Tag: Fascismo

  • L’Italia dal 1945 agli anni novanta

    Dopo la liberazione dell’invasore tedesco e la definitiva sconfitta della dittatura fascista (aprile 1945), l’Italia torno unita e indipendente. Ma come doveva essere la nuova Italia: una monarchia o una repubblica? Dal punto di vista morale le condizioni del paese erano disastrose.Eppure gli italiani seppero reagire affrontando con operosità e fiducia questa drammatica situazione.
    Il 2 giugno 1946, gli italiani furono chiamati a scegliere tra monarchia e repubblica. In questa occasione votarono per la prima volta le donne. Gli italiani scelsero la repubblica. 12.718.641 votarono a favore della repubblica, mentre 10.718.502 si espressero per il mantenimento della monarchia.
    La I repubblica: Il 2 giugno 1946 gli italiani elessero anche un’Assemblea Costituente: un parlamento che doveva scrivere il testo della nuova Costituzione dello Stato. Nel dicembre del 1947 venne approvata la nuova Costituzione repubblicana, che entrò in vigore il 1 gennaio 1948. Il 18 aprile gli italiani vennero chiamati alle urne per eleggere il primo parlamento repubblicano. Sotto la guida di Alcide De Gasperi, nel dopoguerra la Dc è divenuta il maggiore partito italiano. La Dc ottenne il 48.5 per cento dei voti e la maggioranza asoluta dei seggi alla Camera; i comunisti e i socialisti uscirono sconfitti, ottenendo il solo il 31 per cento dei suffragi. De Gasperi, nonostante la DC avesse la forza di governare da sola, scelse di coinvolgere nella maggioranza i partiti di centro. Nel 1950, il governo cercò di affrontare il problema dell’arretratezza del Meridione istituendo la Cassa per il Mezzogiorno.
    Negli anni ’50 la maggior parte degli italiani si guadagnava ancora da vivere nei settori tradizionali (piccole aziende, piccolo commercio, agricoltura). Ma nel periodo 1958-1963 prese via il cosiddetto miracolo italiano: in meno di due decenni l’Italia divenne uno dei paesi più industrializzati del mondo. E proprio l’auto era uno dei prodotti principali dell’industria italiana. Il boom economico non coinvolse il Sud. La prova più evidente fu la grande emigrazione di contadini meridionali verso le città industriali del Nord. A partire dal 1963 la DC e i partiti di centro non poterono più continuare sulla maggioranza assoluta dei parlamentari.
    Alla fine degli anni Sessanta, l’Italia conobbe un periodo di grande lotte sociali condotte prima dagli studenti e poi dagli operai. Già nel 1966-67 gli studenti universitari organizzarono le prime manifestazioni. Questa contestazione era rivolta contro la società nel suo complesso. L’autunno caldo prese il via in settembre con lo sciopero nazionale dei metalmeccanici. La rchiesta avanzata del movimento operaio di una profonda trasformazione dei rapporti di lavoro nelle fabbriche venne accolta dai parlamentari. Nel maggio 1970, la camera approvò lo Statuto dei Lavoratori. Iniziò il cupo periodo del terrorismo politico che ha insanguinato il paese per tutti gli anni Settanta.
    Un grave fattore di disgregazione e di instabilità fu rappresentato negli anni settanta dal terrorismo. La cosiddetta strategia della tensione, finalizzata a favorire nel paese una svolta autoritaria, fu inaugurata il 12 dicembre 1969 dalla bomba che esplose in una banca in piazza Fontana a Milano. Seguirono altre gravissime stragi, ad opera di un terrorismo nero, di marca fascista. Con la metà degli anni settanta si avviò invece un terrorismo rosso, praticato da gruppi di estrema sinistra. Punto massimo fu il rapimento e l’assassinio del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro (9 maggio 1978), ad opera delle Brigate rosse. Avvalendosi di speciali decreti antiterrorismo e di normative che riducevano la pena ai terroristi pentiti, gli organi di polizia e la magistratura riuscirono, nel giro di alcuni anni, a sgominare le organizzazioni terroristiche.
    Negli anni Settanta, il segretario del PCI, Enrico Berlinguer, elaborò la strategia detta del compromesso storico: essa mirava alla collaborazione di governo tra DC e PCI per superare la crisi della democrazia italiana. I frequenti scandali, l’inefficienza delle istituzioni, la grave crisi economica, finivano per porre al centro delle polemiche il trentennio di potere della DC. La crisi dell’egemonia democristiana aveva come conseguenza, nel 1981, la costituzione di un governo guidato, per la prima volta, da un laico: il segretario del Partito Repubblicano Italiano Giovanni Spadolini. Nel 1985 il democristiano Francesco Cossiga veniva eletto a grande maggioranza presidente della Repubblica, succedendo al Quirinale all’anziano Sandro Pertini. Cossiga affidava l’incarico di capo del governo ad Andreotti.
    All’inizio degli anni Novanta, il sistema politico italiano venne scosso da una crisi senza precedenti. Alla presidenza della Repubblica veniva eletto il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, esponente gradito a un vasto schieramento di forze politiche. Scalfaro conferiva l’incarico di governo al socialista Amato. Le indagini, condotte da Antonio Di Pietro e degli altri partiti magistrati della procura di Milano, hanno messo in luce una fitta rete di tangenti, favori e accordi illegali fra politici e imprenditori. I giornali chiamano tangentopoli questo intreccio tra politica e affari

    La seconda repubblica: La bufera di tangentopoli ha travolto la moltissimi partiti, che sono scomparsi dalla scienza politica.
    Al loro posto sono nati altri partiti. Il PCI è divenuto PDS nel 1991, la DC si trasformò in Partito Popolare Italiano (PPI), riprendendo il nome adottato dal partito cattolico del 1919. L’estrema destra ha abbandonato i legami con il fascismo e riconosciuto esplicitamente il valore della democrazi. Il MSI (Movimento Sociale Italiano) dava origine ad Alleanza Nazionale (AN), mentre sparivano formazioni di lunga tradizione quali il Psi, il Psdi e il Pli.
    In qualche caso sono nati partiti del tutto nuovi. Anzitutto Lega Nord, che proponeva un’organizzazione federale per lo stato italiano, ha ottenuto un significativo risultato alle elezioni del 1992. Quindi Forza Italia, una formazione politica d’ispirazione liberale, che l’imprenditore Silvio Berlusconi ha creato dal nulla, portandola ad una clamorosa affermazione alle elezioni del 1994.
    Alle elezioni del 1994 si sono affrontati soprattutto:
    • il Polo delle libertà : formato da FI, AN, Lega Nord e CCD;
    • i progressisti: costituiti da PDS, Rifondazione comunista e altri partiti di centro e di sinistra.
    La vittoria è andata al Polo il 20 maggio. Questo governo ha avuto una vita difficile e breve. Infatti è caduto nel dicembre 1994. E’ così è nato un governo formato da tecnici, cioè personalità non provenienti dai partiti, guidato da Lamberto Dini. Gli italiani sono tornati a votare nel 1996. Questa volta la vittoria è andata all’Ulivo, guidato da Romano Prodi. Nell’ottobre 1998 cade il governo Prodi. Il presidente Scalfaro incarica, Massimo D’Alema, segretario dei Democratici di sinistra, a formare un governo appoggiato da sette partiti. Nel maggio 1999 Carlo Azeglio Ciampi viene eletto presidente della repubblica. A dicembre del 1999 dimissioni lampo del presidente del Consiglio Massimo D’Alema, che ottiene il reincarico e la fiducia del Parlamento. Ad aprile 2000 il presidente del Consiglio si dimette. Giugliano D’Amato, ricevuto l’incarico dal capo dello Stato, forma un nuovo governo.
    Alle elezioni politiche del 12 maggio del 2001 la Casa delle Libertà (Forza Italia, Alleanza Nazionale, Biancofiore, Lega Nord, Nuovo PSI) si prende la rivincita sull’Ulivo (Ds, Margherita, Girasole, Partito dei Comunisti Italiani). Il ticket Silvio Berlusconi-Gianfranco Fini batte quello ulivista costituito dall’ex sindaco di Roma Francesco Rutelli e dal diessino Piero Fassino Democratici di Sinistra, e Forza Italia registra un notevole successo, raccogliendo circa il 30 perc ento dei consensi globali. Il centrodestra torna al governo del Paese, grazie anche alla rinnovata alleanza con la Lega di Bossi (che riceve in cambio alcune poltrone strategiche dell’esecutivo: Giustizia, Welfare e Riforme) e alle divisioni del centrosinistra.

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  • I regimi autoritari

    L’Italia era in preda ad una grave crisi economica. L’inflazione impoveriva operai e contadini ma anche la piccola borghesia. Molti si convinsero che quella italiana era una vittoria mutilata. I nazionalisti non volevano rinunciare alla Dalmazia e alla città di Fiume. Nel settembre 1919, il poeta Gabriele D’Anunzio si pose alla guida di legionari, occupò Fiume e ne proclamò l’annessione all’Italia. Il capo del governo Nitti, dette in quell’occasione prova di incertezza e non fece praticamente nulla. Le cose cambiarono completamente quando tornò al governo Giolitti che raggiunse un accordo con gli Iugoslavi secondo il quale:
    – l’Italia otteneva l’Istria e Zara, lasciando il resto della Dalmazia alla Iugoslavia; – Fiume diveniva uno Stato indipendente. A farsi portavoce degli interessi dei lavoratori furono le grandi organizzazioni sindacali. Anche i padroni si unirono in un sindacato.
    Giolitti era convinto che gli industriali e i proprietari terrieri dovessero trattare con i lavoratori. Molti industriali e proprietari terrieri così incominciarono ad appoggiare Mussolini. Il programma del movimento era molto confuso. Era caratterizzato da posizioni nazionalistiche, repubblicane ed anticlericali.
    I fascisti parteciparono alle elezioni del 1919. Riuscirono a presentarsi solo a Milano, ottenendo un misero risultato. Per questo organizzò delle squadre d’azione. Le squadracce fasciste erano composte in prevalenza da ex combattenti, da disoccupati, da avventurieri. Gli avversari venivano piegati a colpi di manganello. Oppure venivano obbligati a bere l’olio di ricino, un forte purgante. La polizia spesso era complice. Molti commisero l’errore di sottovalutare il pericolo rappresentato dai fascisti. Per la prima volta, i fascisti entrarono in parlamento (35 seggi).
    Il 24 ottobre 1922, Mussolini concentrò a Napoli migliaia di camicie nere, cioè i fascisti organizzati come un esercito. Si decise di prendere il potere con la forza. Il capo del governo Facta, chiese al re Vittorio Emanuele III di firmare il decreto che avrebbe fatto intervenire l’esercito. Ma il re si rifiutò e decise di affidare l’incarico a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo (30 ottobre 1922).
    Il primo governo di Mussolini (1922-24) fu sostenuto dai fascisti, dai liberali e, fino al 1923, dai popolari. In questi anni, Mussolini rispettò la legge. Perciò questa fase è detta legalitaria. Negli anni successivi egli operò per acquistare il potere in modo assoluto, smantellando progressivamente le istituzioni parlamentari. Un momento significativo, in questo senso, fu la nuova legge elettorale maggioritaria, approvata nel 1923, che assegnava due terzi dei seggi alla lista che avesse ottenuto la maggioranza dei voti. Con questa legge si andò alle elezioni del 1924, assicurando a Mussolini una maggioranza di 403 deputati su 535.
    Anche le elezioni (6 aprile 1924) si svolsero in un clima di violenza e di irregolarità : un candidato socialista, Giacomo Matteoti, fu assassinato. Ma il re non fece nulla. Mussolini capì che poteva continuare la sua strada. In un famoso discorso del 3 gennaio 1925 assunse l’intera responsabilità politica e morale di quanto era accaduto: ”Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!”. Il 1925 è l’anno che segna la definitiva trasformazione del fascismo in una dittatura e in uno Stato totalitario Il regime fascista diventa dittatura perchè un uomo solo, Benito Mussolini, assume su di sè tutti i poteri dello Stato. Il termine totalitarismo, indica che lo Stato controlla in modo totale la società : dalla famiglia alla scuola, dal tempo libero al lavoro.
    Nel 1923 vennero sciolti tutti i partiti dell’opposizione, vennero chiusi tutti i giornali antifascisti. La trasformazione dello Stato liberale fu completata con una nuova legge elettorale (1928). Affidò al Gran Consiglio del Fascismo, l’organismo più importante, il compito di preparare una lista unica di candidati. Il posto del sindaco venne occupato da un podestà , nominato direttamente dal governo. Il compito di giudicare gli antifascisti spettava al Tribunale Speciale.
    Il fascismo però cercò anche di ottenere il consenso, cioè l’approvazione degli italiani. Nel 1937 tutte le organizzazioni giovanili furono inquadrate nella GIL (Gioventù Italiana del Littorio). L’Opera Nazionale Balila, si occupava dell’educazione dei bambini da 6 e 14 anni, alla dottrina fascista e al culto di Mussolini con marce militari, esercitazioni, sfilate, parate. Il GUF era il Gruppo degli universitari fascisti.
    Mussolini era convinto che superare il conflitto tra Stato e Chiesa gli avrebbe garantito una grande popolarità tra gli italiani. Alla fine, l’11 febbraio 1929, Mussolini e il segretario del papa Pio XI, firmarono i Patti Lateranensi. Nel 1926 però vi fu un netto cambiamento nella vita economica. Si inaugurò una politica autarchica, cioè dell’autosufficienza economica da raggiungersi comprimendo i consumi e producendo all’interno tutti i beni necessari. Per Mussolini l’espansione coloniale era necessario. Il primo obiettivo del progetto fascista fu l’Etiopia. L’invasione venne avviata nell’ottobre 1935. L’Etiopia era un paese indipendente, membro della Società delle Nazioni. L’Italia riuscì in breve tempo a piegare l’Etiopia. Il 9 Mussolini proclamò il ritorno dell’Impero a Roma. Vittorio Emanuele III divenne così re d’Italia ed imperatore d’Etiopia.
    La guerra d’Etiopia favorì l’avvicinamento di Mussolini a Hitler. La conseguenza più grave dell’alleanza tra Mussolini e Hitler fu l’introduzione in Italia di leggi razziale contro gli ebrei. Queste leggi vietavano i matrimoni misti (cioè fra ebrei e non ebrei); impedivano agli ebrei di frequentare la scuola pubblica, di fare servizio militare, di svolgere determinate professioni. Le leggi imitavano quelle introdotte in Germania da Hitler nel 1935. Ma in Italia non esisteva una tradizione antisemita, cioè di odio e persecuzione degli ebrei. Il legame tra i due dittatori fu rafforzato nel 1939 con la firma del Patto d’Acciaio. Con esso le due nazioni si impegnarono a collaborare reciprocamente nel caso di una guerra. Nel corso degli anni venti e ancor più nel decennio successivo si estende in tutta Europa il fenomeno dei regimi autoritari di cui l’Italia detiene il triste primato.
    In Ungheria, dopo la breve e fragile esperienza socialcomunista di Bela Kun degenerata in guerra civile, il potere viene assunto dall’ammiraglio Horthy che instaura una dittatura personale, rappresentante dell’oligarchia conservatrice, divenuto reggente di uno stato monarchico privo di re. A quello di Horthy succederanno altri governi autoritari. L’Ungheria fu il primo paese dell’Europa a dar vita a un regime dittatoriale di tipo fascista destinato a durare sino alla primavera del 1944, quando fu sostituito da un regime nazista direttamente controllato dai tedeschi. Gli atti terroristici contro gli ebrei non mancarono di essere incoraggiati dallo stesso re Carol II. Dopo le movimentate elezioni del 1937 il re cercò di riprendere in mano la situazione, sbarazzandosi degli in temperamenti capi delle Guardie di Ferro e delegando i poteri a un partito ispirato alla corte, il Fronte di rinascita nazionale. Era però troppo tardi per salvare dalla dissoluzione il paese, ormai infeudato alla Germania nazista.
    In Polonia in un primo tempo sembra resistere, almeno formalmente, un sistema parlamentare ma, di fatto, vi esercita un enorme potere il generale Pilsudski, nominato presidente provvisorio nel febbraio del 1919. Dopo continui cambi di guida del governo, nel 1926 Pilsudski attua un colpo di Stato, modifica la costituzione, fa eleggere un suo fedele alla presidenza della Repubblica e con la carica di primo ministro instaura una dittatura personale. La dittatura del generale viene consolidata nell’aprile del 1935 quando il varo di una nuova costituzione fa della Polonia una Repubblica presidenziale e abolisce il sistema parlamentare.
    Altri governi a carattere autoritario si costituiscono nel 1926 in Lituania e nel 1934 in Estonia e in Lettonia. L’unico paese in questa area geografica che riesce a mantenere un sistema di tipo liberale è la Cecoslovacchia. Dopo una prima fase sotto l’egemonia del Partito contadino guidato da Alessandro Stambolijski, nel 1923 questi viene assassinato durante un colpo di Stato militare guidato dal leader di estrema destra Cankov. Da allora si consolida un regime di tipo dittatoriale che porta lo Stato balcanico a schierarsi con la Germania nazista.
    La Jugoslavia si forma tra la fine del 1918 e il 1919 dall’unione tra la Serbia, la Croazia, la Slovenia, il Montenegro e la Bosnia-Erzegovina. Il nuovo regno viene affidato a Pietro di Serbia e al figlio Alessandro che nell’agosto del 1921, alla morte del padre, assume il titolo di re Alessandro I° di Jugoslavia. Dopo una fase di duri scontri politici e interetnici, il 5 gennaio 1929 Alessandro I° proclama la dittatura, scioglie il parlamento e impone il suo potere su tutto il territorio nazionale. L’accentuazione di una politica tesa a soffocare ogni spinta nazionalista, unitamente all’ostilità dell’Italia, che aveva incoraggiato la nascita di un movimento fascista croato, portarono a uno stato di terrore che culminò nell’assassinio, nell’ottobre 1934, di re Alessandro. Prende il suo posto il figlio Pietro II°, sotto la reggenza del principe Paolo. Il reggente, principe Paolo, affidò la presidenza del consiglio al filo-fascista Milan Stojadinovic che operò un avvicinamento all’Italia firmando il patto di pacificazione adriatica (marzo 1937). Una svolta apertamente fascista venne operata dal suo successore Cvetkovic, che arrivò a promulgare leggi antisemite nell’ottobre 1940. In seguito (27 marzo 1941) il giovane re Pietro II assunse i pieni poteri affiancato dal generale Simovic, ma ciò non fece che accelerare i piani di invasioni hitleriani.
    Neppure in Grecia il governo democratico riuscì a mettere radici. Alla conclusione del conflitto mondiale la Grecia continua le ostilità contro la Turchia dalla quale la dividono antiche ruggini alcune mire territoriali. Nel dicembre del 1923 il re Giorgio II° è costretto ad abdicare e, pochi mesi dopo, un plebiscito popolare proclama la Repubblica alla guida della quale viene chiamato l’ammiraglio Kunduriotis. Nel marzo del 1935, a seguito di violenti scontri tra repubblicani e monarchici, viene richiamato in patria Giorgio II° e restaurata la monarchia (novembre). Nel giugno del 1936 diventa primo ministro il generale Metaxas che due mesi dopo attua un colpo di Stato e si proclama dittatore. Le sue manifeste simpatie per il fascismo non evitarono alla Grecia di essere attaccata da Mussolini il 28 ottobre 1940.
    Anche l’Albania presenta un sistema politico istituzionale di tipo dittatoriale: nel 1925 viene proclamata la Repubblica ed eletto presidente Ahmed Zogu che fa varare una costituzione di tipo autoritario. Conclusosi con l’Italia prima un trattato di amicizia (novembre 1926) poi un’alleanza (novembre 1927), Zogu cancellò ogni residua traccia di governo democratico-parlamentare. Il potere personale di Zogu viene definitivamente sancito con la sua elezione a re nel settembre del 1928, praticamente vassallo dell’Italia.
    Negli anni venti la Spagna è un paese con una struttura economica agricola organizzata prevalentemente sulla grande proprietà terriera e, in alcune regioni, sulla piccola proprietà contadina. Dal punto di vista politico vige una monarchia costituzionale con un parlamento nazionale (le Cortes) sostanzialmente privo di poteri. Nel 1923 una ribellione anticoloniale scoppiata in Marocco trova totalmente impreparate le truppe spagnole di stanza. L’inchiesta subita dall’esercito viene considerata un “affronto” dal capitano generale della Catalogna, il generale Miguel Primo de Rivera che minaccia di marciare sulla capitale. L’azione di forza viene evitata soltanto perchè il re Alfonso XIII decide di affidare il governo al militare ribelle. Si instaura così una dittatura clerico-militare. La dittatura, che nel 1926 stringe un trattato di amicizia con Mussolini, si protrae fino alla fine degli anni venti. Nel gennaio 1930 il dittatore si dimise. Il 14 aprile 1931 venne proclamata la repubblica. Il nuovo governo si mostrò troppo debole e troppo poco mogeneo. Josè Antonio Primo di Riviera, figlio dell’ex dittatore fece numerosi adepti. Le elezioni del febbraio 1936 videro la vittoria delle sinistre riunite nel Fronte Popolare. La vittoria scatenò la rivolta dei militari di destra e dei falangisti e si trasformò in una guerra civile. Il governo nazionalista presieduta dal generale Franco, insediandosi a Burgos, era stato riconosciuto da Italia e Germania.
    Il Portogallo nel dopoguerra è una società arretrata ben distante dagli antichi fasti vissuti all’epoca delle grandi scoperte geografiche e delle rotte commerciali per le americhe. Nel luglio del 1932 viene nominato primo ministro l’economista cattolico Antonio de Oliveira de Salazar. Questi instaura un regime autoritario anch’esso, come in Spagna, fondato sull’appoggio della Chiesa e dell’esercito. La dittatura clerico-autoritaria segna la vita portoghese per quasi mezzo secolo.
    Il 12 novembre 1918, viene proclamata la Repubblica austriaca. Nel 1919 si svolgono le elezioni per l’assemblea costituente e viene eletto cancelliere il giurista Karl Renner. La grave crisi economica che colpisce l’Austria viene risolta dall’intervento delle Società delle nazioni. Le agitazioni dei nazisti che vogliono l’annessione alla Germania non smettono. Nel febbraio del 1938 Schuschnigg incontra Hitler senza riuscire a far valere le proprie posizioni. Costretto alle dimissioni viene sostituito da Seyss-Inquart, capo del partito nazista austriaco. Nel marzo le truppe tedesche invadono l’Austria e viene proclamata l’annessione al Reich (Anschluss), confermata dopo pochi giorni da un plebiscito.
    Rimasti neutrali durante la guerra, i paesi scandinavi ne avevano risentito sul piano economico ma non su quello politico. La democrazia aveva messo salde radici e dovunque si era avuta una notevole affermazione dei nuovi partiti socialisti.
    Superato il momento di maggiore crisi dei primi anni venti la Germania, grazie agli ingenti investimenti esteri, vive, tra il 1925 e il 1929, un’eccezionale ripresa economica. Alla fine degli anni venti l’economia tedesca torna a occupare un posto di primo piano nel sistema internazionale. Il riconquistato benessere non si traduce però in un serio consolidamento della debole democrazia repubblicana. Nel 1925, alla morte del socialdemocratico Ebert, viene eletto alla presidenza del Reich il vecchio maresciallo von Hindenburg, un conservatore vicino agli interessi della grande industria. Le forze democratiche riescono a ottenere un ultimo importante successo nelle elezioni politiche del 1928 quando si affermano i partiti socialista e cattolico e si forma il governo di coalizione del socialdemocratico Muller. Il crollo di Wall Street ha conseguenze drammatiche per l’economia tedesca: all’inizio degli anni trenta i disoccupati raggiungono quota sei milioni. Nelle elezioni del 1930 si afferma inaspettatamente un piccolo partito di estrema destra, il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, guidato da Adolf Hitler, che conquista 107 seggi e sei milioni e mezzo di voti. Chi sono i nazisti? Nel 1920 il trentunenne militare austriaco Adolf Hitler, imbevuto di idee antisemite e antidemocratiche, assume la guida di un piccolo gruppo estremista, il Partito dei Lavoratori tedeschi. Con un programma di stampo ultra nazionalista e autoritario, il partito nazionalsocialista (nome datogli dallo stesso Hitler) nel 1921 crea una propria organizzazione militare, le Squadre d’assalto (Sturmabteilungen, SA) e nel novembre del 1923 tenta senza successo un colpo di Stato a Monaco. Il fallimento del putsch costa a Hitler la condanna a cinque anni di carcere, di cui sconta solo nove mesi durante i quali scrive Mein Kampf, il testo contenente il suo sconcertante programma politico. Uscito dal carcere Hitler elabora una nuova tattica per il suo partito: lo instrada sul piano costituzionale e crea una nuova organizzazione militare più disciplinata, i Reparti di protezione (Schutzstaffeln, le famigerate SS). Come abbiamo visto, la crisi del 1929 offre l’occasione ai nazionalsocialisti di affermarsi sulla scena tedesca, occasione colta con il successo alle elezioni dell’anno successivo.
    Dopo l’importante successo ottenuto nelle elezioni del 1930 il partito nazionalsocialista e il suo leader Adolf Hitler raccolgono il consenso della grande industria tedesca e si preparano a sferrare l’ultimo attacco alla democrazia di Weimar. Intanto il governo del socialdemocratico Muller nella primavera del 1930 era stato costretto a cedere il posto al cattolico conservatore Heinrich Bruning: nel 1932 in occasione delle elezioni presidenziali si confrontano i due candidati nazionalisti Hindenburg e Hitler; ottiene la vittoria il vecchio maresciallo ma l’ascesa al potere del leader nazista è soltanto rimandata. Nel corso dell’anno, infatti, Bruning è costretto alle dimissioni e il nuovo cancelliere Von Papen scioglie il parlamento e indice nuove elezioni. Il successo del partito di Hitler è enorme: con 230 seggi diventa il primo partito e Hitler chiede per sè il cancellierato. Le nuove elezioni ridimensionano parzialmente il peso del Partito nazionalsocialista che tuttavia resta il maggiore partito; si consuma allora l’ultimo atto della Repubblica di Weimar. Viene chiamato a ricoprire la carica di cancelliere il generale Kurt von Schleicher ma dopo pochi mesi fallisce il suo tentativo: il 30 gennaio 1933 diventa cancelliere del Reich Adolf Hitler a capo di un ministero composto da nazisti, nazional-tedeschi e alcuni tecnici.
    Il leader nazista, decide di sciogliere per l’ennesima volta il parlamento. Le organizzazioni militari naziste e la polizia colpiscono duramente i comunisti e i socialdemocratici. Hitler, che punta tutto su di una vittoria eclatante del suo partito, tenta un colpo spettacolare: la notte del 27 febbraio, pochi giorni prima delle elezioni, un gruppo di nazisti provoca l’incendio del parlamento nazionale, il Reichstag. L’obiettivo è quello di far ricadere sui comunisti la responsabilità dell’atto terroristico in modo da consolidare nella borghesia tedesca la già diffusa paura di un’imminente azione rivoluzionaria bolscevica. Le elezioni invero non danno la maggioranza assoluta al partito nazista però gli garantiscono un numero di seggi sufficiente a confermare la carica di cancelliere a Hitler. Questi, nel giro di pochi giorni liquida le istituzioni democratiche: fa arrestare tutti i deputati comunisti e fa approvare dal parlamento una legge che estende i poteri del governo.
    Dopo il conferimento di ampi poteri al cancelliere Adolf Hitler, nel 1933 si conclude la distruzione della Repubblica di Weimar e la costruzione del regime totalitario del Terzo Reich. Nel giro di pochi mesi viene abolita la struttura federale dello Stato e centralizzato il potere, vengono sciolte le organizzazioni sindacali e perseguitati tutti gli esponenti antinazisti, il Partito nazionalsocialista viene dichiarato per legge l’unico partito del paese.
    Il 26 aprile 1933 nacque la temibile GESTAPO, la polizia segreta, la quale, insieme alle SA, diede il via, in tutto il paese, a terrificanti azioni di repressione; il 14 luglio, il partito nazional-socialista divenne l’unico consentito mentre tutti i movimenti della defunta repubblica di Weimar vennero eliminati. La dittatura fu consolidata il 2 agosto 1934, quando, alla morte di Hindenburg, Hitler si addossò la duplice carica di presidente e primo ministro; meno di due mesi prima, il 30 giugno, nella cosiddetta “notte dei lunghi coltelli”, su ordine del fuhrer, le SS di Himmler avevano massacrato, in un drammatico regolamento di conti, Rohm ed i vertici delle SA, sospettati di cospirazione ai danni del potere centrale.Da quel momento le squadre d’assalto, i camerati della prima ora, coloro che avevano condiviso l’ascesa al potere del nazismo, uscirono di scena insieme alle loro famigerate camicie brune, per far posto all’ordine nero delle SS dello stesso Himmler, che avrebbero dato vita, negli anni successivi, ai più terrificanti e macabri massacri che la storia ricordi, divenendo, tragicamente, il cinico e zelante braccio armato di una folle ideologia. Nasce ufficialmente il Terzo Reich.
    Una ferrea ritualità politica piega al conformismo ideologico del regime ogni momento della vita del cittadino tedesco sin dagli anni dell’infanzia; sotto la bandiera di una supposta superiorità razziale e intellettuale il tedesco viene educato alla guerra con l’obiettivo di dominare il mondo. Gli antinazisti, quando non vengono uccisi o imprigionati, sono costretti all’esilio o al silenzio.
    La razza ariana, di cui i tedeschi sono gli eredi, si era affermata nei secoli attraverso il dominio sulle razze biologicamente “inferiori”, individuate in particolare negli ebrei e negli slavi. Appena giunto al potere il Fuhrer fa promulgare le leggi sulla cittadinanza del Reich, fondate sull’appartenenza di sangue, e le leggi per la protezione del sangue e dell’onore tedesco che proibiscono i matrimoni dei tedeschi con gli ebrei, dichiarano nulli quelli già contratti e dispongono altre norme discriminatorie nei confronti dei cittadini tedeschi di religione ebraica. Per i nazisti ebreo era: chiunque, con tre o due nonni ebrei, appartenesse alla Comunità Ebraica al 15 Settembre 1935, o vi si fosse iscritto successivamente; chiunque fosse sposato con un ebreo o un’ebrea al 15 settembre 1935 o successivamente a questa data; chiunque discendesse da un matrimonio o da una relazione extraconiugale con un ebreo al o dopo il 15 settembre 1935.
    Vi erano poi coloro che non venivano classificati come ebrei, ma che avevano una parte di sangue ebreo e venivano classificati come Mischlinge (ibridi). I Mischlinge venivano ufficialmente esclusi dal Partito Nazista e da tutte le organizzazioni del Partito (per esempio SA, SS, etc.). Benchè venissero arruolati nell’esercito tedesco, non potevano conseguire il grado di ufficiali. Era inoltre proibito loro di far parte dell’Amministrazione Pubblica e svolgere determinate professioni (alcuni Mischlinge erano, in ogni caso, esonerati in determinate circostanze). In questo periodo furono milioni le persone soppresse dalla follia razziale nei confronti non solo degli ebrei. La maggior parte delle autorità generalmente accettano la cifra approssimativa di sei milioni a cui si devono sommare 5 milioni circa di civili non ebrei uccisi. Tra i gruppi assassinati e perseguitati dai nazisti e dai loro collaboratori, vi erano: zingari, serbi, membri dell’intellighentia polacca, oppositori della resistenza di tutte le nazionalità , tedeschi oppositori del nazismo, omosessuali, testimoni di Geova, delinquenti abituali, o persone definite “anti sociali”, come, ad esempio, mendicanti, vagabondi e venditori ambulanti. La maggior parte delle persone soppresse passarono per i campi di sterminio, che erano campi di concentramento con attrezzature speciali progettate per uccidere in forma sistematica.
    Per sottrarsi alla sentenza di morte imposta dai Nazisti, gli ebrei potevano solamente abbandonare l’Europa occupata dai tedeschi. Secondo il piano Nazista, ogni singolo ebreo doveva essere ucciso. Nel caso di altri “criminali” o nemici del Terzo Reich, le loro famiglie non venivano coinvolte. Di conseguenza, se una persona veniva eliminata o inviata in un campo di concentramento, non necessariamente tutti i membri della sua famiglia subivano la stessa sorte. Gli ebrei, al contrario, venivano perseguitati in virtù della loro origine familiare indelebile.
    Nonostante il nazismo avesse cominciato a gettare la maschera, il consenso di Hitler e del suo movimento, negli anni pre-bellici, raggiunse livelli trionfali. Il fuhrer aveva infatti trasformato un paese alla fame, distrutto, umiliato, in una nazione che stava ritrovando l’antica potenza ed i fasti perduti; la miseria degli anni venti, la disoccupazione, il collasso economico, erano ormai soltanto un ricordo; Hitler infiammava le folle con discorsi esaltanti la grandezza della Germania, di una nazione destinata a vendicare le umiliazioni subite e a riconquistare un posto di prim’ordine in Europa e nel mondo.Il nazionalismo cancellò l’inflazione, fece ritrovare ai tedeschi il benessere perduto: anche grazie al potenziamento dell’industria bellica, tutti lavoravano, ogni famiglia poteva vivere serenamente, le città erano più floride ed eleganti che mai, degne cornici per i rappresentanti della razza perfetta.
    Hitler procedette immediatamente al riarmo della Germina. Il 7 marzo 1936 rioccupò la Renania, che secondo le condizioni di Versailles doveva rimanere smilitarizzata. Hitler riusciva a dare l’impressione ai tedeschi di una rivincita rispetto alla sconfitta del 1918. L’Italia iniziò la conquista dell’Etiopia e si avvicinò alla Germania. Parallelamente Hitler raggiunse un’intesa con il Giappone. Infine nel 1937 si costituì l’Asse Roma-Berlino-Tokyo. Il 12 marzo 1938 le truppe naziste occuparono l’Austria e il mese seguente un plebiscito ratificò l’annessione. I nazisti, pretendevano anche il controllo dei Sudeti, una regione della Cecoslovaccha dove vivevano circa 3 milioni di tedeschi. Nel 1938 così anche i sudeti entrarono a far parte del Terzo Reinch. A marzo, Hitler occupò la Boemia e la Moravia, due regioni che facevano parte della Cecoslovacchia. E questa volta non c’erano minoranze tedesche da difendere. Hitler cominciò a rivendicare Danzica e il corridoio polacco che avrebbe consentito di unire la Prussica orientale al resto del paese. Nel frattempo, l’Italia fascista aveva seguito l’esempio dei nazisti occupando l’Albania (aprile 1939). L’accordo più inaspettato fu quello che venne firmato il 23 agosto tra i ministri degli esteri russo e tedesco. Al trattato fu aggiunto una parte segreta nella quale i due dittatori si accordavano per la spartizione della Polonia. Hitler era convinto che questa volta Francia e Inghilterra non avrebbero avuto il coraggio di affrontare una guerra. Si sbagliava!

    Libro, Editrice La Scuola- Storia per gli istituti professionali / Libro, Edizioni Scolastiche Bruno Mondatori- Il lavoro dell’uomo 2 / CD, ACTA- Mille anni di storia (Novecento n.2) / Libro, European book Milano-Atlantica Junior n.9 / Internet- www.123point.net/001topzin.html / Internet- Il XX secolo

  • Il secondo dopoguerra e la ripresa

    La liberazione italiana avvenne il 25 aprile 1945 e ripristinò la normale e piena vita democratica. Nell’immediato dopoguerra vennero rivissute le diverse esperienze storiche: si diffuse allora il cosiddetto “Vento del Nord”, espressione coniata da Pietro Nenni leader del partito socialista, con la quale affermava il bisogno di trasformazioni economiche e sociali all’interno dello Stato Italiano.
    Durante questo periodo si ha l’affermazione e la scomparsa di alcuni partiti.
    Il partito comunista italiano (PCI) sostenuto da Togliatti puntava ad una trasformazione in partito popolare di massa e ad un distacco dalla tradizione bolscevica. Altro obiettivo era la creazione di una democrazia progressiva tenendo però conto dell’esperienza italiana.
    Il partito socialista, allora chiamato PSIUP era tra i principali partiti dell’Italia liberale; aveva come esponenti principali Giuseppe Saragat, Pertini, Nenni e Moranti. Puntava ad un socialismo democratico e umanista distaccato dal leninismo, anche se una parte del partito pensava ad un legame con il PCI.
    Il capo della democrazia cristiana (DC), appoggiata dal mondo cattolico, era De Gasperi. La Dc proponeva un programma al passo con le esigenze popolari. Il partito costituiva un punto di equilibrio nel sistema politico, una mediazione tra conservazione e progresso e un interlocutore per gli alleati occidentali.
    Il partito d’azione nato dall’organizzazione di “Giustizia e Libertà” era legato alle teorie di Carlo Rosselli. Gli esponenti più importanti erano: Ugo la Malfa, Ferruccio Parri e Leo Valini. Fu molto attivo nel corso della guerra partigiana, mentre adesso cercava di trovare consensi tra il tra il ceto medio e le classi popolari.
    Il partito repubblicano (PRI) similmente al partito d’azione, voleva proporre un rinnovamento morale politico e sociale. Essendo antimonarchico non aveva preso parte al governo Bonomi, né al movimento di liberazione nazionale, ma era stato presente nella lotta contro il fascismo. Adesso con l’avvicinarsi della scelta tra Monarchia e Repubblica tornava ad essere un partito di rilievo.
    Il partito liberale (PLI) ebbe come presidente Benedetto Croce. La sua forza stava nel legame con esponenti dell’imprenditoria italiana e nell’adesione di autorevoli personalità politiche ed intellettuali.
    Per un breve periodo importante fu pure l’UOMO QUALUNQUE fondato da Giannini. Alla base del programma vi era un avversione verso l’invadenza della burocrazia statale e l’esosità delle tasse ma anche verso la corruzione degli uomini politici che aveva ormai stancato la piccola media borghesia. Si sentiva il bisogno di stabilità; il motto di questo partito era “Si stava meglio quando si stava peggio” facendo nostalgici riferimenti al periodo fascista.
    Ferruccio Parri fu designato dal CNL come successore del governo Bonomi. In questo nuovo governo troviamo Nenni nella veste di vicepresidente, De Gasperi come ministro degli esteri e Togliatti come ministro della giustizia. I partiti della sinistra e la Dc si trovarono subito in disaccordo e poco interessati a mantenere le alleanze fatte pretendevano la propria autonomia di iniziativa politica.
    Un ulteriore motivo di instabilità era dato dal movimento separatista siciliano guidato da Andrea Finocchiaro Aprile e dal “braccio armato” Evis (esercito volontario indipendenza siciliana). Questi cercarono di rendere la Sicilia indipendente fino a quando nell’ottobre ’45 Parri si decise ad inviare l’esercito nazionale in Sicilia.
    Dal punto di vista politico, Parri procedette ad un epurazione del personale amministrativo compromesso con il fascismo puntando, con la nomina di prefetti “politici” e non di carriera”, alla formazione di una burocrazia nuova espressione delle forze antifasciste.
    Sul piano economico mise pesantissime tasse sul patrimonio e per far uscire allo scoperto, capitali accantonati durante la guerra, propose la sostituzione della moneta con una nuova valuta.
    I suoi progetti economici e politici non piacquero ai liberali e alla Dc i quali uscirono definitivamente dall’alleanza e costrinsero Parri alle dimissioni il 24 novembre 1945.
    La guida del nuovo governo fu assunta da De Gasperi; tutte le riforme fatte da Parri furono abolite e ripristinata la normalità. All’Assemblea costituente che si sarebbe dovuta eleggere poco dopo, non fu concesso il potere legislativo così da lasciar maggiore margine di manovra al potere esecutivo. Alle elezioni del 2 giugno ’46 per la scelta dei rappresentanti dell’Assemblea Costituente, la Dc con il 35% dei voti si affermò come prima forza politica. Il partito d’azione ebbe appena 1.5% e si sciolse. Il successo della Dc veniva bilanciato da una presenza assai consistente delle forze della sinistra.
    Il 2 giugno gli italiani e per la prima volta pure le italiane, furono chiamate a decidere pure tra Repubblica o Monarchia. Con il 52% dei voti, passo la Repubblica anche se il minimo margine della vittoria faceva capire che nonostante gli errori gli italiani erano ancora legati alla monarchia.
    La guerra aveva causato danni non indifferenti all’apparato produttivo del Paese. Le varie circostanze avevano portato ad un abbassamento della produzione industriale di quasi il 70% rispetto al 1939. La capacità produttiva era di fatto diminuita e l’enorme aumento della circolazione di moneta portò in Italia un’inflazione senza precedenti. Fortunatamente già nel 1945 il governo aveva la situazione sotto controllo grazie anche agli aiuti alleati (fondo UNRRA).
    Adesso restava l’incognita su come intraprendere la ricostruzione economica. Da una parte si faceva affidamento all’imprenditorialità privata; altri credevano fosse necessario l’aiuto dello Stato per recuperare il gap economico.
    Caduto insieme al governo Parri la possibilità di un cambio di valuta e di eccessive tassazioni; apparve chiaro che la direzione pubblica dello sviluppo economico doveva essere accantonata.
    Un forte aiuto nella ricostruzione, venne dato dal PIANO MARSHALL (1470 milioni di dollari in 4 anni).
    Nel 1947 con la nascita del IV governo De Gasperi, Luigi Einaudi venne nominato ministro del bilancio. Egli attuò una politica deflazionista attenta ala spesa pubblica e ai salari. L’inflazione diminuì velocemente e nuovi investimenti diedero fiducia all’Italia.
    Con la firma del PATTO ATLANTICO e con l’adesione alla CECA, l’Italia entrava a far parte del circuito espansivo delle economie occidentali.
    La liberalizzazione degli scambi unita ad una riduzione del 10% dei dazi doganali, non determinò il tracollo del sistema industriale italiano che invece rinvigorito dalla concorrenza, pose le basi per il boom economico degli anni 50.
    Se considerata agli altri Paesi occidentali, l’Italia risultava ancora troppo povera e con enormi squilibri tra nord e sud. Il reddito dell’Italia del nord infatti, era pari al 76% del reddito nazionale, ciò probabilmente era dovuto alla mancanza di industrie nel sud e alla conseguente occupazione nel settore agricolo.
    Bisognava “Industrializzare” il mezzogiorno; nacque a tal fine la SVIMEZ (Associazione per lo Sviluppo e il Progresso Industriale del Mezzogiorno). Questa associazione proponeva delle condizioni atte a favorire lo sviluppo delle attività esistenti e di nuove attività necessarie per lo sviluppo industriale del mezzogiorno.

  • La guerra in Italia e la resistenza

    Il deterioramento del rapporto tra fascismo e opinione pubblica fu causato dal fallimento militare e dai sacrifici che dovette sostenere la povera gente. Tutto ciò spinse gli italiani a credere che la guerra fosse inutile e che responsabile di questo malessere fosse Mussolini ed il Fascismo.
    L’opinione popolare finiva per coincidere con quella della monarchia e degli alti gradi dell’esercito, convinti che il prolungarsi della guerra avrebbe esposto le istituzioni a grave rischi. Riprese così l’opposizione antifascista, da ricordare il Partito d’Azione il cui obiettivo era quello di riunire la tradizione liberal-democratica ed esigenze del moderno socialismo creando una nuova Repubblica fondata su una nuova Costituzione.
    Da ricordare pure gli scioperi del marzo 1943 sollevati, contro il regime, dal partito comunista, unico rimasto operante ma clandestino, a cui aderirono gli operai della FIAT e di altre fabbriche.
    Nel frattempo a Roma si cercava la soluzione più rapida per mettere fine al Regime ed uscire dalla guerra. Le forze antifasciste si riorganizzarono e tramite Bonomi fecero sentire la loro voce presso il Re. Caduta Pantelleria il 10 luglio gli americani sbarcarono in Sicilia.
    Mussolini nell’incontro con Hitler del 19 luglio, preferì non affrontare il discorso di una pace separata dell’Italia e ciò indusse il Re ad accelerare i tempi di una destituzione di Mussolini. Il 19 luglio veniva bombardata Roma.
    Con la riunione del Gran Consiglio del Fascismo, tenutasi nella notte tra il 24 e il 25 luglio, Ciano, Grandi e Bottai, preventivamente accordati, rivedevano il ruolo di Mussolini (in pratica le dimissioni) e affidavano tutti i poteri alla Corona. Nel pomeriggio del 25 luglio il Re incontrò Mussolini e gli comunicò la sua volontà di sostituirlo con il maresciallo Pietro Badoglio. Alla fine dell’incontro, ad aspettare il Duce, vi era un drappello di carabinieri che lo arrestarono e lo portarono a Ponza.
    Per una sorta di congiura era caduto il fascismo. Badoglio si rivelò subito un fallimento e le sue decisioni disastrose. Nel messaggio radio del 25 luglio Badoglio dichiarava di proseguire la guerra con la Germania. I tedeschi preoccupati della cattura di Mussolini, a scopo cautelativo, fecero affluire in Italia notevoli contingenti militari che assunsero di fatto il controllo militare dello Stato.
    Finiti questi 45 giorni (periodo che va dalla caduta del fascismo, 25 luglio, all’armistizio), gli alleati passavano dalla Sicilia alla Calabria. L’armistizio “senza condizioni” veniva firmato tra l’americano Eisenhower e Castellano a Cassibile il 3 settembre 1943 ma annunciato solo l’8.
    Senza lasciare alcun ordine, il Re e Badoglio cercarono di mettersi in salvo lasciando Roma per raggiungere Pescara e successivamente Brindisi, protetti dagli alleati. La Capitale rimase quindi nelle mani dei tedeschi , i quali furono vanamente contrastati da deboli eserciti o da cittadini scesi spontaneamente in strada.
    Molti soldati furono catturati dai tedeschi, gli altri senza ordini, non sapendo cosa fare cercarono in ogni modo di tornare vivi a casa.
    Il 12 settembre 1943, Mussolini trasferito a Campo Imperatore, venne liberato magistralmente dai tedeschi e nei giorni successivi, lui, annunciò nel territorio occupato dai tedeschi, la nascita della Repubblica Sociale Italiana (Salò). Questo però non era il Mussolini di una volta, anche nei filmati luce a noi pervenuti, si nota che la sua forte personalità era pesantemente oppressa dal controllo tedesco. L’unico gesto clamoroso che fece, fu il processo intentato a Verona contro De Bono, il suo genero, Galeazzo e Ciano, i quali furono fucilati con l’accusa di tradimento.
    Gli alleati giunsero a Napoli il 1 ottobre 1943 dopo che la popolazione aveva già cacciato da sola i tedeschi. Fino al giugno 1944 i combattimenti tra alleati e tedeschi si svolsero lungo la linea GUSTAV che divideva i territori liberati e restituiti all’amministrazione italiana con la nascita del “Regno del Sud” da quelli ancora occupati dai tedeschi.
    In ottobre il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania, così da entrare nelle grazie americane e spianare la strada ad eventuali trattative di pace.
    Il congresso dei partiti comunisti che si tenne a Bari nel gennaio 1944, ritenne essenziale, per ritornare alla democrazia, l’abdicazione del Re e la costituzione di un governo espressione di tutte le forze democratiche.
    Le opposizioni a questo tipo di soluzione erano appoggiate anche dagli alleati che temevano un’incontrollabile crisi politica. Questa situazione di forte tensione si sbloccò a marzo con la “Svolta di Salerno” con la quale l’URSS riconobbe il governo Badoglio costringendo gli USA a fare lo stesso e contemporaneamente il leader comunista Pietro Togliatti affermò di essere pronto a collaborare senza pregiudizi con Badoglio ed il Re. In aprile fu costituito il nuovo governo con a capo Badoglio, appoggiato dalle forze antifasciste e dal Re il quale si impegnava a trasferire i propri poteri al figlio Umberto, non appena Roma fosse stata liberata. Si stabilì inoltre che, del mantenimento o meno della monarchia si sarebbe discusso solo alla fine della guerra e con un referendum popolare.
    Dopo lo sbarco di Anzio avvenuto nel gennaio del 1944 ci vollero più di sei mesi per liberare Roma a causa dell’accanitissima resistenza tedesca. Ad agosto si liberò pure Firenze; poi il fronte si stabilizzò lungo l’Appennino tosco-emiliano (linea GOTICA) superato solo nell’aprile del 1945.
    A Roma dopo che i poteri erano passati dal Re al figlio Emanuele, si ebbe la formazione di un governo Bonomi appoggiato dai socialisti, dai comunisti, dai democratici, dagli azionisti, dai liberali e dai democratici che avevano dato vita al Comitato di Liberazione Nazionale.
    Sull’evoluzione della situazione politica pesava adesso, anche l’andamento della lotta partigiana sviluppatesi in tutta l’Europa e soprattutto nell’Italia del centro-nord che ancora era in mano tedesca.
    Per la loro guerriglia si distinsero le Brigate Garibaldi e le Brigate Giustizia e Libertà legate agli ideali di Carlo Rosselli e del partito d’Azione. La resistenza assunse un enorme significato morale e politico e voleva l’affermazione di nuove istituzioni politiche e sociali. Ciò agitava i comandi alleati preoccupati dell’avvento delle teorie socialiste e proprio per questo motivo non aiutarono molto i partigiani anzi li invitarono ad abbandonare la lotta.

  • L’incontro di Monaco

    La crisi Americana si ripercuotè in Germania facendo vacillare la già precaria Repubblica di Weimar. Le spinte conservatrici ed autoritarie si accentuarono; una prova tangibile di ciò fu l’ascesa di Hindenburg e la formazione di gruppi paramilitari.
    A differenza del Fascismo, che non aveva fin dal principio un programma ben delineato, il Nazismo fondava le proprie solide basi nel “Mein Kampf” l’opera che Hitler scrisse durante il suo anno di prigionia. Il testo riprendeva molto le teorie di Rosenberg e Chamberlain e affermava che tutte le vicende umane potessero essere interpretate come un eterno conflitto tra razze superiori, ariani, e razze inferiori, ebrei. Il concetto di razza doveva essere inteso proprio come biologico – genetico. A capo della razza Ariana doveva esserci il Fuhrer, un capo capace di interpretare le esigenze del popolo.
    Le esigenze primarie dovevano essere quella dello spazio vitale e quella che doveva vedere unito nello stesso territorio tutte le popolazioni germaniche. Inoltre il movimento era anticomunista in quanto l’ideologia ugualitaria è frutto delle tendenze livellatrici e mortificanti delle razze inferiori.
    Nelle elezioni del 1928 il nazismo non ebbe molto successo, appena il 2,6 % dei voti. Man mano che la crisi economica si faceva più dura, crescevano i consensi e nelle elezioni del 1930 i nazisti ebbero oltre 6 milioni di voti diventando il secondo partito dopo i socialdemocratici.
    Come avvenne per il fascismo, anche il nazismo si servì delle squadre SS e SA per incutere timore nell’opposizione e nella popolazione in generale. Memore della sfortunata impresa di Monaco, Hitler non tentò mai il colpo di stato, ma cerco sempre di fare affluire nel suo partito tutte le forze nazionalistiche e conservatrici.
    Dopo la figura incolore di Bruning, alle presidenziali del 1932 venne rieletto Hindenburg. A tali elezioni si era presentato pure Hitler ma a lui non toccarono più del 37% dei voti.
    Alle elezioni politiche dello stesso anno i nazisti ottennero oltre 13 milioni di voti e si affermarono come I partito del paese. Furono le pressioni della grande industria, della finanza e della proprietà terriera a indurre Hindenburg ad assegnare ad Hitler la guida del governo e ad indire nuove elezioni per il 5 marzo 1933.
    Le violenze da parte delle SS e delle SA si fecero sempre più evidenti e culminarono con l’incendio del Reichstag di cui però vennero incolpati i comunisti. In seguito a quest’avvenimento, furono emanate le 28 leggi eccezionali con le quali si limitavano le libertà civili e veniva dichiarato fuori legge il partito Comunista.
    Alle elezioni del 1933, Hitler non ebbe il successo sperato, ma grazie all’appoggio dei gruppi nazionalisti riuscì ugualmente ad avere la maggioranza.
    Subito dopo fece approvare la legge dei pieni poteri che porto alla liquidazione dell’opposizione e all’abolizione dei Lander ridotti a entità amministrative dipendenti dal governo centrale.
    Il 30 giugno nella notte conosciuta come “notte dei lunghi coltelli”, utilizzando le SS Hitler fece uccidere i principali capi della cosiddetta sinistra nel partito (SA) che agitavano ancora l’idea di una rivoluzione sociale.
    Qualche mese dopo le elezioni Hindenburg morì. Hitler decise di non sostituirlo e nonostante mantenesse solo la nomina di cancelliere in pratica assunse anche la carica di presidente.
    A poco a poco tutta la vita tedesca cominciò ad essere controllata dal regime che tra l’altro cominciò a mettere in pratica alcuni dei punti presenti nel programma come ad esempio quello della bonifica razziale; vennero bruciati tutti i libri ebrei ritenuti fautori di teorie democratiche e socialiste.
    Anche in Germania come in Italia il regime andò alla ricerca del consenso. Moltissimi erano i discorsi del Fuhrer trasmessi via radio, le grandi adunate e i campi di maggio adornati con splendide coreografie rappresentanti i simboli del potere.
    La liquidazione dei rimasugli d’opposizione era stata affidata alla Gestapo, una polizia segreta che prendeva gli oppositori e li deportava in campi di lavoro.
    Con le leggi di Norimberga del 1935, gli ebrei furono privati della cittadinanza tedesca e gli vennero ridotte altre libertà.
    Il 9 novembre nella Notte dei cristalli, molti ebrei furono deportati in campi di lavoro, incendiate sinagoghe e attività ebraiche.
    L’industria tedesca venne agevolata dal rigido inquadramento dei lavoratori in strutture cooperative guidate dal partito. La ripresa economica tedesca era affidata pure a un vasto programma di lavori pubblici e di riarmo.
    Hitler mostrò subito la sua volontà nel rivedere il trattato di Versailles e dopo avere firmato un patto a 4 con Italia, Inghilterra e Francia per il mantenimento della pace, decise di abbandonare la Conferenza di Ginevra sul disarmo nell’ottobre del ’33 e poco dopo fece uscire la Germania dalla Società delle Nazioni.
    Il 25 luglio 1934 un gruppo di Nazisti austriaci guidati da Hitler assassinò il cancelliere austriaco Dollfuss sperando nella confusione di potere facilitare l’annessione dell’Austria alla Germania. Mussolini, ancora vicino ad Inghilterra e Francia, si fece garante dell’indipendenza austriaca mandando truppe alla frontiera del Brennero.
    Il ’35 fu l’anno definitivo del riarmo tedesco, la popolazione del Saar decise dopo un referendum di tornare alla Germania. Hitler fregandosene del trattato di Versailles ripristinò la leva obbligatoria e procedette al riarmo aereo e terrestre.

  • L’antifascismo in Italia

    L’usufruire di organizzazioni paramilitari significò, per il fascismo, sviluppare clandestinamente qualsiasi forma di opposizione al regime. Conseguentemente i vari giornali socialisti chiusero e le personalità di spicco della sinistra furono costretti ad andare via dall’Italia. I pochi socialisti rimasti formarono nel 1926 la convenzione antifascista; mentre i comunisti si organizzarono in società segrete vivendo nelle zone malfamate ed agendo nell’anonimato.
    Antonio Gramsci fu incarcerato nel ’27 e nelle sue lettere inviate dal carcere si riscontra il suo pensiero politico: l’ascesa del socialismo in Italia, che sarebbe dovuto salire in Italia sarebbe dovuto essere diversa dall’avvento del socialismo in Russia, poiché la realtà Italiana era diversa socialmente, economicamente ed intellettualmente.
    Ma le società antifasciste venutesi a formare, non trovarono mai un’intesa tra loro ed inevitabilmente fallirono. Altro tentativo fu quello di Carlo Rosselli, con l’instaurazione di un movimento chiamato Giustizia e libertà, che prevedeva la riorganizzazione delle forze antifasciste al fine di opporsi al regime in modo più deciso. Caratterizzato fortemente dalla componente generazionale, tale movimento riteneva necessario far cambiare mentalità ai giovani per potere risolvere il problema alla radice.
    Allo scoppio della guerra in Spagna parteciparono molti antifascisti con la speranza di dimostrare che la resistenza armata alla dittatura mostrata contro il franchismo potesse essere d’esempio contro il regime mussoliniano; da qui il grido “Oggi in Spagna domani in Italia”.

  • Fascismo: la politica estera di Mussolini

    In questo campo si notavano diverse contraddizioni che avevano contraddistinto il fascismo (tra continuazione e rottura con il liberalismo). Mussolini, da un lato aveva sempre in mente i piani di revisione dei trattati di pace; dall’altro, non voleva opporsi al volere delle grandi potenze europee di Francia e Inghilterra. Da uomo realista qual’era, si rendeva conto delle disparità tra la sua nazione e le altre due, ma il suo obiettivo restava comunque quello di far raggiungere all’Italia il medesimo loro livello sia economico che militare. Non rinunciava a gesti esteriori come nel caso dell’occupazione dell’isola di Corfù avvenuta dopo l’assassinio di un suo generale sul fronte greco – albanese, e che il duce abbandonò solo dopo la mediazione inglese. A seguito poi di una trattativa con la Jugoslavia, Mussolini firmò il trattato di Roma, e Fiume divenne città italiana.
    Fino al patto di Locarno la diplomazia italiana aveva sostanzialmente mantenuto una rigorosa applicazione dei trattati di pace e il principale obiettivo era quello di mantenere indipendente l’Austria, per scongiurare un’annessione con la Germania. Tale trattato, pur avendo definito i confini occidentali della Germania, lasciava molte libertà su quelli orientali, e di questa situazione ambigua ne volle trarre vantaggio il governo fascista, con il ministro Dino Grandi. Vennero stipulati una serie di trattati e di patti d’amicizie con le regioni balcaniche (Albania, Ungheria, Romania, Bulgaria) e con l’avvento in questi paesi di governi filofascisti, il regime inaugurò una politica di sostegno alle nazioni sconfitte, in rottura con la tradizione liberale. Nonostante le ambizioni espansionistiche del duce, non vi fu mai vera rottura con le grandi democrazie occidentali. La situazione cominciò a mutare con l’affermarsi del nazismo in Germania e con la ripresa della politica espansionistica giapponese. Hitler in particolare voleva anch’egli una revisione dei trattati di pace; Mussolini si ritrovava così con un agguerrito riferimento internazionale. Tuttavia però decise di muoversi ancora verso un’intesa con Francia e Inghilterra, per paura di iniziative tedesche in Austria e firmò, nel 1933 il patto a quattro tra Italia, Germania, Francia e Inghilterra con l’impegno di una revisione dei trattati.
    Le proteste scatenate dall’URSS e dagli stati balcanici indussero però la Francia a limitare la revisione di tale trattato all’interno della Società delle Nazioni, rendendo inattuabili i disegni mussoliniani di una revisione consensuale dei trattati di pace. Rimase però in lui un atteggiamento di protezione verso l’indipendenza austriaca, favorito anche dalla politica antitedesca francese. La Francia firmò infatti con Mussolini un trattato che prevedeva ufficialmente una rettifica dei confini somali, ma ufficiosamente dava il via libera all’Italia per la conquista dell’Etiopia.
    La guerra d’Etiopia era dettata da due principali motivi: la crescente disoccupazione, causa della crisi economica (quindi la colonizzazione era ritenuta una valida alternativa all’emigrazione); e la necessità da parte del regime di ostentare una militarizzazione (seppur superficiale) di un atto importante di politica estera. Con grande propaganda quindi si diede avvio alle operazioni militari, condotte prima da De Bono e poi da Badoglio sul fronte eritreo, e da Graziani su quello somalo.
    Conclusa vittoriosamente e brevemente la guerra, scattarono subito le ripercussioni internazionali. In particolare l’opinione pubblica inglese si dimostrò ostile a questo atto e nonostante un tentativo di rendere l’Etiopia protettorato italiano (rifiutato dal popolo inglese), la Società delle Nazioni condannò l’Italia a delle sanzioni economiche che, per quanto blande, furono usate dal regime per fini propagandistici.

  • Mussolini e la politica fascista

    Il Governo successivo sostenuto solo dai cattolici era guidato dal socialista Bonomi il quale però si mostrò subito inadeguato e dopo essersi rifiutato d’intervenire per salvare la Banca d’Italia venne sostituito da Facta.
    Con il Congresso di Roma nel 1921 da semplice gruppo, quello fascista, divenne un vero e proprio partito: il PNF (partito nazional fascista) che aveva come capisaldi nel programma la chiesa con i principi cattolici, la Repubblica e la proprietà capitalista.
    Lo “Sciopero Legalitario” organizzato da tutti i sindacati fine di chiedere al Governo Facta un comportamento più energico nei confronti delle violenze fasciste, si mostrò un fallimento. Queste infatti aumentarono così come la popolarità del nuovo partito visto come ripristinatore dell’ordine e della legalità turbata dagli scioperi.
    Con la formazione del Partito Socialista Unitario, guidato da Turati, si andava perdendo ogni possibilità di creare una forte coalizione antifascista.
    Ben presto Mussolini prese le distanze dalla Repubblica e si avvicinò alla Monarchia alla quale riconosceva un ruolo nazionale importantissimo.
    Il consenso verso i fascisti aumentava costantemente mentre le coalizioni antifasciste si andavano sempre più indebolendo così il Re, anche per evitare la sua possibile sostituzione con il Duca Amedeo D’Aosta, aperto sostenitore del fascismo, dovette necessariamente appoggiare il movimento.
    Alla luce di ciò, nel 1922 si tenne a Napoli un enorme adunata di camice nere decise da lì a poco a marciare fino a Roma per prendersi il potere. Le 20000 camice nere non erano ben armate, ma la figura incolore di Facta decise ugualmente di dare le dimissioni.
    Il Re d’Italia, Vittorio Emanuele, sarebbe potuto intervenire duramente contro i manifestanti ma si rese conto che se questi avessero avuto la meglio il suo trono sarebbe vacillato, viceversa, se avesse vinto lui, l’Italia, dato il forte consenso verso il fascismo, sarebbe potuta cadere in una dilaniante guerra civile.
    Fu così che il Re decise di affidare il Governo a Mussolini che ebbe la fiducia anche dai liberali e dai popolari così da far credere che, nonostante le violenze esteriori, questo era un Governo in linea con la tradizione Costituzionale.
    Si capì subito col discorso del 16 novembre del 1922 che qualcosa era cambiato: “Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo: ma non ho almeno in questo primo tempo, voluto”.
    Agli organi di Stato a poco a poco si sostituivano organi di partito. Il Gran Consiglio del Fascismo si sovrapponeva al Parlamento; la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale all’esercito nazionale.
    Nel 1923 venne varata la Riforma Scolastica Gentile che partendo da un progetto elaborato da Croce, istituiva un esame alla fine degli studi superiori così da permettere l’esistenza delle scuole private cattoliche e valorizzare maggiormente la cultura. Sempre nello stesso anno si ebbe l’alleanza con il partito nazionalista.
    Quando i popolari si ribellarono all’evoluzione autoritaria che stava prendendo il governo, Mussolini, sicuro che il mondo cattolico gli sarebbe stato sempre vicino, chiese a loro le dimissioni. In questo modo a Don Luigi Sturzo non restò che dare le dimissioni.
    Il sistema elettorale venne modificato con la “legge Acerbo” la quale attribuiva i 2/3 dei seggi parlamentari al partito che avesse avuto il maggior numero di voti purchè non inferiore al 25%.
    Lo scopo di questa legge era quello di far affiancare il maggior numero di forze liberal-moderate intorno al partito fascista.
    Autorevoli leader come Salandra e Orlando, appoggiarono il listone mussoliniano mentre le altre forze antifasciste, troppo frammentate, non rappresentarono una vera minaccia infatti il listone ebbe il 65% dei voti.
    All’apertura della nuova Camera nel 1924 Giacomo Matteotti denunciò le ripetute violenze fasciste che avevano caratterizzato la campagna elettorale e chiese l’annullamento delle elezioni. Pochi giorni dopo venne rapito ed ucciso da dei sicari fascisti.
    Il delitto sembrò avere compromesso il potere fascista perché tutte le forze si rifiutarono di partecipare ai lavori della Camera e seguendo l’esempio degli antichi romani con la Secessione dell’Aventino ma non ebbero l’appoggio del Re.
    Mussolini si assunse tutte le responsabilità del delitto Matteotti e proclamò la volontà di eliminare ogni forma di democrazia esistente.
    Seguirono nuovi atti di violenze e repressioni che portarono nel corso del 1925 alla soppressione della libertà di stampa; i giornali per continuare a lavorare dovevano allinearsi alle posizioni del regime. Ormai lo Stato totalitario si era affermato.
    Con la legge del 24 dicembre 1925 il presidente del Consiglio assumeva il nome di Capo del Governo e doveva dare conto delle sue azioni non più al potere legislativo ma solo al Re.
    Le leggi del novembre 1926 determinarono la fine del sistema parlamentare. Furono sciolti tutti i partiti antifascisti e giudicati illegali. Chiunque si fosse opposto al regime sarebbe stato giudicato da un tribunale speciale ed inviato al confino.
    Con le leggi del 1926 si modificavano le amministrazioni locali, il sindaco era sostituito dal podestà di nomina governativa.
    Con la legge del 1928 si modificava il sistema elettorale; si sottolineava il principio della lista unica nella quale erano presenti 400 candidati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo che bisognava approvare o respingere in blocco.
    Con i patti Lateranensi firmati dal Duce e dal cardinal Gasparri, si poneva fine alle lotte tra Stato e Chiesa. A quest’ultima veniva riconosciuta l’importanza della religione cattolica; gli venivano dati maggiori poteri per quanto riguardava la nomina dei vescovi e la celebrazione del matrimonio sia in forma civile che religiosa.
    Per quanto riguarda il territorio la chiesa riconosceva lo Stato italiano con Roma capitale e al piccolo Stato Vaticano venivano dati 750 milioni come prezzo per le terre espropriate.
    Questi erano gli anni della fabbrica del consenso. I giovani da fanciulli fino all’età universitaria, venivano squadrati in gruppi tipo Balilla, Avanguardisti, Giovini italiane, Figli della Lupa e così via.
    Il regime si mostrò molto attento alle innovazioni, infatti per diffondere le notizie si servi moltissimo oltre che della stampa che però esisteva già da tempo, anche dei nuovi sistemi di comunicazione rappresentati dal cinema e soprattutto della radio.
    Tra il 1922 e il 1926 il fascismo mantenne una politica economica liberale. Il ministro delle finanze Alberto De Stefani, si affrettò a ritirare il progetto sulla nominatività dei titoli e abolì il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita. In pratica cercò di ridurre il controllo pubblico sulla vita economica promovendo l’iniziativa privata.
    In questi anni l’industria italiana incrementò molto la produzione grazie soprattutto alle aumentate esportazioni. Nonostante ciò De Stefani venne sostituito da Volpi che era più in linea con i caratteri totalitari dello Stato fascista.
    Per permettere la ripresa del settore agricolo, fu lanciata la “battaglia del grano“; furono alzati i dazi doganali sui cereali importati per incoraggiare la produzione nazionale e giungere all’autosufficienza nei consumi. Furono estese le aree coltivate a grano sostituendo culture specializzate che in un mercato estero sarebbero state maggiormente richieste.
    Nel discorso di Pesaro nel 1926, Mussolini, annunciò di volere fissare il cambio della lira con la sterlina a 90 “quota novanta“. Questa riforma era tesa a fare aumentare l’importanza italiana in una futura politica estera autoritaria ma ciò preoccupava molto le classi medie del paese sottoposte al pericolo dell’inflazione. Per venire incontro agli industriali, il duce, fece alleggerire i salari del 10-30% con un conseguente aumento della disoccupazione.
    I disoccupati che si erano venuti a creare vennero impiegati in un vasto programma di opere pubbliche culminanti con la Bonifica dell’Agro Pontino. Le zone paludose furono rese agricole ed abitabili, furono edificate nuove città quali Latina, Pomezia, Sabaudia ed altre.
    In questo modo, l’Italia si allontanava sempre di più dal mondo industriale e dal commercio estero.
    Con il “Patto di palazzo Vidoni“, la confederazione degli industriali e quella dei sindacati fascisti, con una legge vietarono gli scioperi ed istituirono un magistrato del lavoro che doveva risolvere i problemi riguardanti i contratti collettivi di lavoro.
    Gli anni trenta furono gli anni del consenso; ogni italiano si poteva riconoscere con convinzione nelle forme politiche realizzate dal PNF.
    L’isolamento dell’economia fece in modo che la crisi del ’29 fu meno cocente rispetto agli altri Stati e colpì le banche e le industrie siderurgiche. Il duce per evitare il tracollo dell’economia assunse il controllo tramite l’IRI e l’IMI delle principali industrie e banche italiane. IMI ed IRI avevano lo scopo di riorganizzare le industrie e le banche per farle uscire dalla crisi.
    Il regime in questo modo finì per avere il monopolio del credito e 1/4 del capitale industriale. Tutto questo non faceva parte di un processo di socializzazione, ma al contrario, era teso a facilitare l’iniziativa privata tramite sgravi fiscali e tariffe protette. In cambio di queste facilitazioni, gli industriali s’impegnavano ad appoggiare il regime.
    L’Autarchia, produrre e consumare solo prodotti nazionali, divenne una delle parole d’ordine del regime. Il sistema produttivo del paese gravò assai poco sulle classi medie che per questo si sentirono legate al Duce.

  • Benedetto Croce: lo storicismo assoluto

    Verso la fine dell’800 si ricomincia a studiare Hegel nella scuola di Napoli. Tra i maggiori esponenti del neo hegelismo, possiamo ricordare Augusto Vera e Spaventa zio di Croce.
    Croce nasce nel 1866 ma ben presto a causa di un incidente rimase orfano. Così in età ancora adolescenziale, fu accolto in casa dallo zio Spaventa. Ciò gli permise di entrare a contatto con personalità molto importanti e di conoscere pienamente il pensiero hegeliano.
    Egli non fece mai parte della vita accademica; fu grande amico di Gentile, almeno fino a quando dopo l’avvento del fascismo, questo decise di sostenere il governo autoritario mentre Croce si schierò all’opposizione.
    Le opere scritte da Croce, sono tantissime, tra le più importanti ricordiamo: “La storia come pensiero e azione”, “Teoria e storia della storiografia”.
    L’enorme eredità lasciatogli dalla famiglia gli permise, senza altre distrazioni, di dedicarsi agli studi.
    Arriva ad Hegel attraverso lo studio dell’economia di Marx e della struttura dialettica. Di Hegel egli accetta l’interpretazione della realtà come movimento dello spirito però non accetta che l’attività di quest’ultimo sia solo dialettica. Secondo lui infatti, l’attività dello spirito sarebbe regolata da categorie fondamentali legate insieme da un rapporto di “distinzione”.

    SPIRITO
    Attività teoretica
    * Del Particolare (intuizione) “estetico”
    * Dell’Universale (vero) “logica”
    Attività Pratica
    * Volizione del particolare (utile) “economia”
    * Universale “etica”

    Secondo Croce le categorie fondamentali dello spirito sono quattro: due appartenenti all’attività teoretica e due invece all’attività pratica. La storia è attività teoretica e pratica. Il movimento dello spirito quindi è storia ed è circolare.
    Fra le due categorie appartenenti all’attività teoretica, la prima, ossia l’estetica, denota la forma dello Spirito rivolta alla visione. L’opera d’arte è libera, è manifestazione dello spirito umano. Tutti siamo poeti, tutti possiamo creare, però non tutti siamo artisti, in quanto l’artista è colui che riesce ad avere un’intuizione lirica” che riesce ad esprimere i sentimenti dell’artista, trasfigurandoli e purificandoli da ogni contenuto passionale. Ciò non vuol dire che,non rappresenta la realtà con tutti i suoi aspetti contrastanti, ma che riesce a ricomporli in una forma più armoniosa. Quindi l’opera d’arte è un tutt’uno tra intuizione ed espressione; è sintesi a priori.
    La logica, denota invece la forma riflessiva, razionale e dà luogo alla filosofia. Per Croce la filosofia però ci insegna dei concetti che in effetti sono dei “pseudoconcetti”. Il vero concetto è l’universale cioè lo spirito e quindi l’arte.
    L’economia dà luogo alla ricerca “dell’utile”. Nell’utile ci rientra lo Stato in quanto questo nasce solo per utilità (come sosteneva Machiavelli) e non per etica (come invece affermava Hegel).
    I vari movimenti fino al bene appartengono alla storia. Per “storicismo” si intende una interpretazione della filosofia che voglia cogliere i valori. Quello di Croce possiamo chiamarlo storicismo assoluto; infatti per lui tutto il movimento dello spirito è “storia”.
    Tutta la storia è contemporanea in quanto viene studiata sempre secondo la mentalità contemporanea. La storia non fa mai morale, non è mai giustiziera, ma tutto comprende. Davanti al tribunale della storia tutto è giustificato. Quando studiamo avvenimenti della storia non possiamo fare giudizi; nella storia non si possono mai mettere “se”.
    “Ritengo che liberale sia la stessa vita umana”, egli ritiene che ci deve essere sempre rispetto delle libertà umane infatti è proprio della natura umana rispettare gli altri e le proprie libertà.