettive di successo, perché l’esercito sarebbe stato attaccato appena uscito dal fiume senza potersi schierare; bisognava cercare un guado non sorvegliato. Alessandro ordinò ai suoi soldati di fare un rumore continuo e spostarsi in continuazione, in modo da abituare gli Indiani a non dare troppo peso a queste continue manovre. Poi, dopo avere lasciato Cratero al comando del corpo principale dell’armata, guidò una forza d’assalto composta da 5000 cavalieri e 6000 fanti equipaggiati con barche e zattere, verso un guado, situato una ventina di chilometri più a monte del punto in cui era accampato l’esercito indiano.
    Il guado si presentava particolarmente difficile: erano iniziate le piogge monsoniche e il fiume stava rapidamente crescendo di livello; i fanti e i cavalieri si videro costretti ad attraversare con l’acqua fino al petto e pure i cavalli soffrirono non poco la violenza della corrente.

    Una volta passati tutti senza perdite, Alessandro dispose le truppe per la marcia, con gli arcieri e la cavalleria in testa, mentre la fanteria seguiva in formazione. Gli esploratori indiani avevano informato re Poro che gli invasori avevano forzato il fiume, ed egli, probabilmente non consapevole della reale consistenza del corpo di sbarco, inviò contro di loro un contingente composto da 2000 cavalieri e 120 carri, guidati dal suo stesso figlio, che si rivelò inadeguato al compito. Gli Indiani si batterono coraggiosamente ma furono alla fine sconfitti e volti in fuga perdendo tutti i carri, mentre lo stesso figlio di Poro cadde in battaglia. Una volta appreso l’esito dello scontro Poro capì che la minaccia principale veniva da Alessandro e non dalle truppe macedoni ancora schierate dall’altra parte del fiume, per cui risolse di muovere l’intero esercito contro di lui, dopo avere lasciato una schiera esigua a custodia del fiume di fronte a Cratero. Vinse in una grande battaglia il re Poro. Ma qui la sua energia dovette piegarsi davanti al malcontento dei soldati, esauriti dalla lunga guerra. Tutta l’opera sua, durante e dopo la spedizione, è dominata dal pensiero di dare alla conquista un saldo fondamenta, e la marcia degli eserciti fu accompagnato dalla fondazione di numerose colonie, che dovevano diventare fiorenti centri di propagazione dell’ellenismo (cultura greca).

    Alessandro si propose di fondere l’Occidente e l’Oriente, di fare dei molti popoli e delle molte civiltà un popolo e una civiltà unica. Incorporò nell’esercito contigenti indigeni. Dare effettività unità all’impero si rivelò opera ben difficile della conquista militare. L’opera non fu compiuta.

    A Babilonia, mentre pensava ai grandi disegni politici ed economici, il 13 giugno 323 a.C. Alessandro moriva all’età di 33 anni di regno.

    La scomparsa prematura e improvvisa di Alessandro tolse all’impero il suo principio creatore e regolatore: il partito ateniese antimacedone, proclamò la guerra di liberazione contro l’oppressore e fu seguito dalle altre città greche. Nel corso del III secolo a.C. la Macedonia tenne direttamente soggetta una parte della Grecia.

    Dopo la morte di Alessandro, l’immenso impero da lui conquistato si frazionò a causa delle lotte che i suoi generali intrapresero per la successione. Dopo circa un ventennio di conflitti, al posto dell’unico impero si formarono alcuni grandi stati detti regni ellenistici.

    Lo Stato ellenistico maggiormente attivo, più ricco (grano, papiro, birra, oro) e politicamente tranquillo è l’Egitto tolemaico (304-30 a.C.).

    La Pirenaica legò i suoi destini all’Egitto dei Tolomei.

    Tolomeo I fonda il Museo e la Biblioteca di Alessandria, che presto diviene la più grande di tutto il mondo classico.
    La Macedonia degli Antigonidi, fondata da Antigono Gonata dopo la vittoria sui Galati a Lisimachea (277 a.C.) è la prima a entrare in conflitto con Roma durante le Guerre Macedoniche (221-168 a.C.), fino a ridursi a provincia romana (148 a.C.). I tentativi di Atene e delle altre città greche di riconquistare l’indipendenza cozzano contro il pugno di ferro di Antipatro (322 a.C.) e di Antigono Gonata (261 a.C.).
    Diversa è la situazione nel composito Oriente dei Seleucidi (304-64 a.C.). Dalla nuova capitale Seleucia i sovrani cercano di governare (anche con l’ausilio di postazioni militari fisse e di una moneta unica) un territorio troppo vasto, che racchiude perdipiù genti di differente costume e lingua (le più diffuse divengono il greco e l’aramaico).

    Il regno si erode quasi subito con la vittoria dell’indiano Ciandragupta su Seleuco I, nel territorio del Punjab. Vasti territori dell’Asia Minore si staccano anche sotto il regno di Antioco I “Sotere” (il Regno del Ponto di Mitridate 280 a.C. ca.), mentre una calata di Celti (279 a.C.) porta alla fondazione del Regno di Bitinia. Si stacca poi, ad opera di Eumene I, il Regno di Pergamo (263 a.C.), ove si erige una vasta biblioteca.

    Ma è l’arrivo dei Parti (247 a.C.) a far crollare il regno seleucide.

    Questa tribù scitica giunge dal Caspio e dal deserto iranico sotto la guida di Arsace I. Vincendo Antioco II e Seleuco II, i Parti fondano un vero impero sotto la guida di Mitridate I (171-138 a.C.), che domina su Iran e Mesopotamia. Dopo che il figlio, Fraate I, muore combattendo la tribù dei Saci, l’impero passa a Mitridate II (124-87 a.C.), sotto il quale si verificano i primi scontri di una secolare lotta contro Roma.
    Libro, Edizioni Scolastiche Bruno Mondatori- Il lavoro dell’uomo / Libro, Europeans book Milano- Atlantica n.7 / Cd, Rizzoli Larousse 2001- Enciclopedia multimediale / Internet- Cronologia.

  • L’Italia preromana

    Mentre nascevano le prime civiltà urbane della Mesopotamia e dell’Egitto, in Europa la preistoria non si era ancora conclusa. Basti pensare che la scrittura fece la sua prima comparsain Italia non prima dell’VIII secolo. Le civiltà neolitiche europee conservavano a lungo un’organizzazione tribale e un grado di sviluppo di gran lunga inferiore a quello vicino-orientale.
    Analizziamo il passaggio tra la fase finale dell’Età del Bronzo (metà XII-fine X secolo a.C.) e l’inizio dell’Età del Ferro: il territorio della provincia di Viterbo in questa fase del Bronzo Finale è immerso nell’aspetto culturale protovillanoviano. Come nelle precedenti fasi dell’Età del Bronzo, essi sono situati soprattutto in posizione elevata e spesso, data la natura vulcanica di gran parte della regione, su speroni tufacei circondati da corsi d’acqua; ma si conoscono anche abitati posti nei pressi della costa tirrenica o sulla riva dei laghi vulcanici, come ad esempio il Villaggio del Gran Carro nel Lago di Bolsena. La tipologia prevalente d’insediamento vede la diffusione delle cosiddette aree con difesa perimetrale, porzioni di territorio con difese naturali (fossi, corsi d’acqua, pareti rocciose), talvolta potenziate dall’opera dell’uomo per renderle inespugnabili.
    La superficie coperta dagli insediamenti protovillanoviani, il 70 % dei quali situata su altura difesa, è mediamente di 4-5 ettari: gli abitati, in cui vivevano alcune centinaia di individui, controllavano un territorio di qualche decina di chilometri quadrati.
    Nel periodo del Bronzo finale, caratterizzato dagli aspetti culturali protovillanoviani, si nota una sostanziale aderenza ad alcuni degli aspetti del periodo successivo, quello Villanoviano nell’età del Ferro.
    Parlare del villanoviano significa fare un vero e proprio salto nel tempo di quasi tremila anni per arrivare quasi al IX secolo a.C. i villanoviani non inumavano i propri morti, tranne in rari casi. Di solito li cremavano e metevano i resti dentro a delle urne. Molti esperti ritengono che i villanoviani praticassero dei sacrifici umani, o più semplicemente che un congiunto o un servitore venisse ucciso per seguire il defunto nell’aldilà . Si dormiva e si viveva in un unico ambiente. In grandi vasi c’erano le provviste. Al centro c’era il focolare.
    Il tetto era di canne e in cima c’era un’apertura per il fumo. La civiltà etrusca fiorì a partire dal IX-VIII secolo a.C. nella regione compresa tra i fiumi Arno e Tevere; sul finire del VII secolo a.C., per l’acquista vitalità economica e commercia, gli Etruschi estesero la loro influenza a Sud, nel Lazio e poi in Campania, e a Nord, nella pianura padana, fondando nuove città . Essi si stabilirono anche in Corsica e Sardegna. Da sempre le vicende e la cultura di questo popolo sono avvolte di mistero, favorita dalla sua incerta provenienza. C’è, infatti, che ritiene che gli Etruschi siano giunti attraverso il mare, accreditando l’opinione dello storico greco Erodoto, vissuto nel V secolo a.C. Dionigi di Alicarnasso, vissuto dal 60 a.C. al 7 d.C., asseriva, che gli Etruschi erano autoctoni.
    Oggi si ritiene che i villanoviani accolsero gli apporti, nella lingua come nell’arte, della cultura orientale, di quella greca e degli altri popoli dell’Italia antica, grazie al flusso di genti ed esperienze nell’intesa rete di scambia commerciali e culturali che percorreva tutto il Mediterraneo. Infatti, nel 750 a.C. sbarcarono in Italia i greci e colonizzarono tutto il meridione. I villanoviani cominciarono a scrivere, prima l’alfabeto era sconosciuto. Le loro città fatte di capanne si trasformarono in città con case e templi. I discedento dei villanoviani erano sempre villanoviani dal punto di vista genetico, ma culturalmente erano molto diversi e si chiamavano etruschi. Il nome che noi diamo agli Etruschi corrisponde ai nomi loro dato dai latini (etrusci, tusci).
    I greci li chiamavano Tyrrenoi. Gli etruschi si chiamavano se stessi Rasenta. Occore però precisare che gli Etruschi non costituirono mai un vero e proprio stato unitario, bensì una confederazione di 12 città autonome, organizzate secondo il modello della città -polis greche e fenicie, federate in una lega, al contempo religiosa e politico. A questa lega appartennero le città di Arezzo, Volterra, Perugina, Chiusi, Populonia, Vetulonia, Orvieto, Roselle, Vulci, Tarquina, Cerveteri e Veio. Le città etrusche rette in un primo tempo a monarchia, in seguito subentrarono le repubbliche aristocratiche. I sovrani (detti lucumoni) concentravano nelle loro mani, per un anno, i poteri civili, militari e sacerdotali. Erano assistiti da un consiglio degli anziani, scelti tra i capi delle famiglie nobili, e da un’assemblea popolare. L’Etruria nel VI sec. a.C. aveva ormai una struttura sociale schiavistica.
    Oltre ai contadini sottomessi (molti dei quali era discendenti degli umbri e dei latini vinti un tempo) vi erano gli schiavi comperati e i prigionieri di guerra. La servitù domestica, i musicanti, le danzatrici, i ginnasti erano tutti schiavi. Anche se la lingua degli Etruschi non è stata del tutto interpretata, conosciamo bene l’arte di questo popolo, testimoniata da oggetti, statue e pitture murali rinvenuti nelle loro tombe. Questi reperti attestano che essa ha sviluppato caratteri autonomi rispetto a quella degli altri popoli della penisola e del Mediterraneo. Gli Etruschi furono molto abili nella lavorazione dei materiali che il loro territorio offriva: metalli, argilla. Altra occupazione fondamentale era l’agricoltura: coltivavano cereali d’ogni specie; sulle colline l’ulivo e la vite. Gli Etruschi furono i primi ad utilizzare sistematicamente l’arco, a partire del IV secolo a.C., nella penisola italica e in tutto l’occidente mediterraneo, ma è forse giunto in Italia dall’Asia Minore attraverso le colonie greche. Il suo utilizzo ha rappresentato una tappa fondamentale: nel vecchio sistema trilitico il peso del muro sovrastante grava sull’architrave, che tende a flettersi fino a spezzarsi; l’arco a tutto sesto, ovvero a forma di semicerchio, tende a distribuire tale peso lungo le pareti; in questo modo consente di praticare aperture di grandi dimensioni lungo i muri di qualsiasi altezza e spessore.
    Il tempio etrusco aveva forma e concezione spaziale diversa rispetto quella greco. Diversa era anche la sua utilizzazione: esso non era più la casa degli dei, ma luogo in cui il sacerdote interpretava i segni divini. Non ci sono pervenuti templi nella loro forma originaria. L’architettura funeraria degli Etruschi è documentata dalle ricce tombe, organizzate in vere e proprie città dei morti, la necropoli.
    I falisei, popolo dell’Italia antica, di ceppo linguistico differente a quello degli Etruschi, ha un’entità etnica diversa da questi ultimi, nonostante in alcuni periodi della sua storia si notino dei chiari contatti con la cultura etrusca.
    Il territorio dello stato falisco era compreso tra i confini naturali del fiume Tevere, dei Monti Cimini e Sabatini, corrispondente a parte della provincia di Roma a nord della capitale ed al settore meridionale della provincia di Viterbo. Le città principali della nazione falisca erano, da nord a sud, Vignanello, Fescennium (Corchiano ?), Falerii (Civita Castellana,la capitale), Sutri, Nepi, Capena e Narce (presso l’odierna Calcata). Sutri e Nepi erano poste in un’area di confine tra lo stato etrusco e quello falisco e la loro posizione ha talmente permeato della cultura di questi due popoli le cittadine da rendere difficile, agli storici, stabilirne l’appartenenza ad una nazione piuttosto che all’altra.
    La capitale dei Falisci, Falerii, raggiunge il massimo splendore nel periodo arcaico (VI secolo a.C.): in questo periodo si assiste ad una forte ellenizzazione della cultura falisca con la conseguente rielaborazione dei temi iconografici provenienti appunto dal mondo ellenico. La vicinanza con gli Etruschi fu spesso causa di scelte politiche comuni tra i due popoli: abbiamo notizia di alleanze strette per contrastare Roma che, dal V secolo a.C., diviene sempre più minacciosa nell’avanzata per la conquista dei territori dell’Italia centrale.
    Fra le altre civiltà evolute va segnalata quella dei celti (chiamati galli dai romani), una popolazione di lingua indoeuropea, che intorno al V secolo a.C. fu protagonista di un’imponente movimento migratorio dell’area renana verso la Francia, la Spagna, la Gran Bretagna e l’Italia settentrionale.
    Gli italici dediti alla pastorizia nell’area appenninica, avevano un livello di organizzazione economica, sociale e politica arretrato.

    Libro, Atlas-Le arti / Documentario della RAI- Passaggio a nord-ovest / Giornale, Specchio n. 20 / Internet- Tuscia / Internet- Compendi di Storia

  • I primi Stati della Mesopotamia

    Si svilupparono i primi insediamenti urbani nelle regioni della Mesopotamia, antico nome della regione dell’Asia Anteriore compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, occupate dalla moderna Turchia, dalla Siria e dall’Iraq. Queste regioni, a partire dal III millennio a. C., furono teatro di imponenti flussi migratori di molteplici popolazioni (semiti, ittiti, filistei, aramei, fenici ecc..). Le prime città stato della Mesopotamia si svilupparono nel sud della regione, nelle zone alluvionali a ridosso del Golfo Persico. Anche qui le condizioni ambientali stimolarono le risorse e l’inventiva dell’uomo. Le piene del Tigri e dell’Eufrate avevano luogo in primavera, con il rischio che l’acqua invadesse i raccolti prima del raccolto; viceversa, l’acqua scarseggiava in autunno, quando sarebbe stata necessaria. Gli antichi popoli mesopotamici affrontarono il problema attraverso canali regolati da chiuse, l’acqua veniva fatta affluire nei campi nel momento e nelle qualità opportuni.
    Uno degli elementi che favorì il sorgere dei centri urbani fu la presenza di un’organizzazione agricola che soddisfacesse le esigenze alimentari sia degli addetti al lavoro dei campi sia di coloro che si dedicavano ad altre attività . Ciò provocò una dipendenza della campagna dalla città , che aveva bisogno di assicurarsi grandi quantità di prodotti agricoli. Questi venivano versati dai contadini quale tassa in natura all’autorità cittadina. Non si trattava di uno scambio alla pari, perchè il potere era tutto nelle mani dei sacerdoti del tempio, ai quali spettava ogni decisione importante. La condizione dei contadini andò peggiorando nel corso del tempo: se nella prima fase della rivoluzione urbana essi erano in maggioranza possessori delle terre che coltivavano e liberi di organizzare il lavoro secondo le proprie scelte, in seguito crebbe sempre più una categoria di agricoltori direttamente dipendente dal tempio.
    I sumeri furono la più antica popolazione della Mesopotamia, le cui origini sono rintracciabili grazie a reperti risalenti al 3000 a. C. Il codice di leggi di Ur-Nammu, raccolta di testi giuridici, rappresenta la più antica raccolta di massime giuridiche della storia dell’uomo. I sumeri non si organizzarono in uno stato unitario, bensì in tante città -stato indipendenti l’una dall’altra, talvolta in lotta fra loro ed economicamente autosufficienti. La città sumerica era governata da un re chiamata lugar, il quale apparteneva generalmente alla classe sacerdotale. La città di Uruk, nata verso il 3500 a.C., sorgeva sulla destra del vecchio corso dell’Eufrate. Il tempio di Eanna fu il centro di un complesso di attività organizzative e politiche, che permisero a Uruk di acquisire sia il controllo della pianura intorno alla città sia il dominio sui villaggi urbani minori di una vasta area della Mesopotamia meridionale. Inoltre, Uruk fondò colonie anche a centinaia di chilometri verso nord, sino in Siria e in Anatolia. Queste avevano la funzione di controllare i commerci a lunga distanza. I sumeri erano politeisti; gli dei erano rappresentazioni e personificazioni delle varie forze della natura. Furono abilissimi artigiani, costruivano ornamenti, decoravano vasi d’argilla e fabbricavano strumenti in metallo che sapevano fondere a temperatura elevatissime. Il tempio, grande piramidi a gradoni chiamata ziggurat, era il cuore della città : nel tempio si svolgevano le attività di commercio, di scambi e le attività politiche. Il tempio era il supremo proprietario della terra e del bestiame. I sacerdoti amministravano queste ricchezze. Schiavi erano in Sumer, non solo i prigionieri di guerra, ma anche i debitori che perdevano la terra e la libertà a vantaggio del creditore. L’astronomio sumera si sviluppò dalla divinazione, cioè dall’arte di provvedere al futuro grazie all’interpretazione del movimento degli astri. I sumeri sapevano riconoscere stelle e pianeti: scoprirono che i loro movimenti rispettavano scansioni temporali. E’ ai sumeri, infine, che dobbiamo le prime cosmogonie (cosmo), cioè i primi tentativi dell’umanità per piegare l’origine del mondo, delle cose, dell’uomo stesso. Nella scrittura cuneiforme inventata dai sumeri, accanto ai segni pittografici compaiono anche dei segni fonetici. Ciò significava, ad esempio, con i simboli delle parole re e ma si potevano indicare, oltre ai suddetti termini, anche parole come mare e rema. Sembra questa la strada che ha portato all’invenzione dell’alfabeto. Una curiosa caratteristica dei segni fonetici sumeri sta nel fatto che essi inventarono un sistema per esprimere i suoni simile a quello che oggi noi usiamo per comporre i giochi dei rebus. La scrittura rimase però una pratica molto complessa: sapevano usarla soltanto gli scribi o scrivani di professione, cioè coloro che erano alle dipendenze del tempio o del palazzo e ne curavano l’amministrazione. La struttura delle città -stato sumere aveva messo in evidenza tutta la sua fragilità politica e militare di fronte a una popolazione nomade proveniente dall’Siria o dal deserto arabico: gli accadi. Essi conquistarono il territorio dei sumeri. Il potere venne quindi assunto dal re accadico Sargonn, il Conquistatore, che fondò la nuova capitale Akkad. Alla sua morte, verso il 2300 a.C., i popoli sottomessi si ribellarono, e la situazione fu ripresa in mano solo dal nipote Naram-Sin, che tuttavia non riuscì a ripristinare durevolmente la struttura dello Stato. Alla morte di Naram-Sin una tribù di origine semitica, anch’essa proveniente dall’Iran, penetrò in Mesopotamia e impose il proprio dominio a Sumeri ed Accadi. Nonostante che i nuovi venuti, denominati Gutei, avessero portato la prosperità economica del paese, vennero sempre considerati degli usurpatori e scacciati appena fu possibile. Fu il principe della città di Uruk, Utkhegal, che guidò la rivolta antigutea nel 2051 a.C., consentendo così la rinascita della potenza sumero-accadico. Il sovrano accadico riceveva in vita onori divini, essendo considerato un figlio degli dei; e quando veniva a morte, la sua scomparsa da questo mondo era considerata come un semplice passaggio nel mondo eterno degli dei, precluso invece ai comuni mortali. I Sumeri inventarono anche la scrittura cuneiforme, così chiamata perchè consta di tanti piccoli segni.
    Verso il ventesimo secolo a.C. cominciarono a premere sullo stato di Accad molti dei popoli confinanti, tra i quali gli Elamiti, i Mari, i Cananei e gli Assiri, ma la prevalenza venne assunta dai babilonesi, che riuscì a estendere il proprio dominio sul territorio circostante, finchè, verso il 1700 a.C., divenne capitale di un vastissimo regno che unificava l’alta e la bassa Mesopotamia (Akkad e Sumer). Testimonianza della civiltà politica babilonese è il codice di Hammurabi, insieme di leggi incise a caratteri cuneiformi.
    Contemporaneamente alla civiltà babilonese, nacque nella parte settentrionale della Mesopotamia l’impero assiro. La dinastia amorrea fondata da Samsi-adad diede inizio al periodo di indipendenza ed espansione oltre l’Eufrate. Lo scontro con la civiltà babilonese inferse un duro colpo alla civiltà assira: il re Hammurabi occupò l’intera Assiria e nel 1679 a. C. l’occupazione della città di Mari segnò il declino del primo periodo di splendore della civiltà assira.
    La struttura della monarchia assira era aristocratico militare, con molti elementi mediati dalla civiltà babilonese: l’economia basata sull’agricoltura e sul commercio fioriva grazie allo sfruttamento dei paesi conquistati. L’arte assira riprende i temi dell’arte mesopotamica dei sumeri, esemplificata nello Ziqqurat di Ur o tempio torre con sovrapposizione fino a sette piani di bastioni inclinati. La superiorità degli Assiri era soltanto militare: infatti essi non apportano nessun elemento culturale, ma solo l’uso dei carri da guerra e dei cavalli.
    Verso la metà del II millennio a.C. il dominio di Babilonia fu sottoposto alla pressione dei “popoli dei monti”, popolazioni nomadi e siminomadi. Tra questi vi erano gli assiri, che rendendosi indipendenti da Babilonia, poi, verso il 1146 a.C. occuparono la città stessa. Dopo così sconfitto la popolazione dei Mitanni, gli Assiri guidati dal re Salmanassar I invasero tutta la Mesopotamia trattando i popoli vinti con inaudita crudeltà , inchiodando sulle mure della città sottomese la pelle e la testa dei condottieri uccisi, deportando intere popolazione da una regione all’altra. L’odio e il terrore che gli Assiri avevano ispirato ai popoli sottomessi esplosero con furore quando venne anche per loro il momento della sconfitta. Gli invasori vennero ricacciati per qualche tempo sulle loro montagne. Ma a partire dall’883 a.C., di nuovo gli Assiri discendono come uccelli rapaci e di nuovo s’impongono a tutti gli avversari. Sotto il dominio degli assiri caddero progressivamente, tra il 1000 e il 700 a.C. la Palestina, la Siria e la Fenicia; verso il 670 venne conquistato anche l’Egitto. Inoltre i conquistatori hanno acquistato un’arma nuova: è la spada di ferro, che hanno loro trasmesso gli Hittiti, e che consente di sbaragliare con irrisoria facilità gli eserciti ancora armati completamente di bronzo.
    Organizzato un potente Stato sotto il governo dei primi sovrani, gli Ittiti cominciarono, come tutti gli altri popoli confinati, a guardare con desiderio le fertili pianure della Mesopotamia. Finalmente, dopo anni di guerriglia, riuscirono a invadere la Siria conquistando la capitale Aleppo, e poi spingersi fino alla stessa Babilonia; li guidava il re Morsili I, un abile generale, che però poco tempo dopo venne assassinato. Questo determinò una crisi nel governo ittita e un arresto nella politica di espansione militare, che riprese solo dopo due secoli, quando, nel 1365 a.C., si lanciarono all’assalto del regno dei Mitanni. Più che un regno, quello creato dagli Hittiti può essere considerato una grande confederazione di popoli e genti diversa. Gli Hittiti, infatti, costituivano una minoranza straniera nelle regioni conquistate e cercavano di evitare possibili ribellioni, concedendo una certa autonomia ai popoli sottomessi; spesso si accontentavano di ricevere da questi ultimi tributi e aiuti militari, lasciando sul trono il sovrano locale, anche se con un potere limitato. Il re era prescelta in relazione alla sua abilità guerriera o di comando. Egli non era quindi nè l’interprete della divinità nè dio egli stesso. L’autorità regia era limitata dall’assemblea degli uomini liberi, che aveva potere decisionale su molti aspetti della vita sociale e sull’elezioni del nuovo re. Ma nonostante tutto, venne anche per i saggi Ittiti il tempo della fine. Poco prima dell’undicesimo secolo a.C., essi vennero a conflitto coi Frigi, i fondatori della famosa città di Troia di cui parlano i grandi ci parlano i grandi poemi omerici, e la loro potenza crollò sotto i colpi dei nuovi dominatori, i quali ne invasero il territorio e vi fondarono una nuova capitale, chiamata Gordio.
    Il periodo di massimo splendore del regno di Frigia cadde tra l’ottavo e il settimo secolo a.C. Il regno frigio tuttavia, entrò ben presto in crisi a causa degli Assiri, i quali, guidati da Sargon II, ne sbaragliarono le forze nel 709 a.C.
    Essi vennero sostituiti dai Lidi, che a cavallo tra il settimo e il sesto secolo a.C. stabilirono il loro reame. Il secondo impero babilonese ebbe momenti di rinnovata grandezza sotto il regno di Nabucondosor, quando fu conquistata la Palestina fino ai confini dell’Egitto. Nabucodonsor II, nel 587 a.C., distrusse Gerusalemme, capitale del regno di Giudea, e deportò in massa gli ebrei in Babilonia, obbligandoli a collaborare alla costruzione di un grande edificio di culto, una torre detta ziggurat, che gli ebrei chiamarono poi nella loro Bibbia torre di Babele ritenendo che Dio stesso avesse confuso le lingue di coloro che la costruivano, mentre si trattava solo dei diversi popoli deportati dall’imperatore e costretti a lavorare come schiavi alla costruzione. Toccò al re Nabonide di vedere la fine dell’impero: inimicatisi i sacerdoti, avendo cercato di limitare il loro potere i loro privilegi, li spinse ad accordarsi segretamente coi nemici dell’impero, e in particolare coll’imperatore di Persia Ciro II. Costui nel 539 a.C. poteva così impadronirsi della grande, della splendida Babilonia.
    Il politeismo è senza dubbio il carattere fondamentale di tutte le religioni antiche. Quella della Mesopotamia era caratterizzata da un politeismo di tipo naturalistico: i popoli mesopotamici credevano cioè che ciascuna forza della natura (terra, acqua, vento, ecc.) fosse controllata da un dio. Oltre alle divinità della natura, c’erano gli dei protet0tori di ogni singola città , ai quali era dedicato il grande tempio posto al centro della città stessa.

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