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  • Romani: Augusto e l’impero

    Augusto princeps
    Dopo la vittoria di Azio contro Antonio, Ottaviano cercò di consolidare il suo potere, evitando atti che potessero farlo sospettare di aspirare al dominio assoluto. Nel gennaio del 27 a.C. il senato gli confermò le funzioni precedenti e gli conferì un potere militare (imperium) decennale e il governo di un certo numero di province; ricevette inoltre il titolo di Augusto (termine che indicava l’autorità quasi sacra, sottolineandone la dignità) e onorificenze simboliche.
    Dal 31 al 23 a.C. fu ininterrottamente console, non potendo avere il consolato a vita, si fece assegnare, nel 23 a.C., un imperium proconsulare maius et infinitum, cioè un ampio potere senza limiti temporali sulle province e sull’esercito, superiore a quello dei proconsoli oltre alla tribunicia potestas, cioè la totalità dei poteri dei tribuni, con diritto di veto e facoltà di proporre e far approvare le leggi che egli stesso, come princeps senatus (capo del senato), aveva il diritto di votare per primo.
    Nel 23 a.C. erano dunque poste le basi costituzionali del Principato; altre connotazioni essenziali del nuovo regime prenderanno corpo in seguito, per esempio il pontificato massimo nel 12 a.C. alla morte di Lepido e il titolo di “padre della patria” nel 2 a.C.
    In campo militare Ottaviano ridusse il numero delle legioni a 28, dalle 60 delle guerre civili, e costituì una guardia personale del principe (guardia pretoriana) comandata da due prefetti equestri. Il collocamento in congedo dei veterani richiese la fondazione di colonie e l’istituzione di una cassa apposita, l’erario militare (6 d.C.). In politica estera Augusto rafforzò i confini settentrionali dell’Impero con una serie di campagne militari e con l’istituzione di nuove province: il Norico (parte dell’Austria), la Pannonia (attuale Ungheria), la Mesia (tra il Mar Nero e i Balcani) e la Rezia (Trentino Alto Adige e parte della Svizzera).
    Il tentativo di penetrazione della Germania, fino all’Elba, fu interrotto dall’insurrezione di tribù germaniche (9 d.C.) guidate da Arminio. Il confine fu così stabilito al fiume Reno. In campo amministrativo Augusto riformò il sistema dei servizi (corpi di polizia, riscossione delle imposte, censimenti periodici di tutta la popolazione), I’amministrazione della città di Roma (con a capo il prefetto urbano), dell’Italia (ripartita in undici regioni) e delle province (divise in imperiali, ovvero quelle non pacificate e direttamente dipendenti dal principe, e senatorie, sottoposte al governo del senato).
    Il senato, pur avendo perso importanza dal punto di vista politico, fu coinvolto nell’amministrazione dell’Impero. Dal senato provenivano i proconsoli, amministratori delle province pubbliche, i comandanti degli eserciti, gli addetti alle opere pubbliche (curatores) e il praefectus urbi (prefetto urbano) che esercitava poteri di polizia. Solo i senatori più ricchi o i loro figli potevano percorrere la carriera politica (cursus honorum) fino alle cariche più alte, dalla questura al consolato.
    Generalmente i consoli, dopo sei mesi o meno, abbandonavano la carica, cedendo il posto a sostituti (suffecti), garantendo un ricambio che accontentava un gran numero di aspiranti.
    Coloro che possedevano almeno 400 000 sesterzi, per diritto di famiglia o per concessione dell’imperatore, potevano aspirare alla carriera equestre. I cavalieri potevano diventare governatori (praefecti) e amministratori del fisco delle province imperiali. Potevano inoltre aspirare alla carica di “prefetto del pretorio” (capo della guardia personale del princeps) o alla prefettura in Egitto, provincia considerata dominio personale di Augusto.
    I comizi persero tutto il loro potere, limitandosi ad acclamare i candidati scelti dal senato a sua volta influenzato dalle decisioni del princeps. Augusto creò anche una fitta rete di funzionari con i quali controllava l’attività degli organi repubblicani e governava le province imperiali. Essi erano nominati e dipendevano direttamente da Augusto che dava loro anche una retribuzione, a differenza di quanto avveniva per i magistrati della Repubblica che svolgevano i loro compiti gratuitamente. La carriera dei funzionari prevedeva promozioni per i più meritevoli che potevano anche aspirare a diventare membri del senato.

    L’organizzazione del consenso
    Ottaviano riuscì a creare attorno a sé un clima di consenso e di riconoscenza per la pace che era finalmente tornata dopo anni di lotte intestine, di persecuzioni tra avversari politici e di instabilità amministrativa.
    Tale consenso fu anche frutto di una incisiva attività propagandistica. Augusto si presentò come il restauratore del vecchio ordine, degli antichi valori morali e religiosi.
    Tali messaggi venivano ampiamente diffusi attraverso tutti i canali della comunicazione allora disponibili (epigrafi, monete, oggetti d’arte e monumenti), oltre che dall’attività del circolo di Mecenate che raccoglieva i massimi artisti e letterati del tempo, come Virgilio, Orazio, Livio, Tibullo, Properzio.
    La restaurazione religiosa, oltre che dal ritorno ai culti arcaici (Augusto fece restaurare vecchi templi in rovina e riorganizzò i collegi sacerdotali di cui egli stesso fece parte), fu caratterizzata dalla nascita di forme di culto alla persona del principe che, spontanee in Oriente, furono associate in Occidente e in Italia alla dea Roma.
    Il nuovo equilibrio garantì una ripresa generale della vita civile e dell’economia; furono restaurati vecchi edifici e ne furono costruiti di nuovi per abbellire la città di Roma. Sorsero numerosi templi, basiliche, piazze e portici (il Pantheon, il teatro di Marcello, l’Ara pacis).

    La questione della successione
    Augusto si preoccupò di assicurare una trasmissione pacifica del suo potere. Teoricamente sarebbe spettato al senato designare il successore, ma grande importanza avevano ormai acquisito anche i cavalieri e i funzionari imperiali. Augusto pensò a una successione ereditaria e, non avendo figli maschi, individuò possibili successori che via via adottò (in particolare i nipoti Marcello, Gaio e Lucio), ma ai quali egli sopravvisse. Fu pertanto indotto ad adottare, nel 5 d.C. Tiberio appartenente alla potente famiglia dei Claudi e figiio di primo letto della seconda moglie Livia e a conferirgli riconoscimenti istituzionali quali la potestà tribunizia e l’imperium proconsulare maius associandolo al governo imperiale e preparandolo ad accogliere la sua eredità.

    L’impero: le dinastie Giulio-Claudia e Flavia
    Il regno di Augusto era stato caratterizzato dal rispetto formale della costituzione repubblicana; d’altra parte, il cumulo di poteri nelle mani del princeps aveva posto le basi per una nuova realtà politica: l’Impero. I primi imperatori, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone, erano discendenti di Augusto, appartenenti alla dinastia Giulio-Claudia.
    Alla morte di Nerone, in un solo anno (69 d.C.), si succedettero ben 4 imperatori: Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano. Il passaggio dei poteri non avvenne per via legittima, ma fu imposto dalla compagine sociale in quel momento più forte: l’esercito (un precedente vi era già stato con Claudio). Vespasiano, che designò successori i figli Tito e Domiziano, affermando il principio della trasmissione ereditaria del potere, apparteneva alla dinastia Flavia.
    In questo primo periodo fu continuato il processo di unificazione e romanizzazione dell’Impero: si diffuse in Occidente la lingua latina e si concesse con parsimonia la cittadinanza romana ai provinciali.
    Tutto ciò contribui alla fusione tra i due universi culturali romano ed ellenico. In politica estera furono protetti i confini stabiliti al tempo di Augusto. Claudio conquistò la parte meridionale della Britannia (44 d.C.), dove sorse la città di Londinium, l’odierna Londra. Tito conquistò Gerusalemme e la fece distruggere (70 d. C.).

    La dinastia Giulio-Claudia
    Alla morte di Augusto il potere passò a Tiberio, suo figlio adottivo e figlio naturale di sua moglie Livia e del prino marito Claudio Nerone (per questo la dinastia si chiamò, oltre che Giulia, dalla casata di Augusto, anche Claudia).
    Tiberio si era messo in evidenza nelle campagne militari contro i Germani. Augusto lo aveva quindi richiamato in patria dandogli incarichi di governo e raccomandandolo al senato come suo successore. Il senato stesso lo proclamò imperatore, nonostante egli avesse chiesto di potersi ritirare a vita privata.
    In politica estera Tiberio fece presidiare i confini settentrionali dal nipote Germanico che sconfisse più volte i Germani (14-16).
    Preoccupato della popolarità di Germanico, lo inviò in Oriente per affrontare i Parti e poi lo fece probabilmente uccidere (19), perdendo il suo prestigio presso il popolo. Tiberio iniziò così una serie di persecuzioni nei confronti dei suoi avversari e poi si ritirò a vita privata nella sua villa di Capri. Affidato il potere a Seiano, prefetto del pretorio, tornò a Roma e lo fece uccidere poiché aveva tramato di usurpare il trono (31).
    L’operato complessivo di Tiberio, nonostante l’intensificazione delle repressioni, ebbe anche lati positivi: lo Stato era in buone condizioni finanziarie, i confini erano sicuri e il potere centrale era ormai ben solido. Tiberio, morto nel 37, aveva segnalato come suoi successori i nipoti Gaio, detto Caligola (dai calzari militari, caliga, che era solito portare) e Tiberio.
    Il senato, approvato dal popolo, acclamò imperatore il primo poiché figlio di Germanico che ancora godeva di molta popolarità. Il suo breve governo (37-41) fu caratterizzato da atti di repressione nei confronti dei suoi nemici e dalla scarsa considerazione data al senato, manifestata tra l’altro con l’atto, passato alla storia, di aver nominato senatore il proprio cavallo. Caligola, nonostante gli atteggiamenti da sovrano orientale (pretese l’erezione di un tempio in suo onore, l’inchino e omaggi divini), fu molto popolare tra la plebe alla quale offriva giochi circensi ed elargizioni di denaro e cibo (da cui l’espressione panem et circensem “pane e circo”, per intendere gli strumenti del controllo sulle masse). Fu vittima di una congiura ordita dai pretoriani (41) che posero sul trono suo zio Claudio.
    Per la prima volta l’imperatore veniva proclamato dai militari. Claudio aveva sempre evitato la vita politica e poco sembrava adattarvisi con il suo carattere timido e apparentemente debole. Il suo regno fu invece positivo.
    Rafforzò l’apparato burocratico e lo affidò alla segreteria imperiale di cui facevano parte anche alcuni liberti e ammise in senato anche cittadini delle province, iniziandone il processo di assimilazione all’Impero romano che si svilupperà con i suoi successori. In politica estera conquistò la parte meridionale della Britannia (44), dove sorse il primo nucleo della città di Londra (allora Londinium).
    La successione al trono fu costellata da una rete di intrighi. Claudio aveva avuto un figlio legittimo, Britannico, dalla prima moglie Messalina. In seconde nozze aveva sposato la nipote Agrippina che aveva già un figlio, Nerone.
    Per favorire il figlio, Agrippina fece uccidere il marito e tramò perché il senato esautorasse Britannico; nel 54 fu proclamato imperatore Nerone. Questi appena diciassettenne, era sotto la tutela della madre e di due esponenti del senato, Afranio Burro, prefetto del pretorio e il filosofo Seneca, suo precettore.
    Ben presto Nerone si liberò di Britannico, fece uccidere la madre e mandò in esilio Seneca. Alla morte di Burro governò circondato da seguaci fidati, assumendo atteggiamenti da sovrano assoluto e mandando a morte i suoi nemici. In politica estera ottenne un successo contro i Parti e impose il protettorato di Roma sull’Armenia.
    Nel 64 gran parte di Roma fu distrutta da un incendio, da cui Nerone prese pretesto per incolpare i cristiani (furono uccisi gli apostoli Pietro e Paolo forse negli anni 66-67). Corse però voce che Nerone stesso avesse provocato l’incendio, per fare spazio al suo grande palazzo, la Domus Aurea.
    Il governo dispotico dell’imperatore, unito alle spese per mantenere la sua fastosa corte e al suo istrionico amore per l’arte drammatica e i giochi, gli inimicò la nobiltà senatoria.
    Nell’ultimo periodo di regno sventò la congiura della famiglia dei Pisoni ed eliminò molti oppositori aristocratici. Vittime illustri furono i letterati Lucano Petronio e lo stesso Seneca che si suicidarono. Inviso alla classe militare per aver fatto uccidere il generale Corbulone Nerone fu costretto a suicidarsi in seguito alla rivolta delle truppe di stanza in Lusitania che proclamarono imperatore il loro comandante Galba (68).

    La dinastia Flavia
    Nel 69 si succedettero ben quattro imperatori. Galba fu deposto dai pretoriani e sostituito da Ottone; questi fu a sua volta rovesciato da Vitellio, sostenuto dalle truppe stanziate al Reno. L’esercito mandato in Oriente a combattere la rivolta degli Ebrei proclamò imperatore il proprio comandante Flavio Vespasiano (con cui iniziò la dinastia Flavia). La politica di Vespasiano fu centrata sul consolidamento delle finanze imperiali e sulla disciplina dell’esercito.
    Rinsaldò le frontiere, aumentando il numero delle legioni stanziate in Siria e Giudea e annettendo la Britannia settentrionale. Sotto di lui terminò la lunga guerra contro gli Ebrei, con la distruzione della città di Gerusalemme (70) da parte delle truppe di Tito, suo figlio.
    Tornato a Roma, nel 71 Tito venne di fatto associato al potere dal padre, alla cui morte ascese al trono. Durante il suo breve regno governò con clemenza (Svetonio lo definì “delizia del genere umano”) e si occupò della costruzione di opere pubbliche portando a compimento il Colosseo. Gli succedette il fratello Domiziano nell’81.
    Questi, combattendo contro la popolazione germanica dei Catti, occupò alcune regioni oltre il Reno e le organizzò nelle nuove province della Germania Superiore e Inferiore. Combatté, senza sconfiggerla, contro la popolazione della Dacia (all’incirca l’attuale Romania) governata dal re Decebalo, e rafforzò il dominio romano in Britannia.
    Riformò l’amministrazione delle province controllando più strettamente l’operato dei governatori locali. Fu inviso al senato per l’accentuazione da lui data agli aspetti assolutistici del Principato e contro di lui furono organizzate varie congiure. Fu vittima dell’ultima tra queste, ordita dai prefetti del pretorio e dalla stessa moglie Domizia Longina (96).

    L’impero: da Traiano a Diocleziano
    Durante il ll sec. d.C., in seguito al crescente processo di unificazione dell’Impero, Roma perse la sua centralità. Tutti gli imperatori del II sec., privi di discendenza, scelsero come successori persone effettivamente capaci, evitando contrasti interni e congiure di palazzo.
    L’Impero raggiunse in questo periodo la sua massima estensione: Traiano conquistò la Dacia e fece di tutta la Mesopotamia una provincia romana. Adriano rafforzò i confini della Britannia. Sotto Marco Aurelio, invece, le tribù germaniche dei Quadi e dei Marcomanni invasero l’Italia; la pace fu firmata da Commodo.
    Dopo 42 anni di regno della dinastia dei Severi, l’Impero piombò per 50 anni in uno stato di anarchia militare: si succedettero ben 21 imperatori. L’economia entrò in crisi; tramontò la cultura classica, sommersa da nuove dottrine filosofiche e dal diffondersi del Cristianesimo. Diocleziano, imperatore dal 284, cercò di risollevare le sorti dell’Impero.

    Da Traiano a Commodo
    Dopo la deposizione di Domiziano, i congiurati proclamarono imperatore l’anziano senatore Cocceio Nerva. Nerva restauro le finanze dello Stato, e diede inizio a quella politica assistenziale verso le classi meno abbienti che caratterizzò gli imperatori del II sec.
    Nel 97 adottò, designandolo successore, Traiano, comandante delle truppe della Germania Superiore. Di famiglia senatoria e di origine spagnola (primo imperatore non italico), Traiano divenne imperatore nel 98, alla morte di Nerva.
    In politica estera, tra il 101 e il 105 combatté i Daci costringendoli alla pace e facendo della Dacia una provincia romana. Tra il 114 e il 116 anche l’Armenia e la Mesopotamia diventarono province romane.
    Governò d’accordo con il senato e promosse una serie di provvedimenti sociali tra cui l’abolizione delle tasse arretrate per le province e l’istituzione di una “cassa di risparmio” per i prestiti ai piccoli contadini. Per suo volere furono costruite ingenti opere in Italia, Spagna e Africa, tale attività, unita alle pesanti spese militari, aggravò la situazione finanziaria.
    Colpito da una grave malattia, Traiano morì a Selinunte, in Cilicia, mentre era in viaggio verso Roma. Il successore da lui designato fu il nipote adottivo Adriano.
    Cosciente dei rischi connessi a una eccessiva espanespansione dell’Impero, Adriano si decise a consolidare le conquiste del predecessore.
    In Britannia, tra il 122 e il 127, fece costruire il Vallo di Adriano, una fortificazione di 117 km, per difendere la provincia dalle incursioni dei popoli settentrionali. All’interno dell’Impero favorì la colonizzazione delle terre incolte e creò un efficiente corpo di funzionari.
    Compì numerosi viaggi di ispezione, cultura e piacere nelle diverse province dell’Impero. Tra il 132 e il 135 fece reprimere l’insurrezione ebraica di Simone Bar Kocheba.
    Cultore di filosofia, poesia e arte, in cui espresse l’ormai compiuta fusione della cultura greca con quella romana, fu tollerante nei confronti dei cristiani e promosse la costruzione di molte grandi opere architettoniche.
    Ad Adriano successe, nel 138, Antonino Pio. Attento amministratore, concesse sgravi fiscali, diede impulso al sistema stradale e all’edilizia. Praticò con convinzione la religione tradizionale (da cui il soprannome “il Pio”). All’estero rafforzò i confini facendo costruire in Britannia il Vallo di Antonino.
    Dopo di lui furono nominati imperatori i fratelli Marco Aurelio e Lucio Vero (161). Dal 165 i Parti invasero la Siria, mentre i confini furono violati dalle tribù germaniche dei Quadi e dei Marcomanni che furono respinti, tra il 167 e il 168, dai due imperatori. Nel 169 Lucio Vero morì e Marco Aurelio restò unico imperatore.
    Nel 175 dovette reprimere in Oriente la rivolta di Avidio Cassio che si era fatto proclamare inperatore. Tornato a Roma, celebrò il trionfo sui Germani e associò al potere il figlio Commodo. In politica interna Marco Aurelio cercò l’appoggio del senato e, con un’accorta politica finanziaria, riuscì a sostenere le forti spese militari. Fu avverso ai cristiani e li perseguitò.
    Uomo di cultura, seguace della filosofia stoica, scrisse un’importante opera in 12 libri (“A se stesso”). Morì di peste (180) lungo la frontiera danubiana dove era accorso per fronteggiare di nuovo i Germani. Commodo salì diciannovenne al trono. Diversamente dal padre instaurò una violenta repressione antisenatoria. Inviso alla classe militare per aver patteggiato la pace con i Quadi e i Marcomanni, fu vittima di una congiura ordita dal prefetto del pretorio Leto. (192).

  • Persiani: i Sasanidi

    Questa dinastia si sviluppò nella provincia del Fars, posta nell’Iran sud-occidentale. Il fondatore della dinastia è Sasan, un preposto al tempio di Istahr. Suo figlio Papak, con un colpo di stato prende il potere nel 208 d.C.. Suo figlio Ardasir, ucciso il fratello Sapur, prende il potere e conquista quasi tutta la Persia.

    Artabano V gli oppone un esercito, che presso Susa venne sconfitto (224). In tale circostanza il re dei parti perse la vita. Ardasir venne incoronato a Ctesifonte.

    Dopo cinque secoli e mezzo la corona torna ai persiani. La dinastia Arsacide si coalizza con il re d’Armenia Cosroe I e con il re dei Kusana, che aveva chiamato in aiuto gli Sciti ed aveva ricevuto il sostegno dei romani. Ardasir sbaraglia la coalizione, male addestrata e coordinata. E’ padrone di un impero che va da Merv all’Eufrate, da Herat al Seistan (praticamente Iraq, Iran, Pakistan). Solo l’Armenia continua la lotta.

    I Sasanidi formano un esercito regolare (sarà questa la loro forza) ed amministrativamente fondano il loro stato su un sistema feudale, secondo le precednti usanze partiche. Il regno sasanide è stretto in una morsa che vede ad oriente il regno dei Kusana, ad occidente i Romani ed al nord l’Armenia.

    Sale al trono Sapur I che regola subito la questione orientale, invadendo il regno dei Kusana. Viene presa la capitale Peshawar, la Bactriana, Samarcanda ed il Taskent. La dinastia indiana fondata da Kaniska viene deposta ed al suo posto subentra un re di area sasanide che si pone a capo di un regno vassallo della Persia. Questa vittoria è celebrata nei bassorilievi del tempio di Naqs-i-Rustam.

    Si occupa poi della questione occidentale, invadendo la Siria e prendendo Antiochia. La morte dell’imperatore Gordiano a Roma e l’ascesa al trono capitolino di Filippo l’Arabo portano alla pace il re sasanide che annette al suo regno la Mesopotamia e l’Armenia (244).

    Nel 260 Sapur conquista numerose città siriane e presso Odessa sconfigge i romani, facendo prigioniero l’imperatore Valeriano e 70.000 legionari deportati in Iran, nel Khuzistan dove fonderanno diverse città, la cui pianta era basata sui castra romani. Questo successo è stato ricordato sulle pareti rocciose del Fars da sculture che rappresentano l’imperatore ai piedi del “Re dei Re”. L’impero sasanide conosce un particolare splendore, la scienza, la filosofia e l’arte si diffondono nel regno. Sapur favorisce la diffusione della religione manichea, ispirata da Mani e legata al zoroastrismo, come religione universale allo scopo di isolare la potente casta sacerdotale mazdaica.

    Alla morte del re (272), Mani viene giustiziato dal successore Bahram I, segno che il processo religioso introdotto da Sapur era fallito.

    Dal 276 al 293 sale al trono Bahram II, che sigla un accordo con Roma che prevede la cessione della Mesopotamia settentrionale e dell’Armenia e si getta nella lotta ad oriente contro il fratello che aveva provocato una ribellione.

    Sotto il regno di Narsete, succeduto a Bahram III che aveva regnato pochi mesi, i sasanidi conoscono nuove sconfitte ad opera dei romani: in un episodio la famiglia reale cade in mano ai legionari. Tuttavia non subisce sensibili perdite di territori. Ad oriente si unisce ai Kusana, combinando un matrimonio tra sua figlia ed il re locale.

    Dopo un periodo di disordini sale al trono il giovanissimo Sapur II che regna dal 309 al 379. Sicuramente fu uno dei più importanti regnanti sasanidi. Annette il regno Kusana al proprio impero entra in contatto con la Cina ove diffonde la cultura iranica.

    Riprende la lotta contro Roma ad occidente e solo dopo l’uccisione dell’imperatore Giuliano, riprende la Mesopotamia. Successivamente annette all’impero l’Armenia. Di nuovo ad oriente fronteggia un invasione dei Chioniti e degli Eftaliti, ridicendoli a confederazione indiana.

    L’ascesa al trono romano di Costantino favorisce la diffusione del cristianesimo nell’impero romano. Questa religione viene praticata anche in Armenia ove Sapur II la perseguita. Dunque nuovamente l’Armenia è dilaniata da lotte interne delle due fazioni: romana e iranica.

    Alla morte di Sapur II segue un secolo di crisi dove la monarchia perde potere e diventa ostaggio della classe nobile che gestisce un enorme potere.

    Nel 389 Bahram IV si accorda con Roma per dividere l’Armenia: all’Iran spetteranno i 4/5 della provincia. Intanto continuano le persecuzioni cristiane che cesseranno sotto il regno di Yezdgerd I, sposato ad un’ebrea, che addirittura convoca un concilio a Seleucia. In questo periodo si assiste ad episodi di repressioni dei cristiani contro i seguaci di Zoroastro. Intanto nel regno dei Kusana, i Chioniti e gli Eftaliti riprendono il potere minacciando l’India.

    Bahram V (421-438) riprende il potere aiutato da un principato estero arabo. E’ il primo caso di ingerenza esterna alle questioni iraniche. Questo sovrano passerà alla storia come amante dell’arte e del saper vivere. Sarà oggetto di leggende e di tradizioni popolari. A lui si dovrà la nascita della chiesa iranica che si sottrarrà dall’influenza di Bisanzio. Assieme ai romani costruirà delle fortificazioni nel Caucaso per fronteggiare le invasioni delle popolazioni nomadi, in particolare degli Unni, che nel 395 avevano invaso l’Armenia e la Siria.

    Yezdgerd II (438-459) continua nella lotta contro gli Eftaliti e, fervente seguace di Zoroastro, perseguita e deporta cristiani ed ebrei. Le persecuzioni, specialmente contro gli ebrei, continuano con Peroz (459-484), che porterà il paese sull’orlo della crisi, dovendo fronteggiare le invasioni orientali e numerose carestie. In questo periodo i cristiani si dividono in nestoriani, che vedono in Cristo due nature (divina ed umana) e monofisti che vedono una natura. In questo periodo vi sono numerose prove che dimostrano come i Bizantini avessero pagato gli unni per indebolire il regno sasanide con continue invasioni. Peroz perderà la vita per mano degli Eftaliti che si inseriranno nella dinastia reale.

    Dopo vari tentativi, nel 488 sale al trono sasanide Khavad (488-531), di ispirazione eftalita. Questi segue una politica popolare, ispirata alla filosofia mazdakista.

    Secondo il filosofo iranico Mazdak, seguace di Mani, il popolo doveva evitare l’odio e la lotta. Ad esso spetta l’uguale distribuzione delle ricchezze. Questa sorta di comunismo iranico si oppone profondamente al sistema sociale sasanide, basato su classi chiuse, su una disomogeneità nella distribuzione delle ricchezze, su una forte presenza di schiavi. Khavad si fa portavoce di questa filosofia, ma subisce un complotto. Si rifugia presso gli Eftaliti e riprende il potere, con l’aiuto esterno. Una volta rinsediato sul trono, non segue più il mazdakismo: tutti i suoi seguaci vengono massacrati e tale filosofia troverà accoglienza presso gli Arabi.

    Lotta con Bisanzio prima e con gli Unni poi, ottenendo alcuni successi. Intanto tra i cristiani si diffonde il nestorismo.

    Cosroe I (531-579) riporta l’ordine nel proprio regno. Si attivano diverse riforme nell’amministrazione: nasce il catasto, nascono delle nuove imposte più eque basate sulla classe sociale, l’educazione giovanile ha un nuovo ordinamento, si ricostruiscono villaggi e si migliora il sistema dei canali e delle strade, si realizzano imponenti fortificazioni ai confini, l’esercito ha un nuovo ordinamento che vede 4 comandanti e la formazione di contadini-soldati che difendono più tenacemente il proprio territorio.

    Nel 540 viene presa la Siria e ricostruita Antiochia, copiando Ctesifonte. Al sud viene annesso lo Yemen e, ad oriente, il regno degli Eftaliti è ridotto a stato vassallo. Inoltre la Mesopotamia e l’Armenia entrano a fare parte dell’impero sasanide. Questo regno vede la debolezza di Bisanzio ed è ricordato come il più florido e vasto per i Sasanidi.

    Hormuzd IV (579-590) tenta di continuare l’opera del padre e promuove come sudditi anche i cristiani, suscitando il malcontento dei zoroastriani. Sotto il suo regno si assiste all’opera del valoroso condottiero Bahram Ciobin che riporta vittorie contro gli Unni ed i turchi, ma subisce sconfitte ad opera dei Bizantini. Il re cadrà vittima di una congiura.

    Consroe II (590-628) vedrà una congiura dello stesso Bahram Ciobin. Per questo chiederà aiuto all’imperatore Maurizio, che in cambio prenderà l’Armenia e parte della Mesopotamia. Nel 610, alla morte dell’imperatore di Costantinopoli, il re sasanide si riprende i territori concessi ai bizantini, nonché il Bosforo, Cesarea, la Cappadocia, la Siria e Gerusalemme ove uccide 50.000 cristiani. Nel 616 prende l’Egitto e parte dell’Etiopia. L’impero sasanide raggiunge i confini che aveva avuto con gli achemenidi. Inoltre viene presa l’Asia Minore e si pone l’assedio a Costantinopoli.

    L’imperatore romano Eraclio passa al contrattacco e si riprende l’Asia Minore, l’Armenia e, con l’aiuto dei Khazari, assedia Ctesifonte. Consroe II è ucciso e viene siglata la pace. Questo sovrano aveva sottoposto i sudditi a pesanti tributi ed aveva perseguitato i cristiani. Sotto il suo governo si assiste ad una crisi demografica del popolo iranico dovuta al fatto che tutti i maschi erano andati al fronte e la maggior parte vi aveva perso la vita.

    Dopo 12 anni di lotte di potere sale al trono l’ultimo re della dinastia sasanide, Yezdgerd III. Ormai la forza dei sasanidi è cessata, la classe nobile è vittima di continue lotte intestine. Ne approfittano gli Arabi che nel 651, presso Merv, uccidono il re e dissolvono l’impero persiano durato oltre 30 secoli.

    Nella vita economica ha più spazio l’agricoltura che il commercio, a causa del feudalesimo diffuso nell’impero. La moneta (dirhem) ha un vasto impiego. Comunque la posizione geografica del paese consente una ricchezza elevata soprattutto nelle mani dei signori locali.

    L’arte sasanide conosce un periodo di splendore, soprattutto nel bassorilievo. Anche nell’urbanistica si assiste ad un certo sviluppo, in particolare nella tecnica dove venivano impiegate scaglie di pietra. Si pratica l’uso della volta a botte su vasta scala.

    Affreschi si praticano presso tutti i palazzi nobili, specialmente a Ctesifonte. Le immagini riprendono una immobilità che fu degli achemenidi.

    Si diffonde l’uso della ceramica.

    Società, Amministrazione ed Attività
    Le classi sociali sasanidi si articolano su gruppi ben distinti, separati tra loro e articolati su una struttura piramidale al cui vertice c’è il re.

    Seguono i principi vassalli, minori di numero a quelli presenti in epoca partica. Quelli delle periferie gestivano anche meno potere. Tutti erano comunque obbligati a fornire un contingente militare.

    Vi sono poi i sette capi delle grandi famiglie , il cui numero è stato fissato in epoca partica. Queste provvedevano alle necessità dei nobili ed in cambio gestivano un certo potere locale.

    La classe dei nobili e dei grandi fungeva da interfaccia tra il popolo ed i nobili. Questa costituisce una nuova classe rispetto al periodo partico; è la nuova forza del regno. Da essa si attinge per ministri, amministratori, generali.

    La classe degli uomini liberi era rappresentata dai nobili terrieri e capi di villaggi. Essi rappresentano il collegamento con lo Stato.

    Vi sono infine i contadini, veri servi della gleba, la cui vita aveva poca importanza e veniva venduta assieme alla terra.

    Nell’amministrazione il posto più alto era occupato dal primo ministro, o gran visir , che svolgeva le mansioni dell’imperatore in sua assenza. Vi erano poi i ministri (diwan) e gli agenti ed i funzionari contabili addetti alla riscossione delle entrate. Inoltre vi erano i generali che gestivano un forte potere e rispondevano direttamente all’imperatore.

    L’esercito era addestrato ed organizzato non più in base al paese di provenienza. Venivano impiegate la fanteria, la cavalleria ed i reparti corazzati, con l’uso degli elefanti. La sua potenza ed efficienza non erano inferiori a quelle dei Romani.

  • Persiani: gli Achemenidi

    Questo nome trae la sua origine dal primo re persiano Achemene che fondò il principato nel 700 a.C.. Da questi successero Ciro I, Cambise I, che rafforzarono il regno. Seguirono poi questi sovrani, di cui si riportano i caratteri salienti:

    Ciro II (detto il Grande) (559-530 a.C.) – in breve tempo conquistò la Media al nonno Astyage, l’Assiria, la Lidia e tutta l’Asia Minore. Senza combattere, ma con un’abile politica di propaganda, sottomise Babilonia, approfittando della particolare strategia politica del sovrano babilonese Nabonedo, che al culto del dio Marduk sostituì quello assiro. Ciro si proclamò figlio di Marduk, fece cacciare il sovrano mesopotamico e venne accolto come salvatore. Emise anche un editto che consentiva agli ebrei di fare ritorno alla loro patria e di porre fine alla cattività babilonese. In questo modo il sovrano controllò anche l’area fenicio-palestinese. Conquistò anche alcune regioni orientali, estendendo i confini del suo regno, che venne mantenuto integro attraverso una politica avveduta, che consisteva nel conferire libertà ai popoli sottomessi e nel rispetto dei loro costumi. Fece spostare la capitale da Pasargade a Persepoli, abbellendola e arricchendola in modo particolare. Divenne città di arte e di giusta amministrazione.

    Cambise II (530-522 a.C.) – conquistò l’Egitto e progettò tre spedizioni militari di conquista: Etiopia, Cirenaica e Cartagine. Solo la prima andò in porto, mentre per le altre due ci furono rispettivamente una disfatta dell’esercito persiano colpito da una tempesta nel deserto ed un ammutinamento dei fenici che non volevano marciare contro i fratelli punici. Sembra che il sovrano fosse malato di epilessia e della cosa approfittarono alcuni aristocratici per spodestarlo e prendere il potere. Tra questi ricordiamo Gaumata, un magio, cioè un sacerdote, che si spacciò per suo fratello. Tra tutti i congiurati emerse la figura del nobile Dario che prese il potere ed uccise Gaumata.

    Dario I (522-486 a.C.) – fu l’espressione della continuazione della politica di Ciro il Grande. Rappresentò la nuova forza vitale per la famiglia imperiale. Era un giovane ufficiale dei Diecimila Immortali , che costituiva il corpo di guardia di reale di Cambise II ed era sostenuto dal potente esercito persiano. Impiegò due anni per sedare tutte le rivolte scoppiate nel regno sotto il suo predecessore. Il suo regno arrivò ad oriente fino all’Hindukush e ad occidente fino l’Egitto. Sotto il suo regno venne ricostruito il tempio di Gerusalemme (515 a.C.) e nacque il primo stato teocratico: venne istituita la figura del sommo sacerdote per controllare meglio la comunità ebraica. La politica libertaria di Ciro II aveva segnato un fallimento considerati i tumulti scoppiati nell’impero alla morte del sovrano. Dario appose dei correttivi alla politica del predecessore, centralizzando il potere: istituì le satrapie, gestite da un sovrano locale (satrapo) nominato direttamente dall’imperatore al quale doveva rendere conto del suo operato. Questi veniva controllato da un segretario e da ispettori reali, denominati “le orecchie del re”, che giungevano improvvisamente a verificare la situazione amministrativa locale. Quest’ultima figura verrà ripresa moltissimo da Carlo Magno. Sembra accertato che già sotto Ciro e Cambise vennero nominate alcune satrapie. Accanto al satrapo vi erano altre due figure che rispondevano direttamente all’imperatore del loro operato: il generale delle truppe ed il funzionario addetto alla riscossione delle imposte (abbastanza elevate da cui erano esentati solo gli iranici). Per gestire al meglio il controllo delle satrapie venne realizzato un imponente e funzionale sistema viario. Nella sua politica espansionistica Dario arrivò fino alla foce dell’Indo ad oriente, mentre ad occidente riaprì il canale di Suez, fatto erigere precedentemente dal faraone Necho, con 700.000 uomini invase la Tracia, per combattere gli Sciti, e sottomise Bisanzio ed anche la Macedonia, stabilendo un valido caposaldo oltre lo Stretto dei Dardanelli. Con l’oro cercò di controllare il potere su Sparta ed Atene, ma ottenne un effetto di coesione delle polis greche. Nel 498 a.C. vinse a Salamina ed a Marsia, soggiogando Cipro e le città greche dell’Asia Minore. In particolare gli abitanti di Mileto furono deportati alla foce del Tigri. Nel 490 a.C. gli ateniesi riportarono una strepitosa vittoria a Maratona, ma Dario non potè vendicarsi, in quanto prima sedò una rivolta in Egitto e poi fu colto dalla morte. Sotto questo imperatore il regno conobbe un florido periodo artistico ed economico. In tutto l’impero veniva parlata una lingua unica: il semita. Questo dimostra che i persiani non imposero i loro usi ai sudditi.

    Serse (486-465 a.C.) – fu vice re di Babilonia. Amante degli sfarzi di corte, porta avanti la lotta con la Grecia. Facendo attraversare lo Stretto dei Dardanelli dal suo esercito su un ponte, conquista la Tessaglia, la Macedonia e presso le Termopili riporta una vittoria: Atene, incendiata e saccheggiata, e l’Attica sono sottomesse. Nel 480 a.C. Serse viene sconfitto presso Salamina. Il re lascia il fronte nelle mani del generale Mardonio che continua nelle devastazioni, ma a Platea viene sbaragliato per un errore tattico dello stesso generale che si getta nella mischia e viene ucciso. La debolezza politica di Serse fa in modo che tutta la Grecia riconquista l’indipendenza: i Persiani vengono ricacciati indietro. Scoppiarono tumulti in Egitto ed a Babilonia, sedati con la violenza. L’esercito persiano, seppure numeroso, era organizzato male: i soldati venivano schierati in base al paese di origine, per cui si ingenerava disorganizzazione e confusione. Lo stesso generale combatteva tra i soldati esponendosi ad alti rischi. La città di Persepoli conobbe fasti e splendori.

    Antaserse I (465-424 a.C.) – continua nella repressione come aveva fatto il padre, ma perde influenza in Grecia ed in oriente. Non comanda mai l’esercito ed è molto legato all’ambiente di corte, circondato da eunuchi. Si mostra benevolo con gli ebrei, rispettati perché credenti in una religione monoteista, legata quasi al modello iranico pseudo-monoteista.

    Dario II (424-405 a.C.) – cercò con l’oro di riprendere l’influenza in Grecia, corrompendo i governi di Sparta ed Atene. Scoppiano diversi tumulti che lasciano il paese nel disordine. In particolare l’Egitto esce dal giogo persiano ed entra sotto il controllo greco, desideroso di impossessarsi delle sue riserve di grano. L’Asia Minore esce dal controllo achemenide. Il re non combatte mai di persona.

    Antaserse II (405-359 a.C.) – continua nella politica di corruzione nei confronti della Grecia. Sotto il suo regno 10.000 mercenari greci fanno ritorno in patria senza che il sovrano intervenga: la corte persiana continua a mostrare debolezza. Con l’oro conquista tutta la Grecia, ma scoppiano rivolte in varie satrapie, che portano all’indipendenza metà dell’impero. Il pericolo cessa con il ripensamento degli stessi satrapi, perdonati poi dal sovrano che mostra ancora la propria debolezza.

    Antaserse III (359-338 a.C.) – rapidamente riprende tutto l’impero, dando esempi di devastazioni a Sidone ed in Egitto. Intanto la Grecia si unisce in una lega sotto Filippo, re di Macedonia, che prepara l’invasione della Persia, ma viene avvelenato, forse per mano dello stesso re achemenide. Quest’ultimo cade anch’egli avvelenato segnando la fine dell’impero.

    Dario III (338-331 a.C.) – è il testimone dell’ascesa di Alessandro Magno e del mondo occidentale su quello orientale. Questi, dopo aver distrutto ed annientato Tebe, ottiene il controllo della Grecia, che però, tramite la lega di Corinto, non lo sostiene molto nella sua grande spedizione: gli vengono forniti 7.000 uomini e poche navi, che verranno impiegate pochissimo. Inizia l’invasione che non viene presa sul serio dal re achemenide. Dopo la città di Troia, tutte le altre città ioniche vengono conquistate. A Granicoi macedoni ottengono la prima vittoria sui persiani, massacrando i mercenari greci fatti prigionieri. Molte città della costa si alleano ad Alessandro, ma Alicarnasso oppone resistenza e viene distrutta. L’Asia Minore è sotto il controllo macedone e viene riorganizzata secondo il modello delle satrapie.

    Il condottiero greco presso Isso ottiene una nuova vittoria e la strada verso l’area siro-palestinese è aperta. Rapidamente la Siria è sottomessa e viene fatta prigioniera la famiglia reale. In Fenicia solo Tiro si oppone con una strenue resistenza durata 7 mesi, che alla fine la vede distrutta attraverso un abile stratagemma usato dallo stratega: la città di Tiro è un’isola, la sua forza è il mare; i macedoni costruiscono dei ponti che la rendono attaccabile via terra, eliminando la difesa del mare.
    Successivamente sarà la volta di Gaza che dopo due mesi capitola ed apre la strada verso l’Egitto, di cui Alessandro ne rimane invaghito. Qui viene accolto come un trionfatore, in quanto la popolazione si ricordava le repressioni persiane. Il macedone non insegue direttamente il re persiano, ma preferisce assicurarsi le spalle ed il controllo sul mare. Rifiuta costantemente le tre proposte di resa fatte da Dario III ed impedisce alla diplomazia della lega di Corinto di trattare la pace. Attraversa il Tigri e l’Eufrate e muore la moglie di Dario, prigioniera di Alessandro, a cui viene data sepoltura reale. Il re persiano offre al generale sua figlia in sposa e metà del regno, ma avviene un nuovo rifiuto. Presso Gaugamela (Pascolo dei cammelli), vicino Arbela, in Assiria avviene lo scontro finale dei due eserciti.
    La disorganizzazione dell’esercito persiano viene sconfitta dall’efficienza macedone. Il re fugge ad Ectabana e virtualmente Alessandro ha vinto. Viene accolto in modo trionfante a Babilonia, di cui rimane affascinato, a Susa. Sarà poi la volta di Persepoli dopo aver annientato una resistenza di un satrapo. Ovunque mantiene la struttura amministrativa preesistente, alleggerendo la pressione fiscale, affiancando un controllo militare macedone. In questo periodo Persepoli è distrutta dalle fiamme, sembra accidentalmente o per vendicare la precedente distruzione di Atene da parte di Serse. Si proclama re achemenide, nonché figlio di Zeus, ed introduce usanze orientali presso il suo seguito (uso della porpora achemenide, venerazione di divinità ultra-greche e della sua persona, inchino o proskynesisnei suoi confronti), suscitando il malumore dei suoi soldati, che viene comunque vinto dal suo carisma. Alessandrosi dirige in Bactriana, ove Dario era tenuto prigioniero dal satrapo locale, che lo uccide. Questi viene seppellito con tutti gli onori dal macedone che offre omaggio anche alla tomba di Ciro il Grande di Dario I. La sua egemonia si spinge in oriente, ove edifica numerose città che portano il suo nome, per controllare il territorio (Alessandria del Caucaso, Alessandria nella Dragiana, in Archosia). Nel 327 a.C. attraversa l’Hindukush e invade l’India, affrontando numerose battaglie, specialmente contro i Sogdiani, finché i suoi soldati ormai stanchi della guerra lo invitano a ritornare indietro. Una parte dell’esercito fa ritorno con l’ammiraglio Nearco che, attraverso l’Indo, giunge nel golfo Persico. Il resto dei suoi uomini è diviso in due gruppi: uno segue la costa, l’altro passa all’interno e subisce decimazioni. Nel 324 a.C. è a Susa. Nel 323 a.C. muore ad Ectabana Efestione, il suo amante. Nello stesso anno, avvolto da immenso dolore, il grande generale macedone muore a Babilonia. In quell’anno stava progettando la conquista di Cartagine. I suoi sudditi non si sentono dominati da uno straniero, ma mantengono la loro indipendenza. Alessandro aveva capito che il territorio era troppo vasto e gli uomini a sua disposizione erano pochi. Aveva inserito macedoni nei punti chiave dal punto di vista politico ed amministrativo. Aveva favorito la fusione tra greci ed orientali, rispettando forse anche troppo i loro usi. Questo gli provocò 4 congiure nei suoi confronti: Dragiana (330 a.C.), Marakanda (Samarcanda 328 a.C.), Bactriana (327 a.C.), Opis (324 a.C.). Era riuscito ad unificare oriente ed occidente, secondo il disegno degli achemenidi.

    Società, Amministrazione ed Attività

    La struttura societaria persiana è stata caratterizzata dalla presenza di nobili, di aristocratici, di sacerdoti e di schiavi.

    I primi trovavano la loro ricchezza principalmente nelle numerose proprietà terriere di cui disponevano. Infatti, è possibile ritenere che presso i persiani nacque una struttura che verrà ripresa successivamente dal mondo occidentale in epoca medioevale, secondo lo schema dei vassalli e dei signori.

    Sarà su questa struttura che gli imperatori più illuminati adotteranno una politica di controllo, prelevando una serie interminabile di tasse, avvalendosi di funzionari reali, ottenendo immense ricchezze che faranno dell’impero persiano uno dei più ricchi del mondo.

    Nel periodo achemenide vengono fondate le satrapie. Si tratta di regioni (ve ne erano 17), il cui controllo era affidato ad un incaricato dell’imperatore al quale doveva rispondere. Inoltre, attraverso dei legati ed un ottimo sistema viario, il sovrano stesso controllava l’attività amministrativa e giudiziaria di ciascuna satrapia.

    Questo tipo di organizzazione, tuttavia, conferiva alla periferia un ampio potere e spesso si assisteva a rivolte contro il potere centrale. Grazie a questo modello il concetto di stato si diffuse in tutto il mondo.

    Presso ciascuna corte nobiliare vi erano anche i sacerdoti, che detenevano un forte potere, se consideriamo la grandezza e la diffusione dei templi in tutto l’impero. In alcuni casi la classe sacerdotale poteva gestire anche il potere giudiziario, da cui ne derivava un continuo processo di clientelismo. Inoltre curava l’educazione dei giovani principi e futuri imperatori.

    Tale classe è stata testimone di una continua lotta tra le affermazioni delle diverse religioni praticate nell’impero (mazdekismo, manicheismo, zoroastrismo), ognuna delle quali coinvolgeva una specifica classe sociale (poveri, uomini liberi, aristocratici).

    Nell’impero vi era una presenza diffusa di schiavi, testimone del fatto che il tenore di vita era ricco e che i persiani effettuavano diverse guerre di conquista.

    Accanto a questa classe sociale vi erano numerosi poveri, lavoratori della terra, la cui vita era legata al grande proprietario terriero, che erano i primi ad essere impiegati nelle diverse guerre nei reparti di fanteria. La loro situazione sociale era disperata, infatti presso di loro si diffuse rapidamente la filosofia mazdkea (prototipo di quella marxista) che sosteneva l’eguaglianza sociale e la divisione delle ricchezze tra tutti.

    Nell’impero vi erano anche molti uomini liberi, commercianti, artisti, piccoli imprenditori che circolavano liberamente e dovevano pagare delle tasse.

    Nell’esercito, come in tutte le cose, il ruolo più prestigioso veniva svolto dai nobili, anche se spesso vi erano anche dei mercenari.

    Infine, la condizione della donna non era molto emancipata, anche se, in alcuni casi, delle donne hanno gestito il potere. Comunque, si trattava di una società tendenzialmente matriarcale, considerato che l’uomo svolgeva un’attività sedentaria e stanziale ed aveva così perso la sua importanza, non procacciando più il cibo attraverso la caccia.

  • Greci: origini e sviluppo

    Origine

    Tra il quinto e il terzo millennio a.C. la penisola balcanica fu abitata da popolazioni marittime provenienti dall’Asia, anche se alcuni ritrovamenti archeologici testimoniano la presenza di cacciatori e pastori neolitici in Tessaglia, Grecia Centrale e a Creta. A partire dal secondo millennio a.C., un popolo guerriero d’origine indoeuropea, gli achei, cominciò a estendere il proprio dominio sulla penisola.

    Fondatori di Micene, Corinto e Argo, gli achei conquistarono Atene, la parte orientale del Peloponneso, invasero Creta e saccheggiarono Troia.

    La loro economia era fondata sull’agricoltura e sull’allevamento. All’interno della società, re, nobili e guerrieri, proprietari delle terre migliori, esercitavano il dominio su agricoltori, artigiani e pastori.

    Verso l’anno 1000 a.C., la civiltà micenea soccombette di fronte agli invasori dorici – che avevano armi di ferro sconosciute agli achei – i quali si amalgamarono alla popolazione sottomessa e resero la loro lingua comune a tutta la regione.

    La topografia prevalentemente montuosa della penisola favorì la nascita di città-stato chiamate polis, all’interno delle quali governava un re coadiuvato da un consiglio di anziani, entrambi appartenenti all’aristocrazia militare. I contadini erano obbligati a pagare un tributo in natura; se il raccolto non era sufficiente divenivano servi o erano venduti come schiavi insieme alla loro famiglia.

    Nonostante le differenze sociali esistenti, i greci ebbero una concezione originale dell’essere umano. Considerato da tutte le civiltà precedenti un semplice strumento della volontà degli dei o dei re, l’essere umano acquista nella filosofia greca il valore di individuo. Il concetto di cittadino, come individuo facente parte di una polis, senza che su questo influisca l’appartenenza o la nobiltà, costituisce uno degli apporti fondamentali della cultura greca.

    Le polis greche si allearono e si combatterono tra loro per un certo periodo. Ciò nonostante, i popoli ellenici riconobbero l’avere una stessa nazionalità attraverso la comunione di elementi come i giochi olimpici, la religione e la lingua, tra gli altri aspetti.

    Nell’VIII secolo a.C., la maggior parte delle città-stato entrò in crisi, sia a causa della decadenza del potere dei monarchi (che furono progressivamente sostituiti da magistrati scelti tra la nobiltà), sia per la scarsità di terre fertili e la crescita demografica e tutto questo generò grandi tensioni sociali. La crisi diede l’impulso ai greci per la colonizzazione del Mediterraneo, dando origina a un commercio molto attivo e alla diffusione del greco come lingua commerciale.

    Intorno all’anno 760 a.C., i greci fondarono delle colonie nel sud dell’ Italia, nel golfo di Napoli e in Sicilia. Frenati dai fenici e dagli etruschi, i greci non riuscirono mai a dominare l’intera Sicilia o il sud dell’Italia, tuttavia la loro influenza culturale segnò profondamente l’evoluzione successiva delle popolazioni della penisola italica.

    A partire dalla colonizzazione, la struttura sociale e politica delle polis si trasformò. I commercianti, arricchiti dall’espansione marittima, si mostrarono poco disposti a lasciare il governo nelle mani della nobiltà e insieme ai contadini fecero pressioni per partecipare al governo e poter prendere decisioni. Atene, una delle città più prospere della penisola, iniziò allora un processo di trasformazioni politiche che condusse, tra il VII e il VI secolo a.C., a una progressiva democratizzazione delle sue strutture governative. In tal senso, nell’anno 594 a.C. un riformatore chiamato Solone istituì la legge scritta, un tribunale di giustizia e un’assemblea di 400 rappresentanti eletti, secondo il loro patrimonio, incaricata di legiferare sui problemi della città.

    Contemporaneamente Sparta, l’altra grande polis della regione, ebbe uno sviluppo nettamente diverso, con il consolidamento di uno stato oligarchico, dotato di una ferrea struttura sociale e politica. La società spartana fu completamente militarizzata a causa dell’importanza dell’esercito, fattore determinante per l’espansione e l’annessione dei territori limitrofi.

    Nell’anno 540 a.C. i persiani iniziarono ad avanzare in Asia Minore e conquistarono alcune città greche. La ribellione di queste città, sostenute prima da Atene e poi da Sparta, diede luogo a varie guerre, conosciute come le guerre persiane, che culminarono nella sconfitta della Persia verso il 499 a.C. Queste guerre servirono a consolidare il potere di Atene nella regione, la quale attraverso la Lega di Delo, esercitò la sua influenza politica ed economica sulle altre polis.

    Le guerre contro i persiani, nelle quali le triremi ateniesi giocarono un ruolo fondamentale, fecero sì che i rematori (appartenenti agli strati più bassi della società ateniese), diventati indispensabili per la difesa di Atene, potessero reclamare un miglioramento delle loro condizioni di vita e maggiori diritti politici. Dopo un periodo nel quale l’oligarchia ateniese riuscì a recuperare il potere politico, nell’anno 508 a.C., un riformatore chiamato Clistene, aumentò a 500 il numero dei membri dell’Assemblea della polis e la convertì nel principale organo di governo. La partecipazione all’Assemblea fu aperta a tutti i cittadini liberi della polis stessa. Tuttavia, la democrazia ateniese permetteva la partecipazione effettiva di una minoranza della popolazione e fondava la sua prosperità sull’utilizzo di un’enorme quantità di schiavi, per cui gli storiografi la definiscono come una democrazia schiavista.

    Nell’anno 446 a.C. l’arconte o governatore ateniese Pericle concertò con Sparta la Pace dei Trenta Anni, secondo la quale si stabilirono le zone di influenza di ciascuna città: la Lega ateniese e quella del Peloponneso.

    Durante il governo di Pericle, nel V secolo a.C., Atene si convertì nel centro commerciale, politico e culturale della regione. Il dominio sul commercio marittimo e la conseguente prosperità permisero a Pericle di promuovere nuove riforme di carattere democratico. Fu il periodo dei filosofi come Anassagora, dei drammaturghi come Sofocle, Eschilo, Euripide, Aristofane e di Fidia, considerato il migliore scultore greco. In questa epoca i greci raggiunsero un importante sviluppo sul piano scientifico. Molte delle loro conoscenze in campo medico e astronomico sono oggi ampiamente superate, tuttavia gli apporti dati alla geometria e alla matematica sono indispensabili alla maggior parte delle scienze moderne.

    Nella seconda metà del V secolo a.C. vi furono continui scontri tra Sparta e Atene per il controllo della regione. Le lotte di questo periodo sono conosciute come guerre del Peloponneso. Il logorio di entrambe permise ai macedoni, sotto il regno di Filippo II (359-336 a.C.), di conquistare quel territorio. Alessandro Magno (336-323 a.C.) conquistò nuovi territori ed estese l’influenza ellenica al nord dell’Africa e della penisola arabica, passando dalla Mesopotamia e giungendo sino in India. Questo impero costruito da Alessandro Magno in un periodo di undici anni, contribuì alla diffusone della cultura greca in Oriente. Durante gli anni della conquista vennero fondate diverse città commerciali e Alessandro Magno promosse la fusione della cultura greca con quella dei popoli conquistati, dando origine al periodo conosciuto con il nome di ellenismo. Alla morte di Alessandro Magno, l’impero macedone crollò, mentre successive guerre e ribellioni continuarono ad agitare la penisola.

    La decadena greca provocata dalle dispute interne, e di conseguenza le devastazioni e l’impoverimento, facilitarono l’avanzata dei romani. Dopo varie guerre di conquista – quelle macedoni si prolungarono dal 215 al 168 a.C. – i romani stabilirono il proprio dominio sulla Grecia verso l’anno 146 a.C.

    Sotto l’impero romano la Grecia conobbe il cristianesimo (III secolo) e dovette subire varie invasioni. Formò parte dell’impero d’Oriente (395 d.C.), il cui dominio terminò nel 1204 con la formazione dell’impero latino d’Oriente che divise la regione in feudi. Nel 1504 in seguito allo scisma della Chiesa romana, i cristiani greci accordarono l’obbedienza agli ortodossi di Costantinopoli.

    In turchi invasero e conquistarono la Grecia nel 1460, dividendola in sei province costrette a pagare un tributo. La dominazione fu mantenuta per 400 anni, nonostante le ribellioni interne e i tentativi esterni di cacciare i turchi (principalmente furono incursioni condotte da Venezia, ansiosa di assicurarsi un territorio strategico per il commercio con l’Oriente). Solo nel 1718, la pace di Passarowitz consacrò l’integrazione della Grecia nell’impero ottomano.

    Nel 1821 una sollevazione greca riuscì a liberare Tripolitza, dove un’assemblea nazionale scrisse una Costituzione e dichiarò l’indipendenza. Il tentativo fu represso nel sangue dai turchi che, aiutati dall’Egitto, nel 1825 recuperarono il dominio della città.

    Desiderose di allontanare i turchi dalle proprie frontiere, Russia, Francia e Gran Bretagna firmarono nel 1827 il Trattato di Londra che esigeva l’autonomia della Grecia. La Turchia rifiutò e, in quello stesso anno, la flotta alleata sconfisse quella turco-egiziana. Nel 1830, il Patto di Londra dichiarò la totale indipendenza della Grecia che, tuttavia, dovette cedere il territorio della Tessaglia.

    Nei decenni seguenti le potenze europee intrapresero una sorda lotta per il controllo della penisola e interferirono nei suoi affari interni, appoggiando re compiacenti ai loro interessi. Così si succedettero Ottone di Baviera (1831-1862), favorevole alla Russia, e Giorgio I (1864-1913), sostenuto dagli inglesi.

    Il colpo di stato capeggiato dal generale Eleutherios Vinizelos nel 1910 diede luogo alla firma di una Costituzione (1911) che istituì una monarchia parlamentare. Durante le due guerre mondiali, golpe militari successivi portarono al governo simpatizzanti dell’una o dell’altra parte in conflitto.

    Sconfitta l’occupazione tedesca nel 1944, una parte importante del paese rimase nelle mani della guerriglia comunista, diretta dal generale Markos Vifiades, che aveva avuto una parte rilevante nella resistenza al nazismo. Con l’appoggio di britannici e nordamericani, il governo attuò una repressione contro i comunisti fino a giungere allo sterminio nel 1949.

  • Arabi: le crociate

    ANTECEDENTI
    622 Maometto si ritira a Medina (Egira).
    638 Il califfo Omar conquista Gerusalemme.
    687 Inizia la costruzione della moschea di Omar a Gerusalemme.
    732 Battaglia di Poitiers, in cui Carlo Martello ferma l’avanzata degli arabi in Francia.
    842 Gli arabi occupano Messina e Taranto.
    842-902 Gli arabi conquistano la Sicilia.
    1076 I selgiuchidi conquistano Gerusalemme.
    1086 Gli arabi sconfiggono Alfonso VI in Spagna.
    Gli eventi in oriente precipitano
    1095 Urbano II predica la crociata a Clermont-Ferrand.
    1096 Partenza della crociata popolare. Massacri degli ebrei. I crociati popolari sono sterminati in Asia Minore.
    1097 Partenza della crociata ufficiale. Conflitto fra i crociati e Alessio I. crociati penetrano in Asia Minore.
    1098 I Fatimidi prendono Gerusalemme. I crociati si impadroniscono di Antiochia. Fondano la contea di Edessa e di Tripoli. Battaglia di Ascalona.
    1099 Luglio: i crociati prendono Gerusalemme. Fondazione del regno franco di Gerusalemme, guidato da Goffredo di Buglione.
    1100 Venezia e il regno franco di Gerusalemme concludono un accordo commerciale.
    1100-1118 Baldovino I re di Gerusalemme.
    1101 Numerose spedizioni di rinforzo falliscono.
    1102 Vittoria di Baldovino a Ramla. Presa di Cesarea.
    1103 I crociati prendono Acri e Byblos. I turchi vincono ad Harran. I bizantini reclamano Antiochia.
    1106 Tancredi d’Altavilla prende Apamea. Kilij Arslan prende Melitene.
    1107 Tancredi prende Laodicea.
    1109 Presa di Tripoli e di Beirut. Fondazione della contea di Tripoli.
    1110 Baldovino I conquista Sidone.
    1112 Ruggero di Salerno succede a Tancredi.
    1113 Progressi dei turchi. Baldovino I sconfitto a Tiberiade.
    1115 I crociati si alleano con l’atabek di Damasco. Battaglia di Tell-Danith. Baldovino I prende Moab.
    1118-1131 Baldovino II re di Gerusalemme.
    1119 Disfatta di Tell-Aqibrin. Ruggero di Salerno viene ucciso.
    1124 I crociati prendono Tiro.
    1126 Baldovino II raggiunge Damasco.
    1128 Zinki diventa padrone di Aleppo.
    1130 Zinki prende Hama e attacca Antiochia.
    1131-1148 Folco I d’Angiò re di Gerusalemme.
    1135 Zinki penetra nella contea di Tripoli.
    1136 Raimondo di Poitiers principe di Antiochia.
    1137 Folco capitola a Barin.
    1138 Giovanni Comneno costringe Raimondo di Antiochia a riconoscere la sua supremazia.
    1139 Folco e i damasceni si alleano contro Zinki.
    1140 Zinki toglie l’assedio a Damasco.
    1142 Zinki sconfigge i crociati sull’Oronte.

    La Prima Crociata
    Fu bandita ufficialmente da Papa Urbano II, organizzata e composta da veri cavalieri, ben armati ed equipaggiati. Dopo una sosta a Costantinopoli, dove furono stipulati accordi politici, militari e logistici, i crociati si diressero in Asia minore. Misero d’assedio e conquistarono Nicea e Antiochia. Poi Edessa, dove fondarono il loro primo Stato; infine il 5 luglio del 1099 entrarono e si impossessarono di Gerusalemme.
    I massacri fatti in quest’ultima città, furono spaventosi (li raccontò lo storico crociato Raimondo d’Anguilers).
    I bizantini sgomenti, si dissociarono ben presto dalle imprese dei crociati: sia perché questi, durante il loro transito, avevano saccheggiato anche molte città cristiane ortodosse; sia perché l’idea di una “guerra santa”, con tanto di vescovi, abati e monaci armati di tutto punto, era estranea alla loro mentalità; infine, i crociati (nonostante precisi accordi fatti in precedenza a Costantinopoli) avevano nessuna intenzione di restituire all’imperatore i territori conquistati (in tal senso particolarmente odiata dai bizantini era l’armata normanna, che si insediò ad Antiochia).
    Nei territori conquistati, i crociati conservarono e anzi accentuarono gli ordinamenti feudali esistenti: i contadini (arabi e siriani), già servi della gleba, dovevano pagare al proprietario delle loro terre una rendita che toccava il 50% del raccolto; mentre quelli liberi furono asserviti colla forza. Nelle città costiere dei loro stati, il commercio era in mano ai mercanti genovesi, veneziani e marsigliesi, che avevano ottenuto il privilegio (pagando i nuovi “padroni”) di poter costituire delle colonie.
    I crociati non furono in grado di apportare alcun elemento di novità nella vita economica dei paesi conquistati, semplicemente perché in quel periodo le forze produttive, la ricchezza materiale e culturale dell’Oriente, era di molto, superiore, a quella occidentale. Molti crociati, senza scrupoli (in mezzo c’erano anche ignoranti, bifolchi e delinquenti di ogni genere) si comportarono soltanto come ladri e oppressori: di qui la costante lotta con la popolazione locale, che all’oppressione feudale turca o bizantina, si era vista aggiungere quella straniera senza riguardo.
    Sul piano politico il sovrano dello stato latino aveva un potere limitato dall’assemblea dei più grandi feudatari. Gli stati erano divisi tra loro e sostanzialmente senza rapporti con quello bizantino. Sul piano religioso i sovrani cercavano di sostituire coi loro prelati il clero bizantino e arabo locale.
    Per la conquista di nuovi territori e la cristianizzazione forzata delle loro popolazioni furono istituiti gli ORDINI CAVALLERESCHI (quello dei TEMPLARI , di origine francese, quello Teutonico, di origine tedesca e quello dei GIOVANNITI, di origine italiana). Erano una specie di ordini di assistenza umanitaria, i cui membri, oltre ai voti monastici di castità-povertà-obbedienza, giurarono poi di difendere anche i Luoghi Santi contro gli infedeli. Ma alcuni, ligi all’Ordine originario, prestavano aiuto anche ai musulmani, curavano umilmente e amorosamente anche i nemici.
    Dunque, dal 5 al 15 luglio del 1099 Gerusalemme ritornava cristiana. A più di quattro anni dal discorso di papa Urbano II, che aveva sollecitato l’Occidente a liberare i Luoghi Santi, l’esercito crociato, provato da innumerevoli sofferenze, espugnava la Città Santa e riconsacrava i santuari della cristianità. La crociata non fu tuttavia una semplice realtà episodica, che coincise con la liberazione dei Luoghi Santi, ma una manifestazione di straordinaria forza della spiritualità medievale, che permeò dei propri valori, tutta quest’epoca fino agli albori dell’età moderna. All’odierno lettore essa può apparire solamente come un insensato spargimento di sangue, in realtà capire l’intolleranza del passato ed osservarne le conseguenze non può essere considerata opera priva d’utilità, in un’epoca come la nostra che ancora conosce la discriminazione religiosa ed il terrorismo fondamentalista. (Da considerare che allora erano entrambe le due religioni che regolavano, ispiravano e condizionavano anche la politica)

    La Seconda Crociata
    1144 Zinki occupa la contea di Edessa.
    1146 Norandino succede a Zinki. San Bernardo di Chiaravalle predica la seconda crociata a Vézelay. Corrado e Luigi ritornano in Europa.
    1149 Norandino prende Apamea e uccide Raimondo di Poitiers.
    1153 Baldovino III prende Ascalona.
    1154 Norandino prende Damasco.
    1155-1156 Renaud de Chatillon saccheggia Cipro.
    1159 Antiochia riconosce la sovranità di Manuele. I franchi alleati con i bizantini assediano Aleppo. Bisanzio tratta la pace con Norandino.
    1160 Renaud de Chatillon prigioniero di Norandino.
    1162 Amalrico I, successore di Baldovino III.
    1164 Norandino prende Harim.
    1167 Shirkuh in Egitto. Amalrico I prende Il Cairo.
    1168 Fallimento di Amalrico I in Egitto. Norandino prende Il Cairo.
    1169 Saladino visir in Egitto.
    1171 Saladino mette fine al califfato fatimide in Egitto.
    1174 Morte di Norandino e di Amalrico I. Avvento di Baldovino IV.
    Saladino conquista il potere in Siria.
    1177 Baldovino IV batte Saladino a Montgisard.
    1179 Saladino guida una spedizione contro Tiro.
    1180 Tregua tra Saladino e Baldovino IV.
    1182 Saladino attacca Nazareth, Tiberiade, Beirut.
    1183-1184 Saladino prende Aleppo e devasta la Samaria e la Galilea.
    1185 Il fanciullo Baldovino V re di Gerusalemme. Morirà ben presto e gli succederà Guido di Lusignano.
    1187 Disfatta dei crociati ad Hattin a opera di Saladino. Saladino prende Gerusalemme.

    La Seconda Crociata (1147-1187) fu dunque causata dalla caduta di Edessa (avvenuta nel 1144). Papa Eugenio III, riuscì a convincere il re di Francia Luigi VII e l’Imperatore germanico Corrado III (anche se all’inizio non voleva la partecipazione dei tedeschi ritenuti pericolosi) a muovere contro i turchi. In autunno i crociati tedeschi e francesi attraverso l’Ungheria e la Bulgaria raggiungono Costantinopoli.
    Ridotto l’esercito a un branco di delinquenti affamati vengono commesse sul territorio bizantino numerose rapine e violenze, fino al punto che l’imperatore Commeno, facendo il doppio gioco, chiese di nascosto aiuto addirittura al sultano dei turchi per difendersi da questi teppisti. I “crociati” già logorati dalla stanchezza e dalla fame, con questi ambigui appoggi (erano veri e propri atti di sabotaggi e ostilità) riservati a loro dai bizantini, disgregati soprattutto dalle discordie interne, decimati da privazioni e da epidemie, subirono prima un attacco in ottobre a Dorilea, poi dopo una ininfluente affermazione a Laodicea, furono presto sconfitti dai turchi presso i monti di Cadmus nel dicembre 1147.
    Asserragliatisi nei pressi di Damasco, pur con l’arrivo di rinforzi, soprattutto con contingenti di templari e giovanniti, il successivo anno, nel 1149, furono annientati. Nella fuga trovò rifugio a Costantinopoli il malaticcio Corrado III, con il nipote Federico già duca di Svevia dopo la morte del padre. (Morto poi Corrado nel ’52, sarà lui a ereditare dallo zio l’impero con quel nome che diventerà famoso per circa 40 anni, sconvolgendo mezza Europa, l’intera Italia, ma che poi morirà annegato nella successiva crociata: era Federico detto il Barabarossa).
    Commeno come contropartita chiede a Corrado di aiutarlo a riconquistare la Sicilia in mano ai normanni di Ruggero II. Ma non ha l’esito sperato, oltre che andare incontro a un fallimento, i normanni hanno già stretto alleanza con i Guelfi tedeschi ostili proprio a Corrado che offrono appoggio al Re di Sicilia normanno, convincendo Serbi e Ungheresi ad attaccare per indebolire da nord l’impero bizantino

    La Terza Crociata
    1187 L’arcivescovo di Tiro predica la terza crociata. Rispondono all’appello di papa Clemente III l’imperatore Federico Barbarossa, il francese Filippo Augusto e l’inglese Riccardo Cuor di Leone.
    1188 Saladino ha in mano tutto il territorio franco, tranne Tripoli, Tiro e Antiochia.
    1189 Guido di Lusignano assedia Acri.
    1190 Federico Barbarossa arriva in Asia Minore, prende Konia ma in un banalissimo bagno nel fiume Selef il 10 giugno muore annegato, lasciando l’esercito allo sbando.
    1191 Arrivano in Terrasanta Filippo Augusto e Riccardo Cuor di Leone. Questi prende Cipro, San Giovanni d’Acri e sconfigge Saladino ad Arsuf.
    1192 Guido di Lusignano re di Cipro. Corrado di Monferrato, signore di Tiro, designato re di Gerusalemme viene ucciso da un adepto della setta degli assassini. Enrico II di Champagne re di Gerusalemme. Riccardo Cuor di Leone batte Saladino a Jaffa ma fallisce davanti a Gerusalemme e torna in Occidente.
    1193 Morte di Saladino.
    1194 Amalrico di Lusignano re di Cipro.
    1197 Morte di Enrico di Champagne. I franchi riprendono Beirut.

    La Terza Crociata (1189-1192) fu bandita da Gregorio VIII, appena salito sul soglio alla morte di Urbano III, ma vi rimase nemmeno due mesi, gli successe Clemente III. La motivazione era caduta di Gerusalemme (1187) per opera del grande condottiero turco Saladino, che aveva con una serie di strepitose vittorie già esteso la sua signoria sull’Egitto e sull’Arabia occidentale. A differenza dei crociati, il Saladino non effettuava stragi nelle città vinte ai cristiani: questi anzi avevano la possibilità di andarsene pagando un riscatto (un uomo 10 denari, 5 la donna); chi non pagava era fatto schiavo. Ma poi Saladino abolì anche quest’iniqua richiesta per chi voleva andarsene, né costrinse a fare gli schiavi chi restava. Anzi, mise perfino una milizia per proteggere da alcuni fanatici musulmani la minoranza cristiana.
    Sebbene alla crociata partecipassero i re d’Inghilterra Riccardo Cuordileone e di Francia, Filippo II, nonché l’imperatore germanico Federico Barbarossa, i risultati furono irrilevanti (l’imperatore addirittura vi morì, lasciando un esercito allo sbando). Troppe erano le discordie interne: francesi, inglesi, tedeschi e italiani, si combatteranno a vicenda per il possesso di alcuni territori conquistati. Ma il più ambiguo rapporto si creò tra il re di Francia e il Re d’Inghilterra fino a rompere il sodalizio e ritornare il primo in Francia a combinare guai e a seminare zizzania:
    Gerusalemme, in sostanza, restava in mano turca, anche se i cristiani residenti avevano libertà di accesso alla città santa. Per le violenze e l’arroganza dei nuovi arrivati Bisanzio fu costretta ripetutamente ad allearsi con i turchi perché si era accorta che la presenza latina le causava più danni che vantaggi. Alla fine l’imperatore Isacco come aveva fatto il suo predecessore Commeno, si convinse che invece di aiutarli i crociati era meglio combatterli.
    Riccardo Cuor di Leone dopo i dissidi con il re di Francia rientrato in patria con ben altri obiettivi, preferì invece di combatterlo, fare una pace con Saladino. Ma al ritorno pur scampando a un naufragio, fu fatto prigioniero, poi consegnato a Enrico VI. Sul trono salì il fratello Giovanni Senzaterra, messo in soggezione proprio dal Re di Francia Filippo Augusto. Ritornato libero, Riccardo perdonerà il fratello, affronterà Filippo, riconquisterà il trono, ma nel ’99 nell’assedio di Chalus in combattimento perderà la vita. Tornerà a regnare il fratello più volte in conflitto con l’avido re di Francia, Filippo.

    LA QUARTA CROCIATA
    1202 Bonifacio II di Monferrato e Baldovino IX di Fiandra conducono la quarta crociata. Una delle più drammatiche e infide spedizioni.
    1204 I crociati prendono e saccheggiano Costantinopoli. Fondazione dell’Impero latino d’Oriente (1204-1261).

    La Quarta Crociata (1202-1204) – Alla fine del XII sec., Papa Innocenzo III, grazie al quale la chiesa cattolica aveva raggiunto l’apice della sua potenza, bandì la quarta crociata, cercando di approfittare della morte di Saladino (1193). Alla spedizione, diretta non solo verso Oriente, ma anche verso i paesi baltici, parteciparono i feudatari francesi, italiani e tedeschi (questi ultimi furono i soli quelli del Baltico). Essi decisero di partire da Venezia per servirsi della sua flotta: l’intenzione era quella di conquistare Gerusalemme dopo aver occupato l’Egitto. Ma Venezia, che aveva ottimi rapporti commerciali con gli egiziani, riuscì a dirigerli con l’inganno contro la rivale Bisanzio. I crociati, infatti, che non avevano denaro sufficiente per pagare il viaggio, accolsero la proposta di prestare aiuto ai veneziani per la conquista della città di Zara, appartenente al re cattolico d’Ungheria.
    Indignato, Innocenzo III scomunicò i crociati, ma subito dopo concesse il perdono nella speranza che muovessero contro i turchi. Ma durante l’assedio di Zara venne al campo crociato il figlio dell’imperatore di Costantinopoli per annunciare, che suo padre era stato cacciato dal fratello e che se l’avessero aiutato a ritornare sul trono avrebbero ottenuto grandi somme e promise anche la riunione delle due chiese cristiane. Innocenzo III – anche lui raggirato- alla notizia si affrettò a benedire l’intervento che poco prima aveva condannato.
    I crociati così si diressero verso Costantinopoli, ma qui incontrarono la resistenza della cittadinanza, che non ne voleva sapere dei latini. L’imperatore deposto venne rimesso sul trono senza spargimento di sangue, poiché il fratello usurpatore era fuggito dalla città. Ma i crociati pretesero che accanto all’imperatore fosse nominato con lo stesso titolo anche il figlio, il quale naturalmente aveva intenzione di mantenere fede agli impegni contratti a Zara. Soprattutto con Dandolo, l’ultranovantenne doge veneziano, che aveva fornito a credito il nolo delle navi per il viaggio, pattuito una somma ben precisa e stabilito precisi privilegi.
    Tuttavia, il tesoro della capitale era vuoto, il patriarca e il popolo si rifiutavano di riconoscere il papa come capo della chiesa universale e non avevano alcuna intenzione di pagare i debiti dell’imperatore, né di concedere privilegi ai crociati e ai veneziani. Per queste ragioni la popolazione insorse uccidendo sia l’imperatore, che il figlio.
    I crociati per venali motivi decisero di vendicarsi: irruppero nella città e per tre giorni la saccheggiarono orrendamente, proclamando l’Impero latino d’Oriente, dimenticandosi del tutto la spedizione contro Gerusalemme. A capo della chiesa bizantina fu posto un nuovo patriarca, che cercò di avvicinare la popolazione locale, greca e slava, al cattolicesimo. Il papato, ufficialmente, condannò il massacro, ma quando vide che l’imperatore eletto e il patriarca gli riconoscevano, piena supremazia su tutta la chiesa cristiana d’Oriente e d’Occidente, decise di accettare il fatto compiuto. Tuttavia, più ancora che il papato o i feudatari, fu Venezia a trarre i maggiori profitti dalla conquista dell’impero bizantino, del cui territorio essa aveva occupato i 3/8: in particolare, inoltre i mercanti veneziani riuscirono ad ottenere per le loro merci l’esenzione dai dazi in tutti i paesi dell’Impero.
    I particolari di questa spedizione, con i protagonisti finiti poi uccisi li troviamo in Cronologia nei singoli anni. Si risorse drammaticamente e permise con il crollo dell’impero bizantino la nascita di due grandi potenze, il regno dei Serbi e d’Ungheria.
    L’impero latino inizia a crollare del tutto nel 1261, sotto l’urto dei Bulgari e degli Slavi oltre che degli stessi ultimi incapaci governanti bizantini; questi ultimi aiutati dai genovesi, ma anche dai barbari che prima combattevano. Il fatto più strano fu che i nuovi re dei primi due paesi, che stavano costituendo (nella decadenza bizantina) ognuno il proprio regno (Bulgaria e Serbia – vedi anno 1195), furono appoggiati dal Papa. Temeva Roma prima o poi con la presenza veneziana sugli interi Balcani (l’intera costa dalmata e greca, era già della Serenissima) che stringessero un’alleanza o con i tedeschi o con i normanni. In un caso o nell’altro lo Stato della Chiesa veniva a trovarsi in mezzo stritolato da tre parti.
    Bisanzio in seguito si libererà dei latini, sopravvivrà per altri 200 anni, ma non tornerà più al suo antico splendore. I Turchi oltre che conquistarla, ne faranno la capitale del loro Stato.
    La V, la VI, la VII e l’VIII Crociata non ebbero molta importanza: i crociati subirono altre sconfitte o, nel migliore dei casi, scendevano a patti con i nemici prima ancora di dare battaglia; e questo nonostante che i mongoli si fossero alleati con loro contro turchi e arabi.
    Il fatto è che dopo la quarta crociata non v’era quasi più nessuno in Occidente disposto a partecipare a spedizioni lontane e pericolose, anche perchè quando i crociati si trovavano in difficoltà non ottenevano mai gli aiuti e i rinforzi richiesti.
    Nel periodo delle ultime crociate, in Europa si ebbe un notevole aumento della produzione, la tecnica agricola si era perfezionata, le città si erano sviluppate, l’intera economia divenne florida. Questo può spiegare perché vennero meno le cause che avevano indotto la società feudale occidentale a partecipare alle crociate. I mercanti, ad esempio, si accontentarono dei risultati delle prime quattro crociate, che avevano assicurato l’eliminazione della funzione mediatrice esercitata da secoli dall’impero bizantino tra est e ovest. Pragmatici com’erano, scoperti i vasti mercati orientali si misero addirittura a fare affari anche con i turchi.
    Gli stessi cavalieri ebbero la possibilità di entrare nelle truppe mercenarie dei re nazionali dell’Occidente, la cui importanza andava sempre di più crescendo con le attività produttive. Molti altri cavalieri furono utilizzati poi dalla Chiesa per colonizzare nuovi territori nel Baltico (in particolare Polonia, Cecoslovacchia, Boemia, Ungheria) e sui Balcani, al fine convertire alla religione cristiana gli slavi e tutto il territorio a est della Russia. L’impresa in parte riuscirà, ma dividendo l’Europa in due; nacque un dualismo religioso abbastanza critico che poi esploderà nel protestantesimo, creando una forte contrapposizione tra due unità politiche, soprattutto quando due dinastie di sovrani tedeschi si divideranno la Germania. Da una parte i prussiani (l’anima della futura Germania ariana (intesa come religione e anche come etnia – gli arii indoiranici) e dall’altra parte a oriente le ambizioni degli Asburgo (che domineranno su un territorio che non dimentichiamo si chiama deutschostereich – cioè “la parte ovest della Germania”. Austria è un nome recentissimo, di fine Ottocento, inizio Novecento.
    E nemmeno dobbiamo dimenticare che la stessa Austria, non è proprio per nulla omogenea, esiste la parte superiore e la parte inferiore che non è “sotto” e “sopra”, ma la prima è a est di Linz (fin dai tempi di Carlo Magno) la seconda è a ovest. La prima tipicamente “germanica”, l’altra un miscuglio di etnie; latini, slavi, cechi, boemi, croati, sloveni, che sono legati ancora oggi da motivi religiosi (cristiano cattolici) e da melanconiche glorie perdute dell’impero dei potenti e ambiziosi Asburgo, quando questa opulenta dinastia si è disgregata dopo la prima guerra mondiale.
    Due entità politiche che fanno ancora oggi -anno 2000- discutere; ed ognuna ha latente la volontà di egemonizzare l’altra, pur apparendo la nazione una tranquilla regione incastonata tra i monti e attraversata da quel lungo placido fiume che ha diviso fin dai tempi dei romani il territorio. La parte sinistra non ha dimenticato quando gli Asburgo dominavano con arroganza da Vienna fino in Belgio, e la parte destra (che comprende Vienna) d’altronde non ha dimenticato che la sua potenza si estendeva da La Manica al Lombardo-Veneto (oltre che essere paladino di altri Stati italiani) e da questi fino alla Boemia, Cecoslovacchia, Ungheria, alla ricca Slesia e infine alla Polonia.

    La Quinta Crociata
    Condotta da Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme, e Andrea II, re di Ungheria.
    1217 Fallimento dei crociati al Monte Tabor.
    1218-1219 I crociati prendono Damietta. San Francesco d’Assisi in Egitto.
    1221 Spedizione disastrosa dei crociati verso Il Cairo. Perdita di Damietta.

    La Quinta Crociata (1217-1221), bandita da Papa Innocenzo III, la vinse la piena del Nilo. I cristiani ne furono sommersi. I sopravvissuti in cambio di Damietta ottennero dal sultano di ritirarsi liberamente. In questa spedizione ci fu l’ingenuo tentativo di san Francesco d’Assisi di “convertire” il sultano.

    La Sesta Crociata
    1225 Federico II sposa Isabella di Brienne e diventa re di Gerusalemme.
    1229 Mediante il trattato di Jaffa, concluso con Al-Malik Al-Kamil, sultano d’Egitto, Federico II ottiene la restituzione di Gerusalemme per dieci anni. Vi si incorona re e torna in Europa.
    1244 I musulmani (turchi khwarizmiani) riprendono definitivamente Gerusalemme.
    1247 I turchi khwarizmiani riprendono Tiberiade e Ascalona.

    La Sesta Crociata (1227-1229) é la più anomala. Fu bandita da papa Gregorio IX e quasi imposta a un Federico II riluttante a partire, temendo che il papa durante la sua assenza – cosa come poi in effetti avvenne – approfittasse per invadere l’Italia meridionale; per questo temporeggiare fu scomunicato. Fu costretto alla fine a partire, ma giunto a destinazione la “crociata” fu presto conclusa attraverso un pacifico accordo con il sultano. Non ci fu dunque nessun fatto d’arme di rilievo. Le armi tacquero.
    Il “diplomatico” e “saggio” Federico II, concluse la trattativa col sultano d’Egitto (trattato di Jaffa) che garantiva Gerusalemme, Betlemme e Nazareth ai cristiani. Il Papa scandalizzato (ma cercava un qualsiasi prestesto) per aver concluso questo trattato di pace con gli infedeli gli lancia l’”interdetto”, chiede la disubbidienza dei sudditi, gli invade il suo regno. Federico s’imbarca, rientra in Italia, sconfigge le truppe pontificie e costringe il papa a togliergli la scomunica.
    E’ forse il migliore e il più fecondo periodo delle crociate. Federico che ha grandi interessi culturali, in Oriente, con gli ottimi rapporti stabiliti con i locali, lui appassionato osservatore, scopre la civiltà araba, mutua alcune istituzioni e trasferisce in Europa non solo tante invenzioni e tecnologie in occidente ignote, ma tutto il Sapere riposto nelle immense biblioteche arabe, che hanno conservato negli scaffali , in milioni di libri, tutto lo scibile umano degli ultimi venti secoli; dalle antiche civiltà orientali e occidentali, e paradossalmente anche i testi latini oltre che greci, scomparsi in occidente da più di mille anni.

    La Settima Crociata
    1248 Luigi IX il Santo sbarca a Cipro.
    1249 Luigi IX il Santo prende Damietta.
    1260-1277 Baibars, sultano dei mamelucchi.
    1260 Baibars ferma l’avanzata dei mongoli.
    1265 Baibars prende Cesarea e Arsuf.
    1268 Baibars prende Jaffa e Antiochia.

    La Settima Crociata (1248-1254). E’ quella del Re Santo, Luigi IX re di Francia. L’armata fu decimata prima da una tempesta, ciononostante i crociati riconquistano Damietta. Ma nel 1250 la battaglia ricomincia, Luigi fu fatto prigioniero. Liberato con un riscatto nel ’54 s’imbarcò per ritornare in Francia.

    L’Ottava Crociata
    1270 Luigi IX il Santo muore appena giunto a Tunisi.
    1274-1275 I mamelucchi saccheggiano la Cilicia.
    1277 Carlo d’Angiò pretendente alla corona di Gerusalemme. Si impadronisce di Acri.
    1282 Enrico II di Cipro assume il titolo di re di Gerusalemme ma regna solo su Cipro.
    1287 Il sultano d’Egitto Qalawun prende Tripoli.
    1291 Il sultano al-Ashraf, figlio di Qalawun, prende Acri. I franchi sono espulsi dall’Oriente.

    La Ottava Crociata (1269 ) è l’ultima (ufficialmente). Tramonta il sogno cristiano; é la definitiva disfatta europea. Guida la spedizione Giacomo I d’Aragona, ma già a Barcellona, subito dopo la partenza, una tempesta affonda buona parte della potente flotta. Solo poche navi raggiunsero la meta, ma inutilmente perchè Acri era assediata dai turchi. Senza mezzi, disorganizzati, ridotti di numero, rinunciarono ad una offensiva quasi suicida e se ne tornarono in patria.

    La Nona Crociata
    La Nona Crociata (1270) – Re Luigi IX, il Santo; è ancora lui a promuoverla. Si risolse in un disastro totale. Appena sbarcato in Tunisia, negli accampamenti scoppiò una tremenda epidemia di peste, che portò alla morte lo stesso Luigi. Chi sopravvisse se ne tornò a casa.

    La Decima Crociata
    (1271-1272) – Preparata dal Re d’Inghilterra Enrico III, la guida suo figlio Edoardo, ma é subito sconfitto. I cristiani perdono anche Krak, il leggendario castello dei cavalieri. A Edoardo non gli resta altro che fare con il sultano un trattato di pace.
    Nella sua relazione, Edoardo esprimerà tutto il suo sdegno per quello che ha visto in Palestina. Scandalizzato per i vasti traffici mercantili (anche di armi) tra veneziani, genovesi e cavalieri crociati da un lato, e gli “infedeli” dall’altro. Un mercato! Che non era iniziato quest’anno; il cinismo e la spregiudicatezza si era sistemato da anni.
    Nel 1289 c’è ancora un ultimo proclama, ma senza seguito. Le ultime resistenze cristiane in Terrasanta sono definitivamente sconfitte dai musulmani nel 1291 con la Caduta di S. Giovanni d’Acri. Una grande città abitata da crociati, ma divisa in quartieri, in perenni liti e dove ognuno pensava a difendere il proprio “orticello” più dagli “amici” cristiani che non dai nemici turchi. Andarono così incontro al disastro.

    Le altre Crociate
    Oltre quelle citate sopra, ci furono anche altre cinque spedizioni “non ufficiali”, finite tutte tragicamente. Quella degli 80.000 “straccioni” di Pietro l’Eremita del 1095 che abbiamo citata sopra (che é in effetti la prima crociata). Poi ci fu quella dei “Tedeschi” del 1096, che iniziarono il viaggio saccheggiando e massacrando non gli “infedeli” che non raggiunsero mai, ma i tedeschi ebrei di Ratisbona, Worms, Spira, Colonia, Treviri, Magonza. Poi quando penetrarono in Ungheria furono loro massacrati. Nessuno arrivò in Palestina.
    Nel 1100-1101 ci fu quella dei 100.000 lombardi diseredati, che diventarono lungo il cammino 200.000, e che avanzarono tra violenze e saccheggi. Giunti sul territorio turco, un terzo furono sterminati ad Amasia, un altro terzo a Iconio. Dei sopravvissuti, il 5 settembre del 1101 tra Isauria e Cilicia non ne rimase vivo nessuno.
    Stessa sorte toccò a quella detta “dei bambini” guidata dal monaco Stefano de Cloies. Era il 1212. Il frate imbarcò a Marsiglia 30.000 giovani su sette navi. Due colarono a picco già alla partenza, le altre raggiunsero la Tunisia. Qui i proprietari delle navi per rifarsi dei danni subiti, vendettero come schiavi ai turchi i “bambini” scampati. Federico II quando vi sbarcò sedici anni dopo nel 1228 ne incontrò 700 che erano ormai trentenni.
    Non meno sfortunati i “bambini” di un “profeta” anche lui “bambino”, il tedesco Nicholaus di 12 anni, che assicurava i suoi fanatici coetanei che “avrebbe camminato sul mare”. Raccolse 8000 adolescenti creduloni. Recatisi a piedi a Roma, il papa non concesse la benedizione, e li rimandò a casa. Nel riattraversare le alpi in pieno inverno morirono quasi tutti congelati in una bufera di neve.
    Si aggiunse a questa, la “crociata dei pastorelli” del 1251, sotto la guida di un altro fanatico pseudo-monaco di nome Giacobbe; un vecchio pastore che stregava i giovani con un piffero da pecoraio (da questo episodio nacque probabilmente la famosa leggenda del pifferaio di Hamelin). Formò un esercito di ragazzini francesi. Nell’attraversare città e paesi devastavano le proprietà dei ricchi, massacravano ebrei, razziavano ogni cosa. Avanzando, nell’avvicinarsi alle città, gli abitanti li attesero al varco; furono uccisi tutti.

    BILANCIO DELLE CROCIATE
    * Il risultato di maggior rilievo fu la conquista delle vie commerciali mediterranee, che prima erano controllate da Bisanzio e dai paesi arabi, i quali entrarono subito dopo in una profonda decadenza economica.
    * Le città dell’Italia settentrionale (Venezia, Genova e Pisa) assunsero un ruolo dominante nel commercio con l’Oriente.
    * Si introdussero in Europa occidentale nuove industrie e manifatture (seta, vetri, specchi, carta…) e nuove colture agricole (riso, limoni, canna da zucchero…). Compaiono i mulini a vento, sul tipo di quelli siriani.
    * La classe dei feudatari vede aggravarsi la propria crisi, sia perché ha impiegato molte risorse ottenendo scarsi vantaggi, sia perché si è rafforzata una nuova classe, la borghesia, ad essa ostile.
    * Le classi popolari, sacrificatesi senza ottenere alcuna contropartita, si orienteranno verso forme di protesta socio-religiosa (le eresie), ispirate all’uguaglianza evangelica.
    * I crociati distrussero le ultime tracce di fratellanza tra cattolici e ortodossi; e saccheggiando Costantinopoli, aprirono le porte agli invasori turchi.

    La mobilitazione ideologica nella guerra santa segnò il trionfo dello spirito d’intolleranza e di fanatismo. La chiesa infatti, accentuerà sempre più i fattori autoritari e dogmatici, legati al suo ruolo di guida suprema della cristianità.
    I marittimi, i mercanti, che per due secoli avevano afferrato al volo i vantaggi delle crociate, “iniziarono ad afferrare quelli offerti dal divenir – scriverà Dante – mercadanti in terra di soldano”.
    Dante, e molti altri, che soggiornarono in Sicilia, alla corte normanna, ci faranno scoprire i “tesori” contenuti nella biblioteca di Federico II. L’Europa scoprì una sconosciuta civiltà, e con questa tutto il suo ricco passato, universale, che l’aveva preceduta.
    L’avventura delle crociate fu iniziata per imporre una civiltà – che l’Occidente credeva altissima – e finì invece che ne scoprì un’altra più avanzata: scoprì le scienze, la matematica, la medicina, l’astronomia, la letteratura, la filosofia, l’agronomia, l’ottica, la geografia del mondo, e tante altre. Un enorme “mensa del sapere” che nutrirà d’ora in avanti l’intera Europa. Sconvolgendola!
    Riscopre tutta la civiltà classica, considerata fondamento di ogni progresso civile e spirituale dell’uomo, e sottopone a critica le nozioni tradizionali, che significò una rivalutazione dell’uomo e della sua possibilità di comprendere e trasformare il mondo.
    Riscoprirà perfino la musica, e con questa inizia il “preludio” dell’Umanesimo, per poi approdare alla grande “sinfonia” del Rinascimento.

    Conseguenze delle Crociate
    Non vi è dubbio che dal punto di vista strettamente militare le crociate si siano risolte in un completo fallimento: le conquiste dei soldati latini ebbero vita stentata ed effimera; dopo due secoli di lotta i Musulmani tenevano ancora saldamente l’Asia Minore. Contribuì molto a questo fallimento il fatto che ebbero il sopravvento gli interessi particolari dei vari prìncipi.
    Eppure la loro influenza si fece sentire con riflessi notevoli nei più svariati campi della vita europea. Il feudalesimo usciva indebolito dalle crociate: le enormi spese delle spedizioni avevano costretto i signori feudali a ipotecare le loro proprietà o a cederle a banchieri, al re, alla Chiesa. In cambio di denaro molte città e moltissimi contadini avevano riscattato i loro obblighi feudali. Migliaia di servi avevano lasciato la terra per non più tornarvi. Il prestigio della Chiesa romana era stato accresciuto dal felice esito della prima spedizione; le successive lo diminuirono progressivamente.
    La fede incorrotta del Medio Evo ricevette un fiero colpo: si argomentava che l’insuccesso delle crociate non giustificava più la pretesa del papa di essere il rappresentante di Dio in terra. Se le coscienze erano turbate, il commercio in compenso ricevette un mirabile impulso. Le flotte delle Città marinare italiane, di Marsiglia, di Barcellona, importavano i raffinati ritrovati della civiltà orientale, mentre spezie, seta, zucchero, gemme, profumi invadevano l’Europa.
    Si stesero mappe accurate delle coste asiatiche; cereali, alberi da frutta, piante di ogni genere, mal note in Occidente, vennero importate e coltivate su larga scala. Le scienze e le arti fecero tesoro dell’abilità e dell’esperienza dei Musulmani e anche i cronisti cristiani appresero a parlare con nuovo rispetto della civiltà araba. Inoltre, in seguito all’impulso che il commercio ricevette, si verificò un miglioramento del tenore di vita. Creatura del Medio Evo religioso e guerriero, l’idea di crociata si spense nel fervore di una rivoluzione civile ed economica, primo segno del Rinascimento.

  • Cinesi: la medicina cinese

    Il fondatore della medicina cinese è Shen Nong. Vissuto all’incirca nel 3000 a.C., quest’imperatore iniziò la coltivazione dei cinque cereali (frumento, grano, miglio giallo, riso, fagioli neri), sperimentò per primo le piante che mantengono la salute e che curano le malattie, pose le basi della diagnosi e della terapia medica.

    Il più antico trattato di medicina risale al 2650 a.C. ed è intitolato Nei Jing; quest’opera, che fu scritta dall’imperatore Huangdi, ordina tutte le conoscenze del tempo ed illustra la filosofia di base della tradizione cinese.

    In seguito, via via che aumentavano le cognizioni sulla salute e sulle malattie dell’uomo, i testi di medicina si moltiplicarono, mentre l’agopuntura e la moxa, due tra le terapie della medicina tradizionale cinese, si svilupparono notevolmente in tutta la Cina. Attualmente in quel paese vi sono molte università, case di cura, istituti di ricerca specializzati in medicina cinese, la cui diffusione nel mondo riguarda circa cinquanta paesi, compresa l’Italia.

    In Occidente l’agopuntura fu introdotta alla fine dell’Ottocento da Georges Soulié de Morant. La scuola francese da lui fondata rappresentò per molti anni un importante punto di riferimento culturale e, dopo la seconda guerra mondiale, il suo insegnamento approdò in Italia. Nel nostro paese vi sono oggi molte scuole di formazione riservate ai medici. Il riconoscimento dell’efficacia dell’agopuntura risale alla fine degli anni Settanta, quando si stabilì, fra l’altro, che la pratica di questa terapia è da considerarsi un “atto medico”. Da tutto ciò si può comprendere come l’agopuntura possa essere eseguita solo dai medici, e chi non sottostà a questa normativa dello stato italiano è perseguibile penalmente per “abuso della professione medica”.

    Concezione energetica cinese
    Per la medicina tradizionale cinese tutto è energia. Qualsiasi cosa esistente in natura, compreso l’universo, è energia in continuo moto e perenne trasformazione. Il simbolo che riassume tutto il pensiero cinese è quello del tao.

    Questo simbolo rappresenta nel suo cerchio un’unità, che contiene due forze contrapposte ma complementari. Queste continuano eternamente a fluire l’una verso l’altra e, quando arrivano al proprio massimo energetico, hanno comunque dentro di sé una piccola parte dell’altra. Le due forze sono chiamate dai cinesi yin e yang. Esse sono presenti ovunque e regolano con il loro movimento tutte le cose. L’una esiste perché esiste l’altra e non è possibile separarle né negarne una perché si dissolverebbe il senso dell’altra.

    Facciamo un esempio: per definire la luce abbiamo bisogno del suo opposto, cioè il buio, e viceversa. Tuttavia non è sufficiente limitarsi ad una statica definizione di opposti! In realtà, ogni energia è in movimento, nasce, raggiunge un massimo, decresce e mentre muore nasce quella opposta, che raggiunge a sua volta un massimo energetico, decresce e muore mentre rinasce nuovamente l’altra. E’ questa la rappresentazione dei ritmi dell’universo: il giorno e la notte, le stagioni, i cicli lunari, l’anno solare, il ritmo sonno – veglia ecc.

    Lo yin viene definito come energia potenziale (la quiete, l’aspetto materiale, la tendenza a contenere e ad accumulare forza), lo yang è l’energia che si esprime, e cioè il movimento, l’emanazione, l’esteriorità.

    Terapie

    Agopuntura
    L’agopuntura, propriamente “cura con gli aghi”, fa parte delle tecniche terapeutiche della medicina tradizionale cinese.
    In Italia l’agopuntura, che sicuramente rappresenta un efficace strumento terapeutico, può essere praticata solo da laureati in medicina. Gli aghi sono in acciaio; nella figura. sono mostrati i tipi più comunemente utilizzati.
    Gli aghi vengono infissi nella cute in particolari punti dei meridiani energetici. I punti principali sono trecentosessanta, ma attualmente se ne conoscono più di mille. Ogni punto ha un particolare valore energetico: può accelerare, ritardare, superficializzare, collegare, generare, contrastare e così via.
    L’effetto che si può ottenere varia a seconda di come si infigge l’ago (perpendicolare, obliquo secondo la direzione energetica, obliquo in senso contrario alla direzione energetica), da quanto lo si infigge in profondità, da come lo si manipola (nel momento in cui lo si inserisce dopo che è stato infitto nella cute, quando lo si toglie), dalla velocità di infissione e/o estrazione, da quanto tempo lo si lascia in quel punto ecc…
    Ogni agopuntore conosce esattamente le funzioni di ogni punto e come ottenere con le metodiche sopra descritte il migliore risultato possibile.
    Le controindicazioni all’agopuntura sono: gravi malattie infettive, situazioni di deperimento psicofisico, alcune malattie psichiatriche; particolare attenzione deve essere prestata in gravidanza, poiché la stimolazione di alcuni punti può provocare prematuramente il parto o contrazioni uterine.
    Gli effetti collaterali (molto rari) possono essere: svenimenti, vertigini, perforazione di vene o arterie e… l’assenza di qualsiasi effetto terapeutico!

    Alimentazione e dietetica
    Un’altra metodica terapeutica della medicina cinese è la dietetica. Infatti, molte malattie possono, da un lato, essere causate da una scorretta alimentazione e, dall’altro, guarire attraverso indicazioni alimentari. Anche in Occidente sappiamo quanto sia importante alimentarsi in modo corretto, prestando attenzione, per esempio, ai grassi, alle fritture, allo zucchero ecc. Tuttavia in Cina, più che la componente materiale specifica degli alimenti, si considera una particolare qualità dei cibi, il “sapore”.
    Per gli orientali il “sapore” di un alimento non è solo la sensazione gustativa, ma contiene anche una parte più sottile, energetica, che varia a seconda dei diversi cibi.
    Nell’arco di sperimentazioni millenarie, i medici cinesi hanno individuato tutti i cibi corrispondenti ai cinque sapori fondamentali, i quali a loro volta sono riferibili ai cinque elementi e, dunque, agli organi ad essi corrispondenti:
    – sapore agro-acido (fegato e cistifellea);
    – sapore amaro (cuore e intestino tenue);
    – sapore dolce (stomaco e milza);
    – sapore piccante (polmoni e intestino colon);
    – sapore salato (reni e vescica).
    Poiché gli organi sono accoppiati come yin e yang, vi saranno sapori yin e yang che apparterranno loro rispettivamente, e cioè, per esempio, vi saranno alimenti di sapore salato yin che corrispondono ai reni e alimenti di sapore salato yang che corrispondono alla vescica (fegato, cuore, milza, polmoni e reni sono yin, cistifellea, intestino tenue, stomaco intestino colon e vescica sono yang), e così via.
    Vediamo un breve elenco di corrispondenze tra sapori – yin e yang – organi e alimenti.
    · Sapore agro – acido – yin – fegato: limone, pomodoro, fragola, basilico, cavallo, pera, arancia, pompelmo, uva, grano.
    · Sapore agro – acido – yang – cistifellea: fagiano, maiale, pollo, mandarino, albicocca, pesca, prugna, biancospino, olive, formaggio.
    · Sapore amaro – yin – cuore: lattuga, rabarbaro, soia, tè, fegato di coniglio, bardana, rapa, ruta, verbena, cavolo, fegato di manzo, miglio.
    · Sapore amaro – yang – intestino tenue: asparago, mandorla, buccia di arancia e di mandarino, tè, fegato di maiale, valeriana.
    · Sapore dolce – yin – milza: melanzana, canna da zucchero, barbabietola, funghi, bambù, fagiolini, orzo, zucca, cetriolo, spinaci, banana, melone, mela, crescione, sedano.
    · Sapore dolce – yang – stomaco: ciliegia, castagna, dattero, trota, gamberetti, anguilla, uovo di gallina, pesce persico, carpa, fico, sesamo, arachide, zucchero bianco, zafferano.
    · Sapore piccante – yin – polmone: cavallo, maiale, coniglio, lepre, menta, origano, carota, ravanello, rapa.
    · Sapore piccante – yang – intestino colon: aglio, porro, finocchio, cervello di manzo, tabacco, capriolo, salvia, prezzemolo, peperoncino, zenzero, scalogno, mostarda.
    · Sapore salato – yin – rene: sale, avena, polipo, coniglio, ostrica, lumaca, anatra, alghe.
    · Sapore salato – yang – vescica: riccio di mare, gamberetti, piccione, prosciutto, cinghiale, formaggio fermentato, uova di pesce, ceci, piselli.

    Cause alimentari di malattia
    Per i cinesi ogni abuso o eccesso alimentare può causare malattia. Vediamo una per una le diverse possibilità legate ai cinque sapori.
    · Eccesso di sapore agro – acido: può portare a un carico eccessivo di energia al fegato, provocando collera e contratture muscolari. Inoltre interferisce con l’energia: dello stomaco, causando gastrite e crampi; del polmone, rendendo la pelle priva di vitalità e dunque facilmente rugosa; dell’intestino colon, causando stitichezza. Anche il rene può essere danneggiato (energeticamente), con conseguente tendenza all’ansietà e all’instabilità psichica.
    · Eccesso di sapore amaro: soprattutto chi fuma corre rischi da questo punto di vista, poiché il tabacco viene considerato di sapore amaro. Da un punto di vista cardiaco vi è accelerazione dei battiti, mentre a livello dello stomaco vi saranno mancanza di appetito e difficoltà digestive. Per quanto riguarda il polmone si verifica una sorta di paralisi energetica, con facilità a bronchiti ed enfisema. Nella loggia energetica renale, l’eccesso si manifesta con diminuzione della libido, disturbi mestruali, diminuzione dell’attenzione e della volontà, possibile sterilità. Inoltre, la diminuzione dell’acuità visiva e la fragilità delle unghie sono l’espressione del danno energetico alla cistifellea e al fegato.
    · Eccesso di sapore dolce: nell’energia dello stomaco causa gastrite; in quella polmonare, problemi cutanei anche infettivi; nella loggia renale, impotenza sessuale, ipertensione e problemi ossei; nell’energia epatica vi potranno essere glaucoma, cataratta, debolezza muscolare, diminuzione della vista; in quella cardiaca, ipertensione arteriosa e, in casi gravi, scompenso cardiocircolatorio.
    · Eccesso di sapore piccante: a livello polmonare e dell’intestino colon si potranno rilevare facilità alle infezioni, emorroidi, emorragie cutanee a livello delle mucose (gengive, per esempio). Per quanto riguarda il rene, diminuzione della libido, amenorrea, edemi (gonfiori) alle caviglie, confusione mentale sono tutte possibili conseguenze. Nella loggia epatica l’eccesso di sapore piccante può causare crampi muscolari, fegato ingrossato, leggeri tremori alle mani. Gastrite, guance rosse e anemia caratterizzano invece il probabile danno all’energia dello stomaco e del cuore.
    · Eccesso di sapore salato: nell’energia renale si generano ronzii alle orecchie, aumento delle urine, cefalee nucali. In quella epatica potranno insorgere crampi, disturbi del campo visivo, debolezza muscolare, vertigini, formicolii alle dita, diminuzione della vista. Nell’energia del cuore e del polmone potranno verificarsi difficoltà respiratorie e tachicardia durante gli sforzi.

    Alcune regole terapeutiche
    Forniamo qui alcune indicazioni di massima per intervenire con i sapori in senso terapeutico.
    1. Nelle malattie muscolari è consigliabile diminuire il sapore agro – acido ed ingerire più sapori piccanti. Così nei sintomi dati da eccesso di sapore agro – acido.
    2. Il sapore agro – acido tonifica il polmone quando si trova in vuoto energetico.
    3. Nelle malattie delle ossa è meglio non assumere alimenti di sapore amaro ed ingerire sostanze salate. Nei sintomi dati da eccesso di sapore salato è opportuno aumentare il sapore dolce.
    4. Negli eccessi di sapore dolce si consiglia di aumentare il sapore agro – acido.
    5. Il sapore salato tonifica il cuore.
    6. In caso di disturbi cutanei è bene aumentare il sapore amaro e diminuire il piccante.
    7. Nel caso di eccesso di sapore amaro si consiglia di aumentare il salato.
    8. Per tonificare il rene conviene aumentare il sapore amaro.
    Queste sono solo alcune delle numerose possibilità di intervento terapeutico attraverso la dietetica dei “sapori”.

    La moxa
    Assieme o in alternativa all’agopuntura i medici cinesi utilizzano la “terapia moxa”. Il termine origina dall’espressione giapponese moe kusa, cioè “erba che brucia”. Proprio di un’erba si tratta e cioè dell’artemisia, o erba di San Giovanni (fig), in Occidente detta anche “scacciadiavoli”, colta al solstizio d’estate (il 21 giugno), quando, analogicamente, l’erba accoglie in sé il massimo calore del sole.

    Come si prepara
    L’artemisia viene fatta seccare e le foglie vengono triturate in un mortaio fino ad ottenere un impasto lanoso. Con questo si possono formare delle palline oppure dei coni e, ancora, con carta di gelso, dei sigari lunghi 20 cm.

    Tecniche di moxibustione
    Le palline o i coni possono essere appoggiati sulla pelle in corrispondenza dei punti di agopuntura, quindi accesi all’estremità superiore più lontana dalla cute e poi lasciati “bruciare” fino al loro spegnimento (fig.).
    A volte si interpone tra la pelle e l’erba una sostanza (di solito aglio, zenzero oppure sale grosso) a seconda degli scopi che si vogliono raggiungere (fig.). Questa tecnica presenta alcuni svantaggi, e cioè la lenta esecuzione, il notevole fumo e… una piccola, e a volte molto dolorosa, ustione. Tuttavia, nel caso di malattie particolarmente gravi provocate da seri deficit energetici, questa tecnica è in grado di offrire ottimi risultati.
    Un’altra tecnica di grande efficacia, utilizzabile però solo dai medici agopuntori, consiste nella collocazione di un pezzo di moxa sopra un ago infisso in un preciso punto di agopuntura. In questo caso si evita l’ustione, ed il paziente avverte una piacevole sensazione di calore (fig.).
    Infine, la tecnica più usata è quella del bastoncino di moxa, che viene acceso e avvicinato ai punti di agopuntura a una distanza dalla pelle di circa 2-3 cm.
    Il grande vantaggio di questa tecnica è quello di poter insegnare al paziente come usare il bastoncino e, quindi, di fargli praticare un’automoxa a casa con l’indicazione del punto o dei punti da trattare, della durata della moxibustione e dell’orario in cui praticarla.

    Come si usa il bastoncino
    Occorre precisare che il bastoncino di moxa in genere viene fornito dal medico agopuntore, ma può essere anche acquistato presso le farmacie che vendono prodotti cinesi (di solito erbe o aghi per agopuntura).
    Il bastoncino viene acceso ad un’estremità fino a ottenere una brace incandescente (non la fiamma) e quindi viene avvicinato alla cute nel punto di agopuntura terapeuticamente significativo. Il bastoncino viene tenuto alla distanza di circa 2-3 cm. dalla pelle fino ad avvertire una piacevole sensazione di calore. Questa in genere si intensifica progressivamente fino a un punto oltre il quale comincia a diventare spiacevole; si allontana allora di colpo il bastoncino, per poi riavvicinarlo ricercando nuovamente la sensazione piacevole.
    Il procedimento va ripetuto più volte fino a che l’area cutanea su cui si esegue l’applicazione diventa prima tiepida, poi calda e comincia ad arrossarsi. A questo punto si interrompe l’applicazione: di solito questo risultato viene raggiunto in tre – cinque minuti. Il bastoncino viene poi spento sotto l’acqua oppure tagliando con una forbice la parte bruciata.

    Indicazioni della moxa
    In un antico trattato cinese si legge: “La foglia di ai ye (moxa) usata in piccola quantità produce caldo, in grandi quantità forte calore. Essendo di pura natura yang, ha la capacità di rigenerare lo yang primario. Può aprire i dodici meridiani principali, regolare l’energia, espellere il freddo e l’umidità, riscaldare l’utero, arrestare i sanguinamenti, riscaldare la milza e lo stomaco per rimuovere la stagnazione, regolare le mestruazioni e facilitare l’uscita del feto. Quando è bruciata, penetra in tutti i meridiani ed elimina le cento malattie”.
    Quanto più una malattia è fredda (yin), cioè cronica, con metabolismo lento. Pallore, brividi, stanchezza, arti freddi, tanto più la moxa è efficace. Al contrario, quanto più una malattia è calda (yang), con dolori acuti localizzati, viso rosso, stato di eccitazione, tanto più è indicata l’agopuntura e controindicata la moxa.

    Controindicazioni
    La moxa è controindicata nei seguenti casi:
    – febbre superiore ai 38°;
    – grave ipertensione arteriosa;
    – bambini al di sotto dei sette anni;
    – persone con pelle fragile, come, per esempio, i diabetici.

    Il massaggio cinese
    In tutte le culture, la più antica forma di cura è il massaggio, e in Cina questa modalità terapeutica va di pari passo con l’agopuntura, la moxa, la dietetica e l’uso delle erbe.
    Due sono i principali tipi di massaggio:
    – localizzato, che può essere facilmente insegnato al paziente per dare continuità a una cura che prevede, per esempio, l’impiego di erbe e l’agopuntura, e per poter intervenire in casi urgenti. Questo tipo di massaggio viene chiamato “digitopressione”, “micromassaggio” o “automassaggio” e si ispira, come altre tecniche terapeutiche, alle teorie diagnostiche e curative proprie della medicina tradizionale cinese;
    – generale, spesso eseguito da un esperto, che impiega varie forme di manipolazione, trazione, impastamento, strofinamento ecc…

    Il massaggio viene eseguito sui punti di agopuntura e, se è vero che è particolarmente utile per alleviare il dolore, è altrettanto vero che con questo metodo si può intervenire efficacemente nel riequilibrio globale dell’organismo. In molti casi il massaggio rappresenta l’unica terapia necessaria, in altri invece viene utilizzato contestualmente o come supporto alle altre tecniche terapeutiche.
    Si può consigliare il massaggio in queste malattie: amenorrea, lombalgia acuta e cronica, cervicalgia, periartrite, reumatismi, enuresi, incontinenza, ipertensione, sindrome ansioso – depressiva, mal di testa, vertigini, stitichezza, contusioni, disturbi della menopausa, vomito, acufeni, epistassi, postumi di fratture.

    Le controindicazioni sono:
    – malattie acute contagiose;
    – tumori cutanei e ossei;
    – ustioni;
    – gravidanza;
    – fratture e lussazioni;
    – pazienti anziani defedati.

    Regole
    · Occorre avere le mani pulite, riscaldate da un breve strofinamento (uno o due minuti), e le unghie corte e pulite.
    · Bisogna essere in posizione comoda e in un ambiente tranquillo.
    · Il massaggio va praticato lontano dai pasti e, comunque, mai dopo abbondanti libagioni.
    · E’ bene iniziare con una lieve pressione e proseguire premendo sempre più con un movimento dapprima rapido e è poi più lento sino a tornare alla velocità iniziale, con una durata da un minimo di un minuto ad un massimo di cinque.

    Le erbe cinesi
    L’intervento terapeutico tradizionale della medicina cinese si completa con l’utilizzo delle erbe. Studiate e sperimentate anch’esse da quattro o cinquemila anni, sono a tutt’oggi considerate veri e propri farmaci, cioè sostanze che, ingerite o applicate al corpo umano, agiscono combattendo le malattie dal punto di vista sia sintomatico che causale. Quest’ultimo effetto è assicurato dal fatto che queste sostanze vengono prescritte, dopo una diagnosi del disequilibrio energetico in atto, proprio per modificare ciò che, secondo la medicina tradizionale cinese, ha causato il sintomo presentato dal paziente. Esiste, infatti, una classificazione delle erbe basata sulle loro proprietà curative. Vediamola.

    Farmaci che liberano l’esterno
    Sono erbe utilizzate singolarmente o in associazione (ricette) che trattano le “sindromi esterne”, cioè causate dal vento – freddo e dal vento – calore. Lo scopo di queste prescrizioni è, per esempio, di espellere, attraverso la sudorazione, le energie che hanno causato la malattia.
    Le malattie che traggono beneficio da questi farmaci in genere sono: raffreddore, faringite, tracheite, i primi sintomi dell’influenza, cefalee accompagnate da dolori alle spalle e alle braccia o alla zona cervico – dorsale, tonsillite, sinusite, congiuntivite, rosolia, gli stadi iniziali del morbillo, alcune forme di orticaria, asma, spasmi muscolari della parte alta del corpo.

    Farmaci che purificano il calore
    Lo scopo di questi farmaci è di purificare il calore, “spegnere” il fuoco ed eliminare le tossine. Molte malattie di origine virale o batterica traggono giovamento da questi farmaci, e in particolare: rosolia, morbillo, varicella, meningite, encefalite, tubercolosi polmonare, tracheite, bronchite, polmonite, congiuntivite, epatite, cistite. Molte ricette di questo gruppo sono efficaci anche quando il calore origina dall’interno, come nell’ansia e nell’insonnia, dove esso invade la zona “mentale”. Infine, queste erbe sono spesso impiegate in estate, quando, per esempio, ci si espone troppo al sole o ad alte temperature.

    Farmaci che armonizzano
    Per “armonizzazione” si intende il riequilibrio tra vari organi, spesso reso precario da stati emotivi particolarmente intensi (per esempio collera e risentimento, che causano calore in eccesso al fegato e conseguente cefalea, distensione addominale, ansia, bocca secca e amara, rigurgiti acidi ecc.).
    Tra le malattie conosciute in Occidente, queste erbe curano le irregolarità e i dolori mestruali, i disturbi della menopausa, la gastrite cronica, l’ulcera peptica.

    Farmaci che favoriscono la discesa
    Questi farmaci sono costituiti da erbe che contengono il principio terapeutico della “purgazione”. Questo termine è la traduzione un po’ infelice del cinese xia fa, con il quale non si intende tanto l’evacuazione intestinale (o meglio, non solo) quanto l’eliminazione attraverso gli orifizi del basso e dunque anche l’azione diuretica.
    Traggono giovamento da questo gruppo di erbe le dermatiti suppurative, l’acne foruncolosa, il ristagno di feci, le feci secche e difficili da evacuare, le stomatiti, i ristagni di liquidi nel peritoneo, nelle pleure e nel pericardio.

    Farmaci che drenano l’umidità
    Cause psichiche, alimentari, climatiche possono portare ad alterazioni dell’umidità, e cioè della diffusione, circolazione ed eliminazione dei liquidi organici.
    Le malattie trattabili con queste erbe sono: cistite, uretrite, gastroenterite, colite, insufficienza renale (acuta e cronica), insufficienza o scompenso cardiaco, sindromi reumatiche con presenza di liquido nelle articolazioni, tutti gli edemi ed i gonfiori, tosse, sensazione generalizzata di pesantezza, ritenzione urinaria.

    Farmaci che trattano la tosse e le malattie respiratorie
    Sono tutte le erbe che trattano la tosse e l’asma, agendo come broncodilatatori e influenzando l’energia polmonare. Oltre all’asma, le malattie che ne traggono beneficio sono: faringite, laringite, tracheite, bronchite (anche cronica), polmonite, enfisema polmonare.

    Farmaci che eliminano il vento – umidità
    Le malattie reumatiche in genere vengono trattate con questa categoria di erbe e le principali sono: artrite reumatoide, lombalgia cronica, dolori alle ginocchia, artrosi, crampi e dolori muscolari, tendinite.

    Farmaci che trasformano l’umidità
    Sono erbe che trasformano appunto l’umidità e curano soprattutto le patologie digestive originate da attacchi di vento – freddo – umidità: nausea, vomito, borborigmi, oppressione, distensione e dolore addominale, diarrea, anoressia.

    Quelli descritti sono solo alcuni esempi dell’ampia farmacologia erboristica cinese, tanto che a tutt’oggi si conoscono circa cinquemila tipi di erbe curative. La classificazione si completa con i seguenti tipi di farmaci:
    – farmaci che risolvono il ristagno dei cibi;
    – farmaci che regolarizzano l’energia;
    – farmaci che regolarizzano il sangue;
    – farmaci che aiutano la digestione;
    – farmaci che riscaldano l’interno e combattono il freddo;
    – farmaci che tonificano l’energia;
    – farmaci che combattono le malattie mentali;
    – farmaci antiparassitari;
    – farmaci astringenti;
    – farmaci che disperdono il vento e aiutano le malattie convulsive;
    – farmaci per le malattie della pelle;
    – farmaci per la rianimazione.

  • Cinesi: le arti marziali

    Il massimo sviluppo del Wu Shu Kung Fu in Cina è avvenuto sicuramente nei periodi detti della Primavera e dell’Autunno e/o degli Stati Combattenti (771 – 221 A.C.), successivamente lo studio e la pratica si diversificarono molto dando alle pratiche marziali una valenza sociale di più ampio raggio e vista molto spesso in un contesto di educazione e preparazione all’interno del sistema scolastico; nascono gli Stili, le Competizioni, le Danze Marziali. La pratica del Wu Shu Kung Fu si espande negli strati popolari, nascono e si sviluppano numerose scuole con un grande sviluppo delle forme in particolare di quelle imitative (animali).

    La maggior parte delle opere dedicate alle arti marziali dell’estremo oriente, attribuiscono la loro lontana origine al monastero Shaolin, nella regione di Honan, presso il fiume giallo; prima della “rivoluzione” avvenuta con la nascita del tempio, le arti marziali erano tramandate di padre (SiFu) in figlio o insegnate a piccoli gruppi d’adepti. Il Sifu era il maestro di WU SHU KUNG FU ed era considerato il saggio del villaggio. Il Sifu era comunemente anche un esperto di medicina tradizionale ed aveva una cultura superiore a quella delle altre persone del villaggio. Era considerato un punto di riferimento ed era rispettato da tutti. Oggi la figura del Sifu è cambiata anche se in molte Scuole Tradizionali è possibile vedere dei maestri che, in qualche modo, si avvicinano all’antica figura del Sifu.

    Il Tempio di SHAOLIN fu creato intorno al 520 DC; questo edificio appare sotto diversi nomi: Shaolin in Mandarino, SiLum in Cantonese (i due nomi significano: giovane foresta), Shorinji in Giapponese (da cui lo stile di Karate nipponico Shorinji Kempo, le cui tecniche si ritiene risalgano ai tempi del celebre monastero). I monaci fusero sapientemente le loro pratiche meditative con la pratica marziale dando origine ad alcuni stili che basavano i loro movimenti sul comportamento degli animali.

    I cinque principali animali degli stili Shaolin sono: Tigre, Drago, Leopardo, Gru, Serpente. Successivamente gli stili basati sugli animali furono fusi in un unico sistema, anche se alcuni monaci non aderirono a tale unificazione e continuarono ad insegnare il loro stile originale.

    La storia delle Arti Marziali Tradizionali la si può far iniziare con Bodhidarma (Da Mo) che, originario dell’India, estese il buddismo nei confini cinesi. Ideatore di alcuni esercizi fisici, che avevano come obiettivo quello di aiutare i monaci che passavano la maggior parte del loro tempo in meditazione sedentaria, legò inseparabilmente il proprio nome a colui che diede l’avvio alle Arti Marziali “Esterne”. Così come i buddisti hanno trovato in Bodhidarma il loro eroe leggendario anche i taoisti hanno Chang San Feng, la mitica figura che diede origine agli Stili “Interni”. Fu cosi’ che mentre Bodhidarma viene identificato come l’ideatore dello stile Shaolin Chuan, Chang San Feng viene associato alla nascita del Tai Chi Chuan.

    Segue ora una breve (ma non troppo) storia delle alrti marziali dall’origine.

    XV secolo A.C. : si trova per la prima volta traccia di una tecnica di lotta ancora primitiva, consistente nell’infilzare l’avversario con l’ausilio di un elmo provvisto di corna: GoTi o ChiaoTi.

    VI secolo A.C : la tecnica di lotta si raffina comparendo sotto i nomi di Shang Pu, Shuai Go, Shou Pu.
    Mille anni più tardi la tecnica terminerà di svilupparsi con l’apporto dell’invasione mongola, si avrà quindi Lung Hua Quan, più scientifica e più veloce, contenente prese studiate anteriormente al Ju Jitsu e Judo nipponico. Contemporaneamente si sviluppava il Qin Na o (Ch’inna): l’arte della chiave di braccio. Perfezionata dagli attuali stili di Kung Fu, integrate nelle loro tecniche, quest’arte detiene tutti i segreti per immobilizzare l’avversario.
    All’epoca di Lao Tsu e di Confucio, le arti marziali nobili erano : il tiro con l’arco e l’equitazione. Si trova comunque traccia, in questa epoca di un’arte praticata dalle caste nobiliari e da certi monaci (per ragione evidente, di protezione durante i loro pellegrinaggi, ma anche per ragione di certi insegnamenti Taoisti, secondo i quali, la concentrazione poteva essere favorita dalla pratica costante di certi esercizi fisici).
    Si è sentito parlare di KungFu nelle storie cinesi sotto diversi nomi: Chi Chi San, Wu Ni, Chi Ni ecc.

    I secolo d.C. : Un certo Kwok Yee, avrebbe creato il primo stile di Kung Fu veramente “Schematizzato”, eretto nel metodo: CHANG KUO CHANG (“l’arte della lunga mano” o la “boxe di lungo raggio”).

    III secolo D.C. : un medico chiamato Hua To (ma potrebbe essere anche un personaggio leggendario, al quale la tradizione popolare attribuì un insieme di scoperte mediche di origine completamente differenti) fece delle ricerche sistematiche, osservando i sistemi di combattimento di cinque animali: tigre, l’orso, il cervo, la scimmia, la gru. Si tratta di un certo numero di gesti di combattimento che si ritrovano attualmente nella maggior parte degli stili di Kung Fu, amalgamati in seguito a quelli di altri animali: serpente, topo, cavallo, mantide religiosa, drago ecc.
    Insieme alla pratica marziale si sviluppa un grande fermento sulle varie teorie e filosofie che sostengono queste pratiche fondendosi con la cultura, la religione e la filosofia tradizionali.
    In Cina il rapporto tra esercizio fisico e medicina terapeutica ha preceduto di gran lunga la nascita delle arti marziali così come noi le conosciamo e ciò che i cinesi hanno sviluppato intorno alla cultura fisica ha avuto inizio prima che la storia venisse documentata attraverso fonti ufficiali. Esempi espliciti di tali relazioni possono essere facilmente riscontrabili nei testi di medicina tradizionale ove sono descritte molte delle teorie che costituiscono la base delle Arti Marziali Tradizionali Cinesi. Così come ad esempio nella medicina terapeutica e preventiva si sono sviluppati esercizi fisici che hanno tratto il loro spunto da alcune posizioni di animali, molte sono le tecniche che anche nel Wu Shu Kung Fu prendono il nome e i movimenti da questi.

    VI secolo : un personaggio straniero giunge al monastero Shaolin: si tratta di Ta Mo (Ta Mo o Daruma Taishi in giapponese è conosciuto anche con il nome di Bodhidharma, l’ “illuminato”, un monaco proveniente dalle Indie del sud, forse Ceylon). L’ipotesi più diffusa è quella che il monaco fosse di origine nobile, e che fosse profondo conoscitore dell’arte indiana di Vajramukiti: tecnica di maneggio di armi, praticato dalle caste guerriere. Certo è che Ta Mo lasciò il marchio indelebile della sua forte personalità. Nel piano spirituale fu all’origine del Buddismo Chan (Zen in giapponese) una corrente di pensiero che darà un’impronta a tutte le arti marziali dell’estremo oriente. Sul piano che interessa direttamente il Kung Fu a lui si attribuisce la messa a punto di alcuni esercizi fisici, destinati a rinvigorire i monaci provati dalle lunghe sedute di meditazione. Secondo alcuni, questi esercizi, non erano altro che delle “Asanas” (posizioni) dello Yoga, secondo altri un’originale tecnica da combattimento: Shih Pa Lo Han Shou, “le 18 mani di Han”, metodo ugualmente conosciuto sotto il nome di I Chin Chin o Eki Kin Kyo per le storie giapponesi di arti marziali. Da allora, atorto o a ragione i monaci del monastero della “giovane foresta” ebbero una reputazione di particolare capacità di combattimento, che li farà conoscere in tutti i paesi.

    XII secolo : Il generale Yao Wei ideò il sistema “Dell’artiglio dell’aquila”. XIII d.C. : l’eremita taoista Cheng Salm Fung (o Chan San Feng) che visse dentro Hopei, codificò le basi di quello che divenne il sistema interno del Kung Fu (Nei Jai), nel quale si ricerca il movimento dell’energia interna del corpo, piuettosto che la forsa muscolare subordinata all’età. Dalle sue ricerche nasce il Tai ji Quan (Tai Chi Chuan). Suoi stimati successori furono: Wong Tsung, Ch’en Chou T’ung, Chaing Fa. La provincia di Honan a causa della sua posizione geografica, fu il paese nel quale i maestri si incontravano, per questo nacquero degli stili o dei metodi di combattimento, che coglievano il meglio del Kung Fu interno e del Kung Fu esterno, di cui fa capo lo Shaolin Quan.

    XV secolo : un giovane uomo divenne monaco Shaolin, il suo nome era Chuen Yuan (chiamato anche Kwok Yuen). Egli revisionò l’antico sistema legato a Ta Mo. In un primo tempo ordinò in 72 tecniche; poi sempre insoddisfatto, si mise alla ricerca di un maestro di Kung Fu al di fuori delle mura monastiche. Nel sud della Cina incontrò maestri come: Pai Yu Feng e Li Chieng che accettarono di aiutarlo nella sua opera rigeneratrice. Fecero una sintesi di ben 170 movimenti che diventarono la nuova base della scuola esterna popolarizzata con il nome di Shaolin Chuen.
    Yuan ritornò al monastero, Proprio in questo periodo, i monaci ebbero la reputazione di essere invincibili.

    XVII secolo : 1640, quando regnava la dinastia mandarina Ching, dappertutto si svilupparono focolai contro l’oppressore. I monasteri, terra di asilo per i capi della resistenza, furono particolarmente odiati dalla nuova dinastia che disperse con forza le comunità monastiche.Un ingente numero di soldati dopo una sanguinosa lotta vinsero su pochi monaci guerrieri.
    L’invasione al tempio fu favorita da alcuni “infiltrati” che aiutarono i soldati ad entrare nel monastero.
    Solo Alcuni monaci sopravvissero alla distruzione di Shaolin, si parla di cinque o sette maestri che si rifugiarono altrove. Secondo la tradizione, questi cinque esperti di Kung Fu assicurando la sopravvivenza dell’arte secolare.
    Sarà l’origine dei 5 metodi “derivati dallo Shaolin” della Cina del sud:

    Hung Gar, Liu Gar, Choy Gar, Li Gar e Mo Gar.

    Si svilupparono inoltre così per opera di questi maestri e dei loro allievi gli stili come il Wing Tsun, il Choy Lee Fut, la Gru Bianca del Nord e la Mantide Religiosa (Tang Lang).

    XVIII secolo : la Cina è passata sotto le autorità Mandarine: Attacato dalle truppe il monastero Shaolin, dopo una accanita resistenza si arrese e fu distrutto. Esistono comunque degli stili che non derivano dal tempio Shaolin, come ad esempio lo stile dell’ubriaco, lo stile della traccia perduta, lo stile dalle gambe elastiche (Ten Tui) ecc.. Attualmente esistono circa 400 stili di Wu Shu Kung Fu ma solo una quindicina possono considerarsi realmente differenti tra loro ed hanno una larga diffusione sia in Cina sia nel mondo intero. Molti stili sono molto simili ad altri pur avendo un nome proprio. Dopo e durante la rivoluzione culturale comunista molti maestri si spostarono nei paesi vicini, Taiwan, Hong Kong e persino in America aprendo delle scuole e diffondendo il loro WU SHU KUNG FU.

    XIX secolo. : Tung Hai Chuan crea nella regione di Pechino la scuola “interna” Ba Gua Jian (Pa Kua Chang).

    1850 d.C. : il cristiano Hung Hsiu Chuan lancia la rivolta dei Tai Pings (la setta della “grande purezza”), tenendo per 15 anni le truppe imperiali all’erta. Si sa che egli istruiva i suoi uomini all’uso delle armi bianche e del combattimento a mani nude.

    1900 d.C. : Nello Shantoung c’è la rivolta dei “Boxers” ai quali il popolo attribuiva una potenza soprannaturale per il loro grado di efficacia nel combattimento a mani nude. Ma i “pugni della giustizia e della concordia” saranno annientati al tempo dei “55 giorni di Pechino”.

    XIX secolo : nuovo impatto del Kung Fu a Okinawa (Uechi Ryu) che diaspora nel resto dell’Asia combinandosi con metodi local: da queste sintesi nascono il Pukulan, il pentiak Silat, il Kuntow, il Serak ecc.

    Dal 1912 al periodo di guerre civili in Cina nel corso delle quali il Kung Fu si sviluppò anarchicamente in seno alle società segrete, che si battevano contro tutto ciò che minacciava la civilizzazione cinese tradizionale, e all’interno dei gruppi militari (talvolta truppe mercenarie) per il bisogno dei terribili “Signori della Guerra”: potenze locali senza legge né fede che stimolavano allenamento fisico dei loro mercenari.

    1927. Rivo- luzione De- mocratica Chang Kai Tchek al potere:

    1917 d.C. : il giovane Mao Tse Tung, allora 21enne, redige uno “studio sulla cultura fisica”, nel quale appare già il suo desiderio di una pratica di massa in cui le arti tradizionali dovranno avere buona parte.

    Verso 1920 : sotto il regime Kuoming Tang si assiste al primo tentativo di riprendere le redini del Wu Shu (termine che letteralmente significa arte marziale sinonimo di Kung Fu. Letteralmente esercizio eseguito con abilità).

    1930 : si verificarono i primi incontri ufficiali fra esperti di Wu Shu, ma le difficoltà politiche del paese e la guerra con il Giappone diedero un colpo di arresto allo sviluppo delle arti marziali tradizionali.

    1945 : si conoscevano due grandi associazioni di Kung Fu su scala nazionale: l’Istituto Centrale di Boxe Nazionale e Cultura Fisica e l’Associazione di Boxe Cinese. Dopo il 1949 le arti marziali ebbero evoluzioni differenti: nella Repubblica Popolare Cinese si diede risalto soprattutto alla cultura fisica; c’è il rilancio dell’ “arte del pugno”, come d’altre parte di tutti gli sports, considerati dal regine come eccellente mezzo di sviluppo fisico e morale della nazione. La finalità del Kung Fu è cambiata. Gli sono preferite le forme di Wu Shu moderno, con esercizi terapeudici e non destinati unicamente al combattimento reale. Tuttavia rimmangono in Cina Popolare vecchi maestri, formidabili per efficacia, ma molto difficili da rintracciare in particolare in Cina, visto che gli stessi di solito, sono contro il regime che uccideva le nobili tradizioni.
    A Hong Kong e a Taiwan si è mantenuto fortemente l’orientamento originale del Kung Fu: per i “Si Fu” (maestri), fuggiti prima del regime comunista, vi sono rappresentati tutti gli stili ed è eccezionale il numero delle sale di trattenimento. Questo succede anche nelle più importanti comunità cinesi nel mondo; soprattutto nella costa ovest degli U.S.A. e nella Malesia. Rivoluzione Comunista Cinese.

    1980: Repubblica Popolare Cinese sembra rivalutare l’aspetto combattivo delle arti marziali codificando una forma sportiva di combattimento chiamato SANDA che e’ simile alla kick boxing dove è però anche possibile proiettare l’avversario. E’ molto diversa dal combattimento tradizionale del WU SHU KUNG FU.

  • Cinesi: le religioni

    Confucianesimo
    Il Confucianesimo è la dottrina di Confucio e dei suoi seguaci che ha dominato per oltre duemila anni la vita etica, politica e religiosa della Cina, in quanto prescriveva i riti di stato della casa imperiale, come pure il culto degli antenati della famiglia e forniva sia il codice pubblico di comportamento (che i regnanti della Cina e i loro funzionari dovevano rispettare), sia il codice privato della vita familiare.

    L’insegnamento di Confucio fu preservato dai suoi discepoli (alcuni dei quali, peraltro, raggiunsero posti di rilievo nell’amministrazione dello Stato feudale), nei “Colloqui”, una raccolta non sistematica di brevi aneddoti e detti, fatta molti anni dopo la sua morte. I testi canonici, cioè i Quattro libri (intellettualmente più evoluti) e i Cinque canoni, hanno poco di religioso: si tratta piuttosto di regole per l’agire pratico (personale, familiare, sociale e politico-amministrativo). E’ una sorta di filosofia del vivere civile, con risvolti che potremmo definire di tipo religioso. Non ci sono tuttavia rivelazioni, dogmi, sacramenti, miracoli, cosmogonie e apocalissi.

    Lo studio del Confucianesimo venne proibito durante la dinastia Qin (221-206 a.C.), che seguì a quella Chou. Unificando i vari Stati esistenti e proclamandosi per la prima volta nella storia cinese, imperatore, il sovrano Cheng iniziò un movimento irreversibile di identificazione nazionale, comportandosi in maniera ostile nei confronti della tradizione confuciana, ritenuta troppo compromessa col feudalesimo del periodo precedente (nel 213 a.C. ordinò addirittura il rogo dei libri confuciani). Ma la dinastia successiva degli Han (202 a.C.- 220 d.C.) restaurò le tradizioni confuciane, tanto che nel 59 d.C. l’imperatore Ming-Ti ordinò gli inizi di un culto a favore di Confucio. Da allora e sino agli inizi del XX sec. la sua popolarità non conobbe declini, nemmeno in presenza del buddismo.

    Buddhismo
    Il problema principale che si incontra nello studio delle filosofie indiane (lo abbiamo già detto altre volte, ma è importate ripeterlo) è l’enorme difficoltà nell’accertare cosa abbia veramente detto il maestro originale e quali siano invece le interpretazioni dei suoi seguaci e discendenti. Il buddhismo non è un’eccezione. Ciò è abbastanza comprensibile se si pensa che i tempi del Buddha sono trascorsi da circa 2500 anni. Perciò cercheremo di parlare del buddhismo presentandovi la versione dei buddhisti storici. Ma quanto sarebbe meglio discutere di ciò che veramente disse il Maestro!

    Cominciamo col definire la mentalità di un praticante buddhista. Prima di tutto il Buddha non diceva di essere Dio o qualche incarnazione divina, ma sosteneva di essere un uomo qualsiasi e che qualunque risultato dovesse essere ottenuto grazie al proprio sforzo. Il ruolo dell’uomo è fondamentale. Non essendoci alcun Dio da realizzare, il fulcro principale della ricerca filosofica è la persona, l’uomo, la cui posizione è sempre suprema. Solo lui, infatti, può accedere al più alto stadio, che è quello di divenire un Buddha. Come abbiamo già accennato, non c’è un essere supremo o un potere superiore che possa decidere il nostro destino: ognuno è il rifugio di se stesso. L’importanza dei maestri (i tathagata), come il Buddha e gli altri, sta nell’insegnare la via, che poi però deve essere percorsa dallo studente, cioè da ognuno di noi.

    Da questo inizio possiamo vedere quanto diverso è l’approccio alla filosofia da parte del buddhismo rispetto alle altre dottrine indiane. Tutte queste hanno sempre messo al centro di ogni cosa un Dio spirituale (personale o meno che sia), mentre per il buddhismo l’uomo è solo e pienamente responsabile del proprio destino. Una manna, per gli atei e i materialisti di ogni genere.

    La cosa più importante è la giusta conoscenza. Il maestro non deve essere accettato prima che abbia dato prova di possedere la conoscere corretta e solo allora il discepolo deve accettare di porsi sotto la sua guida. E lui, lo studente, deve avere un forte desiderio di conoscere.

    La base della sapienza è la fede, ma non quella cieca di tante religioni, bensì quella fondata sull’esperienza. Infatti, dice il Buddha, la fede è quella che scaturisce dalla conoscenza. Se conosci, credi. Non si può credere a qualcosa che non si conosce. L’Illuminato criticava il brahmanesimo del suo tempo proprio per questa loro pretesa di far credere ciò che poi non poteva essere realmente conosciuto e paragonava quei brahmana degradati a tanti ciechi che volevano trascinare altri nel loro stesso baratro.

    Ma non si deve neanche essere attaccati alla conoscenza stessa, la quale può diventare un fardello. E’ come una zattera: quando il fiume è attraversato, questa va abbandonata. Non c’è bisogno di portarsela appresso.

    Il Buddha era un filosofo pratico. Non sembra che fosse stato interessato a complicate questioni metafisiche. Nel suo discorso a Malunkyaputta, affermò che comprendendo tutto ciò che riguarda le quattro verità fondamentali (chiamate le Quattro Nobili Verità), si sarebbe conosciuto tutto. Queste sono:

    1) dukkha,
    2) samudaya, il sorgere, o l’origine del dukkha,
    3) nirodha, la cessazione del dukkha,
    4) magga, il sentiero che conduce alla cessazione del dukkha.

    LA DOTTRINA DEL NON SE’
    Torniamo ora su uno dei punti cardini della filosofia buddhista, che è quella dell’anatma (in pali anatta), ovverosia della convinzione che non esista nessun sé, né individuale né assoluto. Vediamo di dare qualche elemento in più oltre quelli già espressi.

    Nella storia del pensiero, il buddhismo è stato forse il solo a negarne l’esistenza in modo tanto perentorio. Va detto subito però che anche su questo punto fervono da secoli aspre polemiche, in quanto c’è chi sostiene che il Buddha non sarebbe stato affatto chiaro su questo argomento ma che avrebbe spesso taciuto e altre volte detto mezze verità. Siamo d’accordo su questa interpretazione. Infatti non affrontare un discorso sull’anima non significa necessariamente volerne affermare l’inesistenza. Ma anche qui sarebbe interessante poter stabilire cosa avesse veramente inteso dire o tacere il Maestro e separarlo dalle interpretazioni dei suoi successori.

    Ad ogni buon conto, per il buddhismo classico l’idea dell’atma è una credenza totalmente infondata e anzi pericolosa. Dal loro punto di vista ha, infatti, il potere di causare pericolosi dualismi interiori, scatenare l’idea dell’io e del mio, desideri egoistici e mai saziabili, orgoglio e impurità. Secondo loro, tutti i guai del mondo possono essere fatti risalire a questa falsa visione.

    Abbiamo già visto come tutto il creato ricade nelle cinque divisioni di elementi, oltre alle quali non c’è nulla. Comprendendo la dottrina della Genesi Condizionata (Paticca-samuppada), ci si può liberare dalla falsità. Questo sistema dice che:

    1) L’ignoranza condiziona le azioni (karma); in altre parole noi agiamo, e lo facciamo in un certo modo a causa dell’ignoranza che ci imprigiona. Poi
    2) dalla qualità delle azioni viene condizionata la coscienza, che è la facoltà di percepire. Dunque è naturale che
    3) dalla coscienza siano condizionati i fenomeni mentali e fisici,
    4) dai quali inevitabilmente vengono condizionate le sei facoltà (i cinque organi di senso più la mente).
    5) Dalle sei facoltà è condizionato il contatto (sia dei sensi che della mente), il quale poi
    6) condiziona la sensazione, o la capacità di provare gusti,
    7) dalla sensazione è condizionato il desiderio. Quando si provano delle sensazioni è normale che il desiderio ne sia condizionato. Poi
    8) dal desiderio viene condizionato l’attaccamento
    9) dall’attaccamento è condizionato il divenire
    10) dal divenire è condizionata la nascita
    11 e 12) dalla nascita sono condizionati la vecchiaia, la morte, il lamento, il dolore.

    E’ così che la vita nasce esiste e continua. Per far sì che il processo dell’ignoranza abbia fine dobbiamo invertire la direzione di marcia, e cioè: cessando l’ignoranza, terminano le attività interessate e via dicendo.

    Comunque ribadiamo che per il buddhismo non esiste nulla di assoluto e indipendente: tutto è condizionato e condizionante.

    Qualcuno potrebbe chiedersi: come mai nel linguaggio del Buddha erano così tanto presenti i concetti riguardanti le persone e le cose, come se esistessero delle individualità?

    La risposta è simile a quella che avrebbe dato Shankara, e cioè che esistono due tipi di verità: la verità convenzionale e la verità ultima. La prima è quella che si stabilisce per comodità di dialogo e serve per avvicinarsi a una verità superiore, mentre l’altra è la definitiva.

    Non sono pochi, comunque, coloro che sostengono che il Buddha avrebbe ammesso l’esistenza di un sé e altrettanti quelli che dicono con certezza che, a riguardo di questo punto specifico, abbia intenzionalmente taciuto.

    LA MEDITAZIONE
    Per il buddhismo, la meditazione è lo strumento grazie al quale si può ripulire la mente da ogni impurità, da ciò che provoca turbamento, come i desideri materiali, l’odio e le preoccupazioni. Grazie ad essa, il praticante può dunque giungere alla verità più alta, il Nirvana.

    Sono previste due forme di meditazione, due sistemi abbastanza diversi tra di loro: il primo è detto samadhi (in pali samatha) e il secondo vipashyana (in pali vipassana).

    Il samadhi consiste nel concentrare la propria attenzione mentale su un unico punto, cercando di non deviare mai dall’oggetto assunto come strumento di meditazione. E’ sostanzialmente una forma di meditazione presa in prestito dal sistema yoga, ben precedente all’epoca buddhista. Si dice che attraverso questo sistema non si possa direttamente conseguire il Nirvana, tanto che il Buddha stesso ne avrebbe contestato la validità. Sarebbe utile, questa, solo per vivere felicemente in questa vita. Fu lui stesso che scoprì un altro metodo di meditazione, conosciuta come vipashyana, che è lo sviluppo di una diversa visione della natura delle cose che dovrebbe condurre alla liberazione della mente e ultimamente al Nirvana.

    Analizzato dal Buddha stesso in un importante discorso sulla meditazione chiamato satipattana-sutta, (I Fondamenti della Consapevolezza), è un metodo analitico basato sulla presa di coscienza attenta e vigile di ogni azione che si compia. Non importa cosa si faccia, l’importante è non perdere mai la concentrazione sui propri atti, siano questi la respirazione, il provare piacere, odio, amore o dolore. Si deve sempre essere attenti a qualsiasi cosa si faccia. Secondo il buddhismo, questa forma di controllo mentale può portare al Nirvana.

    Ma non si deve pensare che “sono io che faccio questo”. Bisogna dimenticare il concetto illusorio dell’esistenza di un io agente per identificarsi totalmente nella propria azione. E quando i cinque impedimenti che si frappongono sul sentiero (i desideri sessuali, l’odio, la pigrizia, le eccitazioni e i dubbi) si saranno acquietati, sarà possibile ottenere la liberazione finale, il Nirvana.

    Taoismo
    Secondo il pensiero taoista (che in questo non si discosta da quello confuciano) esiste un’armonia universale che lega tutti i livelli del cosmo: terra, uomo e cielo.
    Il principio su cui si fonda il Taoismo è il tao, termine di difficile interpretazione, tanto che un verso del Taodeing recita: “Il tao che può essere definito col nome non è il tao costante”. Il tao, che è presente in ogni cosa e la condiziona, è un flusso vitale che ha dato origine a tutto, e che scorre incessantemente, mutando sempre e rimanendo sempre lo stesso.
    Associata al tao è la concezione dello yinyang.

    E’ Spirito Anima Genio, è presenza di natura unitaria e ancestrale, precedente la separazione e la differenziazione propria dell’esistente. l suo volto è umano e mostra lineamenti decisi e sereni. Il suo corpo è spire di serpente avvolte e riavvolte. Esso riunisce e fa vivere in sé i due principi complementari contemporanei , concentrici e coincidenti, inscindibili e opposti, e proprio non è possibile depennare nemmeno uno di questi attributi in cui l’Unità si è differenziata nell’Esistenza.
    La tradizione taoista chiamò Yin e Yang questi inseparabili principi intrinseci al vivere.
    Yin e yang sono i due princìpi che mantengono l’ordine naturale del tao:

    yin è il principio femminile, passivo ed oscuro, identificato con la luna;

    yang il principio maschile, attivo e luminoso, identificato con il sole.

    Yin e yang sono opposti e complementari tra di loro, relativi (si può essere yin sotto un certo aspetto e yang sotto un altro) e non antitetici, tanto che nella pienezza dell’uno è implicita l’origine dell’altro. Il loro alternarsi determina tutte le cose.
    Il simbolo del Tao è formato da due spirali (SERPI), una che si avvolge e l’altra che si svolge a partire da un unico Centro.
    Le due spirali rappresentano la discesa ed ascesa degli aspetti opposti di ogni energia del cosmo.
    Il Simbolo pertanto è una simmetria rotazionale ciclica : la spirale bianca ha l’inizio dove finisca la spirale nera; essa si avvolge ed aumenta fino ad un massimo ma poi manifesta in se stessa la sua tendenza opposta (puntino nero) che appunto a partire da questo momento si svolge. Anche questo aspetto raggiunge un massimo finchè si manifesta la tendenza opposta (puntino bianco), che si avvolge e così via, ciclicamente.
    Questo ciclo unifica nella monade Universo tutte le energie del cosmo nei loro aspetti opposti rendendoli così complementari.

    In modo analogo il taoismo concepì l’antico genio dal corpo di serpe in forma duale e ne precisò dualità di forme, caratteri, nomi.
    Nella mitologia cosmogonica taoista due leggendari Augusti, Fuxi e Nugua avevano corpi di spire, sovente intrecciati l’un l’altro.
    Essi furono gli ordinatori del mondo. Più volte introdotti come fratello e sorella, come sposi o come amanti, Fuxi e Nugua valgono nel mito la coppia primigenia da cui l’umanità discende. Erano certo tempi diversi in cui uomini e animali vivevano in totale unione.

    Anche Yao e Shun, due degli antichi primi Cinque Imperatori, precisa Lieh tse il maestro taoista, avevano parti del corpo di forma animale e sudditi e truppe animali. Nell’iconografia antica, il Genio primitivo dalla coda di serpente ha dunque due forme e due nomi. Forse molti di più. Non vi è qui metamorfosi tra l’uno e l’altro aspetto. La metamorfosi, la trasformazione ci insegna ancora Lieh tse, è propria dell’esistente. Egli, il Genio Mostruoso, è principio e essenza e semplicemente vive, assoluto e immutabile, contemporaneamente e senza contraddizione presente in differenti e complementari espressioni. Il Genio Mostruoso ha dunque due forme e due nomi ed entrambi i nomi introducono al Fuoco, il movente del calore vitale. Egli è Zhu Long, il Drago Fiammeggiante, e parimenti egli è Zhu Yin, l’Oscurità Fiammeggiante. Sono queste le due forme in cui e da cui si esprimono le forze vitali del mondo, il principio e la sorgente stessa di tutti i fenomeni e gli venti di natura. “Zhu Long il Drago Fiammeggiante vive a nord alla Porta delle oche Selvatiche.
    Se ne sta chiuso nei Monti Wei Yu, dove non si vede mai il sole.
    Questo Spirito ha volto di uomo e corpo di drago. Non ha piedi.”

    L’obiettivo del Taoismo filosofico è quello di raggiungere la santità, lo stato di perfetta armonia con il mondo naturale, uno stato che si acquista uniformandosi ad esso tramite meditazione ed estasi, che permettono l’identificazione con il tao. La natura non deve essere alterata dall’azione umana, e per questo il taoista pratica e predica il “non agire” (wu wei) in tutti i campi (anche in quello politico), non lasciandosi turbare né dai mutamenti, né dalla morte. Nel Zhuangzi è messa in risalto anche la necessità di non fare distinzioni, di raggiungere lo stadio di una “non conoscenza”, la quale si ottiene solo dopo aver conosciuto.

    Come religione popolare, il Taoismo mise in atto diverse pratiche per potenziare e per rendere immortale il corpo: diete alimentari di vario tipo (inclusa l’ingestione di prodotti ottenuti tramite ricerche alchemiche), tecniche respiratorie (come lo yoga cinese), ginniche, sessuali, e contemplative.
    Nelle numerose leggende taoiste, un posto di rilievo è assegnato ai cosiddetti “Otto Immortali” (Baxian), un gruppo di personaggi (uomini e donne) che, avendo ottenuto in vita poteri soprannaturali, sono stati santificati dopo morti. Oltre agli Immortali, e accanto a Laozi – identificato spesso con Huanlao (Il Vecchio Giallo), uno dei cinque creatori del cosmo -, c’è un numero elevatissimo di divinità eterogenee, organizzate gerarchicamente, come i protettori di mestieri e dei fenomeni atmosferici; gli spiriti degli elementi della natura; le anime di diverse località (cimiteri, luoghi, guadi, strade); i demoni; le anime degli impiccati, degli annegati e degli antenati; i santi taoisti, confuciani e buddhisti, eccetera.

    MISTERI TAOSTI
    Il Genio dal corpo di serpente che si esprime in Zhu Long ed in Zhu Yin, diviene così il centro e il movente di luce e di calore dei luoghi santi del mistero e del sogno taoista.
    Antichi testi taoisti ci introducono a questi misteri.

    “Il Genio del Monte Zhong si chiama Zhu Yin, Oscurità Fiammeggiante. Quando apre gli occhi, viene il giorno. Quando li chiude, viene la notte. Quando espira viene l’inverno. Quando inspira, viene l’estate. Non beve, non mangia, non respira. Quando respira viene il vento. Il suo corpo grande mille misure si trova ad est del paese di Senza Polpacci. E’ un essere dal volto umano e dal corpo di serpente, è di colore rosso e abita ai piedi del monte Zhong, il Monte della Campana.” Shan Hai Jing. Cap. 8° – Trad. R. Mathieu

    “Il Giardino delle delizie sui Monti Kun Lun dove si trova con esattezza? I Nove Piani dei suoi bastioni a quale altezza giungono? Le sue Porte, rivolte verso le Quattro Direzioni, chi ne garantisce la guardia? L’apertura che vi è a Nord Ovest in che modo i Soffi la attraversano? Vi è lì un luogo che il sole non raggiunge?
    E in che modo Zhu Long il Drago Fiammeggiante lo illumina?” Chu Ci Tian Wen. – Trad. E.Rochat de la Vallée e C. Larre.

    Quintessenza e protettore del principio naturale; Zhu Long lo Spirito Uomo e Serpente rappresenta il capostipite della variegata ed immortale stirpe dei draghi cinesi, che da un passato remoto e regale è giunta intatta fino ad oggi e tutt’oggi vive nel centro della tradizione e del culto popolare cinese.
    Come è carattere del pensiero taoista, la stirpe dei draghi si esprime secondo la polarità duale delle presenze archetipiche di cui è discendenza. Da Zhu Yin e Zhu Long derivano così due famiglie fra loro complementari dei draghi, depositarie e matrici, l’una della valenza Yin delle forze e degli eventi di natura, l’altra della complementare valenza Yang. Ne deriva l’esistenza di draghi di natura Yin e di draghi di natura Yang, sovente in rapporto con la Luna e con il Sole che dei due principi Yin Yang sono le forme celesti, come per altro con l’Acqua e con la Terra, con la pioggia e con la secchezza, con il vento, con le nuvole, con il sereno.

    “Cavalcando Fei Long il Drago Volante
    formo il mio carro di molte e varie pietre preziose…
    Conduco gli otto draghi che ondeggiano, tengo alto il mio stendardo di nuvole che si elevano in spire…” Chu Ci Li Sao. – Trad. E. Rochat de la Vallée e C. Larre.

    Cavalcatura di saggi ed illuminati, il Drago Celeste è il destriero che giunge a testimoniare e sancire la riuscita di una vita. E’ la via che rende possibile e realizza la grande ricerca del mondo taoista, il raggiungimento dell’immortalità con il corpo,da intendersi non come simbolo ma come effettuale testimonianza di una raggiunta riunione con il Principio.
    Antichi racconti ci regalano sprazzi di conoscenza in visioni di draghi volanti che discendono dalle nuvole agli uomini meritevoli ed accolgono saggi imperatori insieme a tutte le loro corti sul dorso e li conducono così nei cieli in galoppate eterne.Il Cielo e la Terra, lo Spirito e il corpo riconoscono così la loro reale coincidenza,al di là delle nostre altrettanto reali limitazioni e paure.
    Tanto accadde a Huang Di, il mitico Imperatore Giallo, e a Ying Long, il leggendario drago suo destriero.

    Tantrismo
    Il TANTRISMO (dal sanscrito «trama», «tessuto», «canestro») è una ricca “tessitura” di pensieri, scuole e dottrine fiorite nel subcontinente indiano nel IV/V secolo della nostra era (ma che affondano le radici in epochei molto più remote). In questa “tessitura” variegata confluiscono uno stupefacente corpo di tradizioni psicologiche altamente sviluppate, fisiologiche, spirituali e mitologiche.

    Viene chiamata così una forma dell’induismo che si basa essenzialmente sui Tantra (i Libri) composti fra l’VIII e il XV secolo della nostra era. Si dà come scopo la salvezza mediante la conoscenza esoterica delle leggi della natura . I 64 tantra sono soprattutto dei manuali di magia e di occultismo; essi descrivono lettere, suoni, formule, incantesimi «miracolosi», capaci di agire sugli uomini e sulle cose; essi insistono in particolare sull’unione mistica della divinità con se stessa, accoppiamento dal quale è nato il mondo. Numerosi dipinti rappresentano questa unione mistica sotto la forma di un uomo e di una donna praticanti il coito (maithuna); sarebbe un controsenso interpretare queste opere come rappresentazioni coscientemente erotiche.

    Il «tantrismo di destra» distingue nel corpo umano 6 centri di energia (i cakra) raffigurati da fiori di loto; il centro inferiore è la sede della dea serpente Kundalini, simbolo dell’energia cosmica. Con un metodo ispirato dallo yoga, il saggio «sveglia Kundalini» e la fa arrivare al centro più elevato, sede di Siva; a questo livello, si opera l’unione mistica che riempie il saggio di una felicità indicibile (questa pratica, il laya-yoga o yoga di assorbimento, è una forma simbolica dell’attività sessuale).

    Il «tantrismo di sinistra» (vamacara) non utilizza lo yoga. Gli iniziati partecipano per prima cosa ad un’orgia sessuale collettiva al fine di provare la vanità delle passioni e di sfuggire alla loro tirannia. Le loro pratiche assomigliano a quelle dei sakta.

    Il Tantrismo, al pari del Sufismo, pensa che le tecniche di liberazione si devono adeguare al diverso livello di spiritualità dell’umanità, per cui comportamenti e pratiche adatte agli uomini di epoche precedenti non sono più valide in quella attuale. In tal senso, nel Tantrismo c’è un superamento, ma non una contrapposizione rispetto agli insegnamenti precedenti, necessario alle diverse condizioni materiali e spirituali dell’uomo. Le vie contemplative che predicavano un rigido estraniamento dal mondo erano adatte nel periodo upanishadico, ma non, secondo il Tantrismo, al mutato livello spirituale dell’uomo. Si dovevano quindi adottare tecniche che invitassero a giocare al gioco dell’esistenza senza però rimanerci impantanati, per attingere quello stato spirituale non invischiato alla realtà materiale.

    Il Tantrismo, da cui tanto dipese l’alchimia indiana, non è una dottrina filosofica vera e propria, ma un’esperienza di vita. Non ha mai provato a imporre un nuovo ordine sociale, ma, d’altra parte, non perde i contatti con il mondo, con la vita diogni giorno, ove i desideri terreni e le emozioni giocano grandi effetti sulle vite degli uomini.

    Valorizza l’idea per cui il corpo fisico è un involucro attraverso il quale passa l’energia. Concepisce il corpo come il veicolo, il carro sul quale percorriamo la nostra vita. Il corpo è, quindi, un carro, mentre lo “spirito” (buddhi) è il cocchiere che stringe le redini che sono la mente (manas), reggendo i cavalli che sono i sensi, mentre il terreno percorso è il mondo.

    Il Tantrismo ha compreso che questo veicolo può essere addestrato per temprare l’individuo in tutte le sue dimensioni e portarlo a raggiungere il proprio Sé, l’Uomo Interiore. In questo senso, una sorta di curva ciclica, che parte dal corpo come involucro e attraverso questa esperienza della perfetta disciplina del corpo e della mente, raggiunge la meta che ci si è posti: l’«essere padroni di se stessi». Il corpo quindi è qualcosa che si addestra per trascenderlo.

    Le scuole tantriche mostrano come sia possibile raggiungere la liberazione (moksha) dalle pastoie mondane in qualsiasi modo e come ogni atto possa essere investito di un significato profondo e posto a fondamento di una pratica di autorealizzazione. L’impostazione tantrica, infatti, sottolinea il carattere sacrale anche di ciò che apparentemente sembra “profano”, in base all’assunto per cui il «seme dell’illuminazione» risiede ovunque. Pertanto, nulla viene rigettato, ogni evento della vita può diventare un trampolino di lancio per il salto nell’Incondizionato.
    Gli aspetti cosiddetti “negativi” della realtà non vanno repressi o trascesi, bensì trasformati in corrispondenti aspetti illuminati. In ogni emozione di tipo negativo, per esempio, si trova congelata e imprigionata un’energia che il meditante può riuscire a liberare dalla presa egoica per trasformarla in puro strumento di liberazione (così come l’alchimista trasforma il piombo in oro, oppure così come l’analizzato nel setting psicoanalitico integra gli aspetti inconsci nel conscio).

    Il principio sotteso al Tantrismo è che «gli uomini si elevano attraverso ciò che causa la propria caduta». Il Tantrismo afferma, infatti, che l’uomo può liberarsi definitivamente grazie alle condizioni stesse di questa caduta: tutto ciò che lo impastoia, che lo ostacola, che lo paralizza può diventare la chiave della sua liberazione.

    Il Tantrismo promette la realizzazione interiore a coloro che saranno in grado, grazie al loro coraggio, di andare fino in fondo ai loro desideri. Non è frenando i propri desideri od obbedendo loro ciecamente, che la condizione umana può esprimersi in modo autentico. Questa via spirituale si propone dunque come un modo di radicale “travalicamento” delle proibizioni morali, dei tabù culturali e rituali che regolavano i costumi della civiltà indiana nel momento in cui si sviluppò il Tantrismo.

    La pratica tantrica si dedica allo studio e alla sperimentazione dei condizionamenti, delle pulsioni, dei desideri che costituiscono la condizione umana. Invece di frenare le pulsioni primarie, la pratica tantrica le intensifica continuamente in modo da risvegliare le energie originarie avviluppate nella materia.

  • Cinesi: la letteratura cinese

    Non si può parlare della letteratura cinese antica prescindendo dall’opera di Confucio, non solo per quello che egli stesso ci ha lasciato nel campo letterario ma soprattutto per la sua attività di raccoglitore di composizioni antiche in prosa e in poesia che egli riteneva fosse necessario conoscere per acquistare le virtù.
    Nei Wujing “Cinque libri” si ritiene che Confucio abbia raccolto i testi già esistenti, filtrando ed escludendo quelle composizioni che non si accordavano con la sua dottrina. I “Cinque libri” raccolgono così quanto di più antico ci è rimasto della letteratura cinese. Essi sono:

    1. Shijing “Libro della poesia”: è la più antica antologia poetica cinese (305 inni di corte, canzoni popolari, elogi di eroi, inni rituali);
    2. Shujing “Libro dei documenti”: costituisce una tra le più antiche fonti del patrimonio storiografico della Cina (cronache, aneddoti, verbali…);
    3. Yijing “Libro delle mutazioni”: un manuale di divinazione, noto da noi come “I King”;
    4. Lijing “Libro dei riti”: una raccolta di regole di comportamento per ogni livello e stato sociale;
    5. Chunqiu “Primavera e Autunno”: di carattere storico; è la cronaca del Principato di Lu, patria di Confucio.

    Altre opere che vanno ricordate sono i Lunyu “Dialoghi” tra Confucio e i suoi discepoli e il Mengzi “Libro di Mencio”. Nella prima sono raccolti, in forma di dialogo, gli insegnamenti di Confucio (551-479 a.C.), nella seconda si trovano gli insegnamenti di Mencio (372-288 a.C.), seguace della scuola confuciana.

    Nell’ambito della scuola taoista, cui dobbiamo le opere più belle della letteratura della Cina antica, i testi fondamentali sono: Daodejing (o Tao Te Ching nella vecchia trascrizione) “Libro della via e della virtù” attribuito a Laozi (570-490), in cui sono esposti i principi del taoismo e Zhuangzi “Il maestro Zhuang” di Zhuang Zhou, con-siderato il più grande scrittore dell’antichità cinese e importante per la conoscenza della filosofia taoista.

    Con Qu Yuan, vissuto tra il 340 e il 278 a.C., la cui fama è legata a Lisao “Lamento dell’esilio”, un poemetto che compose quando fu costretto a lasciare il paese natale perché rifiutato dal suo sovrano, si ha il primo esempio di poesia patriottica cinese.

    E’ nella poesia, più che in qualsiasi altro genere letterario, che la Cina ha dato la misura del suo genio. A partire dalle dinastie Qin e Han, i grandi autori della letteratura cinese bisogna ricercarli non più tra i filosofi, ma tra gli storici e i poeti. Qin Shihuangdi, il cui corpo giace nel mausoleo di Xi’an, che con il suo esercito dei soldati e cavalli di terracotta è ormai diventato famosissimo in tutto il mondo, nel 213 a.C. ordina di distruggere tutte le opere storiche e quelle dei filosofi appartenenti a scuole diverse da quelle dei Legisti.

    Al tempo della dinastia degli Han (206 a.C.-220 d.C.) compare il primo grande storico della Cina e uno dei maggiori della storiografia mondiale: Sima Qian (145-86 a.C.) che compila l’opera intitolata Shiji “Memorie di uno storico”, documento fondamentale e ancora insuperato della storiografia tradizionale cinese. Quest’opera può essere considerata la prima vera storia generale della Cina, dalle origini fino al periodo di Sima Qian. In essa troviamo un’esposizione cronologica dei fatti, le biografie di uomini illustri, le descrizioni della storia di popoli asiatici, documenti e citazioni di altre opere. Sima Qian, paragonato a Tucidide e a Tacito, ha rappresentato per secoli il modello di tutti gli storici cinesi. Oltre alla storiografia, il periodo Han ha dato impulso alla poesia.

    Si possono distinguere due filoni: quello dotto e artificioso rappresentato dai fu e quello popolare rappresentato dagli yuefu.

    La produzione letteraria dei Tang (618-907 d.C.) si trova raccolta in due grandi collezioni compilate per decreto imperiale nel XVIII sec.: il Quantangshi “Tutta la poesia Tang” con 48.900 poesie di 2.200 autori e il Quantangwen “Tutta la prosa Tang”.

    La poesia dell’epoca Tang, nota come una delle più alte manifestazioni dello spirito umano e indicata con il termine shi, ha il periodo della sua massima fioritura durante il regno dell’imperatore Xuanzong (713-755) mecenate e cultore delle arti alla corte del quale operarono Li Bai (701-762) e Du Fu (712-770).

    Li Bai (o Li Po) è conosciuto in Occidente come il poeta della vita avventurosa e spensierata. Seguace della filosofia taoista, ha come temi favoriti: la gioia del vivere, l’amore, il fuggire del tempo, il vino, l’amicizia che canta con una spiccata padronanza di linguaggio. Secondo la tradizione morì annegato nel 762 mentre cercava di pescare, ubriaco, la luna che si rifletteva nello stagno.

    Du Fu, anch’egli a corte di Xuanzong, è testimone e narratore, nelle sue poesie, delle vicende che l’imperatore subì come pure delle sofferenze del popolo sottoposto alle angherie dei funzionari corrotti.

    Bai Juyi (772-846) può essere considerato il più popolare dei poeti Tang e il successore di Li Bai e di Du Fu. Le sue più note composizioni sono “Canto del rimorso eterno”, dedicato alla concubina dell’imperatore Xuanzong e “Ballata della pipa”, dove una suonatrice di pipa racconta la sua storia.

    Anche Li Yu (937-978), ultimo imperatore della dinastia Tang meridionale, è un artista e un poeta finissimo.

    Nel campo della prosa, il maggiore esponente dell’epoca Tang è Han Yu (768-824). Egli è il realizzatore di un nuovo modo di scrivere che si rifà a quello degli antichi libri classici (semplice e non ricercato). Il nuovo stile viene chiamato guwen “prosa all’antica”: Han Yu è autore di saggi filosofici e politici che combattono il buddhismo e il taoismo e favoriscono il confucianesimo.

    Con i Song (960-1279), si assiste a una ripresa degli studi confuciani e storici. Il più impostante autore di opere storiche di questo periodo è Sima Guang (1019-1086) che scrive “Specchio generale per l’arte di governare”, in 294 capitoli e abbraccia tutta la storia cinese dal 403 a.C. al 959 d.C., con un rigido ordine cronologico.

    L’invenzione della stampa, avvenuta in questo periodo, dà impulso alla pubblicazione di varie opere, e rende anche possibili le prime enciclopedie cinesi.

    Zhou Xi (1130-1200) è un elaboratore della dottrina di Confucio. Scrive “Sommario dello specchio generale”, nel quale commenta i libri confuciani e la sua interpretazione viene adottata come dottrina ufficiale dello Stato. Dal 1583 al 1904, anno in cui si tengono gli ultimi esami confuciani di Stato, la sua dottrina è l’unica ammessa. Per quanto riguarda i poeti, si servono di un nuovo componimento, il Ci, che è un tipo di poesia lirica, scritta per essere cantata secondo una melodia preesistente. Argomento dominante delle nuove poesie è l’amore dei letterati e degli artisti per le cortigiane.

    Il più famoso dei poeti della dinastia Song è Su Shi (1036-1101), pittore e calligrafo, nonché uomo politico. Si serve del “Ci” per filosofare, per raccontare i suoi viaggi, per parlare d’amore.

    E’ con la dinastia Yuan (1279-1368) che appaiono i primi testi teatrali. Il teatro in Cina non è un genere letterario ma un’arte indipendente. Caratteristica di questo teatro è che i recitativi si alternano alle parti cantate, mentre gran parte dell’azione scenica viene effettuata con mimi. La scenografia è ridotta al minimo.

    Il romanzo invece come genere letterario a sé stante si afferma nel periodo Ming (1368-1644) e rappresenta un mezzo per criticare tutti i mali della società cinese (corruzione, slealtà, arrivismo, sfruttamento). A ciascun filone classico del romanzo ne corrisponde uno particolarmente famoso.

    Il romanzo di avventure è rappresentato da Shuihu Zhuan “Sul bordo dell’acqua” (tradotto in italiano con il titolo “I briganti”) che descrive le avventure e le peripezie di una banda di uomini, costretti a diventare banditi per ribellione contro i soprusi, durante il periodo dei Song settentrionali.

    Il romanzo storico è rappresentato dal Sanguozhi Yanyi “Il romanzo dei Tre Regni” scritto da Luo Guanzhong (1330-1400 circa). Racconta le guerre seguite alla caduta della dinastia Han del III sec. d.C.

    Il romanzo fantastico trova la sua compiuta espressione nello Xiyou Ji “Viaggio in Occidente” di Wu Cheng’en (1506-1582) che tratta, in forma romanzata, del viaggio in India del pellegrino buddhista Xuanzang. Proprio in tre capitoli di questo romanzo vi è la storia, ormai conosciutissima, dello “Scimmiotto”, da cui è stato tratto il film in catoni animati “Scompiglio sotto il cielo”.

    Durante la dinastia Qing (1644-1911), il romanzo che suscita notevole interesse è Honglou meng “Sogno della Camera Rossa” di Cao Xuejin (1715-1763) che narra la storia di una ricca famiglia, i suoi amori, le sue avventure e disavventure. Il romanzo è forse la più acuta, profonda analisi e critica della corrotta società feudale cinese. Un vero capolavoro universalmente riconosciuto.

    Altro famoso romanzo, di satira sociale, è il Rulin Waishi “Storia privata dei letterati” di Wu Jingzi (1701-1754) in cui sono descritte le debolezze, le invidie dei letterati, dei funzionari che governavano allora la Cina. Questo romanzo è stato tradotto in Cinese con il titolo “The Scholars”. Per la novellistica appare in questo periodo il più grande capolavoro: “I racconti fantastici di Liao” di Pu Songling (1630-1715). L’autore, con questi racconti, continua quella tradizione del magico che tanto successo aveva avuto in Cina fin dal tempo dei Tang.

    I poeti subiscono l’influenza dei romantici inglesi o dei simbolisti francesi, mentre i drammaturghi introducono il teatro parlato.

    Xu Zhimuo (1895-1931) è il poeta che più risente dell’influenza occidentale. Il tema fondamentale della sua poesia è l’amore.

    Ai Qing (n. 1910) e Tian Jian (n. 1914) sono tra i maggiori poeti della Cina contemporanea; ma la figura più eminente della letteratura cinese dell’ultimo secolo è quella di Lu Xun (1881-1936) che Mao definì “gigante” ed ancora “l’eroe più leale” e che intese la letteratura come partecipazione attiva al risveglio patriottico della Cina. Fu tra gli ispiratori del movimento di riforma della società cinese e svolse una campagna per la riforma della lingua scritta, promuovendo l’abbandono dello stile classico e l’impiego, nelle opere letterarie, della lingua parlata. Operò anche un notevole sforzo di avvicinamento alla letteratura europea. Fu saggista, novelliere, polemista, poeta.

    L’opera che gli ha dato maggior fama è Ah Q zhen zhuan “La vera storia di Ah Q”, scritta nel 1921. Ah Q è un cinese del popolo che partecipa alla rivoluzione del 1911, ma non sa perché lo fa. Nell’intendimento dell’autore, Ah Q rappresenta il popolo cinese ancora impreparato ad affrontare i problemi del rinnovamento sociale e politico. Nel 1918 scrive “Il diario di un pazzo” in cui adotta, per la prima volta, la lingua volgare e non la lingua dei classici.

    Dalla data di pubblicazione del “Diario” inizia il periodo della letteratura moderna cinese. Nelle novelle, perché Lu Xun non scrisse mai romanzi, continua la sua opera tesa al conseguimento dei suoi ideali politici e patriottici. Le sue novelle si trovano pubblicate in parecchie raccolte quali Nahan “Grida”, Panhuang “Esitazioni” e Yecao “erbe selvatiche”.

    Il maggior esponente della cultura cinese marxista è Guo Moruo (1891-1978). Oltre all’attività di poeta, di filologo, di traduttore e di studioso di storia e di archeologia, ha ricevuto il maggior successo dalle opere teatrali, basate sui fatti storici della Cina antica, raccontati per risvegliare la coscienza nazionale. Nel 1949 è Presidente della Federazione cinese delle Scienze e Membro del Governo Centrale: cariche che mantenne fino alla morte. Tra le sue opere: la raccolta di poesie Nusheng “La dea”, i romanzi: “Foglie morte”, “Gatto nero”; l’opera teatrale Qu Yuan; le novelle “L’eclisse”, “Il passo”.

    Autori contemporanei che vanno ricordati sono: Mao Dun, pseudonimo di Shen Yan-bing (1890-1981), novellista, romanziere, drammaturgo, oratore, critico letterario. Il suo capolavoro è Zi Ye “Mezzanotte” in cui descrive la città di Shanghai degli anni Venti in tutti i suoi aspetti sociali. Ba Jin, pseudonimo di Li Feigan (n. 1904) autore di una trilogia Jia, Chun, Qiu “Famiglia, Primavera, Autunno” in cui i suoi personaggi rifiutano tutte le imposizioni della società tradizionale.

    Nel 1942, Mao pronuncia a Yan’an, nelle montagne dello Shaanxi, alcuni famosi “Discorsi sulla funzione della letteratura e dell’arte” in cui sono elencati i principi ai quali si devono attenere gli scrittori. Questi principi: “la letteratura e l’arte devono essere al servizio del popolo, per l’edificazione del socialismo, subordinate alla politica; gli scrittori e gli artisti rivoluzionari devono identificarsi con i lavoratori”, guideranno, per parecchi anni, l’attività letteraria cinese.

  • Babilonesi: la religione

    Religione

    I babilonesi avevano una religione politeista, avente origini orientali. Essi furono molto abili ad impiegare la loro religione per fini politici, facendo diventare Babilonia luogo sacro di spiritualità ed origine del tutto. Attraverso documenti, vengono rielaborati tutti i testi sacri dei sumeri, modificando la realtà, per esaltare il mito di Babilonia, vista come “porta di Dio”. Il mito sumerico di Gilgamesh e quello di Atramhasis vengono rivisitati.
    Il primo mito si ricollega ad un re sumero vissuto ad Uruk intorno al 2700 a.C., che sperimenta l’esperienza della mortalità umana e compie un viaggio verso la conoscenza perfetta.
    Tra le sue imprese, Gilgamesh avrebbe ucciso un toro divino, inviato sulla terra dalla dea Ishtar, che opprimeva il proprio popolo.
    Il secondo mito, invece, richiama il diluvio universale. Secondo la tradizione sumerica, An sovrintendeva tutto ed il cielo, Enlil ed Enki, suoi figli, regnavano rispettivamente sulla terra e sugli abissi. Il primo aveva più potere del fratello, che aveva come figlio Marduk. An crea gli altri dei per lavorare sulla terra, al fine di poter mangiare, ma questi si rifiutano, perché troppo faticoso. Quindi crea l’uomo che rifiuta anche esso di lavorare. Qui si inserisce il mito biblico del paradiso terrestre e della cacciata da parte dell’uomo e della donna. La prima modifica babilonese al testo sacro sta nel fatto che, a questo punto, Enlil propone di mandare sulla terra la pestilenza ed il diluvio per punire la ribellione umana, ma Enki facendo salvare Atramhasis su un’arca.
    Nell’altro testo sacro babilonese del Enuma Elish si descrive la lotta tra Enlil, geloso del salvataggio dell’uomo, ed Enki. Per vendicarsi, ordina a Tiamat, essere vivente dei mari, invincibile, di generare dei mostri e comandare su tutti gli dei, ma Marduk, figlio, di Enki, lo uccide e riceve in compenso la supremazia su tutti gli dei.
    Praticamente, attraverso la rivisitazione di questi miti, i sacerdoti babilonesi sostituiscono l’importanza di Enlil, venerato presso i sumeri, con quella di Enki, sacro ai babilonesi, da cui ne consegue una sacralità per il figlio, il dio Marduk. La sacra città sumerica di Eridu, consacrata al dio Enlil, è equiparata integralmente a Babilonia, città sacra ad Enki.
    Il cuore della religione si sposta da Ur e Nippur a Babilonia, Borsippa e Kuta, al punto che anche gli assiri veneravano gli dei babilonesi, considerandoli come i più grandi ed eccelsi. Nel regno assiro, infatti, si pensava che Ninive fosse il centro politico e Babilonia quello religioso. Dietro questo processo sicuramente c’è una stretta cooperazione con i caldei. Fu questa “rivoluzione” religiosa a decretare il prestigio di Babilonia che in più parti era rappresentata come il centro del mondo e la porta verso il dio Marduk.
    La grandezza della cultura babilonese sta anche nella produzione di questo modello religioso che segnò le basi del prestigio del proprio popolo e di una filosofia di pensiero, accettata da molte culture orientali.
    Gli stessi re di Babilonia non si definivano re, a differenza degli assiri, ma pastori di popoli, amministratore della giustizia e servitori degli dei e lo stesso Ciro il Grande, per annettere la città ed il suo impero alla Persia, si proclamò servo di Marduk.
    Ogni anno a Babilonia si celebrava la festa del Nuovo Anno. Il mito della rinascita è sempre presente nelle religioni orientali. Solo il re poteva cominciare la festa ed era accompagnato dai sacerdoti. Ad un certo punto della festa il gran sacerdote schiaffeggiava il re, per ricordargli di essere umano: se questi piangeva, il dio Marduk concedeva all’impero un anno prosperoso, altrimenti vi erano dei presagi nefasti.
    Esisteva una trinità babilonese: Marduk, Ishtar e Nabu. Il primo è il padre di tutti. Ishtar richiama il mito fenicio di Balaat e presso i sumeri era venerata come Innin, presso gli Egizi come Iside. Essa era la gran madre di tutti, simboleggiava colei che dava calore, fertilità e sicurezza all’uomo. Nabu era il figlio di Marduk ed era molto vicino all’uomo. Era colui che accompagnava la processione nella festa dell’Anno Nuovo, segno di rinascita e purificazione, che avveniva con l’aiuto di Ishtar. Accanto a questa triade c’erano altre divinità, tra cui si ricorda: Ninurta, che aveva un tempio dedicato a Babilonia e che vegliava sulla città di Borsippa, Nergal, protettore della città di Kuta, Ninrag, protettore del vulcano, Anu, che vegliava sul cielo, Annunaki, protettore della volta celeste ed illuminato da Anu, Igigi, legato al ciclo perpetuo del sorgere e del tramontare.