Tag: ittiti

  • Ittiti: la religione

    Religione

    Le divinità ittite erano molte: la storia lo tramanda come il popolo dei mille dei . Essi facevano propri tutti quelli venerati dai popoli che conquistavano, in quanto credevano che questo conferisse loro più potere. Inoltre gli ittiti fecero proprie le diverse divinità anatoliche, chiamandole con il nome hattico. Ciascuna divinità era adorata per dare una risposta a tutto ciò che gli ittiti non riuscivano a spiegarsi. In questo modo nasce il dio della tempesta, più importante di tutti, quello della notte, del giorno, del sole, della luna e del fulmine. Non esisteva una gerarchia tra gli dei e, ad oggi, ci sono stati tramandati con diversi nomi. I più importanti sono: Taru, nome hattico del dio della tempesta, conosciuto anche come Teshub presso gli hurriti; Arinna, nome hattico della dea del sole e regina della terra ittita; Telipinu, loro figlio e dio del raccolto.

    A questa sorta di trinità ittita si univano: Ishtar (venerata anche come Sausga dagli hurriti), dea assiro-babilonese, sorella di Taru; Sarruma, fratello di Telipinu.

    Le divinità, che costruiscono una sorta di trinità, cercano di rispondere alle esigenze pratiche del popolo. Gli ittiti vivevano di agricoltura, per cui era importante non avere tempeste, avere una buona messe e la benevolenza della terra.

    Come detto in precedenza, queste divinità erano accompagnate dalla presenza di un toro. Non è certa la motivazione dell’adorazione di questo animale, che tra l’altro era diffusa molto nel mondo antico. Le ipotesi più attendibili avanzate dagli studiosi sono due. In base alla prima, se si osservano le dimensioni dei genitali di un toro, si nota che sono abbastanza estese. Ricordiamo che tale organo era direttamente collegato alla fecondità relativa a tutti i campi: molti figli (dunque manodopera gratuita), raccolti abbondanti, vasti allevamenti, ricchezze.

    La seconda ipotesi è più suggestiva. Alcuni fenomeni naturali, come il fulmine e le comete, a cui gli uomini di allora non sapevano dare una spiegazione scientifica, atterrivano le diverse popolazioni. La manifestazione di tali fenomeni avviene attraverso figure che richiamano il corno, se non addirittura la fugura geometrica del toro. Dunque il collegamento fu immediato: questo animale rappresentava tutto ciò che l’uomo non era in grado di controllare e spiegare.

    Presso il santuario di Yazilikaya c’è una pittura rupestre che raffigura diverse divinità. Le più importanti tra queste cavalcano un toro e portano in testa un cappello con molte corna. Tutto ciò ci dice che essi sono in grado di controllare quello che atterrisce l’uomo. Il numero di corna che rivestono i loro cappelli è direttamente proporzionale al potere che gli viene conferito.

    Altre divinità cavalcano dei leoni, quindi sono in grado di controllare la forza della natura, che si può manifestare attraverso un terremoto o un’eruzione vulcanica. Infine alcuni dei sormontano gli avvoltoi, simbolo di morte, se ci richiamiamo alle pratiche in voga presso gli hatti.

    Del resto, l’ipotesi relativa al timore degli uomini trova conferma nei miti tramandati dalla tradizione sumero-accadica, che anche gli ittiti fecero propri: Gilgamesh, Ninrag, Labbu. Tutti e tre descrivono fenomeni che l’uomo non sa controllare.

    Il primo si riferisce ad un re sumero, realmente esistito (2700 a.C.), che lotta e vince contro un toro, che causa una siccità di sette anni, inviato da Ishtar perché distrugga il suo popolo. Il secondo consiste in un figlio di Ishtar che provoca eruzioni vulcaniche per atterrire gli uomini. Il terzo si riferisce al passaggio di una cometa nelle regioni mesopotamiche che hanno impressionato le popolazioni locali, al punto da far nascere il mito di una divinità.

    Inoltre, sempre a proposito di questa tematica, altri miti, appartenenti all’area asiatica, entrarono nella simbologia ittita: la lotta con Illujankas , relativo ad un serpente, terrore dell’uomo, che viene sconfitto; la scomparsa del dio Talipinu , relativo ad una carestia che ha distrutto tutti i raccolti; il canto di Ullikummi , in cui un re viene investito direttamente da un dio. Agli dei veniva offerto da mangiare, anche per mezzo di sacrifici animali. Questo è testimoniato dalla presenza di magazzini attorno ai templi. Solo dopo che le divinità avevano mangiato, il popolo ed i sacerdoti potevano prendere parte al banchetto.

    In primavera si teneva una festa, che durava circa un mese (38 giorni), la quale era presieduta dal re. Questi, in qualità di sommo sacerdote, era costretto a girare per tutto il regno che era abbastanza vasto.

  • Ittiti: la società ittita

    Società ittita

    Si conosce poco circa la società ittita. Esistevano una classe regale ed una sacerdotale, anche se il re era considerato sommo sacerdote e presiedeva tutte le funzioni di carattere religioso.

    Il re, dunque, deteneva gran parte del potere, anche se esisteva un Consiglio dei Nobili , che assolveva ad alcune funzioni: partecipare con il re alle decisioni in materia di guerra, collaborare alla stesura di leggi e soprattutto educare i giovani nobili ed in particolare i giovani re verso l’amore per la patria e la giustizia. Con l’andare del tempo questa assemblea perse prestigio.

    La maggior parte del potere economico era gestito dagli aristocratici che disponevano anche di notevoli proprietà terriere.

    Esisteva anche una discreta classe militare, considerata la bellicosità del popolo ittita. I generali potevano prendere parte del bottino e, soprattutto, fare schiavi alcuni dei prigionieri. Quindi, presso gli ittiti, gli schiavi erano molto diffusi.

    Anche la donna deteneva un determinato potere. Nel palazzo reale era la regina a comandare. Essa inoltre partecipava alle riunioni di guerra e di giustizia. Questa situazione riflette il fatto che la società ittita ha avuto origine da quella dei proto-hatti che aveva un carattere spiccatamente matriarcale.

  • Fenici: lo sviluppo

    Sviluppo
    Nata verso il 1150 a.C., la civiltà fenicia si avviò ad un lento declino verso l’850 a.C., con la dominazione assiro-babilonese, fino al 350 a.C., periodo della dominazione macedone di Alessandro Magno.
    Tramite una fitta rete di commerci e attraverso l’uso delle navi triremi di loro invenzione, si sparsero in tutto il Mediterraneo, fondando città ovunque. E’ possibile riassumere la seguente situazione.
    Libano: Tiro, Sidone, Tripoli, Haifa, Arvad, Beruta (Beirut);
    Africa Settentrionale: Leptis Magna, Utica, Cartagine, Tunisi, Lisso (dopo le colonne d’Ercole);
    Sicilia occidentale: Drapana (Trapani), Lilibeo (Marsala), Panormo (Palermo), Mothya (Mozia);
    Spagna: Gadir (Cadice), Ibiza e Cartagena;
    Sardegna: Nora, Cagliari, Bythia, Carloforte, Tharros e Sant’Antioco;
    Creta, Rodi, Melo, Malta, Gozo, Cipro.
    Si presume che anche la città di Tebe in Grecia abbia origini fenicie. Su alcuni documenti si racconta della presenza fenicia anche in alcuni porti dell’Asia Minore
    I Fenici subirono diverse dominazioni, ma le affrontarono intelligentemente, rispettandole. In cambio poterono mantenere una certa autonomia economica.
    La Fenicia convisse con Israele in modo pacifico, sviluppando un’intensa attività commerciale. A Tale proposito, ricordiamo che intorno al 1600 a.C. l’Egitto si trovava sotto il controllo degli Hyksos. Questo era un popolo di origine hurrita, cioè caucasico, proveniente dalle regioni dell’Urartu, molto favorevole agli ebrei, che aveva conquistato la mesopotamia, stabilendosi tra Siria ed Assiria, ed era in lotta con gli ittiti. I semiti, seguendo Giuseppe, migrarono dalle dure terre palestinesi verso il delta del Nilo, dove vissero in pace e serenità.
    Successivamente nel 1570 a.C., il faraone Ahmose dell’Alto Egitto cacciò gli Hyksos e fondò il Regno Nuovo, destinato a durare quattro secoli. Sotto Tutmosi III, gli ebrei migrarono dall’Egitto, guidati da Mosè (forse un seguace del monoteista Akhenaton, che si avvalse di Aronne per comunicare con i semiti) e si ristabilirono nella Palestina, occupata nel frattempo da altri popoli, fondando le dodici tribù. Siamo intorno al 1200-1100 a.C., a questo punto, come già detto, entra in scena Davide che riunisce le tribù e fonda il regno di Israele, approfittando del fatto che l’Egitto, in lotta con gli Ittiti, lascia un po’ di autonomia alla Palestina.
    In seguito alla dominazione dei popoli del mare nasce il regno dei Fenici. Le città di Tiro, fondata da Hiram prima del 1100 a.C., e Sidone prendono il posto, come importanza, di Biblo. La convivenza con Israele, basata sul commercio, si interruppe per questioni religiose.
    La convivenza con l’Egitto fu ottima e sempre imperniata al commercio. Verso l’850 a.C. gli assiri di Assurnarsipal II, non più minacciati dal pericolo dei Medi, conquistarono i fenici, i quali, consapevoli della loro inferiorità, andarono incontro agli aggressori con pace e proponendo commerci. Ciò ebbe i suoi frutti fino al 700 a.C., quando tutte le città parteciparono ad una rivolta armena antiassira, subito sedata da Sennacherib, che impose una tassazione elevata. Sidone subì devastazioni, Tiro si difese e la sua isola non fu presa, nonostante alcune città fenicie collaborarono con gli assiri, come faranno secoli dopo con Alessandro Magno.
    Sotto il successore assiro Asarhaddon, Sidone si ribellò e stavolta fu Tiro a collaborare con i mesopotamici. Sidone fu distrutta. Fu poi la volta di Assurbanipal che continuò a controllare la zona.
    In generale, però la Fenicia, anche se divisa in due provincie (settentrionale e meridionale), continuò a prosperare con i commerci.
    Intorno all’800 a.C. alcuni abitanti di Tiro migrarono in Africa e fondarono Cartagine.
    La cultura che ne deriverà acquisterà sempre più potere, fino allo scontro con quella romana, che segnerà la sua fine.
    Nel 600 a.C. la civiltà di Assur e di Ninive lasciò il posto a quella di Babilonia, sotto il dominio di Nabucodonosor II, che scese fino in Egitto. I Fenici si allearono con Israele per contrastarlo, ma furono sconfitti. Gli ebrei conobbero la cattività babilonese, ma Tiro resistette di nuovo, dal 585 a.C. al 572 a.C., proponendo alla fine un patto di pace, in cui formalmente veniva annessa a Babilonia, mantenendo comunque una certa autonomia economica. Questo grazie anche alla politica del lungimirante re babilonese che sognava un grande impero in armonia. Gli ingegneri fenici lavorarono a Babilonia e la resero una delle città più belle del mondo.
    Nel 539 a.C. il re persiano Ciro II conquistò la Mesopotamia e quindi la Fenicia. I fenici costituirono la marina persiana e aiutarono gli ebrei a ricostruire Gerusalemme, abbandonata per il periodo di cattività. La convivenza con la Persia fu eccellente, anche se Tiro perse Cipro, presa dall’Egitto.
    Nel 525 a.C. il re persiano Cambise conquistò anche l’Egitto ed i Fenici collaborarono nell’impresa, avendo in cambio la quasi totale indipendenza.
    Nel 500 a.C., Dario era il re dell’impero persiano. Dinanzi a Salamina di Cipro i fenici furono sconfitti dai greci, inferiori come numero ed esperienza, successivamente presso Samo, con l’aiuto di Dario i fenici vinsero.
    Nel 480 a.C., Serse I, nuovo re di Persia, con 1207 navi, comandate da fenici, affrontò le 313 navi greche di Temistocle, presso la baia di Salamina in Grecia, venendo sconfitto. Fu poi la volta della sconfitta di Micale, presso Mileto. Contemporaneamente, presso Imera, in Sicilia, i siracusani (alleati dei greci) sconfissero truppe cartaginesi ed etrusche. Dunque, la Grecia fece la sua comparsa sui mari che prima erano fenici. Nel 465 a.C. gli elleni presero Cipro ed ormai, assieme a Cartagine, presero il posto dei libanesi, sempre più sotto le satrapie persiane.
    Verso il 350 a.C. Tripoli fu nominata capitale della federazione fenicia. I fenici avevano capito che dovevano unirsi, ma ormai era troppo tardi. Le città fenicie rimasero sotto il giogo persiano, nonostante qualche rivolta di Sidone e di Tiro.
    Nel 332 a.C. Alessandro Magno, diretto in Egitto, comincia ad assediare Tiro, dopo aver annesso le altre città fenicie. Secondo la sua strategia questa città doveva essere distrutta, perché rappresentava sempre la marina dei persiani. Fu aiutato da altre città fenicie e realizzò una diga che tolse ai tirii l’elemento naturale di difesa: il mare. Tiro, che aveva ricevuto la promessa di aiuto da parte di Cartagine, si difese strenuamente, poi, non ricevendo alcuna collaborazione esterna, capitolò. Fu la fine del regno fenicio. Tiro fu distrutta e rifiorì un po’ sotto i romani.
    Verso il 300 a.C. Alessandro Magno non c’era più ed il suo impero fu diviso in tre diadochie: la Macedonia sotto gli agonidi, l’Egitto sotto i tolemaici e l’Asia Minore sotto i seleucidi. Per quanto riguarda la Fenicia, anche se il suo regno non c’era più, ci furono ancora delle attività commerciali di svariato tipo. L’elemento dominante era però l’ellenizzazione dei costumi e della società: basti pensare che ogni 5 anni a Tiro si svolgevano i giochi.
    In questo periodo lo spirito fenicio sopravvisse in Cartagine che ebbe un grande splendore e presto si scontrò dapprima con i greci e poi con i romani.

  • I primi Stati della Mesopotamia

    Si svilupparono i primi insediamenti urbani nelle regioni della Mesopotamia, antico nome della regione dell’Asia Anteriore compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, occupate dalla moderna Turchia, dalla Siria e dall’Iraq. Queste regioni, a partire dal III millennio a. C., furono teatro di imponenti flussi migratori di molteplici popolazioni (semiti, ittiti, filistei, aramei, fenici ecc..). Le prime città stato della Mesopotamia si svilupparono nel sud della regione, nelle zone alluvionali a ridosso del Golfo Persico. Anche qui le condizioni ambientali stimolarono le risorse e l’inventiva dell’uomo. Le piene del Tigri e dell’Eufrate avevano luogo in primavera, con il rischio che l’acqua invadesse i raccolti prima del raccolto; viceversa, l’acqua scarseggiava in autunno, quando sarebbe stata necessaria. Gli antichi popoli mesopotamici affrontarono il problema attraverso canali regolati da chiuse, l’acqua veniva fatta affluire nei campi nel momento e nelle qualità opportuni.
    Uno degli elementi che favorì il sorgere dei centri urbani fu la presenza di un’organizzazione agricola che soddisfacesse le esigenze alimentari sia degli addetti al lavoro dei campi sia di coloro che si dedicavano ad altre attività . Ciò provocò una dipendenza della campagna dalla città , che aveva bisogno di assicurarsi grandi quantità di prodotti agricoli. Questi venivano versati dai contadini quale tassa in natura all’autorità cittadina. Non si trattava di uno scambio alla pari, perchè il potere era tutto nelle mani dei sacerdoti del tempio, ai quali spettava ogni decisione importante. La condizione dei contadini andò peggiorando nel corso del tempo: se nella prima fase della rivoluzione urbana essi erano in maggioranza possessori delle terre che coltivavano e liberi di organizzare il lavoro secondo le proprie scelte, in seguito crebbe sempre più una categoria di agricoltori direttamente dipendente dal tempio.
    I sumeri furono la più antica popolazione della Mesopotamia, le cui origini sono rintracciabili grazie a reperti risalenti al 3000 a. C. Il codice di leggi di Ur-Nammu, raccolta di testi giuridici, rappresenta la più antica raccolta di massime giuridiche della storia dell’uomo. I sumeri non si organizzarono in uno stato unitario, bensì in tante città -stato indipendenti l’una dall’altra, talvolta in lotta fra loro ed economicamente autosufficienti. La città sumerica era governata da un re chiamata lugar, il quale apparteneva generalmente alla classe sacerdotale. La città di Uruk, nata verso il 3500 a.C., sorgeva sulla destra del vecchio corso dell’Eufrate. Il tempio di Eanna fu il centro di un complesso di attività organizzative e politiche, che permisero a Uruk di acquisire sia il controllo della pianura intorno alla città sia il dominio sui villaggi urbani minori di una vasta area della Mesopotamia meridionale. Inoltre, Uruk fondò colonie anche a centinaia di chilometri verso nord, sino in Siria e in Anatolia. Queste avevano la funzione di controllare i commerci a lunga distanza. I sumeri erano politeisti; gli dei erano rappresentazioni e personificazioni delle varie forze della natura. Furono abilissimi artigiani, costruivano ornamenti, decoravano vasi d’argilla e fabbricavano strumenti in metallo che sapevano fondere a temperatura elevatissime. Il tempio, grande piramidi a gradoni chiamata ziggurat, era il cuore della città : nel tempio si svolgevano le attività di commercio, di scambi e le attività politiche. Il tempio era il supremo proprietario della terra e del bestiame. I sacerdoti amministravano queste ricchezze. Schiavi erano in Sumer, non solo i prigionieri di guerra, ma anche i debitori che perdevano la terra e la libertà a vantaggio del creditore. L’astronomio sumera si sviluppò dalla divinazione, cioè dall’arte di provvedere al futuro grazie all’interpretazione del movimento degli astri. I sumeri sapevano riconoscere stelle e pianeti: scoprirono che i loro movimenti rispettavano scansioni temporali. E’ ai sumeri, infine, che dobbiamo le prime cosmogonie (cosmo), cioè i primi tentativi dell’umanità per piegare l’origine del mondo, delle cose, dell’uomo stesso. Nella scrittura cuneiforme inventata dai sumeri, accanto ai segni pittografici compaiono anche dei segni fonetici. Ciò significava, ad esempio, con i simboli delle parole re e ma si potevano indicare, oltre ai suddetti termini, anche parole come mare e rema. Sembra questa la strada che ha portato all’invenzione dell’alfabeto. Una curiosa caratteristica dei segni fonetici sumeri sta nel fatto che essi inventarono un sistema per esprimere i suoni simile a quello che oggi noi usiamo per comporre i giochi dei rebus. La scrittura rimase però una pratica molto complessa: sapevano usarla soltanto gli scribi o scrivani di professione, cioè coloro che erano alle dipendenze del tempio o del palazzo e ne curavano l’amministrazione. La struttura delle città -stato sumere aveva messo in evidenza tutta la sua fragilità politica e militare di fronte a una popolazione nomade proveniente dall’Siria o dal deserto arabico: gli accadi. Essi conquistarono il territorio dei sumeri. Il potere venne quindi assunto dal re accadico Sargonn, il Conquistatore, che fondò la nuova capitale Akkad. Alla sua morte, verso il 2300 a.C., i popoli sottomessi si ribellarono, e la situazione fu ripresa in mano solo dal nipote Naram-Sin, che tuttavia non riuscì a ripristinare durevolmente la struttura dello Stato. Alla morte di Naram-Sin una tribù di origine semitica, anch’essa proveniente dall’Iran, penetrò in Mesopotamia e impose il proprio dominio a Sumeri ed Accadi. Nonostante che i nuovi venuti, denominati Gutei, avessero portato la prosperità economica del paese, vennero sempre considerati degli usurpatori e scacciati appena fu possibile. Fu il principe della città di Uruk, Utkhegal, che guidò la rivolta antigutea nel 2051 a.C., consentendo così la rinascita della potenza sumero-accadico. Il sovrano accadico riceveva in vita onori divini, essendo considerato un figlio degli dei; e quando veniva a morte, la sua scomparsa da questo mondo era considerata come un semplice passaggio nel mondo eterno degli dei, precluso invece ai comuni mortali. I Sumeri inventarono anche la scrittura cuneiforme, così chiamata perchè consta di tanti piccoli segni.
    Verso il ventesimo secolo a.C. cominciarono a premere sullo stato di Accad molti dei popoli confinanti, tra i quali gli Elamiti, i Mari, i Cananei e gli Assiri, ma la prevalenza venne assunta dai babilonesi, che riuscì a estendere il proprio dominio sul territorio circostante, finchè, verso il 1700 a.C., divenne capitale di un vastissimo regno che unificava l’alta e la bassa Mesopotamia (Akkad e Sumer). Testimonianza della civiltà politica babilonese è il codice di Hammurabi, insieme di leggi incise a caratteri cuneiformi.
    Contemporaneamente alla civiltà babilonese, nacque nella parte settentrionale della Mesopotamia l’impero assiro. La dinastia amorrea fondata da Samsi-adad diede inizio al periodo di indipendenza ed espansione oltre l’Eufrate. Lo scontro con la civiltà babilonese inferse un duro colpo alla civiltà assira: il re Hammurabi occupò l’intera Assiria e nel 1679 a. C. l’occupazione della città di Mari segnò il declino del primo periodo di splendore della civiltà assira.
    La struttura della monarchia assira era aristocratico militare, con molti elementi mediati dalla civiltà babilonese: l’economia basata sull’agricoltura e sul commercio fioriva grazie allo sfruttamento dei paesi conquistati. L’arte assira riprende i temi dell’arte mesopotamica dei sumeri, esemplificata nello Ziqqurat di Ur o tempio torre con sovrapposizione fino a sette piani di bastioni inclinati. La superiorità degli Assiri era soltanto militare: infatti essi non apportano nessun elemento culturale, ma solo l’uso dei carri da guerra e dei cavalli.
    Verso la metà del II millennio a.C. il dominio di Babilonia fu sottoposto alla pressione dei “popoli dei monti”, popolazioni nomadi e siminomadi. Tra questi vi erano gli assiri, che rendendosi indipendenti da Babilonia, poi, verso il 1146 a.C. occuparono la città stessa. Dopo così sconfitto la popolazione dei Mitanni, gli Assiri guidati dal re Salmanassar I invasero tutta la Mesopotamia trattando i popoli vinti con inaudita crudeltà , inchiodando sulle mure della città sottomese la pelle e la testa dei condottieri uccisi, deportando intere popolazione da una regione all’altra. L’odio e il terrore che gli Assiri avevano ispirato ai popoli sottomessi esplosero con furore quando venne anche per loro il momento della sconfitta. Gli invasori vennero ricacciati per qualche tempo sulle loro montagne. Ma a partire dall’883 a.C., di nuovo gli Assiri discendono come uccelli rapaci e di nuovo s’impongono a tutti gli avversari. Sotto il dominio degli assiri caddero progressivamente, tra il 1000 e il 700 a.C. la Palestina, la Siria e la Fenicia; verso il 670 venne conquistato anche l’Egitto. Inoltre i conquistatori hanno acquistato un’arma nuova: è la spada di ferro, che hanno loro trasmesso gli Hittiti, e che consente di sbaragliare con irrisoria facilità gli eserciti ancora armati completamente di bronzo.
    Organizzato un potente Stato sotto il governo dei primi sovrani, gli Ittiti cominciarono, come tutti gli altri popoli confinati, a guardare con desiderio le fertili pianure della Mesopotamia. Finalmente, dopo anni di guerriglia, riuscirono a invadere la Siria conquistando la capitale Aleppo, e poi spingersi fino alla stessa Babilonia; li guidava il re Morsili I, un abile generale, che però poco tempo dopo venne assassinato. Questo determinò una crisi nel governo ittita e un arresto nella politica di espansione militare, che riprese solo dopo due secoli, quando, nel 1365 a.C., si lanciarono all’assalto del regno dei Mitanni. Più che un regno, quello creato dagli Hittiti può essere considerato una grande confederazione di popoli e genti diversa. Gli Hittiti, infatti, costituivano una minoranza straniera nelle regioni conquistate e cercavano di evitare possibili ribellioni, concedendo una certa autonomia ai popoli sottomessi; spesso si accontentavano di ricevere da questi ultimi tributi e aiuti militari, lasciando sul trono il sovrano locale, anche se con un potere limitato. Il re era prescelta in relazione alla sua abilità guerriera o di comando. Egli non era quindi nè l’interprete della divinità nè dio egli stesso. L’autorità regia era limitata dall’assemblea degli uomini liberi, che aveva potere decisionale su molti aspetti della vita sociale e sull’elezioni del nuovo re. Ma nonostante tutto, venne anche per i saggi Ittiti il tempo della fine. Poco prima dell’undicesimo secolo a.C., essi vennero a conflitto coi Frigi, i fondatori della famosa città di Troia di cui parlano i grandi ci parlano i grandi poemi omerici, e la loro potenza crollò sotto i colpi dei nuovi dominatori, i quali ne invasero il territorio e vi fondarono una nuova capitale, chiamata Gordio.
    Il periodo di massimo splendore del regno di Frigia cadde tra l’ottavo e il settimo secolo a.C. Il regno frigio tuttavia, entrò ben presto in crisi a causa degli Assiri, i quali, guidati da Sargon II, ne sbaragliarono le forze nel 709 a.C.
    Essi vennero sostituiti dai Lidi, che a cavallo tra il settimo e il sesto secolo a.C. stabilirono il loro reame. Il secondo impero babilonese ebbe momenti di rinnovata grandezza sotto il regno di Nabucondosor, quando fu conquistata la Palestina fino ai confini dell’Egitto. Nabucodonsor II, nel 587 a.C., distrusse Gerusalemme, capitale del regno di Giudea, e deportò in massa gli ebrei in Babilonia, obbligandoli a collaborare alla costruzione di un grande edificio di culto, una torre detta ziggurat, che gli ebrei chiamarono poi nella loro Bibbia torre di Babele ritenendo che Dio stesso avesse confuso le lingue di coloro che la costruivano, mentre si trattava solo dei diversi popoli deportati dall’imperatore e costretti a lavorare come schiavi alla costruzione. Toccò al re Nabonide di vedere la fine dell’impero: inimicatisi i sacerdoti, avendo cercato di limitare il loro potere i loro privilegi, li spinse ad accordarsi segretamente coi nemici dell’impero, e in particolare coll’imperatore di Persia Ciro II. Costui nel 539 a.C. poteva così impadronirsi della grande, della splendida Babilonia.
    Il politeismo è senza dubbio il carattere fondamentale di tutte le religioni antiche. Quella della Mesopotamia era caratterizzata da un politeismo di tipo naturalistico: i popoli mesopotamici credevano cioè che ciascuna forza della natura (terra, acqua, vento, ecc.) fosse controllata da un dio. Oltre alle divinità della natura, c’erano gli dei protet0tori di ogni singola città , ai quali era dedicato il grande tempio posto al centro della città stessa.

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  • L’antico Egitto

    Nell’area medio-orientale, dominata dalle civiltà idrauliche dell’Egitto e della Mesopotamia, la via di comunicazione più logica era rappresentata da quelli stessi fiumi. Le imbarcazioni furono ovviamente il mezzo di comunicazione principale. Notizie che possiamo ricavare dai poemi omerici e dai dipinti ci dicono che le navi da guerra, a differenze di quelle mercantili, erano longilinee e leggere, tali cioè da poter esser trascinate a riva dell’equipaggio. La nave da guerra non serviva solo per le battaglie in mare aperto, ma anche per gli sbarchi di sorpresa sulle piagge vicine alle città nemiche. Omero ci informa che l’equipaggio della nave da guerra era di 50 uomini, notizia che consente agli esperti di affermare che la sua lunghezza media era di 35-40 metri. A metà del II millennio a.C. cominciò a essere usato il cocchio; si trattava di un carro leggero trainato da cavalli, le cui ruote, al contrario dei primi carri coperti, non erano piene ma a raggi. Il cocchio ebbe all’inizio soprattutto usi militari. Ma carri e cocchi necessitano ovviamente di strade sufficientemente larghe e curate, che effettivamente cominciarono ad apparire, a partire dal II millennio a.C., all’interno dei paesi più estesi. Possiamo individuare due tipi di viaggiatori: i soldati e i messaggeri. Va sottolineato che questa sorta di servizio postale riguardava esclusivamente i messaggi destinati al sovrano; i privati, quando volevano far pervenire un messaggio a qualcuno, lo affidavano a chi era in procinto di intraprendere un viaggio. Ma i veri protagonisti dei viaggi dell’antichità erano i mercanti; infatti, la necessità di vendere o di procurarsi le merci imponevano loro viaggi su distanze più o meno lunghe. Il quadro dei viaggiatori dell’antichità non sarebbe completo se non ne consideriamo altre due tipologie: i devoti e i turisti.

    L’antico Egitto

    L’esigenza di regolare con opere idrauliche lo scorrere del Nilo portò, fin dal IV millennio a.C., da un lato alla fusione dei diversi popoli in un’unica civiltà , dall’altro alla formazione di due regni: il Basso Egitto, costituito dalle ampie pianure del delta, e l’Alto Egitto, costituito da strette fasce coltivabili lungo il corso del fiume, al di là delle quali si estendevano vasti altopiani desertici.
    Si evidenziarono però delle differenze fra il Nord e il Sud del paese: infatti nella zona del delta del Nilo (Basso Egitto) la grande fertilità dei terreni consentiva di disporre di eccedenze di prodotti che alimentavano il commercio, anche per mare, con i popoli limitrofi; a sud (Alto Egitto) il terreno meno fertile costringeva invece le popolazioni a compiere delle razzie nelle zone circostanti.
    Il primo faraone fu Narmer, che avrebbe poi assunto il nome di Menes, una volta divenuto monarca. Re della parte meridionale dell’Egitto o Alto Egitto conquistò la parte settentrionale o Basso Egitto. Unificato l’Egitto fu anche il primo a portare il tradizionale copricapo, fusione della “Corona Bianca” del Basso Egitto con la “Corona Rossa” dell’Alto Egitto. Di lui conserviamo una tavoletta di scisco celebrante il suo trionfo militare.
    Durante il periodo arcaico, in cui si succedettero due dinastie (comprendenti almeno diciassette faraoni), si affermò la natura assolutistica e teocratica del potere del faraone, considerato figlio del dio sole Ra, e adorato egli stesso come divinità ; venne stabilita anche la struttura dello stato, diviso in distretti (detti “nomi”) governati dai nomarchi. Si sviluppò nel frattempo la scrittura (i primi geroglifici si datano a partire da questo periodo) e vennero costruiti anche edifici funerari a Saqqara e ad Abido, primi esempi dell’arte egizia.
    Attorno al 2300 è l’inizio della produzione del formaggio, nell’Egitto, come forma di conservazione del latte.
    Il primo periodo intermedio dura dal 2178 al 2067 a.C. circa. Il secondo sovrano della III dinastia fu Sesostri, che regnò dal 2737 al 2717 ca. a.C.; durante il suo regno l’espansione militare si indirizzò a sud verso la Nubia. Sono note anche alcune spedizioni commerciali in Libano, da dove veniva importato il legname da costruzione, che scarseggiava in Egitto, e nel deserto del Sinai, che forniva pietre per l’edilizia, gemme preziose e metalli (rame e oro).
    Al primo periodo intermedio appartengono la VII e l’VIII Dinastia con capitale a Menfi e la IX e la X Dinastia con capitale principale a Heracleopolis (e dette perciò dinastie eracleopolitane).
    Montu Hotepi I (2137-?): Regnò per pochi anni ma sotto il suo regno inizia la riunificazione dei due regni. Il medio regno dura dal 2064 al 1785 a.C. circa. Nel 2000 appaiono in Egitto i primi oggetti in vetro.
    Montu Hotepi II (2064-2013) regnò più di cinquant’anni, durante i quali sconfisse definitivamente il sovrano di Assyut e quello Heracleopolis, ristabilì l’unità del paese, estese il potere al Basso Egitto con l’appoggio della borghesia che era interessata a riaprire il commercio su tutto il territorio.
    Sesostri III (1877-1843): fu un grande generale. Colonizzò la Nubia, che divenne provincia egiziana. Vinse i Libici e per la prima volta nella storia egiziana si spinse in Siria. Sekhembra (1785-1785) diventa re sposando la regina-faraone Sebeknefru. Non riesce ad acquisisce tutti i poteri per regnare. Questa situazione è fonte d’indebolimento del regno e causa, tra l’altro, il distacco della Nubia.
    Il secondo periodo intermedio dura dal 1785 al 1560 a.C. Contrariamente al precedente periodo intermedio, non ci furono carestie o guerre cruente. I pacifici re che si succedettero goderono ancora in parte dell’effetto Sesostri. Il popolo stava mediamente bene, ma senza una guida forte si lasciava semplicemente vivere.
    Sobekhotep IV governò 8 anni e durante il suo regno si verificò l’occupazione di una città da parte degli Hyksos che, più tardi diventerà la loro capitale Avaris. Lentamente ma inesorabilmente all’indebolimento del potere centrale, corrispondeva l’infiltrazione incontrollata di genti straniere che occupavano intere città che si rendevano indipendenti.
    Al 1785 risale il Papiro Smith, in cui sono esposte le tecniche chirurgiche degli antichi egizi. Al 1550 risale una copia di un originale più antico, fonte per la conoscenza della medicina egiziana.
    L’Egitto è conquistato dagli Hyksos, popolo di nomadi cananei e ammoniti. Il dominio dei sovrani Hyksos, dei quali si conosce poco, va dal 1635 al 1545, comprende la XV, XVI dinastia. Si stabilirono ad Avaris, sul Delta, e vennero scacciati solo con l’avvento della XVIII Dinastia tebana. Costruirono monumenti e templi rilanciarono gli scambi commerciali con gli altri popoli, mantennero la stessa struttura amministrativa, i medesimi canoni artistici e diedero impulso alla diffusione della letteratura, adottarono usi egiziani e si proclamarono faraoni, trascrivendo i loro nomi in geroglifici e assumendo a volte nomi egiziani. Gli Hyksos contribuirono sicuramente a importare in Egitto motivi asiatici che influenzarono l’arte egiziana.
    Al tempo del re Hyksos Yaqub-Har, da un ramo secondario della XIII dinastia, naque a Tebe la XVII dinastia con sovrani che regnarono da Elefantina ad Abidos.
    Il nuovo regno dura dal 1543 al 1078 a.C. Amhose (1543-1515) fratello e successore di Kamose, nel decimo anno del suo regno conquistò Avaris e inseguì gli Hyksos fino in Palestina distruggendo definitivamente la loro base operativa nella città di Sharuhen. Riconquistò la Nubia fino ad Abu Simbel e ristabilì la monarchia su tutto l’Egitto ormai unificato.
    Thutmose III (1490-1436): fu il più grande faraone d’Egitto dopo Ramsete II. Eclissato in giovane età dalla suocera e matrigna Hatscepsut, rimasto solo sul trono condusse una serie di campagne militari vittoriose sulla costa comprendente gli odierni Israele, Libano, Siria e Giordania (il Retenu). Celebri le sue vittorie contro i Mitanni. I popoli che non furono sottomessi, dovettero comunque versare tributi.
    Amenofi IV – Ekhnaton (1367-1350): fu un rivoluzionario in campo religioso. Istituì una sorta di monoteismo mistico, in cui unico dio era Aton, personificazione del disco solare.
    Ramseten II (1290-1224) il più attivo costruttore di tutti i tempi. Governò per 67 anni portando pace e splendore. Il terzo periodo intermedio dura dal 1078 al 525 a.C. circa. Il potere va in mano a re libici e più tardi ai re etiopi. In questo periodo si dividono “le Due Terre”, si hanno quindi sovrani che regnano sul Basso Egitto contemporaneamente ad altri che regnano sull’alto Egitto.
    Uno dei popoli che contrastarono più a lungo ed efficacemente il dominio egiziano sull’Oriente mediterraneo fu quello degli Ittiti. Interpretando e leggendo una raccolta statale di diecimila tavolette, si potè ricostruire la storia del popolo ittita e del suo impero. Il grande scontro fra le armate faraoniche e gli Ittiti avvenne nel 1296 a.C. presso Kadesh, sulle rive del fiume Oronte, in Siria. Alla testa dell’esercito imperiale egiziano era Ramses II, mentre le truppe ittite erano comandate dal re Mutavalli. Gli egiziani vennero presi in un colossale tranello, avanzando verso la città dove erano attestati gli Ittiti, mentre questi si tenevano nascosti e giravano le colonne nemiche. Quando Muvatalli lanciò l’assalto contro il grosso dell’esercito faraonico, ebbe facile gioco, tanto che lo stesso Ramses riuscì a stento a salvarsi, grazie a un distaccamento del suo esercito che era riuscito a sfuggire alla manovra accerchiante. Trent’anni dopo, tra l’Egitto e il regno ittita veniva firmata la pace, e nel 1256 a.C. i due imperi strinsero addirittura un patto di alleanza che venne suggellato da un matrimonio politico-dinastico.
    La società egizia era divisa in caste ereditarie. Accanto al faraone le caste più importanti erano quelli dei sacerdoti, degli scribi e dei militari. La massa della popolazione era costituita da contadini, che vivevano in modo modestissime. In qualche caso avevano delle terre personali. Erano gravati dalle fortissime pressioni fiscali e amministrative. Per la maggior parte erano operai e braccianti.
    Il denaro non era diffuso nell’antico Egitto. Le paghe erano date in natura, con vestiti e generi di prima necessità .
    I contadini erano lavoratori dipendenti che si occupavano delle terre del faraone o dei sacerdoti. Nei campi si coltivavano soprattutto cereali, lino e vite, impiegata per la produzione del vino. Per millenni gli straripamenti annuali del fiume Nilo hanno lasciato sui campi ricchi depositi di lino, rendendo fertile la terra e consentendo lo sviluppo di insediamenti agricoli. Il fango del fiume era prezioso anche per la costruzioni di vasi e mattoni. Durante il periodo delle inondazioni i contadini venivano occupati nella costruzione di grandi opere, in primo luogo le piramidi, cioè la tomba dei loro faraoni.
    Le varie tribù avevano le proprie divinità legati al ciclo della natura. Erano adorati per esempio gli astri e il sole, ma anche animali come l’ibis, il coccodrillo e lo scarabeo. Questi riti religiosi continuarono anche dopo l’unificazione. I tentativi di introdurre un rito monoteistico non ebbero mai successo. Il sentimento religioso era spontaneo e immediata. I corpi furono sepolti con una dotazione di oggetti ritenuti necessari per la vita dopo la morte.
    L’architettura è la massima espressione dell’arte egizia ed è legata alle tematiche religiose. Le imponenti piramidi sono opere collettive e sono lo sforzo di un intero popolo per rendere omaggio al sovrano e agli dei.
    Gli egizi avevano approfondirono la matematica, l’astronomia e la medicina.
    La civiltà egizia, come molte delle grandi civiltà dell’antichità , si basava in modo prevalente sui vegetali e, in particolare, sui cereali. Per molto tempo gli egizi produssero solo un pane non lievitato; in un’epoca precisa, ma forse già nel corso del III millennio a.C., essi scoprirono (probabilmente per la prima volta nella storia dell’uomo) la tecnica per far lievitare la pasta. Geroglifico non è che la forma di pittografia elaborata degli egizi, gelosamente custodita dai sacerdoti e dagli scribi, fin dal III millennio a.C.
    CD, Editoria elettronica- L’antico Egitto / Documentario, National Geographic- Egitto, conquista dell’eternità / Edizioni Scolastiche Bruno Mondatori- Il lavoro dell’uomo / Libro, European book Milano- Atlantica Junior n.7

  • Persiani: le origini

    Le origini

    L’origine del popolo persiano è varia e composita, frutto di un processo di integrazione tra popolazioni autoctone e diversi processi migratori a carattere indoeuropeo.

    L’attuale altopiano dell’Iran, che anticamente era conosciuto come Persia (dal nome della regione iranica Parsa), è stato sempre ricco di minerali e di beni di prima produzione, soprattutto a carattere industriale. Inoltre, ha rappresentato un luogo di incontro e di passaggio obbligato per i ricchi commerci tra il Mediterraneo e l’India, tra l’Arabia e la Cina.

    I persiani hanno dato vita ad un grandissimo impero, che nel corso dei secoli, ha conosciuto diverse popolazioni dominatrici, tutte comunque di origini iraniche, che ha condiviso il potere sul mondo con Roma e che ha dato vita ad una splendida arte e ad una moltitudine di religioni, che si sono diffuse in tutto il mondo.

    La regione iranica si estende dalle montagne dello Zagros, poste verso la Mesopotamia, a quelle indiane dell’Hindukush e del fiume Iaxarte; dal massiccio del Caucaso al Golfo Persico. Geograficamente è costituita da un altopiano montuoso, dal clima molto caldo d’estate e freddissimo d’inverno, molto fertile e ricco di pascoli.

    Già dal IV millennio a.C. questa zona era abitata da popolazioni primitive, residenti in abitazioni semplici, ma abbastanza stabili, dedite all’agricoltura, alla pastorizia ed alla lavorazione dei metalli. Nel complesso archeologico di Siyalk sono stati ritrovati mattoni di forma ovale, porte e resti di mura spesse con strade strette nel centro abitato.

    Dal punto di vista antropologico si osserva la formazione della razza caucasica che ha dato origine a tre gruppi di popolazioni:

    * Iberi e Baschi;
    * Lici, Misi, Cretesi ed Etruschi;
    * Elamiti, Cassiti, Mitanni, Ittiti, Urartei (Armeni).

    Il III millennio a.C. vede un’attività intensa nella produzione della ceramica ed un primo predominio della popolazione elamita, attorno alla città Susa, seguito da una lotta tra quest’ultimo e le popolazioni babilonesi.

    Nel II millennio compaiono le prime migrazioni indoeuropee. Dalla regione caucasica si osservano tre flussi migratori: il primo si indirizzerà verso l’Asia Minore, dando vita alla popolazione ittita ed alla nascita del relativo dominio; il secondo verso l’India, dando vita agli Ari; il terzo, invece, in Mesopotamia, originando la popolazione dei Mitanni che si è fusa assieme a quella hurrita, segnando un periodo di dominazione. Gli ultimi due flussi migratori hanno influenzato, seppure debolmente, le regioni iraniche, che hanno sempre trovato una valida difesa nella conformazione geografica del paese.

    Verso il 1800 a.C. migreranno i Cassiti dalla Persia verso il regno di Babilonia, dando vita all’era cassita che per 576 anni dominerà in Mesopotamia.

    Nel I millennio a.C. si verifica l’incursione dei popoli del mare che devastano tutto il mondo conosciuto, in particolare l’Asia Minore, la Grecia e l’area siro-palestinese. Tale migrazione penetra prepotentemente anche nella regione iranica, formando una popolazione conosciuta come indo-iranica, che ha molte affinità con quella celtica presente in Europa. La città principale è la città di Siyalk, già conosciuta nei millenni precedenti. Le tombe impiegate erano di quelle di tipo a tumulo, ricche di gioielli e monili. Interessante risulta anche la lavorazione dei metalli. La società si compone: del principe, i nobili, gli uomini liberi, i nullatenenti e gli schiavi. Si verificano diverse lotti tra i nobili che provocano divisioni tra le varie popolazioni iraniche.

    Era necessaria l’unità dunque. Si compongono la Media (Madai) e la Persia (Parsua), che intorno all’850 a. C. entrano in contatto con l’Assiria, che cerca il dominio in Iran. In particolare la Persia, con capitale Pasargade, è sotto il dominio della Media, con capitale Ectabana. In questo periodo l’Urartu, con il re Rusa I, vedrà un periodo di predominio in queste regioni.

    In questo quadro di lotte tra popolazioni, si inseriscono anche le migrazioni degli Sciti e dei Cimmeri, che sono citati anche nella Bibbia. In particolare i primi conquistano la Media e parte dell’Assiria, apportando continue razzie e devastazioni, ma anche un patrimonio culturale soprattutto nel campo scientifico e religioso.

    Il primo re che caratterizza la supremazia persiana è Achemene (che darà origine alla stirpe achemenide), che intorno al 700 a. C. fonda un piccolo principato in seno al regno elamita. Approfittando della guerra tra Assiria ed Elam, i Persiani, attraverso il re Tepsi (675 – 640 a. C.) consolidano il dominio su altri territori. Il regno viene diviso tra i due eredi Ariaramne (640 – 590 a. C.), a cui spetta il regno del Parsa, e Ciro I (640 – 600 a. C.) che regna sul Parsumash.

    La Media, con il re Ciassarre, vince su Ninive e l’Assiria ed ingloba nel suo regno anche i due potentati persiani. Intanto Babilonia, alleata della Media, ha il predominio sull’Elam. Ad Ariaramne succede Arsame, mentre nell’altro regno ha il potere Cambise I, il quale sposò la figlia di Astyage, re della Media, ed ebbe come figlio Ciro il Grande, che, riunificati i regni, rivalutò la capitale Pasargade.

    Questi, succeduto al padre, avrà come alleate le diverse popolazioni iraniche e desterà sospetti nel nonno, il quale gli muoverà guerra, perdendo. Nasce così il regno persiano, che, nel corso dei secoli, fino al 651 d. C., prenderà diversi nomi, in funzione delle popolazioni iraniche che avranno il predominio:

    Achemenidi
    Seleucidi
    Parti
    Sasanidi

  • Ittiti: lo sviluppo

    Sviluppo

    Intorno al 1750 a.C., come detto all’inizio, il re Anittas aveva fondato un piccolo regno con capitale Nesa. Disponeva di un esercito esiguo: 1400 cavalieri e 40 carri da guerra.

    Nel 1670 a.C. circa, cioè dopo un secolo di cui si sa pochissimo di questo popolo, il re Tabarnas fonda il vero regno ittita, spostando la capitale ad Hattusas, estendendo l’area di influenza politica ed insediando sui principati conquistati propri uomini fidati.

    Tutti i suoi successori adottarono il nome di Tabarnas accanto al loro, quando venivano incoronati. Nel 1650 a.C. sale al trono Hattusilis (Tabarna Hattusilis I), nativo di Hattusas. Questi non solo rafforza il suo regno nell’Anatolia, ma, attraversando il Tauro, si spinge in Siria, fino al fiume Oronte, ove secoli dopo affronteranno gli egiziani. Torna in patria carico di bottini, ma deve sedare una rivolta. Ritorna di nuovo in Siria e conquista Hassu, portando a casa anche le divinità locali. Gli ittiti si erano spinti oltre l’Eufrate a 1000 km da casa ed avevano riscattato l’onta che re Sargon di Accad aveva arrecato loro settecento anni prima, spingendosi in Anatolia. Di nuovo è costretto a tornare in patria per una congiura ai suoi danni, ma vi torna malato e morente.

    Il giovane Mursilis diventa re e viene educato dall’assemblea dei nobili. Governa con grande lungimiranza. Conquista Aleppo e tutta la Siria settentrionale. Inoltre compie una grandissima impresa (1595 a.C.): sconfigge gli hurriti e si spinge fino a Babilonia, più di 1850 km da casa, e la saccheggia, rovesciando la dinastia di Hammurabi. Al ritorno, muore, vittima di una congiura ed il suo posto è preso da Hantilis I, il quale si rivela incapace di regnare.

    Si susseguono una serie di assassini fino al 1525 a.C., quando sale al potere Telipinus, il cui nome richiama il dio della tempesta. Questi stabilisce un diritto di successione regale, basato sul principio della monarchia ereditaria, dà al suo popolo una costituzione ed un codice civile da impiegare nel campo giuridico, firmò con la Cilicia un accordo di pace, a testimonianza di un arretramento territoriale del suo paese. Dopo la morte di questo re, scoppia il caos. Il regno ittita è invaso dai kaska dal Caucaso e dagli hyksos a sud-est, i quali distruggono Hattusas.

    Verso il 1500 a.C.Suppiluliumas è re degli ittiti. Tramite una politica di alleanze, rafforzate da matrimoni con membri della sua numerosa famiglia, stringe accordi con altri re anatolici e sconfigge i kaska. Si spinge nel territorio dei mitanni, vincendo a Kadesh ed assediando Carchemish, città che diventerà celebre perché vedrà la vittoria di Nabucodonosor contro le truppe siro-egiziane. In questo periodo si colloca l’episodio già citato relativo alla corrispondenza epistolare tra il re ittita e la regina d’Egitto. Carchemish cade sotto il controllo ittita.

    A differenza del passato Suppiluliumas stabilisce in Siria delle roccaforti e fonda dei protettorati con a capo uomini fidati. Nei riguardi dei vinti adotta una politica di grande tolleranza e rispetto, anche se esegue delle deportazioni in alcuni luoghi strategicamente importanti. Scoppia un’epidemia che uccide anche il re.

    A succedergli è Mursilis II che riporta l’ordine nel proprio paese, mantenendolo nei suoi confini politici. Egli compie anche un gesto religioso, chiedendo agli dei perdono per i peccati del padre (che forse era salito altrono attraverso qualche delitto) e di potersene addossare la colpa, al fine di salvare il proprio popolo.

    Nel 1315 a.C. sale al trono il figlio Muwatallis. Egli divise l’impero in due regni. Quello del nord, con capitale Hakmish, fu affidato al fratello Hattusilis. Quello del sud, con capitale Dattassa, più vicina alla Siria, lo amministrò lui. Tra i due fratelli non correva un ottimo rapporto.

    Nel 1285 a.C. Muwatallis sconfigge presso Kadesh, gli egiziani di Ramsete II. Quest’ultimo sigla un accordo di pace con il re ittita, noto come “Patto Antico “, il cui testo è riportato anche sul tempio di Karnak lungo il, Nilo. Questo accordo è rafforzato dal matrimonio del 1269 a.C. tra Ramsete II e la bella Naptera, figlia di Hattusilis III , fratello di Muwatallis, appena salito al trono di Hattusas. Il re ittita in persona, seguito da un’imponente schiera di eserciti, accompagnò la figlia in Egitto, attraversando tutto il paese.

    In base al trattato, i due paesi stabilirono una linea di confine sul fiume Oronte, in Siria e ognuno si impegnava a difendere l’altro in caso di aggressione di un nemico. L’impero ittita andava da Smirne a ovest fino ad Aleppo a est, da Beirut a sud fino al mar Nero al nord e potava competere con il regno egiziano.

    Nel 1250 a.C. sale al trono il figlio Tudhaliyas IV che si proclama dio. Sotto il suo regno inizia l’invasione dei Popoli del Mare, che dapprima devastano il regno degli achei, poi quello dei cretesi ed infine l’impero ittita. Solo gli egiziani di Ramsete III riusciranno a fermare questo popolo sulle cui origini ancora non si sa molto. A seguito di questa invasione nel regno ittita, molti popoli si ribellarono. Il re Suppiluliumas, ultimo re, che visse nel 1200 a.C., non riuscì a fermare la disfatta.

    Una parte degli ittiti abbandonò l’Anatolia e trovò rifugio presso le città siriache, fondando un principato neoittita. E’ questo il popolo a cui fa riferimento al Bibbia negli episodi citati in precedenza. Intorno al 1000 a.C. queste regioni vengono occupate dagli amorrei, di origine semita e subiscono l’influenza fenicia. Nel 711 a.C. gli assiri conquistano Marash, ultima città-stato ittita.

    Così come è venuto, questo popolo è scomparso lasciando poche tracce. L’unico legame che ci è rimasto è con la Frigia. I frigi, infatti, hanno fatto parte della migrazione dei popoli del mare e verso il 1100 a.C. si sono stabiliti nell’Anatolia centrale, fondando città come Gordio, la capitale, e Ankyra (Ankara). Sono stati individuati degli insediamenti frigi sopra i resti di Hattusas. La Frigia perderà la propria indipendenza in seguito all’invasione persiana.

    Uno dei re frigi è stato Mida, divenuto famoso anche perché indossava il berretto frigio, tanto in voga tra i francesi nella rivoluzione. Questo berretto è di origini ittite.

    Bibliografia
    “Gli Ittiti” J. Lehmann 1980, Garzanti

  • Ittiti: le attività ittite

    Attività ittite

    Gli ittiti ereditarono molte tecnologie e conoscenze dai proto-hatti. Essi utilizzarono ed integrarono la loro cultura con tutto quanto c’era di locale: arte, religione e lingua. Addirittura per quest’ultima fecero totalmente propria quella anatolica. Nessun popolo conquistatore si comporterà mai in questo modo.

    Dal punto di vista artistico, non fecero molti progressi rispetto agli abitanti di Catal Huyuk. Si perfezionarono nell’altorilievo, come testimoniano rappresentazioni religiose trovate ad Hattusas e la mastodontica “porta dei leoni” della capitale, molto simile a quella di Micene. A tale proposito ribadiamo che gli ittiti ebbero molti contatti con gli achei, i cretesi ed i troiani. Questo è dimostrato dalle numerose similitudini individuate tra questi popoli: elmo impiegato in guerra, adorazione del toro, tipologia dei palazzi reali (in particolare quello di Cnosso è molto simile alla rocca regia di Hattusas), lavorazione dei metalli.

    Ad Hattusas, unica città anatolica ricca di acqua, è stata individuata la più antica biblioteca del mondo (circa 1500 a.C.), superiore come età a quelle di Assur, eretta da Tiglatpileser nel 1000 a.C., e di Ninive, costruita da Assurbanipal nel 650 a.C.. Il tempio del dio della tempesta individuato nella capitale ittita ricopre una superficie equivalente a quella di un campo di calcio. A tale proposito ricordiamo che i templi ittiti, come quello di Yazilikaya, vicino alla capitale, avevano delle finestre basse. Questo era dovuto al fatto che richiamavano i primi templi proto-hatti, realizzati all’aperto.

    Hattusas aveva delle mura ciclopiche, molto imponenti, simili a quelle di Micene. Le porte di accesso erano protette da torri. Questo dimostra l’abilità dell’ingegneria edile degli ittiti ed il loro forte senso della difesa dovuto al fatto che erano continuamente in guerra con le popolazioni limitrofe.

    Dal punto di vista militare avevano nel carro da guerra la loro arma micidiale. Questo carro, molto simile a quelli sumero e scita, differiva da tutti perché potava trasportare tre persone (il cocchiere e due soldati), mentre gli altri solo due. Questo conferiva al carro ittita molta mobilità ed una pericolosità a 360 gradi. Questa arma spaventò molto gli egiziani di Ramsete, tanto da costringerli ad un armistizio. Anche le armi e le corazze ittite erano imponenti.

    La loro lingua fu ripresa dai proto-hatti, ad ulteriore conferma della loro completa integrazione con il popolo locale. Molto amanti della letteratura, composero diverse opere, soprattutto a carattere religioso, molto dettagliate nella descrizione dei cerimoniali, ed esercitarono la propria scrittura per redigere trattati di pace. Famoso fu quello dell’alleanza con gli egiziani di Ramsete, trascritto con i geroglifici anche sul tempio di Karnak, lungo il Nilo. Compilavano degli Annali: ci sono stati tramandati il Testo di Anittas e gli Annali di Mursilis.

    Utilizzarono per la scrittura il “luvico figurato”, che richiama, per certi aspetti la scrittura geroglifica egiziana. Impiegarono anche il codice “lineare B” adottato dai Cretesi, implementandolo con la scrittura cuneiforme della mesopotamia ed arricchito, inoltre, dalla lingua proto-hatta.

    Amavano tessere i propri indumenti e tinteggiarli. Collezionavano molto oro, a testimonianza dei loro bottini di guerra. Lavoravano i metalli e la pietra. Nella pittura non fecero molti progressi: essa era impiegata per raffigurare le divinità.

    Vivevano prevalentemente di pastorizia e di agricoltura. Impiegavano la magia per scopi religiosi: in questo modo nacquero molte superstizioni.

    Giuridicamente, rappresentarono un popolo di enorme progresso. Alla legge del taglione, sostituirono un prototipo di codice civile, articolato in leggi, dove erano stabilite delle sanzioni pecuniarie e corporali. Giudice supremo era il re.

    Vi era anche un’attività commerciale che si espanse in relazione alla crescita dell’impero: attraverso carovane, si esportava preziosi, rame, argento, oro e bestiame e si importavano le leghe per realizzare i metalli.

  • Ittiti: le origini ittite

    Le origini

    Fino agli inizi di questo secolo si conosceva pochissimo del popolo ittita. Nel corso degli anni, grazie a studiosi europei, si è giunti alla scoperta e ad una maggiore chiarezza circa questa civiltà che intorno al 1500 a.C., nascendo nell’odierna Turchia, aveva assoggettato la Mesopotamia, la Siria, il Libano e l’Egitto.

    Le fonti storiche che ci raccontano di questo popolo sono pochissime. Più rilevanti sono sicuramente i documenti ittiti scoperti nelle varie spedizioni di scavi archeologici. Una prima testimonianza in proposito è data da un documento nel quale AnchesenAmun, figlia di Akhenaton e Nefertiti, faraoni d’Egitto, e vedova di Tutankamon, chiedeva al re ittita Suppiluliumas di poter sposare uno dei suoi figli. In realtà la regina egizia voleva sottrarsi dal potere del padre Eje, gran sacerdote, che aveva regnato alla sua ombra e del marito, divenuto famoso per il tesoro trovato nella sua tomba. Il re ittita, vincendo alcune titubanze, invia uno dei suoi tanti figli che viene ucciso assieme alla sua futura sposa, per ordine di Eje. Nefertiti farà in modo che venga incoronato faraone Ramsete, con cui inizierà un nuovo periodo di fioritura per l’Egitto. Questo documento testimonia l’importanza che gli ittiti avevano assunto nel quadro politico internazionale.

    Gli ittiti rappresentano una continuità tra l’età della pietra (7000 a.C.) e l’età del bronzo, databile intorno al 2000 a.C.. Per capire la loro importanza nella storia, è opportuno fare una precisazione.

    L’età della pietra è stata storicamente divisa in vari periodi: il paleolitico, diviso a sua volta in paleolitico inferiore e superiore, il mesolitico ed il neolitico, diviso in primo neolitico e tardo neolitico. Tra l’età della pietra e quella successiva del bronzo, da cui parte l’era storica (2000 a.C.), si colloca il calcolitico (5500 -3300 a.C.), diviso in primo, medio e tardo calcolitico. Il primo calcolitico è noto anche come età del rame. Successivamente all’età del bronzo comincia l’età del ferro (1000 a.C.). Dunque gli ittiti hanno ereditato gli usi e le tecnologie delle civiltà del neolitico per perfezionarle e diffonderle, in piena età del bronzo, nel mondo conosciuto di allora: Asia Minore e Mesopotamia.

    Gli Ittiti vengono citati nella Bibbia, in diversi episodi, come popolazione residente attorno a Gerusalemme, utilizzando il termine “chittim”. In uno di questi Abramo, probabilmente nativo di Ur dei Caldei, acquista dagli ittiti alcuni territori ad Hebron per seppellire sua moglie Sara. Ricordiamo, inoltre, l’episodio di Uria l’hittita , sposo di Betsabea, che fu fatto uccidere dal re d’Israele, Davide, il quale si era invaghito di quest’ultima, compiendo, così, un grave peccato agli occhi di Dio. Infine vengono menzionati nella costruzione del tempio di Salomone.

    Questi episodi fanno riferimento agli ittiti in un periodo relativo alla loro fase di decadimento e di assorbimento da parte di altre culture del vicino oriente. In realtà questo popolo ha le sue origini nell’odierna Turchia, luogo ricco di montagne e poco accessibile.

    Tra il 2500 a.C. ed il 2000 a.C. una popolazione indoeuropea, proveniente probabilmente dalle regioni caucasiche o dall’area europea del Danubio, migrò in Anatolia, dove, dall’età della pietra, già vivevano i protohatti, popolazioni autoctone.

    Questi ultimi vivevano in città ed avevano sviluppato un buon livello di civilizzazione. La più antica città del mondo ad oggi conosciuta è stata costruita da queste popolazioni: Catal Huyuk , a sud-est di Ankara. Si tratta di una città che ha subito diversi processi di ricostruzione, partendo dal primo neolitico (8000-7000 a.C.), ottenendo, come risultato, la formazione di vari strati su una quota altimetrica di 19 metri, di cui i primi dieci sono stati datati usando il metodo del carbonio 14. La storia di Catal Huyuk è abbastanza nota a partire da circa il 6500 a.C., per cui vi sono circa duemila anni ancora da studiare e decifrare. Il lavoro ottenuto fino ad ora è dovuto a scienziati come Mellart, Forrer, Hrozny, Winckler.

    Catal Huyuk risulta essere ancora più antica di Gerico, città palestinese, anche essa composta di strati, su una quota di circa 13 metri, la cui fondazione è databile attorno al 6500 a.C..

    L’antica città non aveva strade ed era composta da case ammassate l’una sull’altra, a scopo difensivo, a cui si accedeva tramite scale a pioli poggiate sui tetti. Le case potevano essere a più piani, avevano poche stanze, presentavano un’intelaiatura in legno ed un rivestimento, che veniva annualmente intonacato, costituito da mattoni, fatti di fango e paglia essiccati. Ciascuna casa poteva ospitare dalle sei alle otto persone (un nucleo familiare), vi era una cucina ed un angolo dove si accendeva il fuoco. Sotto i letti venivano conservate le ossa dei defunti ed erano collocate in relazione ai sessi: le ossa di donne sotto il letto dove dormiva una donna e quelle degli uomini sotto i letti dove giacevano uomini.

    Questa ritualità implicava diversi significati religiosi, correlati con la morte. In questa fase dell’umanità nasce il processo di divinazione di ciò che fa paura all’uomo: il fulmine, l’eruzione di un vulcano, alcuni animali feroci e la morte.

    I defunti venivano sottoposti ad un processo di escarnazione da parte degli avvoltoi, come ci raccontano le pitture parietali, in modo che rimanessero solo le ossa, che venivano poi conservate. Queste avevano un significato altamente simbolico, in quanto, secondo la tradizione semita, ereditata poi dal cristianesimo, rappresentano l’anima e la continuità del defunto con il regno dell’aldilà, quindi la vita eterna. Conservando le ossa del defunto in casa, i suoi cari richiamavano su di loro la sua benedizione e protezione. In alcuni casi venivano costruite appositamente delle case solide e robuste, per conservare i defunti, in modo che gli stessi venivano ingannati e credevano di essere ancora in vita. Le costruzioni meglio conservate che ci sono pervenute sono quelle legate ai defunti, proprio perché dovevano avere una funzione duratura nel tempo.

    Nel corso del processo evolutivo di queste popolazioni, si osserva che la conservazione dei corpi subisce dei profondi mutamenti: si passa, infatti, dal conservare le ossa in casa, sotto i letti, al contenerle in case apposite, fino ad arrivare a custodirle fuori delle città, in quelli che saranno i prototipi dei nostri cimiteri. In ultimo, si passerà anche all’inumazione dei morti, come è stato verificato in alcune città dell’Asia Minore.

    Quest’ultimo argomento è di grande importanza perché rappresenta il contrasto tra due culture. La prima, di origine semita, si basava, come già detto, sulla sacralità del corpo e delle ossa, la seconda di origine nordeuropea, relativa alla “cultura dei campi di urne” , preferiva conservare le spogli dei defunti incenerite. A seguito delle successive migrazioni, in particolare quella dei popoli del mare, tale cultura prese il sopravvento e si diffuse in tutta l’Europa.

    Dalla cultura anatolica si sviluppò il concetto di positività assegnato all’est e negatività all’ovest, ripreso poi dai romani. Ad esempio, tutti i cimiteri aprivano ad ovest ed un esercito che usciva in battaglia impiegava la porta est.

    Numerose erano le divinità venerate, ma la più diffusa era il toro, in richiamo ai monti del Tauro, catena montuosa che separava l’Anatolia dalla Mesopotamia, che poteva essere attraversata solo mediante il passo della Porta della Cilicia , utilizzato anche da Alessandro Magno nella sua impresa. L’adorazione di questo animale venne ereditata dalla cultura accado-sumerica. Costituiva il simbolo della fertilità e della forza ed era venerato anche a Creta, in tutta la Grecia, presso i galli, i germani ed alcune popolazioni italiche (sanniti, apuli, veneti, umbri). E’ dunque attendibile l’ipotesi che questa civiltà avesse molti rapporti con le culture dell’Egeo, in particolare con Creta e Micene. Si pensa addirittura che il palazzo di Cnosso a Creta fosse una grande necropoli, poiché ci è pervenuto ben conservato e presenta l’ingresso principale ad ovest.

    Numerosi poi erano i simboli fallici impiegati, segno di fertilità e di buon auspicio. Molte le divinità femminili venerate, tra cui Geà (la Terra). Questo testimonia il cambiamento della società che da patriarcale diviene sempre più matriarcale: l’uomo, non più nomade, sviluppa un’attività sedentaria, scoprendo la pastorizia e l’allevamento, quindi perde della sua importanza a favore della donna.

    I protohatti erano in grado di lavorare i metalli e la ceramica, usavano la pittura per scopi religiosi ed ornamentali, fabbricavano tessuti che venivano anche tinti, avevano un’alimentazione abbastanza varia, svolgevano attività di pastorizia, avvalendosi dell’aiuto del cane, avevano una discreta cura dei denti e dell’igiene del corpo.

    Catal Huyuk venne abbandonata intorno al 5700 a.C., forse a causa di un incendio o di un’eruzione vulcanica. Venne fondata, così, Catal Huyuk Ovest, abitata per circa 700 anni e poi abbandonata a causa di un incendio. Successivamente, vennero fondate altre città, divenute ora famosi siti archeologici, in cui l’assetto urbanistico e la tipologia mostrano l’evoluzione della civiltà dei protohatti: Mersin-Tarso, Can Hasan, Beycesultan, Troia, Alaja Huyuk, Kultepe. Sarà proprio da Kultepe che comincerà la comparsa degli ittiti.

    Non si sa con certezza quando questi ultimi giunsero in Anatolia. Sicuramente ciò avvenne alcuni secoli prima del 1750 a.C., anno in cui questo popolo cominciò ad assoggettare le tribù residenti. E’ probabile che nei secoli che precedono tale data, gli immigrati indoeuropei abbiano assimilato gli usi ed i costumi, nonché le tecnologie e la lingua delle popolazioni locali. Essi si inserirono talmente bene nel tessuto sociale che non imposero la propria lingua, ma adottarono quella dei protohatti. Inoltre, presero il nome di ittiti, richiamandosi a quello dei predecessori.

    Il fondatore dell’impero ittita fu il re Pitkhana di Kussara , che unì alcune tribù sotto il protettorato della città di Kutelpe. Suo figlio Anittas, invece, partì per conquistare Nesa, che divenne prima capitale del regno ittita, e Hattusas, la quale fu distrutta, senza alcun apparente motivo. Nesa divenne una città abbastanza ricca ed aveva addirittura uno zoo. Cento anni dopo, Hattusas, situata nell’Anatolia centrale, ad est di Ankara, venne ricostruita e divenne la vera capitale degli ittiti.

  • Egiziani: le attività

    Cosmesi

    La cura del corpo era molto importante per gli antichi egizi. Essi utilizzavano creme, unguenti e profumi per ammorbidire e profumare la pelle. Le donne si schiarivano la pelle con un composto cremoso ricavato dalla biacca, disponibile in colori diversi, dalla più pallida alla più ambrata generalmente destinata alle labbra.
    Evidenziavano il contorno degli occhi con il kohl nero o verde, rispettivamente estratti dalla golena e dalla malachite. Le unghie venivano tinte così come le palme delle mani e dei piedi e a volte anche i capelli con una pasta a base di hennè. Utilizzavano specchi, pinzette per la depilazione e attrezzi per la manicure. I profumi (utilizzati da uomini e donne come le creme), venivano estratti da fiori, fatti macerare e pigiati. Tutte le essenze odorose avevano nel dio Shesmu il loro protettore. Venivano prodotti in laboratori associati ai templi e conservati in vasetti di pasta vetrosa, la faience.

    I trucchi dei Faraoni
    I trucchi, per gli Antichi Egizi, avevano il fine di proteggere la pelle da riverberi e irritazioni causati dal clima asciutto e dalla sabbia. Dai papiri ritrovati si è scoperto come ad esempio la malachite (un minerale color verde smeraldo) e la galena (un composto del piombo colore grigio scuro) venivano applicate sulle palpebre per curare il tracoma (infezione dell’occhio), l’emeralopia (riduzione della vista) e la congiuntivite, mentre l’ocra rossa era utilizzata per le labbra e le guance come i moderni rossetti e fard. Recenti studi hanno rivelato la composizione chimica delle polveri: galena nera, cerussite bianca, laurionite e fosgenite.
    Queste ultime due sostanze non si trovano in natura, ma sono il risultato di processi chimici che, quindi, lasciano intravedere una grande conoscenza in materia. Le dettagliate istruzioni riportate dai testi antichi illustrano i metodi utilizzati: la galena nera veniva scaldata per produrre l’ossido di piombo (sostanza di colore rosso) che veniva macinata e mescolata con sale e acqua.
    Tutti i giorni seguenti, per un totale di quaranta, la mistura veniva filtrata e mescolata nuovamente con del sale in modo da ottenere la bianchissima polvere di laurionite. La fosgenite, invece, veniva ottenuta con lo stesso procedimento tranne che per l’aggiunta supplementare di natron (un tipo di carbonato di sodio facilmente ricavabile dai sali presenti nelle rocce). La varietà delle lavorazioni di queste sostanze (macinazioni più o meno fini) permettevano di ottenere diverse tonalità di colori e di lucentezza in modo che ognuno poteva personalizzare il proprio trucco.
    La laurionite e la fosgenite, a seconda del dosaggio, unite alla galena nera producevano la varie tonalità di grigio. A tali sostanze venivano poi aggiunti grassi animali, cera d’api o resine che esaltavano la densità e le proprietà curative dei prodotti. Per problemi di vista, ad esempio, veniva aggiunta dell’ocra rossa alla galena, mentre per il comune orzaiolo si applicava un miscuglio di malachite e legno putrefatto. I trucchi erano considerati “fluidi divini” e perciò appartenevano al corredo funerario del defunto. Alcune di queste sostanze sono giunte fino a noi perfettamente conservate.

    Educazione

    La scuola egiziana fu fondata attorno al 2000 a.C. con lo scopo di formare giovani esperti da destinare alle funzioni amministrative dello Stato. Era una scuola rigida e poco permissiva, spesso venivano inflitte punizioni corporali. Le lezioni si svolgevano generalmente all’aperto. Gli alunni stavano accovacciati su stuoie intrecciate ed erano muniti di pennelli o cannucce e di cocci di terracotta sui quali scrivevano.
    Allo studio delle lettere erano ritenuti funzionali l’esercizio ripetuto della ricopiatura e della dettatura. Il giovane che voleva avere accesso ai più alti gradi dell’amministrazione doveva conoscere almeno una lingua straniera, così come chi voleva intraprendere con successo la carriera diplomatica doveva conoscere il babilonese. Importante era anche la preparazione fisica, curata mediante esercizi ginnici.

    Navigazione

    Il Nilo era la più importante via di comunicazione, la più rapida e la più facile. Anche nella stagione della siccità, quando le acque del Nilo erano basse, la sua navigazione era resa possibile dal vento di tramontana. Le imbarcazioni del periodo più antico erano zattere in fibra di papiro intrecciato.
    Erano leggere, ma poco adatte al trasporto di grandi quantitativi di merci, per questo furono sostituite con barche di legno, generalmente in cedro del Libano. Lo scafo era rettangolare o triangolare ed era spesso decorato. In particolare venivano raffigurati sul moscone gli occhi che consentivano alla barca di “vedere”. Numerose barche solari furono ritrovate affiancate a tombe reali, infossate in grandi buche. Erano destinate a crociere ultraterrene. La più famosa é quella di Cheope. Oggi l’imbarcazione più usata per la navigazione sul Nilo é la Feluca, piccolo veliero con lo scafo di legno.

    Professioni

    Barbiere
    Il barbiere forse era l’unico che non disponesse di una sede propria e per guadagnarsi da vivere girava da un quartiere all’altro con i suoi attrezzi fermandosi di tanto in tanto in qualche piazza rimanendo in attesa dei clienti.
    Seduto su di un semplice sgabello, il cliente si concedeva alle attenzioni del barbiere che operava con un catino d’acqua saponata, un rasoio e delle forbici.
    Il barbiere aveva clienti assicurati in quanto gli egiziani non amavano portare la barba o i baffi e se nei dipinti di qualche tomba vediamo raffigurato un uomo con la barba questa viene utilizzata solo per fare notare la condizione precaria dell’individuo oppure per raffigurare uno straniero. I barbieri del Re avevano un rango ben determinato all’interno della corte, infatti ogni mento ben nato doveva essere assolutamente glabro. Ad ogni modo non è molto chiaro che la barba non sia stata un segno di potenza mascolina.
    Soltanto in pochissimi casi un uomo poteva essere raffigurato con la barba; per esempio il lutto (che ci ha fruttato alcune rappresentazioni di defunti con il mento picchiettato di nero) oppure una partenza per l’estero.
    Al contrario degli esseri umani, gli dei vengono invece vantati per la loro fluente barba lunga e finemente intrecciata. Al momento della morte a personaggi importanti come il faraone oppure a personaggi meno nobili veniva applicata al mento una barba posticcia: queste appendici, un lusso del sovrannaturale, avevano uno scopo puramente rituale.

    Commerciante
    Il mercato era il luogo comune, il punto di raccolta per produttori, compratori e venditori, dove si svolgevano generalmente tutte le attività commerciali. In molti casi i commercianti egiziani entravano in contatto con i mercanti siriani e fenici a cui vendevano le eccedenze dei loro prodotti e che non erano riusciti a piazzare sul mercato interno.
    La grande esportazione dipendeva senz’altro dal tipo di governo regio che se ne serviva e molto spesso questa veniva utilizzata soprattutto come strumento politico per mantenere aperti i contatti con le popolazioni vicine: cereali agli Ittiti o agli Ateniesi, oro per l’Asia, ecc. Ad ogni modo le frontiere egiziane si schiudevano appena per i mercanti stranieri e tutto quello che entrava nel paese, dai mercanti ai prodotti, veniva posto sotto un rigido controllo amministrativo. I frutteti, le cave, le miniere del deserto erano comunque tutte monopolio del re.
    Fin dai tempi più antichi sono sempre state fatte spedizioni per mare o per terra allo scopo di raggiungere altri paesi ricchi di prodotti e di cui l’Egitto scarseggiava. Nel Nuovo Regno questi prodotti-chiave che mancavano all’Egitto ( come il legno del Libano oppure il rame dell’Asia ) non vengono presi come bottino o reclamati come tributo ma venivano negoziati da mandatari per conto del sovrano o dei templi che allora, potevano disporre di una flotta mercantile in proprio.
    All’interno del Paese la circolazione dei beni dipendeva essenzialmente dal commercio. Sui mercati rurali si barattava semplicemente : una collana per dei legumi, mentre per un acquisto un po’ più elevato bisognava utilizzare un’infinità di misure.
    “Venduto ad Hay dalla guardia Nebsmen : un bue, corrispondente a 120 deben di rame. Ricevuto in cambio due vasi di grassi equivalenti a 60 debem; cinque perizomi di tessuto fine, cioè 25 debem, un vestito di lino meridionale cioè 20 debem, un cuoio cioè 15 deben”.
    Questo caso, oltre a mostrarci come poteva essere complicato il computo della somma da pagare ci mostra anche come il metallo (rame, oro e argento) servisse da valore tipo per stima.

    Falegname
    I fabbricanti di mobilio nell’Antico Egitto era eccellenti artigiani se si considera il fatto che data la scarsità del legname locale questo doveva essere per la maggior parte importato.
    Così, scarseggiando in Egitto le piante di alto fusto, gli artigiani, utilizzando i tronchi degli alberi che avevano a disposizione come l’acacia o il carrubo, inventarono abili incastri per unire più pezzi di legno e ottenere così superfici più grandi. Non venivano utilizzati chiodi di nessun genere ma piccoli pioli di legno. Incastri, buchi e imperfezioni venivano poi abilmente stuccati e laccati per renderli invisibili. A volte gli incastri erano così perfetti che non era nemmeno necessario utilizzare la colla. Gli attrezzi dei falegnami erano alquanto semplici (gli strumenti di metalli erano di rame di bronzo): con delle seghe a mano venivano segati i tronchi degli alberi a disposizione, si usava l’ascia per abbozzare il legno ed un coltello ricurvo per modellarlo. L’azza veniva utilizzata per piallare mentre una pietra abrasiva aveva lo scopo di levigare e rendere lisce le superfici. C’erano inoltre scalpelli, punteruoli e trapani.
    Il trapano era ad archetto, un tipo molto comune ancora in uso in Egitto ed il molti altri paesi del Mediterraneo. Questo strumento manuale di origine molto antica con cui, attraverso un moto rotatorio, si possono praticare fori in vari materiali come legno, pietra e metallo. Il tipo ad arco prende il nome dalla corda testa alle estremità dell’asta a cui viene applicata la punta utilizzata per la perforazione e destinata ad aumentare la velocità di rotazione dell’utensile.

    Gioielliere
    Di tutti i gioielli che sono stati trovati non possiamo altro che approvare la bravura dei gioiellieri egizi che con il passare dei secoli è diventata sempre più raffinata e proverbiale. I famosi gioiellieri egiziani erano in grado di passare con facilità dalla lavorazione dell’oro a quella delle pietre dure creando magnifici oggetti grandi a volte pochi millimetri ma sempre perfettamente proporzionati. I gioiellieri del Faraone erano uomini tenuti in alto onore e, questi personaggi custodivano segreti che li avvicinavano alle divinità. Il mestiere, ereditario, si tramandava di padre in figlio insieme ai segreti della lavorazione dell’oro, rimaneva quindi un privilegio di famiglia la facoltà di creare le immagini degli dei o di preparare stupendi gioielli reali.
    Da tutto quello che ci è rimasto: dipinti, sculture, monili ritrovati nelle tombe delle varie epoche storiche, riusciamo a farci una chiara idea dell’evoluzione della gioielleria egiziana: la tipologia dei monili risulta numerosissima grazie alle mani esperte degli antichi orafi egiziani: materiali, fogge, disegni, decorazioni e lavorazioni sono tantissime e i moltissimi esempi di gioielli ritrovati ci mostrano l’abilità di questi antichi artigiani. L’altissimo livello tecnico raggiunto dagli orafi egizi portò questi artigiani ad eccellere nei lavori di fonderia e saldatura, battitura (si avevano foglie d’oro da 1/200° di mm.) e calco, ancora oggi sono insuperabili le antiche tecniche che andavano dall’incisione all’incrostazione, dalla doratura per stampaggio, alla cesellatura, pulitura e coloritura, senza dimenticare l’impiego della granulatura e della filigrana.

    Orafo
    Come quella dei gioiellieri, anche la categoria degli orafi era molto apprezzata in Egitto soprattutto per le svariate opere pubbliche che necessitavano della loro arte. Se i gioiellieri si occupavano esclusivamente nella creazione di straordinari monili, l’opera degli orafi era indirizzata soprattutto alle decorazioni delle porte dei templi, delle regge e degli innumerevoli tesori di proprietà dei faraoni.
    Nei loro laboratori il lavoro cominciava con una complessa tecnica di lavorazione dei metalli pregiati che venivano selezionati, fusi in forni a cielo aperto e colati dal crogiolo in stampi per lingotti di varie dimensioni. Questi lingotti venivano poi lavorati per mezzo di incudine e martello e utilizzati per i vari scopi.

    Medico
    La scienza medica in Egitto era conosciuta e rispettata anche in altri paesi ed era praticata soprattutto da specialisti generalmente appartenenti alla casta dei sacerdoti o addirittura degli scribi. Nell’Antico Egitto esisteva un termine generico per indicare il medico: egli era il “Sunu” e cioè “colui di quelli che soffrono”. Il geroglifico che rappresenta la professione, come si vede chi sotto, è composto da una freccia e da un vaso. La freccia indica il fatto di andare al bersaglio, ovvero di ottenere la precisione diagnostica (oppure lo strumento che serviva per incidere le carni del malato), mentre il vaso contiene i giusti rimedi per la guarigione.
    Per la medicina egizia il centro di tutto l’organismo era il cuore da cui partivano tutti i vasi all’interno dei quali scorrevano i fluidi e gli umori necessari alla vita. In Egitto alcune delle malattie grave conosciute erano la polmonite e la tubercolosi e altre malattie parassitarie e l’artrosi.
    Anche considerando il termine generico che riconosceva il medico, vari documenti che sono stati ritrovati ci informano che esistevano molte specializzazioni e anche Erodoto ci informa di questo fatto:
    “La medicina è ripartita in Egitto in questo modo : ogni medico cura una sola malattia e non più malattie.”
    Così, in Egitto non esiste un medico “generico” ma troviamo così l’oculista, il dentista, l’internista e addirittura il “pastore dell’ano” (specializzato nell’introduzione per via rettale dei diversi rimedi). Come per altre classi anche all’interno della casta dei medici esisteva una precisa gerarchia nell’ambito di ogni specializzazione. Esisteva quindi il medico, il grande medico, l’ispettore dei medici, il direttore dei medici fino ad arrivare al decano dei medici. Nello stesso modo esistevano dentisti, capi dentisti, direttori dentisti, ecc. Inoltre esistevano le varie organizzazioni locali che andavano dai corpi medici delle cave e delle miniere, a quelli dei villaggi operai o delle grandi proprietà terriere fino ad arrivare ai medici legali.
    Nonostante le varie associazioni minori, in Egitto, la figura del medico non era assolutamente legata a strutture di tipo corporativo e la sua condizione sociale variava a seconda dell’ambiente in cui operava. Se un medico era a disposizione di una cava o di una città operaia, in moltissimi casi, non godeva di nessun privilegio particolare e alcune volte era addirittura socialmente al di sotto di ispettori oppure di capi operai.
    Naturalmente se un medico operava all’interno del palazzo reale o nei tempi, questo godeva dei privilegi adeguati al proprio rango e visto che in Egitto era in uso il sistema di sommare le varie cariche, molte volte un medico poteva anche essere un nobile oppure politicamente importante. Come per molte altre professioni, anche quella del medico si tramandava di padre in figlio. Ad ogni modo la preparazione era comunque completata dall’apprendistato oppure dai corsi che si tenevano all’interno delle “Case della Vita”. Le varie conoscenze anatomiche era buone ma rimanevano comunque limitate, questo perchè chi compiva l’opera di mummificazione non era il medico ma operatori di un’altra casta, necessaria ma disprezzata e, siccome i rapporti tra loro e il medico erano inesistenti le varie conoscenze anatomiche erano molto scarse. In compenso oltre ad avere una buona conoscenza delle ossa, dei muscoli e dei legamenti, si aggiungeva una discreta conoscenza degli organi interni. Anche se il medico aveva una cognizione topografica esatta del corpo e delle sue parti (testa, collo, tronco, addome e arti) mancava in tutto o in parte la concezione di scheletro nella sua totalità anche se singolarmente le ossa erano ben identificate e conosciute.
    Ogni organo era conosciuto e considerato soltanto nella sua globalità con poche distinzioni per le varie parti che lo compongono. Per tutti possiamo citare il caso del cuore e del cervello, organi che nell’antica medicina egizia erano ben noti: ma se il cervello era ignorato come organo le sue funzioni ed il complesso delle attività nervose erano conosciute ma erano attribuite al cuore, l’organo più importante del corpo umano e “principio di tutte le membra”.

    Muratore
    Un’altra professione di cui ci è rimasto qualcosa di veramente impressionante è quella del muratore che, grazie all’utilizzo di vari materiali, poteva costruire piccoli edifici oppure enormi palazzi e templi.
    Di tutto quello che ci è rimasto e che oggi possiamo ancora ammirare sono esclusivamente le costruzioni in pietra mentre gli edifici minori che caratterizzavano i villaggi e le città sono praticamenti scomparsi a causa del materiale poco resistente che veniva utilizzato. Per questi edifici il muratore utilizzava semplicemente il limo del Nilo che, mescolato a sabbia e paglia tritata, poteva produrre il comune materiale da costruzione. Questo procedimento era molto lungo ed una volta che l’impasto era pronto, questo veniva posto in uno stampo per diversi giorni dove il “mattone” diventava solido ed infine poteva essere utilizzato per la messa in opera.
    Nonostante la tecnica rudimentale ed il materiale scadente, ancora oggi, in alcune zone, questo metodo ortodosso è ancora in uso e spesso si possono vedere questi “mattonifici” a cielo aperto oppure vedere case fabbricate con il sistema in voga secoli fa.

    Profumiere
    Generalmente la produzione dei profumi avveniva in laboratori specializzati alle strette dipendenze dei templi ed era il frutto di abili esperti del settore (per esempio, ad Edfu, il suo tempio possiede ancora una di queste officine dove, dai muri coperti dalle iscrizioni sono state trascritte le ricette di fabbrica dei diversi prodotti odorosi). Raramente al di fuori di questo contesto venivano aperti laboratori non dipendenti dalla casta sacerdotale. Estratti da varie erbe o fiori, i profumi venivano messi a macerare i appositi contenitori e infine mischiati con pregiati legni aromatici fatti arrivare dalla Siria o dall’Arabia. L’olibano e il terebinto, che crescevano sulle rive del Mar Rosso, erano particolarmenti apprezzati, soprattutto per usi rituali.
    Gli olii aromatici ed i profumi venivano conservati in fasetti di pasta vetrosa, di origine fenicia, o in fasetti di importazione tipici dell’area egea. Egizio invece era l’uso di custodirli in vasi di alabastro.

    Tessitore
    Nell’antico Egitto la tessitura delle vesti era un’arte praticamente femminile e quindi ogni famiglia egizia era in grado di provvedere al proprio fabbisogno personale.
    Il materiale più utilizzato era il lino che veniva a volte colorato con sostanze vegetali o minerali disciolte nell’acqua. Durante il Neolitico, con la produzione di stuoini per coprire i pavimenti delle capanne inzia in Medio Oriente l’arte della tessitura: erbe di palude e canne venivano intrecciate a mano senza l’aiuto di particolari attrezzature. Da questi inizi, attraverso un continuo processo di raffinamento della tecnica, si arriva presto alla tessitura delle fibre di lino e della lana delle pecore. Una volta scoperte le tecniche necessarie per estrarre le fibre dal lino e dalla canapa, gli egiziani si cimentaro nella produzione di stoffe sempre più fini e sempre più candide. Durante il Neolitico venne inventato il telaio e da quel momento le tecniche di filatura divennero sempre più efficienti. Basti pensare che in alcune tombe gli archeologi hanno ritrovato delle stoffe fini come seta.
    La filatura e la tessitura erano considerate attività prettamente femminili anche se in alcuni dipinti si possono vedere uomini al telaio. Ad ogni modo, già durante l’Antico Regno queste attività venivano svolte dai servi e dagli schiavi ed in alcuni casi anche dalle donne contadine che lavoravano per le classi superiori.
    L’industria della tessitura in Egitto consisteva quasi interamente nella produzione di lini. La coltura e la preparazione della pianta era quindi della massima importanza e occupava gran parte del lavoro contadino, al pari di quanto accade oggi per il cotone nei paesi produttori.

    Vasaio
    Come il muratore, anche il vasaio adoperava il fango argilloso del Nilo per la creazione dei suoi manufatti impastando l’argilla e collocandola poi su di un piccolo tornio azionato manualmente. Dopo aver modellato il vaso, l’artigiano lo inseriva nel forno per la cottura. A differenza del falegname il vasaio godeva dell’enorme privilegio di possedere una grande abbondanza di materia prima.
    Questa forma di artigianato si sviluppo enormemente già fin dalla preistoria e da quel tempo nulla è cambiato nelle tecniche di lavorazione e nella qualità tanto che oggi è molto difficile datare un comune vaso di terracotta egizio. Per la sua produzione il vasaio stava seduto per terra davanti ad una semplice ruota imperniata in un basso piedistallo e la faceva girare spingendola con una mano mentre con l’altra dava la forma alla creta. Come oggi la forma della fornace del vasaio era cilindrica. I vasi appena creati venivano meticolosamente accatastati all’interno del forno e sopra ad un supporto forato sotto il quale si accedendeva poi il fuoco. I vasi venivano poi coperti da terra o da ceramiche rotte in modo da ottenere così il tiraggio desiderato.
    In linea di massima la ceramica di uso comune è molto povera senza decorazioni artistiche e ornamenti, al massimo si vedevano alcune semplici linee. Anche se non esiste nessun paragone tra la ceramica egiziana e quella di altre civiltà, l’Egitto ha il vanto di aver inventato la tecnica dell’invetratura, tecnica che rende la ceramica assolutamente impermeabile e che permette di poterla decorare con colori brillanti e permanenti.
    Non ci è arrivata nessuna documentazione o antico disegno che ci possa mostrare questa tecnica ed anche il suo nome egiziano è stato ormai dimenticato. Il termine utilizzato oggi, “faience” proviene dalla città di Faenza famosa per la sua industria di ceramica durante il Rinascimento. Faience è appunto l’invetratura che ricopre i vasi di ceramica detta anche “majolica”, dall’isola di Majorca in Spagna. Sia a Faenza che a Majorca la tecnica dell’invetratura giunse dal mondo arabo durante il Medioevo. I più antichi oggetti di faience sono le piastrelle che decorano le camere sotterranee di Saqqara, perline per le collane e piccoli vasi. Durante il Nuovo Regno si trovano anche piccoli amuleti, statuette e bambole.

    Vetraio
    La tecnica per la produzione, conosciuta molto bene dagli egiziani, si sviluppò come evoluzione di quella della faience. Per ottenere una pasta vetrosa simile al nostro vetro i vetrai egiziani fondevano polvere di quarzo e cenere. Questo tipo di vetro era opaco ma con l’aggiunta di ossidi metallici si potevano ottenere delle meravigliose colorazioni.
    Sembra che la produzione del vetro si sviluppo al tempo degli Hyksos grazie forse ai contatti con il Levante e la Mesopotamia dove questa tecnica pare sia stata inventata. Le prima realizzazioni appartengono alla XVIII Dinastia, all’epoca degli Amenofi, ed erano dei piccoli e graziosi contenitori di profumi costituiti da fili di vetro colorato saldati poi assieme dalla cottura.