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  • Babilonesi: lo sviluppo babilonese

    Sviluppo babilonese

    Il regno di Babilonia conobbe il suo splendore con Nabopalassar, come già detto, che nel 626 a.C., unì le tribù caldee, si alleò con i vari regni limitrofi, nonché con la Media e mosse guerra all’Assiria. Probabilmente egli stesso era un caldeo e per questo fu accettato da tutti. Proseguì le gesta di Merodach Baladan, ricordato da tutti i caldei.
    Nel 614 a.C. e nel 612 a.C. caddero Assur e Ninive e, dopo la capitolazione della nuova capitale Harran nel 610 a.C., l’Assiria fu divisa tra medi e babilonesi.
    Nabonassar fa eseguire opere di ammodernamento nelle varie città, non assoggetta i vari popoli, ma li considera alleati, in quanto non si ritiene re, ma pastore di popoli, infine, getta le basi per la fondazione di un impero. In particolare nella località di Karkemish, in Siria, nel 606 a.C., con l’aiuto del figlio Nabucodonosor, sconfigge gli egiziani, che si erano coalizzati con Israele e Fenicia. Da questo momento gran parte del medio oriente è sotto il controllo babilonese, anche se dovranno essere combattute altre guerre e dovranno passare altri anni. Si arriverà al 601 a.C., quando gli egiziani abbandoneranno definitivamente l’area siro-palestinese.
    A questo punto si sviluppano le vie dei commerci e si forma sempre più ricchezza, con conseguenze positive per l’urbanizzazione ed anche per la cultura babilonese.
    Dal 605 a.C. al 562 a.C. regnerà Nabucodonosor II, dipinto dai testi biblici come lucifero, in quanto responsabile della deportazione ebrea a Babilonia.
    A questo proposito, aggiungiamo che la stessa città ci viene rappresentata come un luogo di peccato e degno di distruzione, in base alle profezie di Isaia e Geremia. A Babilonia si associa l’episodio biblico della Torre di Babele, in cui Dio porta tra gli uomini la confusione (da cui il termine babele), per evitare la costruzione della torre che li avvicini alla divinità.
    Queste mmagini ci fanno capire che sicuramente all’epoca Babilonia rivestiva un ruolo fondamentale tra le città del mondo. Tra l’altro rappresentava il cuore della religione orientale, per cui metterlo in cattiva luce significava anche contrapporre una religione monoteista ad una politeista di origini scite.
    Nabucodonosor fonderà un impero che va dall’Egitto alla Persia, attraverso la Palestina e la Siria, dalla Lidia (Asia Minore) al Golfo Persico. Controllerà la Media, in qualità di sposo della figlia del re Ciassarre ed, in qualità di garante di un accordo di pace tra quest’ultima e la Lidia, controllerà anche la stessa Lidia. Questo regno sarà ricchissimo e famoso per la cultura e la scienza. Il re babilonese non sottometteva i popoli conquistati, ma lasciava ai re locali al comando ed al popolo i propri usi e costumi.
    Realizzò un apparato burocratico saldo ed efficiente, basato su collaboratori (gli equivalenti dei ministri) retti e fedeli. Si avvaleva di controllori per monitorare la periferia e controllava anche le attività economiche legate alle proprietà terriere della classe sacerdotale. In poco tempo portò ordine in una situazione caotica, ove comandava solo chi aveva ricchezze. Tuttavia, nel suo regno, l’inflazione era abbastanza alta. Anche la giustizia fu ben amministrata, ribaltando completamente la precedente situazione gestita da una classe ristretta di ricchi. A tale proposito si raccontano casi di condanna esemplare con pene dure, al fine di fornire un monito per chi voleva ripristinare la precedente situazione caotica.
    Molto religioso, non mancava di partecipare alla festa del nuovo anno. Diffuse e rafforzò il culto del dio Marduk: egli non si proclamava re, ma pastore di popoli, servo degli dei.
    Circa l’episodio della deportazione degli ebrei bisogna considerare alcuni aspetti. Nel 609 a.C. il re Giosia, simpatizzante per i babilonesi oppure mosso verso l’indipendeza del suo piccolo regno, si oppone all’avanzata degli egiziani, guidati dal faraone Nicho II, corso in aiuto degli assiri, e muore presso Megiddo. Gli egiziani instaureranno in Israele un re anti-babilonese e formeranno una lega con siriani, palestinesi, fenici ed ebrei. Questo esercito sarà poi sconfitto dai babilonesi, come già detto, presso Karkemish.
    Nel 593 a.C. Gerusalemme, guidata ancora dai filo-egiziani, legati al faraone Psametico II, è assediata dai babilonesi. Il re Joachin, dopo aver resistito, fa atto di sottomissione, ma viene fatto prigioniero e portato a Babilonia con altri notabili ebrei. Tutti verranno trattati bene me riceveranno uno stipendio, in base a quanto è indicato nel racconto di Susanna. Nabucodonosor non nomina un re a lui fedele, ma consente a Sedecia di salire al potere, lasciato ad Israele ampia libertà.
    Nel 587 a.C., nonostante Geremia invitasse il suo popolo alla sottomissione babilonese, c’è una nuova rivolta assieme ai fenici e agli abitanti di Edom. La punizione è esemplare: Sedecia viene portato a Babilonia con la sua famiglia e viene accecato, ne vengono uccisi i figli e vengono deportati circa 5.000 abitanti, tutti artigiani, fabbri, commercianti, che faranno la loro fortuna a Babilonia, sviluppando grandi attività economiche. Inoltre fu proprio a Babilonia che cominciano ad essere composti i primi libri della Bibbia.
    Gerusalemme subisce alcune devastazioni, ma rimane comunque popolata e governata da Ghedalia, nobile giudeo. Considerati i tempi, Nabucodonosor si comportò in modo magnanimo, anche perché non si impose come tiranno, e non vi fu una deportazione di massa del popolo.
    Gli ebrei faranno ritorno a casa solo verso 550 a.C., quando Ciro il Grande, annettendo Babilonia alla Persia, pronunciò un editto in tale direzione. Alcuni ebrei rimarranno nella città mesopotamica perché avevano delle considerevoli attività economiche e commerciali.
    Dal 562 a.C. al 556 a.C. ci saranno tre re babilonesi che si succederanno, alcuni come figli e discendenti diretti di Nabucodonosor, altri come usurpatori:
    Amel Marduk (562-560) figlio del grande re, che restituirà la libertà al re giudeo Joachin, come simbolo della non continuità della politica paterna;
    Neriglissar (560-556) suocero di Nabucodonosor, fa un colpo di tasto in cui muore il re, taglia completamente con la politica del passato, fa opere di abbellimento a Babilonia e Sippar, compie un’incursione militare in Cilicia, comunque mina all’unità del paese mettendo in cattiva luce il grande re;
    Labashi Marduk (556) figlio di Neriglissar, va al potere bambino e perde subito il potere. Nabucodonosor, alla sua morte, aveva preso coscienza che la sua dinastia non avrebbe regnato a lungo.
    Dal 556 a.C. al 539 a.C. regnerà Nabonedo, ultimo re babilonese, salito al potere con un colpo di stato, proveniente dall’Assiria, dalla città di Harran. La storia ce lo tramanda come un re incapace, appassionato di archeologia. Oggi sappiamo che fu vittima di una propaganda effettuata dai persiani, con l’appoggio dei sacerdoti babilonesi, al fine di conquistare il regno senza effettuare guerre. Sostituì la triade divina dei babilonesi con Sin-Shamash-Ishtar, legata ad un culto lunare e più cara agli assiri. Questo non fu motivato solo dalla sua origine, ma anche dal fatto che, accorgendosi del potere sempre più forte dei persiani, voleva ricercare alleati verso ovest. In tal senso, siglò un accordo con Lidia, Sparta ed Egitto. A questo punto è necessario fare un passo indietro.
    Nel 700 a.C. la Persia era divisa in due regioni (Parsumash e Parsa) ed era sotto il dominio della Media. Nel 600 a.C. il re medio Ciassarre riunifica le due regioni, affidando il regno a Cambise che sposerà la figlia di Astiage, nuovo re di Media, e si insedierà nella prima capitale persiana Pasargade. Successivamente venne costruita Persepoli, che diventerà sempre di più la vera capitale persiana. Da questa unione nascerà Ciro II il Grande che governerà dal 559 a.C. al 529 a.C., inventando il modello delle satrapie, che gli consentì di costruire un grande impero (Egitto, Anatolia, Mesopotamia, Arabia, Persia).
    Secondo una leggenda, nata per esaltare la grandezza di Ciro II, Astiage ebbe un sogno nel quale si vedeva ucciso da un giovane re, per cui fece dei tentativi per eliminare il giovane futuro re persiano, senza riuscirci.
    Verso il 550 a.C. Ciro II si allea con Nabonedo (non sembra sicuro) ed insieme prendono la Media. I babilonesi occupano l’Assiria ed i persiani il resto del regno. Successivamente Ciro II invade la Lidia ed insegue il re Creso fino a Sardi, conquistando l’intero regno. In questo modo Ciro II impedisce a Nabonedo di mettere in pratica l’alleanza precedentemente ricordata e comincia a circondare Babilonia. Il re babilonese fu l’unico che aveva capito il pericolo persiano.
    Le vie del commercio verso l’India sono sotto il controllo persiano e l’inflazione a Babilonia arriva al 400%. Si raccontano diversi episodi di carestia. Nabonedo abbandona Babilonia e si reca in Arabia, dove la popolazione locale non lo vedeva di buon occhio. Lo scopo di questo viaggio fu quello di trovare altre vie di commercio per riportare ricchezza al proprio paese. E’ in questo periodo che viene individua la famosa via delle spezie. L’economia babilonese si risolleva.
    Nel frattempo Ciro II trama con i religiosi babilonesi. Nabonedo appare come il traditore, colui che ha dissacrato il nome del dio Marduk, sostituendolo con altre divinità. Alla luce di quanto esposto in precedenza, il re babilonese appare come un incompreso più che un traditore. Il frutto della propaganda fu la cacciata di Nabonedo e l’acclamazione di Ciro II a nuovo re: la Persia si era impossessata di Babilonia senza combattere. Come discorso di insediamento il re persiano si proclamò “nuovo figlio del dio Marduk”, richiamandosi alla propaganda da lui attuata segretamente. Restituì la libertà agli ebrei nel famoso editto e si impadronì della Siria, Palestina, Israele ed Egitto. L’impero persiano fu molto vasto e ricco.
    I persiani rispettarono la bellezza di Babilonia, facendole vivere un secondo splendore con Cambise II e Dario I. Sotto questi sovrani ci furono diverse rivolte a Babilonia i cui capi presero il nome di Nabucodonosor, a ricordo del mito trasmesso dal leggendario re al suo popolo. Queste rivolte furono sedate, senza violente ripercussioni per la città. Serse I, in seguito alle sconfitte con la Grecia, impose tasse ai babilonesi, che si ribellarono di nuovo. Babilonia fu messa al sacco. Artaserse I continuò nella politica repressiva del padre. Comunque Babilonia continuò ad avere un certo prestigio ed una determinata importanza.
    Nel 331 a.C. Alessandro Magno entra a Babilonia e ne rimane affascinato e la proclama capitale del suo nuovo impero. Vengono eseguiti lavori di ammodernamento. A Babilonia verranno celebrati i funerali di Efestione, amico di Alessandro morto ad Ectabana. Lo stesso Alessandro morirà nella città mesopotamica nel 323 a.C.
    Dunque Babilonia fu la città di tre grandi: Nabucodonosor, Ciro ed Alessandro.
    I diadochi successivi continuarono a dare splendore alla città, fino all’avvento di Seleuco prima ed Antioco poi che fecero costruire una nuova città: Seleucia. Nel 275 a.C. fu emanato un editto in base al quale tutti i babilonesi dovevano lasciare la città e recarsi nella nuova. Ma la città continuò a vivere perché non fu abbandonata da tutti. Gli stessi diadochi si impegnarono per fare opere di ricostruzione. Verso il 100 a.C. la diadochia seleucide entra in guerra con i Parti, popolo situato ad oriente della Persia, e la città fu abbandonata.
    Nel 116 d.C. Traiano svernò a Babilonia, ma ormai era diventata un cumulo di macerie.
    Dunque solo molti secoli dopo si realizzarono le profezie di Isaia, di Daniele e di Geremia sulla distruzione della città, che per secoli venne considerato il centro culturale e politico del mondo. La distruzione morale fu poi continuata dai padri della chiesa, tra Origene e S.Agostino, che la rappresentarono come simbolo del male. Essi ripresero la tradizione iniziata nell’Apocalisse di San Giovanni.

    Bibliografia
    “Babilonia” G. Pettinato 1988, Rusconi

  • Celti: la religione celtica

    Religione

    Secondo la tradizione Eracle, divinità – eroe ellenico, giunto in Gallia, fondò Alesia e si invaghì di una principessa locale. Questa colpita dal suo vigore e dalla sua possenza fisica, si unì all’eroe orientale. Frutto dell’unione fu il giovane Galates, che salito al trono, diede il suo nome al popolo: galati o galli. Questa tesi propagandistica dimostra il legame tra Occidente ed Oriente
    La religione celtica ha molte affinità con le religioni delle culture indoeuropee, in particolare con quella scita. Essa si basa su concetti molto semplici: la reincarnazione della vita, la rigenerazione, la resurrezione, l’amore per la natura, la sacralità di alcune piante (la quercia in Gallia e Galizia, il tasso in Britannia, il torbo in Irlanda). Gli alberi erano il tramite con il firmamento e separavano l’uomo dagli dei celesti. Attorno ad ogni villaggio c’erano dei boschi sacri (drynemeton) dove si eseguivano riti e dove veniva giudicata la gente dai druidi.
    Si usavano spesso anche i dolmen ed i menir megalitici, già realizzati dalle precedenti civiltà, per rappresentare una continuità tra l’uomo ed il firmamento.
    La morte rappresentava per i Celti una breve pausa per una vita eterna: esisteva infatti la reincarnazione (in cui si crede anche in India), per questo si amava la natura, perché si poteva rinascere in altre forme di vita. Il concetto di rigenerazione era fondamentale ed a simboleggiarlo c’era la croce celtica. Il tema della resurrezione è importante, perché indica una continuità della vita ai danni della limitatezza della morte.
    Dunque il celtico non si preoccupava se in battaglia moriva, anzi questo gli dava più onore, tanto poi risorgeva. Andavano nudi in battaglia perché, in preda al loro furore bellico, comunicavano con gli dei direttamente e quindi emettevano calore. Non è escluso che i druidi conoscessero delle tecniche yoga, atte a creare uno stato di trance nei guerrieri nella fase pre-bellica. Essi infatti eseguivano dei passi di danza prima di combattere, proprio per entrare in contatto con le divinità.
    I Celti, specialmente quelli d’Irlanda, credevano che alcune divinità vivessero sottoterra. Con loro si entrava in contatto attraverso pozzi e stagni. Attorno ad ogni villaggio c’erano zone ritenute sacre anche per questo. In Vandea sono stati trovati pozzi contenenti alberi e resti umani e animali: agli dei si sacrificava tutto, sia il simbolo della fertilità che la vita stessa. Esistevano cerimonie celtiche, presiedute da druidi, in cui, con un sottofondo musicale, si portavano in processione alberi che, alla fine, venivano sepolti in pozzi.
    I Celti non credevano nel peccato, quindi la loro morale era molto semplice.
    Collezionavano le teste dei nemici (in Irlanda il cervello) sopra le porte delle loro capanne o su pali conficcati nel terreno, sia perché questo accresceva la loro fama, sia perché quando il nemico fosse rinato lo avrebbe fatto senza testa, quindi più debole.
    I Galati trasmisero ai loro cugini europei il mito scita del piccolo dio Attis e della sua madre Cibele, dispensatrice di coraggio e gran madre di tutti, che poi, se vogliamo, è lo stesso mito fenicio del dio Baal e della dea Baalat.
    Dunque la donna rappresentava il coraggio, che specialmente in battaglia era molto utile, e la fertilità che si ricollega alla rigenerazione della vita: esisteva una forte venerazione per la madre. Non è escluso che esistessero druidesse, come le abitanti dell’isola bretone o la sacerdotessa di Vix della Baviera.
    Il ruolo del druida è molto simile a quello del bramino indiano la società celtica e quella indiana sono simili: il re – cavaliere assomiglia al rajas indiano). A tale proposito si sottolinea che alcune parole del gaelico sono molto simili al loro omologo indiano.
    I druidi erano il centro della religione celtica. Ebbero anche una valenza politica. In Gallia, in particolare, sotto la dominazione romana, difesero i costumi celtici e portarono avanti un sentimento rivoluzionario antiromano che sfociò secoli dopo durante la fine dell’Impero Romano. Essi non pagavano tasse, non espletavano il servizio militare, non erano legati al loro territorio come il resto della popolazione. Erano, in pratica, i veri capi della tribù. Avevano un falcetto in mano che li rappresentava, anche perché erano conoscitori di erbe mediche, che venivano raccolte con una certa ritualità. Alcune, perché velenose, erano raccolte con la mano sinistra (era quella che valeva di meno), altre con la destra. Essi seppellivano i morti in tumuli, secondo la tradizione dei kurgan.
    I druidi si riunivano in assemblee e c’era il majestix (il grande re) che affidava i vari compiti a loro. Si diventava druida solo dopo aver superato una prova che consisteva nel ritirarsi nel bosco sacro e giungere all’aldilà (attraverso prove di allucinazioni ed ipnosi): solo chi vi era stato ed aveva fatto ritorno tra i mortali poteva guidare un popolo.
    I Celti avevano 374 divinità. In realtà molte erano copie di altre, per cui se ne contano circa 60. Tra questi si ricorda: Teutate, dio barbuto, presente nei riti sacrificali, Beleno omonimo di Apollo, Arduinna da cui presero il nome le Ardenne, Belisama omonima di Minerva, Nemetona dea della guerra. Il più importante di tutti era Lug, che diede il nome a Lione e Leida. Simboleggiava un grande druida e sapeva suonare l’arpa, lavorare il ferro, combattere da valoroso, fare magie. Questi fu il progenitore del germano Wotan, che era chiamato anche Odino ed era il signore del Walhalla.
    Wotan era il grande druida ed era il signore del calore magico che infiamma il guerriero. Dunque tra Germani e Celti c’è questa trinità divina in comune: Wotan-Odino, Donar-Thor, Ziu-Tyr, presso i primi; Teutate, Eso e Tarani presso i secondi. Teutate era il più potente e si placava con sacrifici di sangue. Eso era identificato con il toro, anche egli assetato di sangue. Tarani era il dio della guerra e preferiva il rogo. Successivamente, Lug prese il potere su tutti. La volta celeste era la proiezione della vita terrena, per questo si ipotizzavano lotte e nascite di dei. Alla fine uno prevalse e fu il successo dei druidi. Il concetto di trinità è molto ricorrente nelle religioni dei popoli di origine orientale.

  • Sumeri: lo sviluppo

    Sviluppo

    I Sumeri conobbero il loro maggiore sviluppo tra il 2500 ed 2350 a.C.. All’inizio di questo periodo la Mesopotamia meridionale era caratterizzata da villaggi che via via vennero fortificati, in particolare Uruk.

    Antecedentemente a tale periodo in ogni villaggio, ricco per i fiorenti commerci, dominava un ensi, che spargeva terrore e soprusi sulla popolazione locale.

    Nel 2500 a.C. la città di Lagash fonda un principato e domina nella regione conquistando altre città sumere. Si assiste a lotte tra le varie città che richiamano l’attenzione del vicino e bellicoso Elam. Finalmente con il re Urnanshe, la città di Lagash ottiene il sopravvento sulle altre. La lotta è dura, perchè molte città sumere vedono ridotto il loro potere economico e si ribellano.

    Il re Eannatum, nipote di Urnanshe, estese il dominio di Lagash su quasi tutte le città sumere, sottomise l’Elam e sconfisse la città di Mari, situata nella Siria. Questo testimonia che i sumeri estesero il loro dominio al di là del proprio territorio. Inoltre avevano anche un dominio marittimo nel Golfo Persico.

    In realtà Sumer era divisa in due principati: il primo controllato da Eannatum di Lagash ed il secondo, più a nord e separato da un fossato di confine, sottomesso alla città di Umma, governata dall’ensi Urlumma. Quest’ultimo, tuttavia, pagava un tributo a Lagash.

    Con il successore di Eannatum, re Entemena, i territori a nord di Lagash, controllati dalla città di Umma, si ribellarono di nuovo. Gli Ummaiti vennero sconfitti dai “sumeri meridionali” e subirono l’aggressione dell’ensi di Zabalam, città vicina ad Umma, che si chiamava Il, il quale si proclamò nuovo re di Umma che ebbe una certa influenza anche su Lagash.

    Dunque ad un’iniziale dominio di Lagash ne seguì uno ummaita. Entemena, dunque, perde il controllo ed acquistano potere anche i sommi sacerdoti di Lagash che portarono al potere Lugalanda, il quale non migliorò molto la situzione economico-sociale dei sumeri, soprattutto del ceto povero: l’inflazione era molto alta.

    Salì al trono Urukagina, che fu il primo re del popolo. Risanò l’economia, si avvalse di funzionari di controllo, ridimensionò la classe sacerdotale, proclamandosi anche egli sacerdote, istituì un primo codice di diritto.

    Intanto, nel 2350 a.C., ad Umma era salito al potere Lugalzagesi, uomo ambizioso e poco pacifico, che segnò un nuovo periodo per Sumer. Questi unificò Sumer attraverso il sangue e le distruzioni delle diverse città del principato di Lagash. Le sue atrocità sopravvissero in futuro nelle legende sumeriche. Uccise il re Urukagina, la cui fama di pace sopravvisse nei secoli, annesse Lagash, Ur, Uruk e Kish al suo regno spargendo ovunque terrore.

    Dalla sua amata capitale Uruk, che venne cinta di mura, cercò di dimostrare al popolo che il dio Enlil era dalla sua parte e regnò per 25 anni dall’Elam alla Siria, attirando su di se tutto il malcontento degli ensi di Sumer.

    Di tale situazione approfitto un principe di origine semita: Sargon, il quale fondò una dinastia che regnò dal 2350 al 2150 a.C..

    Raccogliendo il consenso dei vari ensi sumeri e disponendo di un esercito mobile e di una cavalleria (più manovrabile dei carri e delle falangi sumere) annientò i sumeri. Questo scontro rappresentò una lotta tra due mondi: quello nomade semita, più giovane, assetato di ricchezze, più equipaggiato militarmente; quello sumero, più civile, meno dedito alla guerra, più stanziale.

    Sargon fece prigioniero Lugalzagesi e lo espose alla gogna per dimostrare al popolo sumero che gli dei erano dalla sua parte. Fu un ottimo re: mantenne religione ed amministrazione locali e non si impose con la violenza. La lingua ufficiale del suo regno fu il sumero, anche se veniva parlato l’accadico. Il suo regno fu il primo vero e proprio impero: Elam. Mesopotamia, Siria, Fenicia, Parte dell’Anatolia e dell’Arabia (odierno Oman).

    Fondò la capitale ad Accad, tra i due fiumi mesopotamici: dunque ricca di commerci e di fasto. Nacque così la civiltà accadica che regnò per 200 anni. Sargon fu al potere per 56 anni. Dopo di lui vennero al potere altri re che non seppero mantenere l’unità del paese (Rimush, Manishtusu, Naramsin, Sharkalisharri). Alcuni si chiamarono “Signore dei quattro regni”, come Sargon, altri più semplicemente re di Accad, mostrando un diverso grado di umiltà, ma non seppero tenere il paese unito per le rivolte dei vari ensi sumeri.

    Dal 2150 a.C. al 2050 a.C. Sumer subì l’invasione dei Gutei, popolazione barbara di origine armena, che depredarono tutte le città e mieterono vittime. I sargonidi non seppero resistere all’invasione e persero il loro regno: Accad venne distrutta.

    Vi furono alcuni ensi che collaborarono con i Gutei, altri, come quello di Uruk, che vi resistettero.

    La rivolta sumera partì proprio da Uruk con il re Gudea, noto nella leggenda come Utukhengal, che dopo 100 anni di lotta respinse la popolazione barbarica, governata dal re Tirigan.

    Egli regnò in pace un paese già dilaniato dalle numerose guerre.

    Per i successivi 100 anni regnò la dinasti di Ur: Urnammu, Shulgi, Amarsuena, Shusin, Ibbisin.

    Il primo fu un generale che prese il potere e portò il potere politico presso Ur.

    Governò in pace ed estese il potere di Sumer, proclamandosi re di Sumer e Accad, indicando che il potere politico si stava spostando verso il centro della Mesopotamia. Egli entrò nel mito come Gilgamesh attraverso il racconto del Viaggio di Urnammu agli inferi, nel quale anche lui ha ricercato l’immortalità. La sua importanza sta nel fatto di aver introdotto la dominazione della città di Ur, che lasciò le sue impronte nella Bibbia come patria di Abramo.

    In questo periodo, detto urrita, i sumeri dominavano sull’intera mesopotamia e su parte dell’Elam. Il re Shulgi riportò il benessere nel paese e risanò l’economia. Fece erigere una muraglia di 63 km per evitare l’invasione degli amorriti, popolazione nomade semita. Tuttavia gli amorriti invasero Sumer, ma vennero respinti.

    I sumeri si indebolirono e vennero conquistati dagli Elamiti. siamo nel 1950 a.C. e scompare l’autonomia sumera. Risorgerà nel mito, nella cultura, nelle scienze, nel diritto grazie ad Hammurabi che segnò l’inizio della dinastia Babilonese e riscattò i sumeri dal giogo elamita.

  • Cartagine e i cartaginesi

    Cartagine e i cartaginesi

    Intorno all’800 a.C. alcuni abitanti di Tiro migrarono in Africa e fondarono Cartagine. Questo episodio è stato tramandato ai posteri attraverso il mito della regina Didone, che conobbe anche Enea, secondo quanto scrisse Virgilio. Questa regina era conosciuta con il nome di Elissa, figlia di Pigmalione, che per diventare re, fece uccidere suo marito. Con Elissa si schierarono diversi patrizi tirii ed essa decide di lasciare la propria patria, portando un tesoro con se e riuscì a fuggire con un tranello. Arrivata a Cipro, trovò delle donne che si unirono all’equipaggio. Poi si diresse verso la costa africana dove fece edificare la città.
    Come in tutte le leggende, anche questa cela una verità. Alcuni cittadini di Tiro, probabilmente rappresentanti di una classe sociale emergente, erano in contrasto con la reggenza ed anche la borghesia locali. Ci fu un tentativo di presa di potere, che venne vanificato, per cui rimase l’esilio. Nel viaggio fu portato oro e preziosi. Gli esuli tirii scelsero la baia di Cartagine, tipico paesaggio fenicio, come luogo di approdo e di fondazione della nuova città: cartagine significa appunto città nuova. Tiro cercò di impedire questo processo, incaricando la città di Utica di distruggere la nuova colonia, ma l’operazione fallì. Da cui iniziò lo sviluppo di questa cultura molto simile a quella di Tiro. Si adoravano le stesse divinità; tuttavia mentre i fenici avevano ridimensionato la loro crudeltà nei sacrifici agli dei, i cartaginesi erano famosi per la loro efferatezza nelle celebrazioni sacre.
    La città era famosa per la sua Byrsa, collinetta con una rocca ove si conservava l’oro della città e che si usava in casi di estremi di difesa. C’era il tofet , il porto (anzi erano due), il mercato affollatissimo. Era una città che commerciava con l’Africa, la Spagna, la Sicilia e la Sardegna. Le sue mura difensive erano possenti ed ogni patrizio aveva un possedimento terriero, che veniva usato anche come luogo di produzione di scorte di emergenza. La città era protetta anche da 200 km di deserto che si stendevano verso l’Egitto.
    Il potere era in mano al Senato ed ai suffeti. Tuttavia ci furono diversi tentativi di golpe da parte di famiglie militari: prima ci provarono i Magonidi e poi i Barca. All’inizio la città si avvalse di un esercito mercenario, anche perchè la popolazione punica era poca, con il quale intraprese solo azioni di difesa contro i greci. Per le operazioni di conquista ci volle un esercito proprio. Verso il 450 a.C. si alleò con gli Etruschi per combattere i greci. Insieme riportarono una vittoria ad Alalia in Corsica, ma ottennero pochi successi in Sicilia, contro Siracusa.
    Nel 405 a.C. il generale Annibale, prese alcune città siceliote: Selinunte (distrutta), Imera, Gela, tranne Siracusa, Messana, Katania e Akragas, dove perse la vita, fermato da una pestilenza. Il successore Amilcare prese le altre tranne Siracusa, con cui concluse un trattato di pace.
    Nel 398 a.C., Dionigi, il signore di Siracusa distrusse Mozia, usando la stessa tecnica che Alessandro Magno adotterà per Tiro. Per questo il generale punico Himlico, assediò Siracusa senza riuscirvi, fermato da una nuova pestilenza. A tale proposito sembra che i punici non fossero molto curati nell’igiene. La lotta con Siracusa rimase incerta e si stabilì che il fiume Alico, vicino Imera, dovesse essere la linea di confine.
    Nel 310 a.C. Agatocle, signore di Siracusa, fu sconfitto da Amilcare ad Imera e si ritirò nella propria città. Nell’assedio, si diresse con alcune navi su Tunisi ed attaccò Cartagine per via terra, sconfiggendo Bomilcare. Il signore siracusano, si alleò con Ofella, diadoca d’Egitto, ma venne sconfitto. Ottenne comunque un trattato di pace, che segnava di nuovo il confine sul fiume Alico.
    Dal 510 a.C. al 306 a.C., Cartagine strinse con Roma tre patti di collaborazione, mantenendo intatti i traffici, dando ausilio ai romani nei porti, aiutandosi a vicenda in caso di aggressione da altri popoli, non costruendo città in Sardegna. La cosa funzionò soprattutto con Pirro, che sbarcato a Taranto nel 280 a.C., fu sconfitto dai romani e devastò la Sicilia, fino a Lilibeo, fu poi sconfitto dai punici e dai romani venuti in loro aiuto.
    Nel 265 a.C. scoppia la prima guerra punica.
    Gerone, signore di Siracusa attacca Messana, che chiama in aiuto sia Cartagine che Roma, quest’ultima occupa la città con delle truppe.
    La protesta punica, circa la violazione degli accordi, portò alla guerra che si tramutò in stallo, esclusa una schermaglia avvenuta ad Agrigento, fino al 260 a.C., quando a Milazzo i romani sconfissero i cartaginesi, avvalendosi del ponte mobile. I punici si rifecero a Termini. Nel 257 a.C. i romani, comandati da Attilio Regolo, vinsero a Gela e puntarono su Cartagine, dove attaccarono via terra, finendo sconfitti dalla cavalleria numidica. Amilcare Barca, padre di Annibale, soprannominato lampo, fu mandato in Sicilia, dove organizzò una resistenza tra Trapani ed Erice, ma rimase tagliato fuori dalla patria. I romani intanto vinsero alle isole Egadi ed ottennero una pace vantaggiosa che assicurò la Sicilia a Roma ed indebitò economicamente Cartagine.
    Tra il 241 a.C. ed il 237 a.C. ci furono delle rivolte tra i punici, capeggiati da Matho. Sotto la guida di Amilcare, Cartagine si riprese e costruì, assieme al successore il genero Asdrubale, un considerevole regno in Spagna. Fu fondata Cartagena, che sembrava richiamare la leggenda della città punica. I Barca attuavano una politica più personale che filo cartaginese tra gli iberici.
    Nel 226 a.C. fu firmato un trattato con i romani in cui ci si impegnava a non superare il fiume Ebro. Questo trattato costò l’indipendenza dei Celtiberi, che furono combattuti da entrambi. Intanto Cartagine si rafforzava ed aveva un’economia sempre più florida.
    Nel 219 a.C. scoppia la seconda guerra punica.
    Sagunto, città spagnola al di sotto dell’Ebro, insorge e chiama in aiuto i romani. Annibale, succeduto allo zio, prese Sagunto e Roma gli dichiarò guerra. A questo punto Annibale compì la famosa impresa.
    Oltrepassate le Alpi, tra il 218 ed il 217 a.C. vinse i romani (Trebbia, Ticino, Trasimeno e Canne), attuando la sua famosa tattica dell’accerchiamento sulle ali. Non riuscì ad allearsi alle popolazioni italiche locali, se non ad alcune sannite. Trascorse un lungo periodo a Capua, ma non si sentiva sicuro a prendere Roma. Di lui si diceva che sapeva vincere le battaglie, ma non le guerre.
    Si alleò con Siracusa e con Filippo V di Macedonia, ma entrambi furono sconfitti dai romani. Siracusa in particolare pianse Archimede. I romani ottennero anche vittorie in Spagna ed uccisero sul Metauro, Asdrubale, il fratello di Annibale che aveva cercato di riunire le forze.
    Scipione l’Africano sbarcò a Tunisi e, con l’aiuto del numidico Massinissa, costrinse Annibale, dopo 13 anni, a lasciare l’Italia, sconfiggendolo a Zama. Fu siglata un’altra pace con Roma, dove stavolta Cartagine oltre a pagare altri debiti, non poteva compiere guerre se non con il consenso romano.
    Annibale rimase a governare, portando Cartagine ad un certo benessere. Roma voleva Annibale e questi scappò prima in Siria, formando un esercito ce venne sconfitto, e poi in Bitinia dove fu tradito e preferì il suicidio nel 183 a.C..
    Intanto Massinissa provocava Cartagine con saccheggi, fino al punto che ci fu la risposta dei punici, contravvenendo gli accordi di pace con Roma. I romani attendevano questo momento e nel 149 a.C. scoppiò la terza guerra punica.
    Nonostante Cartagine sia ritornata sui suoi passi, consegnato ostaggi e pagato altri debiti, Roma era decisa a distruggere la città ed affidò l’incarico al generale Scipione Emiliano. Il senatore Catone era un sostenitore di questa politica.
    Come per Tiro, fu costruita una diga sul mare. La città fu difesa casa per casa e dopo sei giorni capitolò, nonostante il generale Asdrubale la difese valorosamente. Rasa al suolo la città, fu sparso del sale sul terreno per renderlo sterile.
    Sopravvissero comunque il capitalismo e l’abilità nel commerciò che già i fenici avevano tramandato al mondo.

    Religione
    I Fenici ed in particolare i Cartaginesi sono stati tramandati come crudeli e sanguinari soprattutto dai Greci. Ciò probabilmente era dovuto ad uno scopo propagandistico ed alla loro religione, avente tipiche caratteristiche orientaleggianti.
    I sacerdoti fenici compivano molti sacrifici sui tofet, spesso anche di umani, come accadde a Cartagine sotto l’assedio del siceliota (greco-siracusano) Agatocle, dove furono sacrificate circa 300-500 giovani vite.
    Esisteva una trinità fenicia: El, Baalat e Baal. Il primo è un dio inafferabile, lontano dall’uomo. Baalat è la moglie di El e la grande madre, colei che dava calore, fertilità e sicurezza all’uomo. Era anche conosciuta come Ashera.
    Questa figura era nota ai Sumeri come Innin, ai Babilonesi ed Assiri come Ishtar, agli Egiziani come Iside.
    Molto più vicina all’uomo è il loro figlio Baal, oppure Adon o Eshmun, venerato come Melkart presso Cartagine e Tiro. Egli ogni anno moriva e poi risorgeva, richiamando le stagioni. Egli si sacrifica per l’uomo: muore e risorge per lui. Questa figura farà nascere il mito di Ercole (Eracle) e di Adone, importato in Grecia.
    C’erano altre divinità, forse realizzate dai sacerdoti per esigenze locali: Kusor, dio del mare e guardiano delle stagioni; Hijon, protettore degli artigiani e degli industriali; Dagon, dio del grano; Shadrapa, patrono dei medici, Reshef, amministratore di tuoni e di fulmini; Misor e Sydyk, dei della giustizia.
    Si credeva che il mondo fosse un uovo, creato da El, e che una sua rotazione violenta avesse separato terra e acque. Poi furono creati gli dei e fu fatto l’uomo, da cui ebbero origine le vite animali e vegetali. Baal e Baalat erano venerati un po’ dappertutto.
    Presso la cultura fenicia si celebrava il rito della prostituzione sacra. Ogni donna, solo una volta l’anno, in occasione di particolari feste, concedeva il proprio corpo. Questo per consentire all’uomo di corrispondere direttamente con la divinità, tra l’altro si trattava di un simbolo di fertilità.
    L’elemento ravvivante per queste divinità era il sacrificio, simbolo dunque di rigenerazione e di resurrezione. Baal voleva che una madre sacrificasse il figlio con il sorriso sulle labbra: per questo erano vietati pianti e lamenti in queste circostanze.
    Questa religione ebbe molti contrasti con il vicino monoteismo di Israele. A tale proposito è indicativa la lotta ingaggiata dal profeta Isaia contro la regina fenicia Jezabel, fino al punto di farla uccidere. Questo infatti simboleggiava la vittoria del monoteismo e della tradizione ebraica sul politeismo fenicio.
    La filosofia di vita fenicia, imperniata sul vivere basandosi sul razionale, sul non confidare nel futuro e negli dei, sul non attendersi nulla per non essere delusi, sul vivere in uno stato di apparente serenità fu all’origine dello stoicismo.
    Dalla religione fenicia nacquero dei miti, sviluppati poi dai greci: Afrodite, Europa, Adone e Dioniso.

  • Fenici: lo sviluppo

    Sviluppo
    Nata verso il 1150 a.C., la civiltà fenicia si avviò ad un lento declino verso l’850 a.C., con la dominazione assiro-babilonese, fino al 350 a.C., periodo della dominazione macedone di Alessandro Magno.
    Tramite una fitta rete di commerci e attraverso l’uso delle navi triremi di loro invenzione, si sparsero in tutto il Mediterraneo, fondando città ovunque. E’ possibile riassumere la seguente situazione.
    Libano: Tiro, Sidone, Tripoli, Haifa, Arvad, Beruta (Beirut);
    Africa Settentrionale: Leptis Magna, Utica, Cartagine, Tunisi, Lisso (dopo le colonne d’Ercole);
    Sicilia occidentale: Drapana (Trapani), Lilibeo (Marsala), Panormo (Palermo), Mothya (Mozia);
    Spagna: Gadir (Cadice), Ibiza e Cartagena;
    Sardegna: Nora, Cagliari, Bythia, Carloforte, Tharros e Sant’Antioco;
    Creta, Rodi, Melo, Malta, Gozo, Cipro.
    Si presume che anche la città di Tebe in Grecia abbia origini fenicie. Su alcuni documenti si racconta della presenza fenicia anche in alcuni porti dell’Asia Minore
    I Fenici subirono diverse dominazioni, ma le affrontarono intelligentemente, rispettandole. In cambio poterono mantenere una certa autonomia economica.
    La Fenicia convisse con Israele in modo pacifico, sviluppando un’intensa attività commerciale. A Tale proposito, ricordiamo che intorno al 1600 a.C. l’Egitto si trovava sotto il controllo degli Hyksos. Questo era un popolo di origine hurrita, cioè caucasico, proveniente dalle regioni dell’Urartu, molto favorevole agli ebrei, che aveva conquistato la mesopotamia, stabilendosi tra Siria ed Assiria, ed era in lotta con gli ittiti. I semiti, seguendo Giuseppe, migrarono dalle dure terre palestinesi verso il delta del Nilo, dove vissero in pace e serenità.
    Successivamente nel 1570 a.C., il faraone Ahmose dell’Alto Egitto cacciò gli Hyksos e fondò il Regno Nuovo, destinato a durare quattro secoli. Sotto Tutmosi III, gli ebrei migrarono dall’Egitto, guidati da Mosè (forse un seguace del monoteista Akhenaton, che si avvalse di Aronne per comunicare con i semiti) e si ristabilirono nella Palestina, occupata nel frattempo da altri popoli, fondando le dodici tribù. Siamo intorno al 1200-1100 a.C., a questo punto, come già detto, entra in scena Davide che riunisce le tribù e fonda il regno di Israele, approfittando del fatto che l’Egitto, in lotta con gli Ittiti, lascia un po’ di autonomia alla Palestina.
    In seguito alla dominazione dei popoli del mare nasce il regno dei Fenici. Le città di Tiro, fondata da Hiram prima del 1100 a.C., e Sidone prendono il posto, come importanza, di Biblo. La convivenza con Israele, basata sul commercio, si interruppe per questioni religiose.
    La convivenza con l’Egitto fu ottima e sempre imperniata al commercio. Verso l’850 a.C. gli assiri di Assurnarsipal II, non più minacciati dal pericolo dei Medi, conquistarono i fenici, i quali, consapevoli della loro inferiorità, andarono incontro agli aggressori con pace e proponendo commerci. Ciò ebbe i suoi frutti fino al 700 a.C., quando tutte le città parteciparono ad una rivolta armena antiassira, subito sedata da Sennacherib, che impose una tassazione elevata. Sidone subì devastazioni, Tiro si difese e la sua isola non fu presa, nonostante alcune città fenicie collaborarono con gli assiri, come faranno secoli dopo con Alessandro Magno.
    Sotto il successore assiro Asarhaddon, Sidone si ribellò e stavolta fu Tiro a collaborare con i mesopotamici. Sidone fu distrutta. Fu poi la volta di Assurbanipal che continuò a controllare la zona.
    In generale, però la Fenicia, anche se divisa in due provincie (settentrionale e meridionale), continuò a prosperare con i commerci.
    Intorno all’800 a.C. alcuni abitanti di Tiro migrarono in Africa e fondarono Cartagine.
    La cultura che ne deriverà acquisterà sempre più potere, fino allo scontro con quella romana, che segnerà la sua fine.
    Nel 600 a.C. la civiltà di Assur e di Ninive lasciò il posto a quella di Babilonia, sotto il dominio di Nabucodonosor II, che scese fino in Egitto. I Fenici si allearono con Israele per contrastarlo, ma furono sconfitti. Gli ebrei conobbero la cattività babilonese, ma Tiro resistette di nuovo, dal 585 a.C. al 572 a.C., proponendo alla fine un patto di pace, in cui formalmente veniva annessa a Babilonia, mantenendo comunque una certa autonomia economica. Questo grazie anche alla politica del lungimirante re babilonese che sognava un grande impero in armonia. Gli ingegneri fenici lavorarono a Babilonia e la resero una delle città più belle del mondo.
    Nel 539 a.C. il re persiano Ciro II conquistò la Mesopotamia e quindi la Fenicia. I fenici costituirono la marina persiana e aiutarono gli ebrei a ricostruire Gerusalemme, abbandonata per il periodo di cattività. La convivenza con la Persia fu eccellente, anche se Tiro perse Cipro, presa dall’Egitto.
    Nel 525 a.C. il re persiano Cambise conquistò anche l’Egitto ed i Fenici collaborarono nell’impresa, avendo in cambio la quasi totale indipendenza.
    Nel 500 a.C., Dario era il re dell’impero persiano. Dinanzi a Salamina di Cipro i fenici furono sconfitti dai greci, inferiori come numero ed esperienza, successivamente presso Samo, con l’aiuto di Dario i fenici vinsero.
    Nel 480 a.C., Serse I, nuovo re di Persia, con 1207 navi, comandate da fenici, affrontò le 313 navi greche di Temistocle, presso la baia di Salamina in Grecia, venendo sconfitto. Fu poi la volta della sconfitta di Micale, presso Mileto. Contemporaneamente, presso Imera, in Sicilia, i siracusani (alleati dei greci) sconfissero truppe cartaginesi ed etrusche. Dunque, la Grecia fece la sua comparsa sui mari che prima erano fenici. Nel 465 a.C. gli elleni presero Cipro ed ormai, assieme a Cartagine, presero il posto dei libanesi, sempre più sotto le satrapie persiane.
    Verso il 350 a.C. Tripoli fu nominata capitale della federazione fenicia. I fenici avevano capito che dovevano unirsi, ma ormai era troppo tardi. Le città fenicie rimasero sotto il giogo persiano, nonostante qualche rivolta di Sidone e di Tiro.
    Nel 332 a.C. Alessandro Magno, diretto in Egitto, comincia ad assediare Tiro, dopo aver annesso le altre città fenicie. Secondo la sua strategia questa città doveva essere distrutta, perché rappresentava sempre la marina dei persiani. Fu aiutato da altre città fenicie e realizzò una diga che tolse ai tirii l’elemento naturale di difesa: il mare. Tiro, che aveva ricevuto la promessa di aiuto da parte di Cartagine, si difese strenuamente, poi, non ricevendo alcuna collaborazione esterna, capitolò. Fu la fine del regno fenicio. Tiro fu distrutta e rifiorì un po’ sotto i romani.
    Verso il 300 a.C. Alessandro Magno non c’era più ed il suo impero fu diviso in tre diadochie: la Macedonia sotto gli agonidi, l’Egitto sotto i tolemaici e l’Asia Minore sotto i seleucidi. Per quanto riguarda la Fenicia, anche se il suo regno non c’era più, ci furono ancora delle attività commerciali di svariato tipo. L’elemento dominante era però l’ellenizzazione dei costumi e della società: basti pensare che ogni 5 anni a Tiro si svolgevano i giochi.
    In questo periodo lo spirito fenicio sopravvisse in Cartagine che ebbe un grande splendore e presto si scontrò dapprima con i greci e poi con i romani.

  • Fenici: la società

    Società
    Delle città fenicie si conosce poco, in quanto, per la maggior parte, sono andate distrutte. E’ comunque possibile descrivere un modello anche sulla base di quello di Cartagine. A capo di tutti era un re che regnava incontrastato. Questo accadeva in Fenicia, mentre a Cartagine vi era un suffeta eletto dal Senato e dal Consiglio dei Cento. Questi deteneva il potere giudiziario e parte di quello esecutivo, mentre quello legislativo era affidato al Senato. Esisteva anche un Assemblea del Popolo, interpellata se c’erano discordanze tra il suffeta ed il Senato.
    Esisteva anche una casta sacerdotale, articolata su precisi riti e simboli. Inoltre, la grande attività commerciale favoriva la presenza di una classe borghese che spesso aveva anche influenze sulla scena politica. La ricchezza era data non dalla proprietà terriera, come in molte altre civiltà, ma dalle numerose attività economiche.
    Numerose erano le città fenicie, tutte vivevano tra loro separate, solo alla fine dell’indipendenza, prima dell’egemonia assiro-babilonese, si creò un federazione con capitale Tripoli, a nord di Biblo.
    Ciascuna città era difesa molto bene: era isolata sul mare e cinta da possenti mura. Ciascuna di esse era caratterizzata da mercati e da una numerosa presenza di persone per le strade sempre vive e animate.
    Poco si conosce della condizione femminile e del resto della popolazione, si sa comunque che il tenore di vita era medio-alto, anche perché la popolazione non era tantissima. Ciò è testimoniato dall’opulenza delle città e dalla presenza di diversi schiavi.

  • Fenici: le attività

    Attività
    Le fonti storiche che racconta no dei Fenici non sono moltissime: Erodoto, Livio, Diodoro Siculo, Plinio, la Bibbia.
    Inventarono il vetro e lo diffusero in tutto il mondo allora conosciuto, creando il commercio di massa. Impiegarono la porpora per colorare vestiti, sfruttando dei molluschi marini, che commercializzavano ad altissimo costo.
    Furono buoni conoscitori della scienza medica e dell’astrologia. Abili musicisti, si dilettavano con il flauto.
    Perfezionando il codice “lineare B” adottato dai Cretesi (ripreso anche dagli egizi ed i popoli mesopotamici), furono i primi ad introdurre nella civiltà l’alfabeto che fu poi perfezionato dai Greci.
    Furono i primi a circumnavigare l’Africa, ad andare in America.
    vevano rotte preferenziali con il Camerun e la Costa d’Avorio, da cui traevano ricchezza e schiavi da rivendere nei mercati.
    Inventarono il commercio e barattavano con i loro prodotti oro, ferro, stagno, tessuti, avorio e altro materiale.
    Grandissimi navigatori, fondarono tantissime colonie, come base di rifornimento e di sosta, mai a scopo militare (se non nel periodo cartaginese). Inventarono il mito delle colonne d’Ercole in onore del dio Baal.
    Grandi ingegneri realizzarono palazzi e templi importanti come quello di Salomone a Gerusalemme o di Nabucodonosor a Babilonia.
    Costruirono porti in grado di difendersi automaticamente dalle maree o da fenomeni di insabbiamento: basti pensare a Sidone, Cartagine e altre città. Realizzarono città importanti e potenti come Tiro (costruita su un’isola) e Cartagine.
    Tutte le città fenicie erano belle, decorate, risplendenti d’oro, come nel caso di Tiro, caratterizzate da possenti mura difensive e da porti funzionali.
    Le navi entravano in porto solo per operazioni di carico e scarico, mentre, per il resto, restavano in mare. Progettarono e realizzarono il canale di Suez, assieme agli egizi.
    Abili lavoratori del ferro e del metallo, fondarono la città di Esion Gheber sul Mar Rosso e commerciarono con le Indie. Tipico poi era il luogo nel quale si potevano trovare città fenicie: una baia protetta, un’altura limitrofa, una sorgente d’acqua nelle vicinanze e un po’ di terra coltivabile per le emergenze. Svilupparono anche una discreta industria tessile, indirizzata sempre a fini commerciali.
    Dal punto di vista militare non avevano grossi eserciti. L’unica attività bellica fenicia che la storia ci tramanda è legata alla conquista di Cipro, isola ricca di minerali che facevano gola ai mercanti di Tiro e Sidone.
    Il considerare una città separata dalle altre fu un limite per questa civiltà, in quanto non venivano mai intraprese operazioni comunitarie. Numerosi sono gli esempi di attività bellica difensiva delle città. In particolare, Tiro ci ha tramandato numerosi artifici difensivi per non cadere sotto gli Assiri, i Babilonesi, i Persiani ed i Macedoni, che la distrussero.
    Diversa è la situazione di Cartagine che intraprese numerose attività belliche, che la portarono alla conquista di quasi tutta la Spagna, la Sicilia, la Sardegna e alla guerra contro Roma. In principio erano impiegati soldati mercenari, ma poi, con l’evoluzione della società punica, maturò un senso civico, da cui nacque un esercito proprio.

  • Gesù Cristo

    Lo storico Dionigi il Piccolo fece risalire la nascita di Gesù 753 anni dopo la fondazione di Roma, fissando l’inizio dell’era volgare. Anche se la tradizione ha accolto da sempre questa data, in realtà lo storico errò di circa cinque anni. Anche la cronologia della vita di Gesù è oggetto di discussione tra gli studiosi. La tesi più accreditata è la seguente: Gesù sarebbe nato quindi nel 5 a. C. e avrebbe iniziato il ministero pubblico a circa trentatrè anni, nel 27 d. C. La morte sarebbe avvenuta il 7 aprile del 30 d. C.
    Le fonti della vita di Gesù sono essenzialmente di tre tipi: quelle non cristiane, che contengono riferimenti all’esistenza storica di Gesù, quelle cristiane non accolte ufficialmente dalla Chiesa (come i Vangeli apocrifi) e quelle accettate dalla Chiesa (che costituiscono il Nuovo Testamento) che ne attestano la duplice natura umana e divina. In base a queste ultime fonti, la nascita di Gesù avvenne a Betlemme, ove Maria e Giuseppe, del casato di David, si erano recati per il censimento voluto da Quirino, legato romano della Siria; in seguito la famiglia fuggì in Egitto per salvarsi dalla strage degli innocenti voluta da Erode, re di Giudea. Alla morte di Erode, Giuseppe, Maria e Gesù tornarono a Nazareth. La vita pubblica iniziò con il Battesimo nel Giordano ricevuto da Giovanni e dopo un periodo di quaranta giorni nel deserto. Gesù tornò in Galilea ove cominciò a raccogliere i suoi discepoli. Dopo la prima Pasqua della sua vita pubblica passata a Gerusalemme, fu di nuovo in Galilea e nella Betsaida, a Genesaret e Cafarnao e, fuori dalla Palestina, nella Decapoli e nella Fenicia. Tornato in Galilea, si dedicò ancora la predicazione per parabole. Nel periodo della terza e ultima Pasqua della sua vita pubblica si trovava ancora a Gerusalemme, ove fu catturato e sottoposto a processo, dapprima davanti ad Anna, sommo sacerdote non più in carica, e poi di fronte al sinedrio. L’accusa di bestemmia, in seguito alla sua proclamazione di essere il Cristo, figlio di Dio, gli costò la condanna a morte. Tale condanna doveva essere confermata dal procuratore romano Pilato, che saputo che Gesù era galileo, cercò di evitare la responsabilità dell’avvallo della condanna; mandò infatti Gesù da Erode, tetrarca di Galilea che si trovava a Gerusalemme. Interrogatolo a lungo senza ottenere risposte Erode fece tornare Gesù da Pilato, che chiese alla folla quale condannato, tra Gesù e Barabba, dovesse essere risparmiato. La scelta di Barabba portò definitamente Gesù alla crocifissione sul Golgota, il giorno di venerdì. Maria di Magdala, recandosi sulla tomba di Gesù la domenica, trovò la tomba vuota: Gesù era risorto e apparve in seguito a Maria di Magdala, ai discepoli sulla strada per Emmaus e a Gerusalemme. Secondo la religione cristiana, dopo quaranta giorni Gesù nei pressi di Gerusalemme apparve di nuovo ai discepoli e ascese al cielo.
    La nuova religione incominciò a diffondersi nell’età di Tiberio (14-38), a partire dalla Palestina, provincia romana, prima in Asia Minore e nelle regioni orientali dell’impero, quindi in Occidente. La religione concepiva la salvezza ultraterrena come il risultato della scena terrena: proprio la passione e sacrificio del figlio di Dio fatto uomo esigono dal credente l’insegnamento di Cristo e l’impegno a realizzare il messaggio dell’amore e della frattelanza. Il cristianesimo non si opponeva all’autorità civile, ma non le riconosceva alcuna giustificazione divina. Ben presto aveva incominciato ad attecchire i ceti medio-alti, l’aristocrazia romana, i quadri dell’esercito e della burocrazia, e la stessa corte imperiale. L’imperatore Costantino, sancendo nel 313 la libertà di culto per i cristiani avrebbe preso definitivamente atto di questa realtà .

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  • Roma dal 753 A.C. al 31 A.C.

    Roma, fondata secondo le tradizioni nel 753 a.C. dal mitico Romolo, nacque in realtà da una fusione delle tribù che abitavano i vilaggi fortificati posti su colli alla sinistra del Tevere. Questi gruppi di persone costruirono il foro, uno spazio comune situato in basso nella pianura circondata dai colli, dove si teneva il mercato e le assemblee. La prima forma di governo di Roma fu la monarchia elettiva: essa durò due secoli e mezzo, dalla metà dell’VII secolo a.C. alla fine del VI. Fra i cittadini non vi erano forti differenze per quanto riguarda il tenore di vita, esisteva comunque una divisione sociali fra i patrizi, ricchi, nobili e politicamente influenti e plebei, poveri e dunque esclusi dalla politica. Il re amministrava la giustizia, era capo dell’esercito e svolgeva i compiti di sommo sacerdote. La popolazione era originariamente suddivisa in tre tribù, che avevano il compito di fornire all’esercito cento fanti e dieci cavalieri; inoltre dovevano eleggere dieci senatori. Questo ordinamento venne successivamente riformato suddividendo la cittadinanzain ventuno tribù su base esclusivamente territoriale.
    Nel corso del V secolo a.C. si vennero progressivamente delineando le caratteristiche del nuovo ordinamento repubblicano. Il primo periodo della repubblica si differenzia da quello monarchico sostanzialmente per un fatto: invece di un re in carica fino alla morte, il senato patrizio eleggeva ogni anno due consoli (repubblica aristocratica). Le prerogative religiose erano affidate a un sacerdote apposito. Il governo, anche qui, era in mano ai patrizi, i soli che ricoprivano cariche pubbliche e che erano membri di diritto del senato. Solo loro potevano fare le leggi. Non è facile cogliere la vera origine di questi distinti ordines, anche perchè le risposte date finora dagli studiosi sono state estremamente diverse; patrizi e plebei, se ebbero tra loro profonde differenze di carattere economico, sociale e religioso (professavano infatti culti diversi) dovettero inizialmente (nel periodo monarchico) distinguersi soprattutto per motivi etnici. C’è chi ha voluto vedere, ad esempio, nei patrizi i latini che si imposero sull’etnia sabina, cioè i plebei; oppure individuare nei patrizi gli etruschi conquistatori (etruschi erano i re Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo) che sottomisero la componente etnica latino-sabina, riducendola a plebe. Certo è che la lotta che si sviluppò tra patrizi e plebei nelle prime fasi dell’età Repubblicana portò alla progressiva abolizione di numerosi privilegi politico-sociali del patriziato. I plebei, pur essendo costretti a partecipare alle guerre non avevano il diritto di partecipare alla spartizione dei territori occupati. Sicchè, ad ogni guerra il divario tra patrizi e plebei invece di diminuire, aumentava. La pretesa parificazione dei diritti con i patrizi, portò i plebei a condurre dure lotte sociali, civili e politiche. Alla fine i patrizi furono costretti a riconoscere due magistrati (tribuni della plebe) come rappresentanti dei plebei in senato. Essi potevano opporre il loro veto alle leggi ritenute anti-plebee. Ma la più grande conquista dei plebei furono le Leggi delle XII tavole (incise nel 450 a.C. su tavole di bronzo ed esposte nel Foro, la piazza più importante della città ). Esse segnano il passaggio dal diritto orale a quello scritto: affermano il principio dell’uguaglianza davanti alla legge e la sovranità del popolo. Tuttavia, solo dopo circa un secolo e mezzo fu riconosciuto ai plebei il diritto di accedere a tutte le cariche pubbliche. I vari magistrati erano eletti dai cittadini. In momenti difficili, come in caso di guerra, tutti i poteri si concentravano nelle mani di un solo capo, il dittatore, che per impedire si trasformasse in tirannia restava in carica solo sei mesi. La celebre sigla, S.P.Q.R. che assieme alla Lupa Capitolina era il simbolo del potere di Roma, significa Senatum Popolus Quae Romanus ossia Senato del Popolo Romano. Nel 494 a.C. la secessione della plebe guidata da Menenio Agrippa diede luogo all’elezione dei tribuni della plebe (tribuni plebis). Eletti annualmente, godevano dell’inviolabilità personale (sacrosanctitas) e del diritto di veto sulle deliberazioni dei magistrati patrizi (intercessio) e rappresentavano per i plebei il punto di riferimento politico nei conflitti con il patriziato: avevano cioè ufficialmente il diritto di soccorrere la plebe (ius auxilii ferendi plebi). Questi cambiamenti politici segnarono la nascita di una nuova aristocrazia. Il Senato, che originariamente possedeva solo una serie di limitate prerogative amministrative, divenne il fulcro del governo della Repubblica, poichè a esso spettava ogni decisione in materia di pace e di guerra, nella scelta delle alleanze e delle colonie da fondare, nel controllo delle finanze statali.
    A Roma i banchetti svolgevano un ruolo in parte diverso rispetto a quello giocato nel modo greco. Venivano consumai alimenti molto semplici, come vegetali o legumi, spesso crudi o freddi, e che non richiedeva la compagnia delle altre persone. Roma ereditò dai greci molti aspetti della propria civiltà e tra gli altri l’interesse per i giochi agonistici. Tuttavia lo sport presso i romani perse del tutto il suo originario significato rituale, per trasformarsi definitivamente in uno spettacolo. I romani introdussero anche nuove attività nei giochi che si svolgevano negli anfiteatri, come ad esempio le lotte tra gladiatori o tra gladiatori o animali feroci. Mentre i greci amavano soprattutto la forza, la destrezza e l’armonia del gesto atletico, i romani preferivano le emozioni forti e non disdegnavano quindi gli spettacoli violenti e sanguinari.
    Roma, al contrario delle città greche, manifestò molto presto la volontà di uscire dai propri confini. La concessione dei diritti ai plebei portò le classi e i ceti più agiati a scatenare diverse guerre di conquista contro i popoli vicini, per recuperare, per così dire, i privilegi perduti. Tra il 449 e il 390 a.C. la politica espansionistica di Roma divenne particolarmente aggressiva: con la presa di Veio (396 a.C.) da parte di Marco Furio Camillo, l’Etruria iniziò a perdere la propria indipendenza. Intorno alla metà del IV secolo a.C., nell’Etruria meridionale vennero stanziate alcune guarnigioni romane. Le vittorie su volsci, latini ed ernici assegnarono a Roma il controllo dell’Italia centrale. Dopo aver domato a fatica la ribellione delle città latine (338 a.C.), Roma ingaggiò un lungo conflitto con i sanniti. Alla fine delle guerre sannitiche, nel 296 a.C. l’area sotto il controllo di Roma si estendeva su tutta l’Italia centrale.
    Tra l’inizio del IV e il III secolo a.C. i celti iniziarono a esercitare una pressione, che a sua volta era dovuto alla pressione dei popoli nordici, che provocarono una serie di migrazioni: i Celti penetrarono nel mondo greco-romano, invadendo l’Italia settentrionale, la Macedonia, la Tessaglia, e saccheggiando Roma (390) e Delfi (279), ma qui senza successo, pur rimanendo nei Balcani. Nel 225 il loro potere cominciò a vacillare in seguito alla sconfitta inflitta dai Romani a Talamone, e la loro supremazia in Europa cominciò a declinare, anche se occorsero altri 200 anni prima che Giulio Cesare sottomettesse la Gallia (58 a.C.) e un altro secolo ancora prima che la Britannia venisse annessa all’Impero Romano. Ma la loro storia non termina con la conquista romana. I Celti infatti continuarono ad esistere in tutta Europa e, sebbene le loro favelle siano scomparse in molti luoghi, sono rimaste vive le loro idee, le loro superstizioni, le loro feste popolari, i nomi che hanno dato alle località .
    La conquista della Campania nel IV secolo a.C. mise Roma a diretto contatto le città greche dell’Italia meridionale. Taranto, entrato in guerra, chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro. Pirro forse dall’ambizione di creare uno stato greco nell’Italia meridionale, sbarcò in Italia nel 280 a.C.; ma dopo alcune vittorie iniziali fu sconfitto nel 275 a.C. a Benevento. I tarantini furono costretti ad arrendersi e ad accettare l’alleanza con Roma, che in breve tempo conquistò tutta l’Italia meridionale. A nord le ultime comunità etrusche indipendenti vennero acquisite pochi anni dopo. Roma organizzò le città e i popoli sottomessi nella seguenti forme: municipi: erano città che conservavano la possibilità di governarsi da sè con l’obbligo di versare tributi per le spese militari; colonie: erano nuclei di militari trasferiti a presidio di territori di recente conquista; premature: erano città considerati pericolose, cui non era concessa nessuna autonomia ed erano governate da funzionari romani, i prefetti; alleati: erano stati che Roma legò a sè con contratti: restavano indipendenti ma dovevano fornire aiuto militare a Roma.
    Roma, dovette affrontare lo scontro più duro con i Cartaginesi per fondare il suo impero sul Mediterraneo e diventare oltre che una potenza terrestre una potenza marinara. Il primo conflitto tra romani e cartaginesi si verificò in Sicilia. L’isola era dominata nella parte occidentale dai cartaginesi e nella parte orientale da Gerone, tiranno di Siracusa. Un capo di soldati mercenari licenziati da Gerone aveva occupato Messina e si era posto sotto la protezione dei romani. Questi, passati lo stretto, sconfissero Gerone e lo costrinsero a firmare con essi un patto di alleanza. Contro i romani insorsero i cartaginesi, desiderosi di ricacciarli dall’isola, ed ebbe così inizio la prima guerra punica (264-241 a.C.) e i romani riuscirono a trarre dalla loro parte Gerone. Roma, per escludere i cartaginesi dall’isola dovette pensare a batterli per mare, proprio dove avevano un evidente superiorità . La guerra durò diversi anni, finchè i romani sconfissero i cartaginesi, costretti ad abbandonare l’isola. Poco dopo, i romani, approfittando della debolezza del nimeco vinto, riuscirono ad annettere anche la Sardegna (la Corsica era già stata occupata durante il conflitto). Direttamente connesse al conflitto con Cartagine furono altre imprese militari: la guerra contro i celti, spinti da Annibale alla sollevazione, che permise ai romani di impadronirsi dell’Italia settentrionale e dell’attuale Francia. Le popolazioni che vivevano in questi territori erano molto eterogenee: liguri, iberi, celti, cimbri, teutoni, belgi e tanti altri ancora.
    Cartagine, dopo la sconfitta, aveva cercato in Spagna un compenso delle perdite subite e per mezzo di grandi generali quali Amilcare Barca, suo genero Asdrubale e suo figlio Annibale, aveva esteso la sua egemonia fino all’interno della penisola. Nel 226 a.c. Roma strinse con Annibale un trattato col quale egli si impegnava a non oltrepassare il confine dell’Ebro. Annibale nel 220 a. C. aveva posto l’assedio a Sagunto, una città alleata dei romani, che dichiararono guerra (218 a.C.). I romani si proponevano di portare l’offensiva sia in Spagna sia in Africa, ma ogni loro piano fu sconvolto dall’audace strategia di Annibale. Con le vittorie sul Ticino e sul Trebbia, Annibale si rese padrone della Valle Padana. Non rimaneva che tentare la difesa dei valichi e dell’Appennino, ma ancora una volta Annibale prevalse grazie alla sua superiorità . Ormai il nemico era giunto fino al cuore dell’Italia, incutendo terrore nella stessa Roma. Gran parte degli alleati dell’Italia meridionale, costretti dalla forza, si staccarono da Roma. La guerra si allargò alla Sicilia e alla penisola balcanica, dove Annibale trovò un alleato nel re di Macedonia Filippo V. I romani dettero prova di grande prontezza e forza d’animo. Annibale, nel 211 a.C., fece col suo esercito un’incursione fino a poche miglia di Roma. In Spagna, dove fino ad allora erano prevalsi i cartaginesi, il comando viene assunto dal giovane generale Publio Cornelio Scipione. Scipione comprese che l’unico mezzo per costringere Annibale ad abbandonare l’Italia era quello di tentare uno sbarco in Africa. Stretta alleanza con Massinissa, un principe dei Numidi, nemico dei cartaginesi, sbarcò in Africa. Nonostante la strenua resistenza, i soldati di Annibale vennero sbaragliati. Marco Porcio Cotone, console nel 195 a.C., si recò con un commissione in Africa e fu profondamente colpito dalla prosperità di Cartagine. Il preteso per un intervento che segnasse la fine dell’antica rivale fu offerta a Roma nel 150 a.C., quando Massinissa assalì nuovamente la città . La terza guerra punica, che era sembrata di grande importanza si potrasse per tre anni. Cartagine fu distrutta e il suo territorio venne costituito in provincia con il nome di Africa.
    Lo scontro con Roma, che mirava ad estendere il proprio controllo sull’ Adriatico, fu inevitabile: le guerre illirico-romane, iniziate nel 229 a.C. si conclusero nel 167 a.C. con la vittoria di Roma. Il popolo illirico (Albania) fu ridotto in schiavitù e il suo territorio fu frazionato in piccole unita’ amministrative.
    Nel 200 a.C. in Portogallo viene costituita la provincia romana di Litania.
    Verso la fine del III secolo la Macedonia, sotto Filippo V, era in piena ripresa e mirava nel vecchio sogno di stabilire la sua supremazia sulla Grecia e sull’Egeo. Filippo V di Macedonia e Antiocco III di Siria, nel 202 a.C., strinsero un’alleanza per attaccare l’Egitto e spartisene i possedimenti. Roma non aveva interesse immediato ad intervenire confidando che, lasciato a se stesso, l’Oriente avrebbe continuato a indebolirsi. Ma Scipione l’Africano vedeva nell’Oriente un immenso campo di gloria; così nel 200 a.C. fu dichiarata guerra a Filippo. Lo scontro decisivo avvenne nel 197 a.C. in Tassaglia, dove le falangi macedoni furono completamente disfatti. Filippo fu obbligato a pagare una forte idennità di guerra e dovette rinunciare a tutte le conquiste fatte. Roma dovette volgersi ad Antiocco III. Contro le sue speranze trovò pochi aiuti, mentre Atene con la maggior parte delle città greche e lo stesso Filippo V, si alleava con Roma. La pace venne conclusa nel 168 a.C. a condizione assai grave per il re di Siria. Perse V, che succedete a Filippo V, ereditò dal padre sogni di riscossa e intervenne attivamente in Grecia con le armi e stabilendovi relazioni diplomatiche. Roma, vista minacciata la propria egemonia in Oriente, dichiarava guerra a Perseo V. il re fu catturato e con lui un immenso bottino. Con la battaglia di Pidna (168 a.C.) finisce la stopria del regno di Macedonia. Esso fu sventrato in quattro stati autonomi e qualche anno dopo diventava una provincia di Roma. Nel 146 a.C. la Grecia divenne provincia romana.
    Un’ulteriore espansione di Roma nell’Oriente si ebbe nel 133 a.C., quando l’ultimo re di Pergamo, Atallo III lasciò in ereditò all’alleata Roma il suo stato, che abbracciava un notevole porzione dell’Asia Minore. Il regno fu ordinato provincia con il nome di Asia.
    La prima conseguenza di tale unificazione fu un generale sviluppo dell’economia, favorito da diversi fattori, in particolare l’esistenza di un grande e solido impero, che facilitò l’interdipendenza dei mercati, le province infatti si aprirono le une alle altre.
    Altra conseguenza fu la rovina della piccola proprietà contadina: indebitati e immiseriti, i contadini furono spinti a vendere la loro proprietà a chi possedeva abbondanti capitali da investire. A questo si accompagnò una forte urbabanizzazione, che ebbe però prevalentemente parassitari. Qui disoccupati e agricoltori impoveriti emigrarono in gran numero. Tutte queste persone campavano sulle distruzioni gratuite di vettovaglie. Alla mancanza soluzioni del problema delle terre si aggiunse lo scontento degli alleati italici, che sempre più erano portati a riconoscersi come cittadini romani, mentre di fatto erano quasi ridotti alla condizioni di sudditi. Un’altra fonte di tensione nasceva dalle rivendicazioni di un ceto sociali cresciuto con le guerre, i cavalieri, formati da artigiani, ricchi commercianti e dai pubblicani, le persone cui lo stato aveva affidato la gestione degli affari pubblici. Pur essendo benestanti erano tuttavia non-nobili e pertanto esclusi dalle cariche pubbliche.
    Giugurta (nipote di Massinissa) era considerato un alleato da Roma, avendo combattuto in Spagna con Scipione l’Emiliano. Uccise Iempsale (un fratello) e costrinse alla fuga Adertale (un altro fratello). Nel 112 a.C. prese Cirta e massacrò tutti gli italici. Solo allora venne dichiarato nemico di Roma. Iniziò la guerra prima con Quinto Cecilio Metello, detto il numidico, e poi con Mario e Silla. Alla fine venne sconfitto e portato a Roma in catene, ucciso nel carcere mamertino. Ben governata da Roma, la Numidia divenne una provincia ricca, le sue città furono fortificate e la prosperità della sua produzione agricola le valse l’appellativo di “granaio di Roma”.
    Il ruolo centrale dell’esercito fu evidente sin dall’elezione a console (107 a.C.), con l’appoggio dei popolari, di Gaio Mario. Egli attuò una riforma dell’esercito, in base alla quale vennero arruolati tutti coloro (romani, italici o abitanti delle province) che si fossero offerti come volontari; i legionari, dopo una ferma di sedici anni, avrebbero ricevuto, all’atto di congedo, un appezzamento agricolo.Grande antagonista di Mario fu l’aristocratico Silla. Silla dopo due anni di vittoriosa quanto cruenta guerra civile si fece nominare dittatore a tempo indeterminato. Silla, console nell’88 a.C., aveva avuto un ruolo fondamentale nella guerra sociale, e proprio alla testa delle legioni che aveva guidato nel corso di quel conflitto marciò su Roma. La fuga di Caio Mario gli lasciò libero il campo: Silla fu rieletto console e partì per la guerra contro Mitridate nell’87 a.C. Durante la sua assenza, però, Caio Mario e Lucio Cornelio Cinna, rivestendo nuovamente il consolato, si reimpadronirono del potere, che mantennero finchè morirono, Mario nell’86 a.C. e Cinna nell’84 a.C. Quando Silla, nell’83 a.C., ritornò dall’Asia Minore, marciò di nuovo su Roma e stroncò la resistenza dei suoi avversari. Nominato dittatore, egli eliminò i suoi nemici mediante proscrizioni, e le terre appartenenti agli oppositori politici furono confiscate e distribuite ai veterani delle sue legioni; emanò poi numerose leggi (leges Corneliae) che restituivano all’aristocrazia senatoria il pieno controllo della vita politica dello stato, limitando non poco le prerogative dell’ordine equestre, cui Mario aveva concesso alcuni privilegi.
    Nell’88 a.C. Tolomeo X Alessandro I (circa 140-88 a.C.) aveva lasciato l’Egitto in eredità al popolo romano, o almeno questo venne sostenuto. Ma il Senato romano non aveva accettato l’eredità . In effetti Tolomeo IX Soter (142-81 a.C.), fratello di Tolomeo X, era ancora in vita e regnava sull’Egitto. Nell’81 Soter morì. Nell’80 Silla (138-78 a.C.), dittatore di Roma, favorì l’ascesa al trono d’Egitto di Tolomeo XI Alessandro II (circa 100-80 a.C.), figlio di Tolomeo X Alessandro I. Ma poco tempo dopo il popolo di Alessandria insorse e uccise Tolomeo XI. Per impedire che Silla intervenisse di nuovo o annettesse l’Egitto a Roma, fu chiamato dalla Siria Tolomeo XII Auletes, figlio illegittimo di Soter.
    Silla si ritirò dalla politica nel 79 a.C., lasciando un potere che pur nell’ambito di una struttura costituzionale Repubblicana – aveva i caratteri autocratici della monarchia. Ma il senato, non più in grado di garantire una salda guida allo stato, dovette affidarsi di nuovo alle armi e ai poteri eccezionali conferiti a un solo uomo, Pompeo.
    Cesare propose, a Crasso, suo finanziatore e creditore interessato alla ricostituzione del suo patrimonio, e a Pompeo, politicamente isolato dopo che aveva licenziato l’esercito al ritorno dall’Oriente, di costituire un’associazione a tre, di carattere privato e convalidata da un solenne giuramento di reciproca lealtà , che avesse come fine, con opportuna distribuzione di compiti, il predominio sullo Stato (luglio del 60). Ebbe origine così il primo triumvirato, che assicurò l’elezione di Cesare al consolato per il 59. Cesare chiese e ottenne da Pompeo e Crasso la proroga del comando nelle Gallie per un altro quinquennio.
    Verso la metà di dicembre del 59 a.C. Publio Clodio (?-53 a.C.), un tribuno della plebe che aveva fatto approvare una legge per la distribuzione gratuita di grano al popolo di Roma, propose di annettere Cipro per provvedere al finanziamento della legge. In quel momento Cipro, isola appartenente al dominio degli egiziani, era governata da Tolomeo, fratello di Auletes. Tolomeo venne deposto, ma rifiutò l’offerta di divenire sommo sacerdote di Afrodite a Pafo e si suicidò. Auletes non reagì. Il tesoro pubblico di Cipro, pari a circa settemila talenti, venne inviato a Roma. Nel secondo semestre del 58 Auletes venne a trovarsi in gravi difficoltà . Aveva dovuto aumentare le tasse per restituire il debito contratto con Rabirio. Aveva perso Cipro. Non era andato in soccorso del fratello. Il popolo si ribellò e diede il trono a Cleopatra VI Trifena, figlia di Auletes e sorella di Cleopatra VII. Auletes, forse accompagnato dalla dodicenne Cleopatra VII, fuggì a Roma. Cesare era in Gallia. Pompeo accolse Auletes nella sua villa sui colli Albani. Dal 57 Auletes, in attesa del giudizio dei Romani, si era ritirato ad Efeso nel tempio della dea Artemide. Alla fine di aprile del 55 Auletes riebbe il suo trono.
    Crasso andò incontro alla morte (nel 53 a Carre), Cesare portò invece a compimento il capolavoro del suo genio militare. Il triumvirato era ormai divenuto un drumvirato con la morte di Crasso. Nel 51 a.C. Auletes fece testamento lasciando il trono a Cleopatra e a Tolomeo XIV. Inviò il testamento a Roma perchè fosse conservato nel Tesoro. Ma a causa della difficile situazione politica non fu possibile. La copia del testamento venne trattenuta da Pompeo. L’originale era rimasto ad Alessandria. Nella estate del 51 Auletes morì. Sul trono, con l’approvazione di Pompeo, salirono Cleopatra, diciotto anni, e il fratello/sposo Tolomeo XIV, dieci anni.
    Pompeo, nominato console unico (51) dal senato, si credette abbastanza forte per imporre al conquistatore delle Gallie di rientrare in Roma come semplice cittadino. Fallito ogni accordo, il senato adottò un provvedimento di forza: con un senatus consultum ultimum affidò pieni poteri ai consoli e sostituì Cesare nel comando delle Gallie, con l’avvertimento che sarebbe stato dichiarato pubblico nemico se non avesse lasciato la provincia entro un termine stabilito. Cesare era accampato a Ravenna con una legione in attesa degli eventi. Nella notte del 10 gennaio del 49 varcò il Rubicone in aperta violazione della legge, che proibiva l’ingresso armato dentro i confini dell’Italia. Si iniziava con questo atto la guerra civile, che sarebbe durata dal 49 al 45 e che ci è descritta nei Commentari(De bello civili).
    Pompeo, colto di sorpresa, fuggì precipitosamente in Grecia, mentre Cesare occupava l’Italia (gennaio- febbraio 49). Portata la guerra in Grecia, sconfisse Pompeo a Farsalo (48) e lo inseguì in Egitto. Il figlio di Pompeo, Gneo Pompeo, venne inviato in Egitto a chiedere aiuti. Tolomeo XIII diede sessanta navi e cinquecento soldati. L’assenza di ogni riferimento a Cleopatra testimonia di una rottura tra i due fratelli. In effetti Cleopatra era stata costretta alla fuga in Alto Egitto nel 50 e deposta nel 49.
    Pompeo ancorò le navi vicino al promontorio di Kaison in prossimità dell’esercito di Tolomeo. Il Consiglio di Reggenza giudicò la causa di Pompeo senza speranza. Inoltre il consiglio ritenne necessario un atto significativo per entrare nelle grazie di Cesare, contro il quale si erano mosse le navi e l’esercito egiziano: Pompeo doveva morire. Al momento dello sbarco Settimio pugnalò Pompeo. La moglie, il figlio e gli amici assistettero all’assassinio. Gli egiziani tagliarono la testa di Pompeo e abbandonarono il corpo alla pietà di Filippo che, con l’aiuto di un soldato della guerra mitridatica, potè bruciare le sue spoglie. Poi la flotta egiziana assalì quella romana, che venne costretta alla fuga. Dopo quattro giorni dall’assassinio di Pompeo, Cesare arrivò con una flotta di dieci navi da guerra nel porto di Alessandria. Teodoto gli portò a bordo la testa e l’anello di Pompeo. Cesare pianse. Poi, contro ogni previsione degli egiziani, ordinò alle truppe di sbarcare e occupò il palazzo reale. Vista l’ostilità della popolazione ordinò che due legioni venissero ad Alessandria dalle province romane limitrofe.
    Cleopatra, costretta, infatti, dall’ostilità dei favoriti del fratello a lasciare Alessandria, potè rientrarvi solo grazie all’appoggio dello stesso Giulio Cesare, affascinato, secondo la tradizione, dalle sue grandi arti seduttive, e che non esitò a muovere guerra al recalcitrante Tolomeo XIV, provocandone la morte. Cleopatra tornò allora sul trono come sposa di un altro fratello poco più che bambino, Tolomeo XV, ma il suo posto era ormai al fianco di Cesare. Fra i due nacque una grande passione allietata, nel 47 a.C., dalla nascita di un figlio, che ebbe nome Cesarione. La sovrana d’Egitto accompagnò il condottiero romano in un trionfale viaggio lungo il Nilo per presentargli il suo regno. Tornò a Roma per riprendere la lotta contro i superstiti seguaci di Pompeo. Con fulminea rapidità li battè e nel settembre del 45 fece il solenne ingresso nell’Urbe quale signore incontestato del mondo mediterraneo e della repubblica, celebrando un quinto splendido trionfo (ottobre 45).
    Egli poneva le basi di un governo assoluto, autocratico e presumibilmente trasmissibile, come lasciava intendere l’adozione del giovane nipote Ottavio. Ma per la grandezza dei suoi piani occorreva anche il titolo di re: non in Roma, culla della repubblica, dove gli bastava la dittatura per avere l’autorità suprema, ma nelle terre d’Oriente, in cui il titolo di monarca conservava tuttora il prestigioso fascino di antiche teocrazie. Cleopatra non esitò in seguito a raggiungerlo a Roma con il figlio. Qui, pur in condizioni non sempre favorevoli, data la palese diffidenza se non ostilità che la circondava e lo scandalo suscitato dalla sua sola presenza, visse in una magnifica dimora, circondata da onori e da un lusso leggendario che contribuì a rafforzare la sua leggenda. A Roma, Cleopatra rimase fino all’assassinio di Cesare, nelle Idi di marzo del 44 a.C., quindi fece ritorno ad Alessandria.
    Marco Antonio fu abile capitano, oratore eloquente e suasivo, ma uomo licenzioso e crudele. Più tardi, nel 43, Antonio s’accordò con Ottaviano e con Lepido costituendo il secondo triumvirato, il cui primo atto, voluto da lui, fu l’uccisione di Cicerone. Essi si spartirono il potere (pace di Brindisi, 40 a.C.) suggellando la pace con il matrimonio tra Antonio, vedovo di Fulvia, e Ottavia, sorella di Ottaviano. Antonio rimase affascinato e sedotto dalla regina d’Egitto e accettò di dividere con lei le proprie ambizioni e il proprio destino. La loro unione, allietata anche dalla nascita di 3 figli, Alessandro Elio, Cleopatra Selene e Tolomeo, e quella dei loro domini, pareva destinata a dar vita a un grande e potente impero, capace di contrapporsi con successo a quello romano. Antonio concesse a Cleopatra il governo della Fenicia, della Celesiria, di Cipro e di parte della Siria e dell’Arabia, e ai figli avuti da lei il titolo di re. Ma Ottaviano, non potendo più tollerare una tale situazione, mosse guerra alla regina d’Egitto. Il 2 settembre del 31 a.C. ad Azio egli sconfisse duramente i due rivali, che, fuggiti ad Alessandria, senza più speranze, scelsero di darsi la morte, Antonio con un colpo di spada, Cleopatra con il morso di un aspide. Ottaviano sancì la definitiva annessione dell’Egitto a Roma (30 a.C.), dove tornò immediatamente, portando con sè i tre figli di Antonio e Cleopatra, della cui educazione si fece personalmente carico.

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  • L’Italia preromana

    Mentre nascevano le prime civiltà urbane della Mesopotamia e dell’Egitto, in Europa la preistoria non si era ancora conclusa. Basti pensare che la scrittura fece la sua prima comparsain Italia non prima dell’VIII secolo. Le civiltà neolitiche europee conservavano a lungo un’organizzazione tribale e un grado di sviluppo di gran lunga inferiore a quello vicino-orientale.
    Analizziamo il passaggio tra la fase finale dell’Età del Bronzo (metà XII-fine X secolo a.C.) e l’inizio dell’Età del Ferro: il territorio della provincia di Viterbo in questa fase del Bronzo Finale è immerso nell’aspetto culturale protovillanoviano. Come nelle precedenti fasi dell’Età del Bronzo, essi sono situati soprattutto in posizione elevata e spesso, data la natura vulcanica di gran parte della regione, su speroni tufacei circondati da corsi d’acqua; ma si conoscono anche abitati posti nei pressi della costa tirrenica o sulla riva dei laghi vulcanici, come ad esempio il Villaggio del Gran Carro nel Lago di Bolsena. La tipologia prevalente d’insediamento vede la diffusione delle cosiddette aree con difesa perimetrale, porzioni di territorio con difese naturali (fossi, corsi d’acqua, pareti rocciose), talvolta potenziate dall’opera dell’uomo per renderle inespugnabili.
    La superficie coperta dagli insediamenti protovillanoviani, il 70 % dei quali situata su altura difesa, è mediamente di 4-5 ettari: gli abitati, in cui vivevano alcune centinaia di individui, controllavano un territorio di qualche decina di chilometri quadrati.
    Nel periodo del Bronzo finale, caratterizzato dagli aspetti culturali protovillanoviani, si nota una sostanziale aderenza ad alcuni degli aspetti del periodo successivo, quello Villanoviano nell’età del Ferro.
    Parlare del villanoviano significa fare un vero e proprio salto nel tempo di quasi tremila anni per arrivare quasi al IX secolo a.C. i villanoviani non inumavano i propri morti, tranne in rari casi. Di solito li cremavano e metevano i resti dentro a delle urne. Molti esperti ritengono che i villanoviani praticassero dei sacrifici umani, o più semplicemente che un congiunto o un servitore venisse ucciso per seguire il defunto nell’aldilà . Si dormiva e si viveva in un unico ambiente. In grandi vasi c’erano le provviste. Al centro c’era il focolare.
    Il tetto era di canne e in cima c’era un’apertura per il fumo. La civiltà etrusca fiorì a partire dal IX-VIII secolo a.C. nella regione compresa tra i fiumi Arno e Tevere; sul finire del VII secolo a.C., per l’acquista vitalità economica e commercia, gli Etruschi estesero la loro influenza a Sud, nel Lazio e poi in Campania, e a Nord, nella pianura padana, fondando nuove città . Essi si stabilirono anche in Corsica e Sardegna. Da sempre le vicende e la cultura di questo popolo sono avvolte di mistero, favorita dalla sua incerta provenienza. C’è, infatti, che ritiene che gli Etruschi siano giunti attraverso il mare, accreditando l’opinione dello storico greco Erodoto, vissuto nel V secolo a.C. Dionigi di Alicarnasso, vissuto dal 60 a.C. al 7 d.C., asseriva, che gli Etruschi erano autoctoni.
    Oggi si ritiene che i villanoviani accolsero gli apporti, nella lingua come nell’arte, della cultura orientale, di quella greca e degli altri popoli dell’Italia antica, grazie al flusso di genti ed esperienze nell’intesa rete di scambia commerciali e culturali che percorreva tutto il Mediterraneo. Infatti, nel 750 a.C. sbarcarono in Italia i greci e colonizzarono tutto il meridione. I villanoviani cominciarono a scrivere, prima l’alfabeto era sconosciuto. Le loro città fatte di capanne si trasformarono in città con case e templi. I discedento dei villanoviani erano sempre villanoviani dal punto di vista genetico, ma culturalmente erano molto diversi e si chiamavano etruschi. Il nome che noi diamo agli Etruschi corrisponde ai nomi loro dato dai latini (etrusci, tusci).
    I greci li chiamavano Tyrrenoi. Gli etruschi si chiamavano se stessi Rasenta. Occore però precisare che gli Etruschi non costituirono mai un vero e proprio stato unitario, bensì una confederazione di 12 città autonome, organizzate secondo il modello della città -polis greche e fenicie, federate in una lega, al contempo religiosa e politico. A questa lega appartennero le città di Arezzo, Volterra, Perugina, Chiusi, Populonia, Vetulonia, Orvieto, Roselle, Vulci, Tarquina, Cerveteri e Veio. Le città etrusche rette in un primo tempo a monarchia, in seguito subentrarono le repubbliche aristocratiche. I sovrani (detti lucumoni) concentravano nelle loro mani, per un anno, i poteri civili, militari e sacerdotali. Erano assistiti da un consiglio degli anziani, scelti tra i capi delle famiglie nobili, e da un’assemblea popolare. L’Etruria nel VI sec. a.C. aveva ormai una struttura sociale schiavistica.
    Oltre ai contadini sottomessi (molti dei quali era discendenti degli umbri e dei latini vinti un tempo) vi erano gli schiavi comperati e i prigionieri di guerra. La servitù domestica, i musicanti, le danzatrici, i ginnasti erano tutti schiavi. Anche se la lingua degli Etruschi non è stata del tutto interpretata, conosciamo bene l’arte di questo popolo, testimoniata da oggetti, statue e pitture murali rinvenuti nelle loro tombe. Questi reperti attestano che essa ha sviluppato caratteri autonomi rispetto a quella degli altri popoli della penisola e del Mediterraneo. Gli Etruschi furono molto abili nella lavorazione dei materiali che il loro territorio offriva: metalli, argilla. Altra occupazione fondamentale era l’agricoltura: coltivavano cereali d’ogni specie; sulle colline l’ulivo e la vite. Gli Etruschi furono i primi ad utilizzare sistematicamente l’arco, a partire del IV secolo a.C., nella penisola italica e in tutto l’occidente mediterraneo, ma è forse giunto in Italia dall’Asia Minore attraverso le colonie greche. Il suo utilizzo ha rappresentato una tappa fondamentale: nel vecchio sistema trilitico il peso del muro sovrastante grava sull’architrave, che tende a flettersi fino a spezzarsi; l’arco a tutto sesto, ovvero a forma di semicerchio, tende a distribuire tale peso lungo le pareti; in questo modo consente di praticare aperture di grandi dimensioni lungo i muri di qualsiasi altezza e spessore.
    Il tempio etrusco aveva forma e concezione spaziale diversa rispetto quella greco. Diversa era anche la sua utilizzazione: esso non era più la casa degli dei, ma luogo in cui il sacerdote interpretava i segni divini. Non ci sono pervenuti templi nella loro forma originaria. L’architettura funeraria degli Etruschi è documentata dalle ricce tombe, organizzate in vere e proprie città dei morti, la necropoli.
    I falisei, popolo dell’Italia antica, di ceppo linguistico differente a quello degli Etruschi, ha un’entità etnica diversa da questi ultimi, nonostante in alcuni periodi della sua storia si notino dei chiari contatti con la cultura etrusca.
    Il territorio dello stato falisco era compreso tra i confini naturali del fiume Tevere, dei Monti Cimini e Sabatini, corrispondente a parte della provincia di Roma a nord della capitale ed al settore meridionale della provincia di Viterbo. Le città principali della nazione falisca erano, da nord a sud, Vignanello, Fescennium (Corchiano ?), Falerii (Civita Castellana,la capitale), Sutri, Nepi, Capena e Narce (presso l’odierna Calcata). Sutri e Nepi erano poste in un’area di confine tra lo stato etrusco e quello falisco e la loro posizione ha talmente permeato della cultura di questi due popoli le cittadine da rendere difficile, agli storici, stabilirne l’appartenenza ad una nazione piuttosto che all’altra.
    La capitale dei Falisci, Falerii, raggiunge il massimo splendore nel periodo arcaico (VI secolo a.C.): in questo periodo si assiste ad una forte ellenizzazione della cultura falisca con la conseguente rielaborazione dei temi iconografici provenienti appunto dal mondo ellenico. La vicinanza con gli Etruschi fu spesso causa di scelte politiche comuni tra i due popoli: abbiamo notizia di alleanze strette per contrastare Roma che, dal V secolo a.C., diviene sempre più minacciosa nell’avanzata per la conquista dei territori dell’Italia centrale.
    Fra le altre civiltà evolute va segnalata quella dei celti (chiamati galli dai romani), una popolazione di lingua indoeuropea, che intorno al V secolo a.C. fu protagonista di un’imponente movimento migratorio dell’area renana verso la Francia, la Spagna, la Gran Bretagna e l’Italia settentrionale.
    Gli italici dediti alla pastorizia nell’area appenninica, avevano un livello di organizzazione economica, sociale e politica arretrato.

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