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  • Celti: i rapporti con Roma

    I rapporti con Roma

    Nel 322 a.C. i Senoni ed i Boi avevano colonizzato la Gallia Cisalpina ed erano scesi sino alle Marche, annientando gli Etruschi, che avevano fondato la Lega delle Dodici Città, e le popolazioni italiche.
    Il primo contatto di Roma con i Celti fu nel 387 a.C., quando Brenno, capo dei Senoni, presso il fiume Allia ottenne una grande vittoria e marciò su Roma, saccheggiandola ed incendiandola.
    I Romani si rifugiarono sulla rocca del Campidoglio dove furono presi d’assedio, senza capitolare. Qui si assistette all’episodio di Brenno che, per andare via, pretese dell’oro (probabilmente quello del sacco di Veio), pronunciando la famosa frase: “guai ai vinti”. In realtà sembra più probabile che tra i Senoni ed i Romani fu siglato un accordo di pace e che la propaganda romana abbia enfatizzato questo episodio al fine di esaltare la gloria capitolina. Successivamente la città fu ricostruita sotto la guida di Furio Camillo, che riuscì a convincere la popolazione a non trasferirsi a Veio, città etrusca appena conquistata, ancora intatta. Dopo questo avvenimento i Romani svilupparono un certo terrore verso i Celti.
    L’episodio appena descritto nacque a seguito di un’invasione celtica presso l’Etruria (avevano già conquistato il nord Italia che precedentemente era stato sotto l’influenza etrusca), avvenuta esattamente a Chiusi, centro di produzione vinicola di cui i Celti erano particolarmente ghiotti.
    L’aneddoto legato a questo episodio narra di un certo Aruns di Chiusi, la cui moglie era stata tradita da un lucumone locale, che chiamò i Celti in suo aiuto. Quando videro l’orda gallica alle porte i chiusini chiamarono i Romani, che bramosi di conquista nei confronti etruschi, ma diffidenti verso gli invasori, si limitarono ad inviare tre ambasciatori a trattare la pace. Tuttavia questi offesero i Celti e combatterono al fianco degli Etruschi contro di loro, perdendo. In seguito a questo episodio, Brenno, dopo aver distrutto la tirrenica Melpun, marciò verso Roma come rappresaglia. Naturalmente c’è una ragione più pratica dietro questa guerra: i Celti avevano bisogno di terre e di ricchezze ed effettuavano continuamente delle migrazioni.
    I Celti ricompaiano contro i Romani nella battaglia di Sentinum del 295 a.C., nel corso della terza guerra sannitica, accanto ai Sanniti, Umbri, Etruschi , Lucani e Sabini dove subiscono una sconfitta.
    I Romani erano risoluti nell’allontanare il pericolo celtico dall’Italia e nel 285 a.C. perpetuarono un genocidio (uno dei primi nella storia) nei confronti dei Senoni, erigendo sul luogo Sina Gallica (Senigallia) e più a nord Rimini. Inizia, così, la conquista dell’ager gallicus, cioè le alte Marche. Di conseguenza i Galli della regione minacciata (Boi, Senoni, Taurisci, Insubri) si alleano con gli Etruschi e marciano su Roma. Nel 283 a.C., presso il lago Vadimone, i Romani li massacrano, tingendo di rosso le acque del Tevere. Si racconta in proposito che i cittadini dell’Urbe appresero dalla notizia vittoriosa vedendo il colore delle acque, ancora prima che facessero ritorno i soldati.
    Successivamente i mercenari celtici si alleano ad Asdrubale in Spagna. Questi però firma il trattato dell’Ebro (226 a.C.), con il quale Cartaginesi e Romani si spartiscono la Spagna e riconoscono i Celti come comuni nemici. Questo trattato fu la fine per i punici che non capirono che solo alleandosi con le tribù locali potevano battere Roma.
    Nel 225 a.C. i Celti (50.000 fanti e 25.000 cavalieri, come racconta Polibio), aiutati dagli Etruschi, sono sconfitti a Talamone dai Romani. Nella circostanza vengono sottomessi anche i Liguri, popolazione italica, abile nella pesca e nella navigazione marittima, che aveva frequenti commerci con i Celti ed i greci di Marsiglia. Dopo questo episodio, Roma si rende conto che le tribù celtiche si possono sconfiggere con un esercito addestrato e organizzato.
    Nel 222 a.C., dopo la vittoria di Clastidium, la Valle Padana viene conquistata agli Insubri (Milano, loro capitale, distrutta) e alcune roccaforti celtiche, già città etrusche, vengono prese: Piacenza, città dei Boi; Cremona, città degli Insubri; Aquileia. Tra il 189 a.C. ed il 183 a.C. sarà la volta delle città dei Boi di Parma, Modena e Bologna.
    I Celti appoggiano Annibale che cala in Italia, uscendone di nuovo sconfitti. In particolare il loro impeto bellico si rivelava dannoso per le battaglie del generale cartaginese, come successe nella battaglia sul fiume Trebbia. In Gallia Cisalpina continua la guerriglia celtica fino al 175 a.C., data in cui l’Italia settentrionale è romana.
    Tra il 123 a.C. ed il 121 a.C. i consoli Caio Sestio Calvino, Domizio Adenobardo e Quinto Fabio Massimo conquistano la Gallia Narbonese.
    Nel 113 a.C. i Celti si ripresentano ai Romani al di là delle Alpi (parola di origine celtica) a Noreia, l’odierna Klagenfurt, dove Norici e Taurisci, in una fase di migrazione verso il nordeuropa sconfiggono le truppe di Papinio Cambone.
    Nel 109 a.C., presso Arausio (odierna Orange), sempre in una fase di migrazione, i Cimbri e i Cimmerri, popolo celtoscita, apportano una nuova sconfitta ai soldati romani. Dunque, i Celti diventano di nuovo uno spettro per la città capitolina. Si può osservare che in questo periodo si assiste a diverse fasi di migrazioni celtiche, con influenze sia germaniche che orientali, nessuna però valica le Alpi. Nel 107 a.C. gli Elvezi ed alcune tribù germaniche sconfiggono presso Agen truppe romane al comando di Longino.
    Per allontanare definitivamente la paura celtica i Romani devono attendere l’avvento di Mario, terzo eroe di Roma dopo Furio Camillo e Romolo. Questi identifica subito il punto debole dei Celti nel furore del primo assalto ed addestra con una rigida disciplina le truppe romane, facendole diventare una perfetta macchina da guerra. Così nel 102 e 101 a.C. prima ad Aquae Sextiae (odierna Aix en Provence) e poi a Vercelli furono massacrati migliaia di Cimbri e Teutoni. In entrambe le circostanze, durante le battaglie, Mario fece attendere le sue truppe in zone fortificate, in modo che i soldati si abituassero alle urla ed all’aspetto terrorizzante dei Celti. Una volta diminuito il furore bellico, i soldati romani assalirono i nemici, ormai esausti e indeboliti. Il pericolo celtico era cessato e Roma poteva dedicarsi ad una espansione in Europa.
    La politica di conquista estera dei Romani si basava sul concetto di eliminare eventuali pericoli che li potessero minacciare. Per questo motivo presero la Gallia Cisalpina che era abitata da popolazioni celtiche che potavano minacciarli, poi la penisola iberica, che aveva delle fortificazioni cartaginesi e, successivamente, la Gallia Narbonese come territorio di collegamento tra i due conquistati.

  • Cartagine e i cartaginesi

    Cartagine e i cartaginesi

    Intorno all’800 a.C. alcuni abitanti di Tiro migrarono in Africa e fondarono Cartagine. Questo episodio è stato tramandato ai posteri attraverso il mito della regina Didone, che conobbe anche Enea, secondo quanto scrisse Virgilio. Questa regina era conosciuta con il nome di Elissa, figlia di Pigmalione, che per diventare re, fece uccidere suo marito. Con Elissa si schierarono diversi patrizi tirii ed essa decide di lasciare la propria patria, portando un tesoro con se e riuscì a fuggire con un tranello. Arrivata a Cipro, trovò delle donne che si unirono all’equipaggio. Poi si diresse verso la costa africana dove fece edificare la città.
    Come in tutte le leggende, anche questa cela una verità. Alcuni cittadini di Tiro, probabilmente rappresentanti di una classe sociale emergente, erano in contrasto con la reggenza ed anche la borghesia locali. Ci fu un tentativo di presa di potere, che venne vanificato, per cui rimase l’esilio. Nel viaggio fu portato oro e preziosi. Gli esuli tirii scelsero la baia di Cartagine, tipico paesaggio fenicio, come luogo di approdo e di fondazione della nuova città: cartagine significa appunto città nuova. Tiro cercò di impedire questo processo, incaricando la città di Utica di distruggere la nuova colonia, ma l’operazione fallì. Da cui iniziò lo sviluppo di questa cultura molto simile a quella di Tiro. Si adoravano le stesse divinità; tuttavia mentre i fenici avevano ridimensionato la loro crudeltà nei sacrifici agli dei, i cartaginesi erano famosi per la loro efferatezza nelle celebrazioni sacre.
    La città era famosa per la sua Byrsa, collinetta con una rocca ove si conservava l’oro della città e che si usava in casi di estremi di difesa. C’era il tofet , il porto (anzi erano due), il mercato affollatissimo. Era una città che commerciava con l’Africa, la Spagna, la Sicilia e la Sardegna. Le sue mura difensive erano possenti ed ogni patrizio aveva un possedimento terriero, che veniva usato anche come luogo di produzione di scorte di emergenza. La città era protetta anche da 200 km di deserto che si stendevano verso l’Egitto.
    Il potere era in mano al Senato ed ai suffeti. Tuttavia ci furono diversi tentativi di golpe da parte di famiglie militari: prima ci provarono i Magonidi e poi i Barca. All’inizio la città si avvalse di un esercito mercenario, anche perchè la popolazione punica era poca, con il quale intraprese solo azioni di difesa contro i greci. Per le operazioni di conquista ci volle un esercito proprio. Verso il 450 a.C. si alleò con gli Etruschi per combattere i greci. Insieme riportarono una vittoria ad Alalia in Corsica, ma ottennero pochi successi in Sicilia, contro Siracusa.
    Nel 405 a.C. il generale Annibale, prese alcune città siceliote: Selinunte (distrutta), Imera, Gela, tranne Siracusa, Messana, Katania e Akragas, dove perse la vita, fermato da una pestilenza. Il successore Amilcare prese le altre tranne Siracusa, con cui concluse un trattato di pace.
    Nel 398 a.C., Dionigi, il signore di Siracusa distrusse Mozia, usando la stessa tecnica che Alessandro Magno adotterà per Tiro. Per questo il generale punico Himlico, assediò Siracusa senza riuscirvi, fermato da una nuova pestilenza. A tale proposito sembra che i punici non fossero molto curati nell’igiene. La lotta con Siracusa rimase incerta e si stabilì che il fiume Alico, vicino Imera, dovesse essere la linea di confine.
    Nel 310 a.C. Agatocle, signore di Siracusa, fu sconfitto da Amilcare ad Imera e si ritirò nella propria città. Nell’assedio, si diresse con alcune navi su Tunisi ed attaccò Cartagine per via terra, sconfiggendo Bomilcare. Il signore siracusano, si alleò con Ofella, diadoca d’Egitto, ma venne sconfitto. Ottenne comunque un trattato di pace, che segnava di nuovo il confine sul fiume Alico.
    Dal 510 a.C. al 306 a.C., Cartagine strinse con Roma tre patti di collaborazione, mantenendo intatti i traffici, dando ausilio ai romani nei porti, aiutandosi a vicenda in caso di aggressione da altri popoli, non costruendo città in Sardegna. La cosa funzionò soprattutto con Pirro, che sbarcato a Taranto nel 280 a.C., fu sconfitto dai romani e devastò la Sicilia, fino a Lilibeo, fu poi sconfitto dai punici e dai romani venuti in loro aiuto.
    Nel 265 a.C. scoppia la prima guerra punica.
    Gerone, signore di Siracusa attacca Messana, che chiama in aiuto sia Cartagine che Roma, quest’ultima occupa la città con delle truppe.
    La protesta punica, circa la violazione degli accordi, portò alla guerra che si tramutò in stallo, esclusa una schermaglia avvenuta ad Agrigento, fino al 260 a.C., quando a Milazzo i romani sconfissero i cartaginesi, avvalendosi del ponte mobile. I punici si rifecero a Termini. Nel 257 a.C. i romani, comandati da Attilio Regolo, vinsero a Gela e puntarono su Cartagine, dove attaccarono via terra, finendo sconfitti dalla cavalleria numidica. Amilcare Barca, padre di Annibale, soprannominato lampo, fu mandato in Sicilia, dove organizzò una resistenza tra Trapani ed Erice, ma rimase tagliato fuori dalla patria. I romani intanto vinsero alle isole Egadi ed ottennero una pace vantaggiosa che assicurò la Sicilia a Roma ed indebitò economicamente Cartagine.
    Tra il 241 a.C. ed il 237 a.C. ci furono delle rivolte tra i punici, capeggiati da Matho. Sotto la guida di Amilcare, Cartagine si riprese e costruì, assieme al successore il genero Asdrubale, un considerevole regno in Spagna. Fu fondata Cartagena, che sembrava richiamare la leggenda della città punica. I Barca attuavano una politica più personale che filo cartaginese tra gli iberici.
    Nel 226 a.C. fu firmato un trattato con i romani in cui ci si impegnava a non superare il fiume Ebro. Questo trattato costò l’indipendenza dei Celtiberi, che furono combattuti da entrambi. Intanto Cartagine si rafforzava ed aveva un’economia sempre più florida.
    Nel 219 a.C. scoppia la seconda guerra punica.
    Sagunto, città spagnola al di sotto dell’Ebro, insorge e chiama in aiuto i romani. Annibale, succeduto allo zio, prese Sagunto e Roma gli dichiarò guerra. A questo punto Annibale compì la famosa impresa.
    Oltrepassate le Alpi, tra il 218 ed il 217 a.C. vinse i romani (Trebbia, Ticino, Trasimeno e Canne), attuando la sua famosa tattica dell’accerchiamento sulle ali. Non riuscì ad allearsi alle popolazioni italiche locali, se non ad alcune sannite. Trascorse un lungo periodo a Capua, ma non si sentiva sicuro a prendere Roma. Di lui si diceva che sapeva vincere le battaglie, ma non le guerre.
    Si alleò con Siracusa e con Filippo V di Macedonia, ma entrambi furono sconfitti dai romani. Siracusa in particolare pianse Archimede. I romani ottennero anche vittorie in Spagna ed uccisero sul Metauro, Asdrubale, il fratello di Annibale che aveva cercato di riunire le forze.
    Scipione l’Africano sbarcò a Tunisi e, con l’aiuto del numidico Massinissa, costrinse Annibale, dopo 13 anni, a lasciare l’Italia, sconfiggendolo a Zama. Fu siglata un’altra pace con Roma, dove stavolta Cartagine oltre a pagare altri debiti, non poteva compiere guerre se non con il consenso romano.
    Annibale rimase a governare, portando Cartagine ad un certo benessere. Roma voleva Annibale e questi scappò prima in Siria, formando un esercito ce venne sconfitto, e poi in Bitinia dove fu tradito e preferì il suicidio nel 183 a.C..
    Intanto Massinissa provocava Cartagine con saccheggi, fino al punto che ci fu la risposta dei punici, contravvenendo gli accordi di pace con Roma. I romani attendevano questo momento e nel 149 a.C. scoppiò la terza guerra punica.
    Nonostante Cartagine sia ritornata sui suoi passi, consegnato ostaggi e pagato altri debiti, Roma era decisa a distruggere la città ed affidò l’incarico al generale Scipione Emiliano. Il senatore Catone era un sostenitore di questa politica.
    Come per Tiro, fu costruita una diga sul mare. La città fu difesa casa per casa e dopo sei giorni capitolò, nonostante il generale Asdrubale la difese valorosamente. Rasa al suolo la città, fu sparso del sale sul terreno per renderlo sterile.
    Sopravvissero comunque il capitalismo e l’abilità nel commerciò che già i fenici avevano tramandato al mondo.

    Religione
    I Fenici ed in particolare i Cartaginesi sono stati tramandati come crudeli e sanguinari soprattutto dai Greci. Ciò probabilmente era dovuto ad uno scopo propagandistico ed alla loro religione, avente tipiche caratteristiche orientaleggianti.
    I sacerdoti fenici compivano molti sacrifici sui tofet, spesso anche di umani, come accadde a Cartagine sotto l’assedio del siceliota (greco-siracusano) Agatocle, dove furono sacrificate circa 300-500 giovani vite.
    Esisteva una trinità fenicia: El, Baalat e Baal. Il primo è un dio inafferabile, lontano dall’uomo. Baalat è la moglie di El e la grande madre, colei che dava calore, fertilità e sicurezza all’uomo. Era anche conosciuta come Ashera.
    Questa figura era nota ai Sumeri come Innin, ai Babilonesi ed Assiri come Ishtar, agli Egiziani come Iside.
    Molto più vicina all’uomo è il loro figlio Baal, oppure Adon o Eshmun, venerato come Melkart presso Cartagine e Tiro. Egli ogni anno moriva e poi risorgeva, richiamando le stagioni. Egli si sacrifica per l’uomo: muore e risorge per lui. Questa figura farà nascere il mito di Ercole (Eracle) e di Adone, importato in Grecia.
    C’erano altre divinità, forse realizzate dai sacerdoti per esigenze locali: Kusor, dio del mare e guardiano delle stagioni; Hijon, protettore degli artigiani e degli industriali; Dagon, dio del grano; Shadrapa, patrono dei medici, Reshef, amministratore di tuoni e di fulmini; Misor e Sydyk, dei della giustizia.
    Si credeva che il mondo fosse un uovo, creato da El, e che una sua rotazione violenta avesse separato terra e acque. Poi furono creati gli dei e fu fatto l’uomo, da cui ebbero origine le vite animali e vegetali. Baal e Baalat erano venerati un po’ dappertutto.
    Presso la cultura fenicia si celebrava il rito della prostituzione sacra. Ogni donna, solo una volta l’anno, in occasione di particolari feste, concedeva il proprio corpo. Questo per consentire all’uomo di corrispondere direttamente con la divinità, tra l’altro si trattava di un simbolo di fertilità.
    L’elemento ravvivante per queste divinità era il sacrificio, simbolo dunque di rigenerazione e di resurrezione. Baal voleva che una madre sacrificasse il figlio con il sorriso sulle labbra: per questo erano vietati pianti e lamenti in queste circostanze.
    Questa religione ebbe molti contrasti con il vicino monoteismo di Israele. A tale proposito è indicativa la lotta ingaggiata dal profeta Isaia contro la regina fenicia Jezabel, fino al punto di farla uccidere. Questo infatti simboleggiava la vittoria del monoteismo e della tradizione ebraica sul politeismo fenicio.
    La filosofia di vita fenicia, imperniata sul vivere basandosi sul razionale, sul non confidare nel futuro e negli dei, sul non attendersi nulla per non essere delusi, sul vivere in uno stato di apparente serenità fu all’origine dello stoicismo.
    Dalla religione fenicia nacquero dei miti, sviluppati poi dai greci: Afrodite, Europa, Adone e Dioniso.

  • Roma dal 753 A.C. al 31 A.C.

    Roma, fondata secondo le tradizioni nel 753 a.C. dal mitico Romolo, nacque in realtà da una fusione delle tribù che abitavano i vilaggi fortificati posti su colli alla sinistra del Tevere. Questi gruppi di persone costruirono il foro, uno spazio comune situato in basso nella pianura circondata dai colli, dove si teneva il mercato e le assemblee. La prima forma di governo di Roma fu la monarchia elettiva: essa durò due secoli e mezzo, dalla metà dell’VII secolo a.C. alla fine del VI. Fra i cittadini non vi erano forti differenze per quanto riguarda il tenore di vita, esisteva comunque una divisione sociali fra i patrizi, ricchi, nobili e politicamente influenti e plebei, poveri e dunque esclusi dalla politica. Il re amministrava la giustizia, era capo dell’esercito e svolgeva i compiti di sommo sacerdote. La popolazione era originariamente suddivisa in tre tribù, che avevano il compito di fornire all’esercito cento fanti e dieci cavalieri; inoltre dovevano eleggere dieci senatori. Questo ordinamento venne successivamente riformato suddividendo la cittadinanzain ventuno tribù su base esclusivamente territoriale.
    Nel corso del V secolo a.C. si vennero progressivamente delineando le caratteristiche del nuovo ordinamento repubblicano. Il primo periodo della repubblica si differenzia da quello monarchico sostanzialmente per un fatto: invece di un re in carica fino alla morte, il senato patrizio eleggeva ogni anno due consoli (repubblica aristocratica). Le prerogative religiose erano affidate a un sacerdote apposito. Il governo, anche qui, era in mano ai patrizi, i soli che ricoprivano cariche pubbliche e che erano membri di diritto del senato. Solo loro potevano fare le leggi. Non è facile cogliere la vera origine di questi distinti ordines, anche perchè le risposte date finora dagli studiosi sono state estremamente diverse; patrizi e plebei, se ebbero tra loro profonde differenze di carattere economico, sociale e religioso (professavano infatti culti diversi) dovettero inizialmente (nel periodo monarchico) distinguersi soprattutto per motivi etnici. C’è chi ha voluto vedere, ad esempio, nei patrizi i latini che si imposero sull’etnia sabina, cioè i plebei; oppure individuare nei patrizi gli etruschi conquistatori (etruschi erano i re Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo) che sottomisero la componente etnica latino-sabina, riducendola a plebe. Certo è che la lotta che si sviluppò tra patrizi e plebei nelle prime fasi dell’età Repubblicana portò alla progressiva abolizione di numerosi privilegi politico-sociali del patriziato. I plebei, pur essendo costretti a partecipare alle guerre non avevano il diritto di partecipare alla spartizione dei territori occupati. Sicchè, ad ogni guerra il divario tra patrizi e plebei invece di diminuire, aumentava. La pretesa parificazione dei diritti con i patrizi, portò i plebei a condurre dure lotte sociali, civili e politiche. Alla fine i patrizi furono costretti a riconoscere due magistrati (tribuni della plebe) come rappresentanti dei plebei in senato. Essi potevano opporre il loro veto alle leggi ritenute anti-plebee. Ma la più grande conquista dei plebei furono le Leggi delle XII tavole (incise nel 450 a.C. su tavole di bronzo ed esposte nel Foro, la piazza più importante della città ). Esse segnano il passaggio dal diritto orale a quello scritto: affermano il principio dell’uguaglianza davanti alla legge e la sovranità del popolo. Tuttavia, solo dopo circa un secolo e mezzo fu riconosciuto ai plebei il diritto di accedere a tutte le cariche pubbliche. I vari magistrati erano eletti dai cittadini. In momenti difficili, come in caso di guerra, tutti i poteri si concentravano nelle mani di un solo capo, il dittatore, che per impedire si trasformasse in tirannia restava in carica solo sei mesi. La celebre sigla, S.P.Q.R. che assieme alla Lupa Capitolina era il simbolo del potere di Roma, significa Senatum Popolus Quae Romanus ossia Senato del Popolo Romano. Nel 494 a.C. la secessione della plebe guidata da Menenio Agrippa diede luogo all’elezione dei tribuni della plebe (tribuni plebis). Eletti annualmente, godevano dell’inviolabilità personale (sacrosanctitas) e del diritto di veto sulle deliberazioni dei magistrati patrizi (intercessio) e rappresentavano per i plebei il punto di riferimento politico nei conflitti con il patriziato: avevano cioè ufficialmente il diritto di soccorrere la plebe (ius auxilii ferendi plebi). Questi cambiamenti politici segnarono la nascita di una nuova aristocrazia. Il Senato, che originariamente possedeva solo una serie di limitate prerogative amministrative, divenne il fulcro del governo della Repubblica, poichè a esso spettava ogni decisione in materia di pace e di guerra, nella scelta delle alleanze e delle colonie da fondare, nel controllo delle finanze statali.
    A Roma i banchetti svolgevano un ruolo in parte diverso rispetto a quello giocato nel modo greco. Venivano consumai alimenti molto semplici, come vegetali o legumi, spesso crudi o freddi, e che non richiedeva la compagnia delle altre persone. Roma ereditò dai greci molti aspetti della propria civiltà e tra gli altri l’interesse per i giochi agonistici. Tuttavia lo sport presso i romani perse del tutto il suo originario significato rituale, per trasformarsi definitivamente in uno spettacolo. I romani introdussero anche nuove attività nei giochi che si svolgevano negli anfiteatri, come ad esempio le lotte tra gladiatori o tra gladiatori o animali feroci. Mentre i greci amavano soprattutto la forza, la destrezza e l’armonia del gesto atletico, i romani preferivano le emozioni forti e non disdegnavano quindi gli spettacoli violenti e sanguinari.
    Roma, al contrario delle città greche, manifestò molto presto la volontà di uscire dai propri confini. La concessione dei diritti ai plebei portò le classi e i ceti più agiati a scatenare diverse guerre di conquista contro i popoli vicini, per recuperare, per così dire, i privilegi perduti. Tra il 449 e il 390 a.C. la politica espansionistica di Roma divenne particolarmente aggressiva: con la presa di Veio (396 a.C.) da parte di Marco Furio Camillo, l’Etruria iniziò a perdere la propria indipendenza. Intorno alla metà del IV secolo a.C., nell’Etruria meridionale vennero stanziate alcune guarnigioni romane. Le vittorie su volsci, latini ed ernici assegnarono a Roma il controllo dell’Italia centrale. Dopo aver domato a fatica la ribellione delle città latine (338 a.C.), Roma ingaggiò un lungo conflitto con i sanniti. Alla fine delle guerre sannitiche, nel 296 a.C. l’area sotto il controllo di Roma si estendeva su tutta l’Italia centrale.
    Tra l’inizio del IV e il III secolo a.C. i celti iniziarono a esercitare una pressione, che a sua volta era dovuto alla pressione dei popoli nordici, che provocarono una serie di migrazioni: i Celti penetrarono nel mondo greco-romano, invadendo l’Italia settentrionale, la Macedonia, la Tessaglia, e saccheggiando Roma (390) e Delfi (279), ma qui senza successo, pur rimanendo nei Balcani. Nel 225 il loro potere cominciò a vacillare in seguito alla sconfitta inflitta dai Romani a Talamone, e la loro supremazia in Europa cominciò a declinare, anche se occorsero altri 200 anni prima che Giulio Cesare sottomettesse la Gallia (58 a.C.) e un altro secolo ancora prima che la Britannia venisse annessa all’Impero Romano. Ma la loro storia non termina con la conquista romana. I Celti infatti continuarono ad esistere in tutta Europa e, sebbene le loro favelle siano scomparse in molti luoghi, sono rimaste vive le loro idee, le loro superstizioni, le loro feste popolari, i nomi che hanno dato alle località .
    La conquista della Campania nel IV secolo a.C. mise Roma a diretto contatto le città greche dell’Italia meridionale. Taranto, entrato in guerra, chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro. Pirro forse dall’ambizione di creare uno stato greco nell’Italia meridionale, sbarcò in Italia nel 280 a.C.; ma dopo alcune vittorie iniziali fu sconfitto nel 275 a.C. a Benevento. I tarantini furono costretti ad arrendersi e ad accettare l’alleanza con Roma, che in breve tempo conquistò tutta l’Italia meridionale. A nord le ultime comunità etrusche indipendenti vennero acquisite pochi anni dopo. Roma organizzò le città e i popoli sottomessi nella seguenti forme: municipi: erano città che conservavano la possibilità di governarsi da sè con l’obbligo di versare tributi per le spese militari; colonie: erano nuclei di militari trasferiti a presidio di territori di recente conquista; premature: erano città considerati pericolose, cui non era concessa nessuna autonomia ed erano governate da funzionari romani, i prefetti; alleati: erano stati che Roma legò a sè con contratti: restavano indipendenti ma dovevano fornire aiuto militare a Roma.
    Roma, dovette affrontare lo scontro più duro con i Cartaginesi per fondare il suo impero sul Mediterraneo e diventare oltre che una potenza terrestre una potenza marinara. Il primo conflitto tra romani e cartaginesi si verificò in Sicilia. L’isola era dominata nella parte occidentale dai cartaginesi e nella parte orientale da Gerone, tiranno di Siracusa. Un capo di soldati mercenari licenziati da Gerone aveva occupato Messina e si era posto sotto la protezione dei romani. Questi, passati lo stretto, sconfissero Gerone e lo costrinsero a firmare con essi un patto di alleanza. Contro i romani insorsero i cartaginesi, desiderosi di ricacciarli dall’isola, ed ebbe così inizio la prima guerra punica (264-241 a.C.) e i romani riuscirono a trarre dalla loro parte Gerone. Roma, per escludere i cartaginesi dall’isola dovette pensare a batterli per mare, proprio dove avevano un evidente superiorità . La guerra durò diversi anni, finchè i romani sconfissero i cartaginesi, costretti ad abbandonare l’isola. Poco dopo, i romani, approfittando della debolezza del nimeco vinto, riuscirono ad annettere anche la Sardegna (la Corsica era già stata occupata durante il conflitto). Direttamente connesse al conflitto con Cartagine furono altre imprese militari: la guerra contro i celti, spinti da Annibale alla sollevazione, che permise ai romani di impadronirsi dell’Italia settentrionale e dell’attuale Francia. Le popolazioni che vivevano in questi territori erano molto eterogenee: liguri, iberi, celti, cimbri, teutoni, belgi e tanti altri ancora.
    Cartagine, dopo la sconfitta, aveva cercato in Spagna un compenso delle perdite subite e per mezzo di grandi generali quali Amilcare Barca, suo genero Asdrubale e suo figlio Annibale, aveva esteso la sua egemonia fino all’interno della penisola. Nel 226 a.c. Roma strinse con Annibale un trattato col quale egli si impegnava a non oltrepassare il confine dell’Ebro. Annibale nel 220 a. C. aveva posto l’assedio a Sagunto, una città alleata dei romani, che dichiararono guerra (218 a.C.). I romani si proponevano di portare l’offensiva sia in Spagna sia in Africa, ma ogni loro piano fu sconvolto dall’audace strategia di Annibale. Con le vittorie sul Ticino e sul Trebbia, Annibale si rese padrone della Valle Padana. Non rimaneva che tentare la difesa dei valichi e dell’Appennino, ma ancora una volta Annibale prevalse grazie alla sua superiorità . Ormai il nemico era giunto fino al cuore dell’Italia, incutendo terrore nella stessa Roma. Gran parte degli alleati dell’Italia meridionale, costretti dalla forza, si staccarono da Roma. La guerra si allargò alla Sicilia e alla penisola balcanica, dove Annibale trovò un alleato nel re di Macedonia Filippo V. I romani dettero prova di grande prontezza e forza d’animo. Annibale, nel 211 a.C., fece col suo esercito un’incursione fino a poche miglia di Roma. In Spagna, dove fino ad allora erano prevalsi i cartaginesi, il comando viene assunto dal giovane generale Publio Cornelio Scipione. Scipione comprese che l’unico mezzo per costringere Annibale ad abbandonare l’Italia era quello di tentare uno sbarco in Africa. Stretta alleanza con Massinissa, un principe dei Numidi, nemico dei cartaginesi, sbarcò in Africa. Nonostante la strenua resistenza, i soldati di Annibale vennero sbaragliati. Marco Porcio Cotone, console nel 195 a.C., si recò con un commissione in Africa e fu profondamente colpito dalla prosperità di Cartagine. Il preteso per un intervento che segnasse la fine dell’antica rivale fu offerta a Roma nel 150 a.C., quando Massinissa assalì nuovamente la città . La terza guerra punica, che era sembrata di grande importanza si potrasse per tre anni. Cartagine fu distrutta e il suo territorio venne costituito in provincia con il nome di Africa.
    Lo scontro con Roma, che mirava ad estendere il proprio controllo sull’ Adriatico, fu inevitabile: le guerre illirico-romane, iniziate nel 229 a.C. si conclusero nel 167 a.C. con la vittoria di Roma. Il popolo illirico (Albania) fu ridotto in schiavitù e il suo territorio fu frazionato in piccole unita’ amministrative.
    Nel 200 a.C. in Portogallo viene costituita la provincia romana di Litania.
    Verso la fine del III secolo la Macedonia, sotto Filippo V, era in piena ripresa e mirava nel vecchio sogno di stabilire la sua supremazia sulla Grecia e sull’Egeo. Filippo V di Macedonia e Antiocco III di Siria, nel 202 a.C., strinsero un’alleanza per attaccare l’Egitto e spartisene i possedimenti. Roma non aveva interesse immediato ad intervenire confidando che, lasciato a se stesso, l’Oriente avrebbe continuato a indebolirsi. Ma Scipione l’Africano vedeva nell’Oriente un immenso campo di gloria; così nel 200 a.C. fu dichiarata guerra a Filippo. Lo scontro decisivo avvenne nel 197 a.C. in Tassaglia, dove le falangi macedoni furono completamente disfatti. Filippo fu obbligato a pagare una forte idennità di guerra e dovette rinunciare a tutte le conquiste fatte. Roma dovette volgersi ad Antiocco III. Contro le sue speranze trovò pochi aiuti, mentre Atene con la maggior parte delle città greche e lo stesso Filippo V, si alleava con Roma. La pace venne conclusa nel 168 a.C. a condizione assai grave per il re di Siria. Perse V, che succedete a Filippo V, ereditò dal padre sogni di riscossa e intervenne attivamente in Grecia con le armi e stabilendovi relazioni diplomatiche. Roma, vista minacciata la propria egemonia in Oriente, dichiarava guerra a Perseo V. il re fu catturato e con lui un immenso bottino. Con la battaglia di Pidna (168 a.C.) finisce la stopria del regno di Macedonia. Esso fu sventrato in quattro stati autonomi e qualche anno dopo diventava una provincia di Roma. Nel 146 a.C. la Grecia divenne provincia romana.
    Un’ulteriore espansione di Roma nell’Oriente si ebbe nel 133 a.C., quando l’ultimo re di Pergamo, Atallo III lasciò in ereditò all’alleata Roma il suo stato, che abbracciava un notevole porzione dell’Asia Minore. Il regno fu ordinato provincia con il nome di Asia.
    La prima conseguenza di tale unificazione fu un generale sviluppo dell’economia, favorito da diversi fattori, in particolare l’esistenza di un grande e solido impero, che facilitò l’interdipendenza dei mercati, le province infatti si aprirono le une alle altre.
    Altra conseguenza fu la rovina della piccola proprietà contadina: indebitati e immiseriti, i contadini furono spinti a vendere la loro proprietà a chi possedeva abbondanti capitali da investire. A questo si accompagnò una forte urbabanizzazione, che ebbe però prevalentemente parassitari. Qui disoccupati e agricoltori impoveriti emigrarono in gran numero. Tutte queste persone campavano sulle distruzioni gratuite di vettovaglie. Alla mancanza soluzioni del problema delle terre si aggiunse lo scontento degli alleati italici, che sempre più erano portati a riconoscersi come cittadini romani, mentre di fatto erano quasi ridotti alla condizioni di sudditi. Un’altra fonte di tensione nasceva dalle rivendicazioni di un ceto sociali cresciuto con le guerre, i cavalieri, formati da artigiani, ricchi commercianti e dai pubblicani, le persone cui lo stato aveva affidato la gestione degli affari pubblici. Pur essendo benestanti erano tuttavia non-nobili e pertanto esclusi dalle cariche pubbliche.
    Giugurta (nipote di Massinissa) era considerato un alleato da Roma, avendo combattuto in Spagna con Scipione l’Emiliano. Uccise Iempsale (un fratello) e costrinse alla fuga Adertale (un altro fratello). Nel 112 a.C. prese Cirta e massacrò tutti gli italici. Solo allora venne dichiarato nemico di Roma. Iniziò la guerra prima con Quinto Cecilio Metello, detto il numidico, e poi con Mario e Silla. Alla fine venne sconfitto e portato a Roma in catene, ucciso nel carcere mamertino. Ben governata da Roma, la Numidia divenne una provincia ricca, le sue città furono fortificate e la prosperità della sua produzione agricola le valse l’appellativo di “granaio di Roma”.
    Il ruolo centrale dell’esercito fu evidente sin dall’elezione a console (107 a.C.), con l’appoggio dei popolari, di Gaio Mario. Egli attuò una riforma dell’esercito, in base alla quale vennero arruolati tutti coloro (romani, italici o abitanti delle province) che si fossero offerti come volontari; i legionari, dopo una ferma di sedici anni, avrebbero ricevuto, all’atto di congedo, un appezzamento agricolo.Grande antagonista di Mario fu l’aristocratico Silla. Silla dopo due anni di vittoriosa quanto cruenta guerra civile si fece nominare dittatore a tempo indeterminato. Silla, console nell’88 a.C., aveva avuto un ruolo fondamentale nella guerra sociale, e proprio alla testa delle legioni che aveva guidato nel corso di quel conflitto marciò su Roma. La fuga di Caio Mario gli lasciò libero il campo: Silla fu rieletto console e partì per la guerra contro Mitridate nell’87 a.C. Durante la sua assenza, però, Caio Mario e Lucio Cornelio Cinna, rivestendo nuovamente il consolato, si reimpadronirono del potere, che mantennero finchè morirono, Mario nell’86 a.C. e Cinna nell’84 a.C. Quando Silla, nell’83 a.C., ritornò dall’Asia Minore, marciò di nuovo su Roma e stroncò la resistenza dei suoi avversari. Nominato dittatore, egli eliminò i suoi nemici mediante proscrizioni, e le terre appartenenti agli oppositori politici furono confiscate e distribuite ai veterani delle sue legioni; emanò poi numerose leggi (leges Corneliae) che restituivano all’aristocrazia senatoria il pieno controllo della vita politica dello stato, limitando non poco le prerogative dell’ordine equestre, cui Mario aveva concesso alcuni privilegi.
    Nell’88 a.C. Tolomeo X Alessandro I (circa 140-88 a.C.) aveva lasciato l’Egitto in eredità al popolo romano, o almeno questo venne sostenuto. Ma il Senato romano non aveva accettato l’eredità . In effetti Tolomeo IX Soter (142-81 a.C.), fratello di Tolomeo X, era ancora in vita e regnava sull’Egitto. Nell’81 Soter morì. Nell’80 Silla (138-78 a.C.), dittatore di Roma, favorì l’ascesa al trono d’Egitto di Tolomeo XI Alessandro II (circa 100-80 a.C.), figlio di Tolomeo X Alessandro I. Ma poco tempo dopo il popolo di Alessandria insorse e uccise Tolomeo XI. Per impedire che Silla intervenisse di nuovo o annettesse l’Egitto a Roma, fu chiamato dalla Siria Tolomeo XII Auletes, figlio illegittimo di Soter.
    Silla si ritirò dalla politica nel 79 a.C., lasciando un potere che pur nell’ambito di una struttura costituzionale Repubblicana – aveva i caratteri autocratici della monarchia. Ma il senato, non più in grado di garantire una salda guida allo stato, dovette affidarsi di nuovo alle armi e ai poteri eccezionali conferiti a un solo uomo, Pompeo.
    Cesare propose, a Crasso, suo finanziatore e creditore interessato alla ricostituzione del suo patrimonio, e a Pompeo, politicamente isolato dopo che aveva licenziato l’esercito al ritorno dall’Oriente, di costituire un’associazione a tre, di carattere privato e convalidata da un solenne giuramento di reciproca lealtà , che avesse come fine, con opportuna distribuzione di compiti, il predominio sullo Stato (luglio del 60). Ebbe origine così il primo triumvirato, che assicurò l’elezione di Cesare al consolato per il 59. Cesare chiese e ottenne da Pompeo e Crasso la proroga del comando nelle Gallie per un altro quinquennio.
    Verso la metà di dicembre del 59 a.C. Publio Clodio (?-53 a.C.), un tribuno della plebe che aveva fatto approvare una legge per la distribuzione gratuita di grano al popolo di Roma, propose di annettere Cipro per provvedere al finanziamento della legge. In quel momento Cipro, isola appartenente al dominio degli egiziani, era governata da Tolomeo, fratello di Auletes. Tolomeo venne deposto, ma rifiutò l’offerta di divenire sommo sacerdote di Afrodite a Pafo e si suicidò. Auletes non reagì. Il tesoro pubblico di Cipro, pari a circa settemila talenti, venne inviato a Roma. Nel secondo semestre del 58 Auletes venne a trovarsi in gravi difficoltà . Aveva dovuto aumentare le tasse per restituire il debito contratto con Rabirio. Aveva perso Cipro. Non era andato in soccorso del fratello. Il popolo si ribellò e diede il trono a Cleopatra VI Trifena, figlia di Auletes e sorella di Cleopatra VII. Auletes, forse accompagnato dalla dodicenne Cleopatra VII, fuggì a Roma. Cesare era in Gallia. Pompeo accolse Auletes nella sua villa sui colli Albani. Dal 57 Auletes, in attesa del giudizio dei Romani, si era ritirato ad Efeso nel tempio della dea Artemide. Alla fine di aprile del 55 Auletes riebbe il suo trono.
    Crasso andò incontro alla morte (nel 53 a Carre), Cesare portò invece a compimento il capolavoro del suo genio militare. Il triumvirato era ormai divenuto un drumvirato con la morte di Crasso. Nel 51 a.C. Auletes fece testamento lasciando il trono a Cleopatra e a Tolomeo XIV. Inviò il testamento a Roma perchè fosse conservato nel Tesoro. Ma a causa della difficile situazione politica non fu possibile. La copia del testamento venne trattenuta da Pompeo. L’originale era rimasto ad Alessandria. Nella estate del 51 Auletes morì. Sul trono, con l’approvazione di Pompeo, salirono Cleopatra, diciotto anni, e il fratello/sposo Tolomeo XIV, dieci anni.
    Pompeo, nominato console unico (51) dal senato, si credette abbastanza forte per imporre al conquistatore delle Gallie di rientrare in Roma come semplice cittadino. Fallito ogni accordo, il senato adottò un provvedimento di forza: con un senatus consultum ultimum affidò pieni poteri ai consoli e sostituì Cesare nel comando delle Gallie, con l’avvertimento che sarebbe stato dichiarato pubblico nemico se non avesse lasciato la provincia entro un termine stabilito. Cesare era accampato a Ravenna con una legione in attesa degli eventi. Nella notte del 10 gennaio del 49 varcò il Rubicone in aperta violazione della legge, che proibiva l’ingresso armato dentro i confini dell’Italia. Si iniziava con questo atto la guerra civile, che sarebbe durata dal 49 al 45 e che ci è descritta nei Commentari(De bello civili).
    Pompeo, colto di sorpresa, fuggì precipitosamente in Grecia, mentre Cesare occupava l’Italia (gennaio- febbraio 49). Portata la guerra in Grecia, sconfisse Pompeo a Farsalo (48) e lo inseguì in Egitto. Il figlio di Pompeo, Gneo Pompeo, venne inviato in Egitto a chiedere aiuti. Tolomeo XIII diede sessanta navi e cinquecento soldati. L’assenza di ogni riferimento a Cleopatra testimonia di una rottura tra i due fratelli. In effetti Cleopatra era stata costretta alla fuga in Alto Egitto nel 50 e deposta nel 49.
    Pompeo ancorò le navi vicino al promontorio di Kaison in prossimità dell’esercito di Tolomeo. Il Consiglio di Reggenza giudicò la causa di Pompeo senza speranza. Inoltre il consiglio ritenne necessario un atto significativo per entrare nelle grazie di Cesare, contro il quale si erano mosse le navi e l’esercito egiziano: Pompeo doveva morire. Al momento dello sbarco Settimio pugnalò Pompeo. La moglie, il figlio e gli amici assistettero all’assassinio. Gli egiziani tagliarono la testa di Pompeo e abbandonarono il corpo alla pietà di Filippo che, con l’aiuto di un soldato della guerra mitridatica, potè bruciare le sue spoglie. Poi la flotta egiziana assalì quella romana, che venne costretta alla fuga. Dopo quattro giorni dall’assassinio di Pompeo, Cesare arrivò con una flotta di dieci navi da guerra nel porto di Alessandria. Teodoto gli portò a bordo la testa e l’anello di Pompeo. Cesare pianse. Poi, contro ogni previsione degli egiziani, ordinò alle truppe di sbarcare e occupò il palazzo reale. Vista l’ostilità della popolazione ordinò che due legioni venissero ad Alessandria dalle province romane limitrofe.
    Cleopatra, costretta, infatti, dall’ostilità dei favoriti del fratello a lasciare Alessandria, potè rientrarvi solo grazie all’appoggio dello stesso Giulio Cesare, affascinato, secondo la tradizione, dalle sue grandi arti seduttive, e che non esitò a muovere guerra al recalcitrante Tolomeo XIV, provocandone la morte. Cleopatra tornò allora sul trono come sposa di un altro fratello poco più che bambino, Tolomeo XV, ma il suo posto era ormai al fianco di Cesare. Fra i due nacque una grande passione allietata, nel 47 a.C., dalla nascita di un figlio, che ebbe nome Cesarione. La sovrana d’Egitto accompagnò il condottiero romano in un trionfale viaggio lungo il Nilo per presentargli il suo regno. Tornò a Roma per riprendere la lotta contro i superstiti seguaci di Pompeo. Con fulminea rapidità li battè e nel settembre del 45 fece il solenne ingresso nell’Urbe quale signore incontestato del mondo mediterraneo e della repubblica, celebrando un quinto splendido trionfo (ottobre 45).
    Egli poneva le basi di un governo assoluto, autocratico e presumibilmente trasmissibile, come lasciava intendere l’adozione del giovane nipote Ottavio. Ma per la grandezza dei suoi piani occorreva anche il titolo di re: non in Roma, culla della repubblica, dove gli bastava la dittatura per avere l’autorità suprema, ma nelle terre d’Oriente, in cui il titolo di monarca conservava tuttora il prestigioso fascino di antiche teocrazie. Cleopatra non esitò in seguito a raggiungerlo a Roma con il figlio. Qui, pur in condizioni non sempre favorevoli, data la palese diffidenza se non ostilità che la circondava e lo scandalo suscitato dalla sua sola presenza, visse in una magnifica dimora, circondata da onori e da un lusso leggendario che contribuì a rafforzare la sua leggenda. A Roma, Cleopatra rimase fino all’assassinio di Cesare, nelle Idi di marzo del 44 a.C., quindi fece ritorno ad Alessandria.
    Marco Antonio fu abile capitano, oratore eloquente e suasivo, ma uomo licenzioso e crudele. Più tardi, nel 43, Antonio s’accordò con Ottaviano e con Lepido costituendo il secondo triumvirato, il cui primo atto, voluto da lui, fu l’uccisione di Cicerone. Essi si spartirono il potere (pace di Brindisi, 40 a.C.) suggellando la pace con il matrimonio tra Antonio, vedovo di Fulvia, e Ottavia, sorella di Ottaviano. Antonio rimase affascinato e sedotto dalla regina d’Egitto e accettò di dividere con lei le proprie ambizioni e il proprio destino. La loro unione, allietata anche dalla nascita di 3 figli, Alessandro Elio, Cleopatra Selene e Tolomeo, e quella dei loro domini, pareva destinata a dar vita a un grande e potente impero, capace di contrapporsi con successo a quello romano. Antonio concesse a Cleopatra il governo della Fenicia, della Celesiria, di Cipro e di parte della Siria e dell’Arabia, e ai figli avuti da lei il titolo di re. Ma Ottaviano, non potendo più tollerare una tale situazione, mosse guerra alla regina d’Egitto. Il 2 settembre del 31 a.C. ad Azio egli sconfisse duramente i due rivali, che, fuggiti ad Alessandria, senza più speranze, scelsero di darsi la morte, Antonio con un colpo di spada, Cleopatra con il morso di un aspide. Ottaviano sancì la definitiva annessione dell’Egitto a Roma (30 a.C.), dove tornò immediatamente, portando con sè i tre figli di Antonio e Cleopatra, della cui educazione si fece personalmente carico.

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  • L’Italia preromana

    Mentre nascevano le prime civiltà urbane della Mesopotamia e dell’Egitto, in Europa la preistoria non si era ancora conclusa. Basti pensare che la scrittura fece la sua prima comparsain Italia non prima dell’VIII secolo. Le civiltà neolitiche europee conservavano a lungo un’organizzazione tribale e un grado di sviluppo di gran lunga inferiore a quello vicino-orientale.
    Analizziamo il passaggio tra la fase finale dell’Età del Bronzo (metà XII-fine X secolo a.C.) e l’inizio dell’Età del Ferro: il territorio della provincia di Viterbo in questa fase del Bronzo Finale è immerso nell’aspetto culturale protovillanoviano. Come nelle precedenti fasi dell’Età del Bronzo, essi sono situati soprattutto in posizione elevata e spesso, data la natura vulcanica di gran parte della regione, su speroni tufacei circondati da corsi d’acqua; ma si conoscono anche abitati posti nei pressi della costa tirrenica o sulla riva dei laghi vulcanici, come ad esempio il Villaggio del Gran Carro nel Lago di Bolsena. La tipologia prevalente d’insediamento vede la diffusione delle cosiddette aree con difesa perimetrale, porzioni di territorio con difese naturali (fossi, corsi d’acqua, pareti rocciose), talvolta potenziate dall’opera dell’uomo per renderle inespugnabili.
    La superficie coperta dagli insediamenti protovillanoviani, il 70 % dei quali situata su altura difesa, è mediamente di 4-5 ettari: gli abitati, in cui vivevano alcune centinaia di individui, controllavano un territorio di qualche decina di chilometri quadrati.
    Nel periodo del Bronzo finale, caratterizzato dagli aspetti culturali protovillanoviani, si nota una sostanziale aderenza ad alcuni degli aspetti del periodo successivo, quello Villanoviano nell’età del Ferro.
    Parlare del villanoviano significa fare un vero e proprio salto nel tempo di quasi tremila anni per arrivare quasi al IX secolo a.C. i villanoviani non inumavano i propri morti, tranne in rari casi. Di solito li cremavano e metevano i resti dentro a delle urne. Molti esperti ritengono che i villanoviani praticassero dei sacrifici umani, o più semplicemente che un congiunto o un servitore venisse ucciso per seguire il defunto nell’aldilà . Si dormiva e si viveva in un unico ambiente. In grandi vasi c’erano le provviste. Al centro c’era il focolare.
    Il tetto era di canne e in cima c’era un’apertura per il fumo. La civiltà etrusca fiorì a partire dal IX-VIII secolo a.C. nella regione compresa tra i fiumi Arno e Tevere; sul finire del VII secolo a.C., per l’acquista vitalità economica e commercia, gli Etruschi estesero la loro influenza a Sud, nel Lazio e poi in Campania, e a Nord, nella pianura padana, fondando nuove città . Essi si stabilirono anche in Corsica e Sardegna. Da sempre le vicende e la cultura di questo popolo sono avvolte di mistero, favorita dalla sua incerta provenienza. C’è, infatti, che ritiene che gli Etruschi siano giunti attraverso il mare, accreditando l’opinione dello storico greco Erodoto, vissuto nel V secolo a.C. Dionigi di Alicarnasso, vissuto dal 60 a.C. al 7 d.C., asseriva, che gli Etruschi erano autoctoni.
    Oggi si ritiene che i villanoviani accolsero gli apporti, nella lingua come nell’arte, della cultura orientale, di quella greca e degli altri popoli dell’Italia antica, grazie al flusso di genti ed esperienze nell’intesa rete di scambia commerciali e culturali che percorreva tutto il Mediterraneo. Infatti, nel 750 a.C. sbarcarono in Italia i greci e colonizzarono tutto il meridione. I villanoviani cominciarono a scrivere, prima l’alfabeto era sconosciuto. Le loro città fatte di capanne si trasformarono in città con case e templi. I discedento dei villanoviani erano sempre villanoviani dal punto di vista genetico, ma culturalmente erano molto diversi e si chiamavano etruschi. Il nome che noi diamo agli Etruschi corrisponde ai nomi loro dato dai latini (etrusci, tusci).
    I greci li chiamavano Tyrrenoi. Gli etruschi si chiamavano se stessi Rasenta. Occore però precisare che gli Etruschi non costituirono mai un vero e proprio stato unitario, bensì una confederazione di 12 città autonome, organizzate secondo il modello della città -polis greche e fenicie, federate in una lega, al contempo religiosa e politico. A questa lega appartennero le città di Arezzo, Volterra, Perugina, Chiusi, Populonia, Vetulonia, Orvieto, Roselle, Vulci, Tarquina, Cerveteri e Veio. Le città etrusche rette in un primo tempo a monarchia, in seguito subentrarono le repubbliche aristocratiche. I sovrani (detti lucumoni) concentravano nelle loro mani, per un anno, i poteri civili, militari e sacerdotali. Erano assistiti da un consiglio degli anziani, scelti tra i capi delle famiglie nobili, e da un’assemblea popolare. L’Etruria nel VI sec. a.C. aveva ormai una struttura sociale schiavistica.
    Oltre ai contadini sottomessi (molti dei quali era discendenti degli umbri e dei latini vinti un tempo) vi erano gli schiavi comperati e i prigionieri di guerra. La servitù domestica, i musicanti, le danzatrici, i ginnasti erano tutti schiavi. Anche se la lingua degli Etruschi non è stata del tutto interpretata, conosciamo bene l’arte di questo popolo, testimoniata da oggetti, statue e pitture murali rinvenuti nelle loro tombe. Questi reperti attestano che essa ha sviluppato caratteri autonomi rispetto a quella degli altri popoli della penisola e del Mediterraneo. Gli Etruschi furono molto abili nella lavorazione dei materiali che il loro territorio offriva: metalli, argilla. Altra occupazione fondamentale era l’agricoltura: coltivavano cereali d’ogni specie; sulle colline l’ulivo e la vite. Gli Etruschi furono i primi ad utilizzare sistematicamente l’arco, a partire del IV secolo a.C., nella penisola italica e in tutto l’occidente mediterraneo, ma è forse giunto in Italia dall’Asia Minore attraverso le colonie greche. Il suo utilizzo ha rappresentato una tappa fondamentale: nel vecchio sistema trilitico il peso del muro sovrastante grava sull’architrave, che tende a flettersi fino a spezzarsi; l’arco a tutto sesto, ovvero a forma di semicerchio, tende a distribuire tale peso lungo le pareti; in questo modo consente di praticare aperture di grandi dimensioni lungo i muri di qualsiasi altezza e spessore.
    Il tempio etrusco aveva forma e concezione spaziale diversa rispetto quella greco. Diversa era anche la sua utilizzazione: esso non era più la casa degli dei, ma luogo in cui il sacerdote interpretava i segni divini. Non ci sono pervenuti templi nella loro forma originaria. L’architettura funeraria degli Etruschi è documentata dalle ricce tombe, organizzate in vere e proprie città dei morti, la necropoli.
    I falisei, popolo dell’Italia antica, di ceppo linguistico differente a quello degli Etruschi, ha un’entità etnica diversa da questi ultimi, nonostante in alcuni periodi della sua storia si notino dei chiari contatti con la cultura etrusca.
    Il territorio dello stato falisco era compreso tra i confini naturali del fiume Tevere, dei Monti Cimini e Sabatini, corrispondente a parte della provincia di Roma a nord della capitale ed al settore meridionale della provincia di Viterbo. Le città principali della nazione falisca erano, da nord a sud, Vignanello, Fescennium (Corchiano ?), Falerii (Civita Castellana,la capitale), Sutri, Nepi, Capena e Narce (presso l’odierna Calcata). Sutri e Nepi erano poste in un’area di confine tra lo stato etrusco e quello falisco e la loro posizione ha talmente permeato della cultura di questi due popoli le cittadine da rendere difficile, agli storici, stabilirne l’appartenenza ad una nazione piuttosto che all’altra.
    La capitale dei Falisci, Falerii, raggiunge il massimo splendore nel periodo arcaico (VI secolo a.C.): in questo periodo si assiste ad una forte ellenizzazione della cultura falisca con la conseguente rielaborazione dei temi iconografici provenienti appunto dal mondo ellenico. La vicinanza con gli Etruschi fu spesso causa di scelte politiche comuni tra i due popoli: abbiamo notizia di alleanze strette per contrastare Roma che, dal V secolo a.C., diviene sempre più minacciosa nell’avanzata per la conquista dei territori dell’Italia centrale.
    Fra le altre civiltà evolute va segnalata quella dei celti (chiamati galli dai romani), una popolazione di lingua indoeuropea, che intorno al V secolo a.C. fu protagonista di un’imponente movimento migratorio dell’area renana verso la Francia, la Spagna, la Gran Bretagna e l’Italia settentrionale.
    Gli italici dediti alla pastorizia nell’area appenninica, avevano un livello di organizzazione economica, sociale e politica arretrato.

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  • Sanniti: la guerra sociale e la guerra civile

    LA GUERRA SOCIALE

    Una lega, capeggiata dal marsico Silone e dal sannita Mutilo, e composta da Marsi, Peligni, Vestini, Marrucini, Asculani, Frentani, Pentri, Irpini, Venusini, Iapygi, Pompeiani e Lucani mosse contro Roma, sfruttando il fatto che l’esercito romano era composto prevalentemente da loro stessi. I romani, approfittando dell’inverno, composero un esercito, in cui vi erano anche spagnoli, galli e africani, provenienti dalle neo-colonie. La lega italica aveva come capitale Corfinium.

    I Marsi ottennero molti successi: Asculum, Firmum, Carseoli, Alba Fucens, Amiternum. Nel 90 a.C. Gaio Mario, nativo di Arpi e quindi sabello, divenne comandante in capo e ottenne delle vittorie nella valle del Liri, forse con l’aiuto di Silla. Egli aveva capito che doveva combattere in territori più favorevoli al suo esercito poco esperto.

    La rivolta si diffuse anche al sud e diverse furono le città apule che insorsero. Mutilo prese parte della Campania, in particolare la città di Nola, che Annibale non era riuscito ad espugnare, mentre Aesernia cadde dopo un lungo assedio. Tuttavia la lega non inferse a Roma il colpo finale. I romani si difesero, arruolando anche liberti, e presso Acerrae ottennero una vittoria su Mutilo. Anche gli umbri e gli etruschi insorsero.

    A questo punto, il console L. Giulio Cesare propose la Lex Julia che concedeva la cittadinanza romana (quindi tutti i privilegi) a tutte le popolazioni che avessero fatto richiesta. In realtà queste popolazioni potevano esercitare il diritto di voto solo dopo che le altre 35 tribù collegiali lo avevano fatto, cioè quando l’esito del voto era avvenuto. Gli umbri e gli etruschi aderirono subito e passarono dalla parte dei romani.

    Dall’89 a.C. iniziarono le sconfitte degli italici. Silla sottomise i sanniti, mentre i marsi cominciavano ad indietreggiare sotto l’avanzata del console Strabone, nelle cui file militavano i giovani Cicerone e Pompeo. La capitale italica fu spostata prima a Bovianum e poi ad Aesernia. Asculum cadde sotto il controllo romano.

    L’89 a.C. vide la marcia su Roma delle truppe di Silla, contravvenendo ad una delle leggi romane più antiche. Questi voleva riprendersi il potere sottrattogli dal tribuno Sulpicio che aveva proposto una legge secondo la quale agli italici spettava la partecipazione al voto direttamente nelle 35 tribù e che aveva destituito lo stesso Silla dal comando dell’esercito che doveva muovere guerra a Mitridate nel Ponto.

    Silla si proclamò dittatore ed attuò delle misure repressive nel mondo politico romano che contribuirono involontariamente ad alleggerire la pressione attorno alla lega italica. Mario, amico di Sulpicio, era scappato in Africa. Silla quindi partì per l’oriente.

    Nell’88 a.C., la lega affidò il comando delle operazioni militari a quattro generali, probabilmente meddices, non ottenendo però particolari successi di rilievo. I lucani cercarono di coinvolgere anche i bruzi ed i siciliani nella rivolta, attuando episodi di guerriglia, ma la loro azione venne fermata presso Rhegium, dove si trovava un avamposto romano. Il proconsole Metello Pio riportò diverse vittorie in Apulia. Intanto a Roma il console Cinna aveva idee molto vicine a quelle di Sulpicio e, assieme al generale Sertorio, che sarà protagonista della guerra in Spagna contro Pompeo, fuggì dalla città.

    Seguendo l’esempio di Silla vi ci ritornò nell’87 a.C. con un esercito. Mario tornò dall’Africa e svolse la sua attività a favore di Cinna in Etruria. Il Senato richiamò l’esercito di Strabone, ma questi temporeggiò, allora fu chiesto a Metello Pio di stabilire una tregua con i sanniti. Questi però rifiutò di aderire alle loro condizioni (concessione dei cittadinanza, conservazione dei bottini, restituzione dei prigionieri). Invece Cinna e Mario le accettarono e siglarono un accordo, la cui validità era legata al successo dei due romani.

    I sanniti, quindi, aiutarono i due a prendere il potere e la guerra sociale finì con la concessione della cittadinanza agli italici. Dall’87 al 83 a.C. Roma e la Repubblica conobbero un periodo di tranquillità.

    LA GUERRA CIVILE

    Nell’83 a.C. Silla tornò in Italia dal Ponto, sbarcando a Brindisi, e divampò la guerra civile.

    I popolari erano contro l’aristocrazia filo sillana. All’inizio i sanniti si mantennero neutrali, fino al momento in cui il dittatore romano strinse un accordo di pace con i popoli italici che escludeva di fatto i sanniti stessi. Silla odiava i sabelli, in quanto era anti-mariano ed i suoi antenati avevano lottato contro i sanniti nella terza guerra.

    Il dittatore romano era diretto in Etruria dove erano presenti i mariani. I sanniti lo affrontarono presso Colleferro, a Sacriportus, assieme al console Mario il Giovane ed alcuni popolari. Silla vinse e fece massacrare a sangue freddo solo i sanniti, mentre i mariani si rifugiarono a Praeneste, dove furono assediati.

    Altri sabelli, resisi conto della determinazione del dittatore che in quel periodo stava in Etruria, si unirono alla guerra civile e mossero verso Roma, ma vennero sconfitti a Porta Collina (82 a.C. – Monte Antenne) soprattutto per l’intervento di Crasso. 8.000 sanniti prigionieri furono condotti a Campo di Marte e massacrati. Le loro teste furono portate a Praeneste, come monito di resa. Così la città capitolò con altre esecuzioni di sanniti. Fu la fine della guerra civile.

    Silla perpetuò un’eliminazione sistematica dei sanniti e devastò interi villaggi fino all’80 a.C.. Per capire il segno lasciato da questa politica è significativo come Lepido, nemico di Silla, non sia riuscito a coinvolgere il Sannio nella sua attività.

    I sanniti rifecero la loro comparsa sulla scena politica con Spartaco nel 71 a.C. e con Catilina nel 63 a.C., sempre per dimostrare il loro spirito di rivolta. Con il trascorrere del tempo, i sanniti ottennero la cittadinanza romana e, in particolare durante l’impero di Augusto, originario di Boville, i loro territori entrarono di diritto nei municipia. Diedero vita a valorosi generali e uomini politici. Il più famoso di questi è certamente è Ponzio Pilato.

    Bibliografia
    “Il Sannio e i Sanniti” Salomon, Einaudi
    “Storia di Roma” Livio
    “Storia di Roma” Momsen

  • Sanniti: le guerre sannitiche

    I rapporti tra i romani ed i sanniti ci sono stati raccontati dagli storici romani, per cui sono comunque da considerare di parte e non sempre realistici. Con un’opportuna valutazione delle varie fonti storiche, possiamo tentare di descrivere i rapporti intercorsi tra questi due popoli.

    Nel 354 a.C. venne stipulato un accordo tra i romani ed i sanniti, entrati in contatto nella zona del fiume Liri, nel basso Lazio, ricca di metalli nel giacimento dei monti della Meta. I due popoli si impegnavano a mantenersi al di là del fiume e a darsi reciproco appoggio da eventuali invasioni di galli o di altri popoli. Roma nel 348 a.C. aveva siglato un simile accordo con Cartagine.

    L’accordo con i sanniti fu rispettato per 11 anni. Entrambi i popoli si spartirono il territorio dei Volsci senza ostacolarsi. I romani si impossessarono di Sora, Satricum, Fabrateria ed i sanniti di Casinum, Arpinum, Interamna e Fregellae, che venne distrutta.

    Nel 343 a.C. i sanniti, interessati alla valle del Volturno, minacciavano i Sidicini, che chiamarono in aiuto una lega campana capeggiata da Capua. Questi vennero sconfitti ed allora invocarono l’intervento dei romani, anch’essi interessati alla fertile regione.

    LE GUERRE SANNITICHE

    LA PRIMA GUERRA SANNITICA
    Il console romano M. Valerio Corvo vinse presso il monte Barbaro (mons Gaurus), mentre l’altro console A. Cornelio Cosso cadde in un’imboscata presso Saticula (Sant’Agata dei Goti) e si salvò solo per il coraggio di P. Decio Mure. Valerio Corvo rivinse a Suessula ed i romani lasciarono, come presidio per l’intervento, una guarnigione nella zona per l’inverno. L’anno successivo scoppiò un ammutinamento presso questa guarnigione, sedato dallo stesso Corvo. Nel 342 a.C. la guerra si concluse: i romani rinunciavano ai Sidicini, i sanniti alla Campania.

    Per anni, si è discusso se questa guerra ci fosse stata veramente. Ad oggi risulta abbastanza attendibile.

    Dal 340 a.C. al 338 a.C. ci fu la guerra latina : una lega composta da Volsci, Aurunci , Latini, Sidicini e Campani si mosse contro i romani che stavano diventando sempre più forti. Al fianco di questi ultimi si schierarono i sanniti, troppo interessati a non perdere d’occhio i loro avversari. Si svolse una battaglia presso il Vesuvio, a Suessa, dove la lega venne sconfitta. Come risultato della guerra con i Latini, Roma espanse i propri confini e distrusse sistematicamente i vari popoli che vi abitavano, in particolare gli Equi, rafforzandosi sempre di più. Ai sanniti spettò il territorio dei Sidicini.

    Verso il 335 a.C. tra i due popoli cominciò una partita a scacchi, fatta di mosse e contromosse lungo la valle del Liri. I romani erano troppo interessati alle regioni occupate dai sanniti e cominciarono a fondare colonie e costruire strade, le vie Latina e via Appia, in particolare, che andavano verso la direzione meridionale. Nel 328 a.C., al di sotto del Liri, venne fondata la colonia latina di Fregellae, che controllava la regione e la valle del Sacco. In questo modo si violavano palesemente gli accordi del 354 a.C., ma i sanniti erano impegnati in Lucania, dove Alessandro il Molosso, re di Sparta, forse spinto dai romani, invase l’Apulia. Presso Pandosia i sanniti ed i lucani sconfissero gli invasori, quindi poterono dedicarsi alla lotta con Roma.

    LA SECONDA GUERRA SANNITICA
    In questo periodo a Roma le plebe comincia ad avere maggior potere, basti pensare che un console veniva eletto dalla plebe. Si forma dunque una nuova classe politica che ha sempre più maggiori ambizioni. Roma era uscita molto più forte dalla guerra con i latini ed aveva circondato i sanniti in una morsa, alleandosi con l’invasore spartano. Tuttavia ancora non era riuscita ad aprirsi un varco negli Appennini.

    Nel 326 a.C. i sanniti entrarono a Neapolis, per proteggere una fazione politica a loro favorevole. Capua, colonia romana, si sentiva minacciata, per cui l’esercito romano corse in difesa, non rispettando di nuovo gli accordi di pace siglati in precedenza. Questo venne fatto entrare nella città di Neapolis, dove, con l’inganno, erano state allontanate le truppe sannite.

    Per quattro anni non avviene molto dal punto di vista militare tra i due eserciti.

    Nel 321 a.C. i due consoli romani riunirono gli eserciti ed invasero il Sannio, muovendo dalla Campania e dirigendosi verso i Caudini, attraversando una zona montuosa impervia adatta per le imboscate nemiche.

    Le legioni romane rimasero intrappolate all’interno di una gola circondata dai sanniti: è la disfatta delle Forche Caudine, nella zona tra Santa Maria a Vico ed Arpaia, ad opera dell’eroe Gavio Ponzio Telesino , figlio di Didimia ed Erennio, altro valoroso generale. Ai romani venne imposto di rispettare i patti siglati in precedenza ed i circa 15.000 soldati subirono l’onta di essere spogliati e passare sotto il giogo.

    Questo aveva una simbologia particolare, in quanto, in questo modo i sanniti credevano di annientare completamente l’avversario. Molti generali sanniti successivi prenderanno il nome dell’eroe della famosa vittoria.

    La pace venne rispettata per 5 anni, il tempo necessario ai romani per organizzarsi. Essi ripresero Fregellae e Satricum, passate per un breve periodo ai sanniti, strinsero accordi con gli Apuli, al fine di circondare il Sannio, soffocarono una rivolta dei Volsci. I sanniti, dal canto loro, si rafforzarono in Campania.

    Nel 315 a.C. l’esercito romano si divide in tre fronti: il console L. Papirio Cursore attacca i sanniti a Luceria, mentre Q. Publilio Filone assedia Saticula, inoltre Q. Fabio Rulliano combatte a Satricum. Il secondo fronte si rivela disastroso per i romani ed i sanniti penetrarono nel Lazio. Presso Lautulae, fra i monti Ausoni ed Aurunci, le milizie di Aulio Cerretano ottennero un’epica vittoria. Successivamente i sanniti si fecero strada fino ad Ardea, devastando i territori che appartenevano ai cittadini romani. Rulliano si preparava a difendere Roma con le riserve, dove scoppiò il panico. I sanniti cercarono alleati negli etruschi che non scesero in guerra. Inoltre, non poterono impegnare tutte le loro forze, perché si videro minacciati in Apulia, ove, tra l’altro, c’era ancora un esercito romano, dall’invasione di un altro re spartano Acrotato, diretto verso la Sicilia, ove regnava Agatocle.

    I romani vinsero i sanniti presso Terracina e li respinsero nel loro territorio. Lentamente furono ripresi tutti i territori romani nella valle del Liri ed in Campania.

    Nel 312 a.C. furono gli etruschi a scendere in guerra, senza successo. Dal 309 a.C. al 307 a.C. i sanniti compiono incursioni in Apulia allo scopo di riprendere Luceria, senza riuscirci. Verso il 306 a.C. i sanniti ripresero territori verso Sora, in Apulia ed in Campania, approfittando anche di una rivolta in territorio romano da parte degli Equi. L’anno successivo i romani ristabilirono l’ordine e, attraversando il massiccio del Matese, espugnarono Bovianum, capitale dei Pentri, uccidendo il valoroso generale Gellio. Nel 304 a.C., dopo circa 20 anni, ci fu la resa dei sanniti. Gavio Ponzio fu fatto prigioniero e decapitato nel carcere Mamertino.

    Roma controllava tutta la valle del Liri, l’Apulia e la maggior parte della Campania. Tutti questi territori divennero subito province. Attraverso la costruzione della via Valeria che penetrava nell’Italia centrale e l’alleanza con i Peligni, Marsi, Marrucini, Vestini e Piceni, i Romani stavano isolando e chiudendo in una morsa i sanniti. Con il dittatore C. Giunio Bruto, nel 303 a.C., il territorio situato lungo l’Aniene degli Equi entrò a fare parte di quello romano, e vennero fondate le città di Alba Fucens e Carseoli. Nello stesso periodo ci furono incursioni in Umbria, al fine di prevenire un’eventuale avanzata celtica, e nel Salento, per correre in soccorso dei lucani, minacciati dal principe spartano Cleonimo.

    LA TERZA GUERRA SANNITICA
    Gli inizi sono molto simili a quelli della seconda guerra. I sanniti accorrono in sostegno ad una corrente politica lucana loro sostenitrice. Il resto della popolazione è filo-romano, in particolare l’aristocrazia, per cui Roma accorre in soccorso ed attacca il Sannio dall’Apulia, dalla valle del Liri e dalla Campania. Stavolta, però, i sanniti erano alleati con gli etruschi e con i galli, dunque Roma doveva guardarsi anche dal nord.

    Nel 298 a.C. il console Barbato, dopo diverse incursioni in Etruria, mosse verso l’Italia centrale prendendo Cisauna e Taurasia, oppida sanniti che controllavano la zona tra Luceria e Maleventum. L’altro console, Fulvio, saccheggiò Aufidena. Fino al 296 a.C. non vi furono grosse attività e questo contribuì alla rottura dell’alleanza tra lucani e romani e alla crescita del malcontento tra gli Apuli. Il console Mure, saccheggiò per rappresaglia Murgantia, Romulea (Bisaccia), Ferentinum (Forenza).

    Il condottiero sannita Gellio Egnazio mosse con il suo esercito verso l’Umbria ed a Clusium o Perusia si unì agli etruschi, ai galli ed agli umbri, formando un esercito imponente. I romani si ritirarono dalla Campania e mossero verso Roma, dove era di nuovo ripreso il panico. Un altro esercito sannita mosse dal Matese e riprese la zona della valle del Liri. Successivamente Fabio Rulliano, che si era già reso autore dell’invasione della Selva Cimina, ripeté le gesta di 10 anni prima, riportando l’autorità e fondando le colonie di Sinuessa e Minturnae, per controllare i territori.

    Nel 295 a.C. gli alleati presero Camerinum e affrontarono i romani a Sentinum. Per mancanza di coordinamento e per proteggere altre località, gli etruschi e gli Umbri non scesero in battaglia. I sanniti-galli vennero sconfitti e dispersi, ma fino all’ultimo l’esito della lotta fu incerto. Sembra che di tale coalizione facessero parte alcuni marsi, mentre i piceni erano in lotta con i galli. La battaglia di Sentinum (Sassoferrato) segna la supremazia di Roma nella penisola: una coalizione numerosa quanto l’esercito romano non era riuscita a fermare l’egemonia tiberina.

    Al sud, i sanniti sfondarono il fronte e giunsero a Formia, dove vennero fermati dal pretore Appio Claudio Cieco.

    Nel 293 a.C. si ebbe lo scontro finale. I consoli Papirio Cursore, antenato di Silla, e Carvilio Massimo mossero rispettivamente verso Aquilonia e Cominium e riportarono una duplice vittoria, celebrata con lunghi fasti. Contemporaneamente vennero pacificati i marsi e furono svolte incursioni militari in Etruria.

    Successivamente venne presa Saepinum e tutta la zona di Isernia: i Carecini erano soggiogati. Nel 292 a.C. furono sottomessi i Caudini, anche se vennero incontrate alcune resistenze. A tale proposito sottolineiamo che le informazioni storiche non sono precise, in quanto assistiamo ad un ripetersi di nomi e di luoghi storici: Gavio Ponzio e Forche Caudine.

    Nel 291 a.C. il proconsole Fabio Gurgite prese il territorio dei Pentri, mentre il console Megello, muovendosi dall’Apulia, conquistò la città di Venusia, sotto il controllo irpino, divenuta subito la più popolata colonia romana. La guerra si concluse nel 290 a.C.. I sanniti avevano notevolmente ridotto il proprio territorio e cominciò un periodo di romanizzazione dei costumi sanniti, il pagus lasciava il posto alla civitas.

    Fino al 283 a.C. Roma fu impegnata a conquistare l’Etruria ed a sottomettere i galli Senoni. Ciò ebbe il suo epilogo nella battaglia del lago Vadimone.

    Nel 284 a.C. i sanniti, visto il nemico sia impegnato sul fronte settentrionale e sia minacciato da un’epidemia, riaprirono le ostilità, alleandosi con Lucani, Messapii e Bruzi.

    LA QUARTA GUERRA SANNITICA
    In realtà il conflitto coinvolse più popolazioni ed è stato ricordato come Guerra di Pirro . E’ opportuno precisare che i sanniti aprirono le ostilità per primi e per 5 anni impegnarono da soli i romani con azioni di guerriglia, fino al 280 a.C., anno dell’arrivo di Pirro.

    La città di Taranto, vedendosi minacciata dai romani, invitò il re dell’Epiro in Italia, che, anche se poco interessato si alleò con le popolazioni locali. Insieme vinsero ad Heraclea (280 a.C.) ed Ausculum (279 a.C.), lasciando sul posto molte perdite, da cui il termine “vittorie di Pirro”.

    Pirro, affamato di conquiste e di tesori, abbandonò l’Italia e si diresse in Sicilia, lasciando i sanniti da soli a fronteggiare la rappresaglia romana che fu terribile. In seguito, il re dell’Epiro, respinto dai cartaginesi a Lilibeo, tornò nella penisola, si riunì ai sanniti e venne sconfitto a Maleventum (275 a.C.). I sanniti si arresero nel 269 a.C. con un’ultima rivolta, capeggiata da un certo Lollio, che venne annientata nel territorio carecino. Del territorio sannita sopravviveva solo quelli degli irpini e dei pentri, separati fisicamente tra loro, dall’Ager Taurasinus . I caudini vennero completamente fagocitati nel territorio romano. E’ in questa fase che gli Irpini perdono la loro identificazione con il resto dei sanniti ed ebbero la nuova capitale nella città di Compsa.

    Vennero fondate colonie romane come Telesia, Paestum, Beneventum (268 a.C.) che prese il posto di Maleventum, Aesernia.

    Dal 270 a.C. al 220 a.C. la supremazia di Roma in Italia non venne messa in discussione. La strategia della romanizzazione dei sanniti diede i propri frutti quando Annibale, intorno al 220 a.C., venne in Italia e non riuscì a portare dalla propria parte le popolazioni meridionali. Per rappresaglia compì enormi devastazioni in territorio sannita, apportandone povertà e disordine.

    Solo dopo la vittoria di Canne, alcune fazioni dei Sanniti (Irpini e Caudini), Lucani, Bruzi ed Apuli andarono dalla parte del generale punico. L’adesione non fu totale perché i popoli avevano imparato la lezione di Pirro ed erano convinti che, aderendo all’invasore, avrebbero contribuito a sostituire al dominio romano un altro.

    Sin dal 215 a.C. iniziarono le azioni di rappresaglia romana contro i sanniti. Annibale, da parte sua, distruggeva le città che non poteva più difendere e così fece per diversi villaggi dell’Italia meridionale. I sanniti rappresentarono parte integrante dell’esercito punico fino al 207 a.C., anno della loro ennesima resa. Il risultato della loro partecipazione alla seconda guerra punica fu un ulteriore indebolimento e una crescita della povertà e miseria.

    La maggior parte dei territori sanniti fu trasformata in ager ed i diversi proprietari terrieri detenevano il potere e rappresentavano presso Roma i diritti dei propri sudditi (clientes). Nel corso del tempo i sanniti entrarono a fare parte del tessuto sociale romano, anche se occupavano le posizioni più marginali: non potevano essere celebrati matrimoni misti, non era possibile per un sannita partecipare alla vita politica, non potevano opporsi ad un desiderio espresso da un romano, erano costretti a fare parte dell’esercito al posto dei cittadini romani, intorno al 100 a.C. abbandoneranno l’osco per il latino. Nel 180 a.C. 47.000 Apuani vennero portati al sud, per colonizzare il Sannio, in particolare l’Ager Taurasinus, come era già successo ai Piceni nel 268 a.C.. Venne attuata, dunque, una politica di migrazione su vasta scala che vide lo spostamento di tante popolazioni sotto il controllo romano. Mentre però ai latini era consentito migrare a Roma, i sanniti potevano occupare le città lasciate dai primi.

    Tutto questo venne attuato dai romani attraverso la politica del “divide et impera”, in modo da tenere sotto controllo qualsiasi avversario. Questo sistema andò in crisi nel 91 a.C., con lo scoppio della guerra sociale.

  • Sanniti

    Le origini

    Il primo problema che si affronta nella descrizione dei Sanniti, è l’attendibilità delle fonti storiche. Si tratta di un popolo che ha ingaggiato una dura lotta con i romani per circa tre secoli, uscendone, alla fine, sconfitto.

    Tutti gli storici che descrivono questo popolo, come Livio ad esempio, sono filoromani, cioè schierati dalla parte dei vincitori, ed hanno svolto una continua propaganda, volta ad esaltare i signori del mondo di allora e ad oscurarne i nemici.

    I sanniti, presenti in Italia già dal 600 a.C., sono frutto di una fusione tra popolazioni autoctone provenienti dall’area sabina centro-meridionale ed indoeuropee. Il risultato di questo processo è stato la formazione di gruppi osco-umbri che si sono sparsi su tutto il territorio. Questi trovarono una lingua locale abbastanza facile da apprendere e la fecero propria: l’osco. Essa, infatti, risulta essere la più diffusa in tutta l’Italia.

    Una seconda difficoltà relativa alla descrizione dei sanniti sta nell’individuarne l’autenticità. Infatti, oltre ai sanniti stessi, esistevano moltissime popolazioni che parlavano l’osco: Sabini, Bruti, Lucani, Peligni (di Sulmo e Corfinium), Umbri, Piceni, Marsi (Fucino inferiore e Alba Fucens) , Aurunci (di Cales) , Equi (di Carseoli) , Volsci (di Arpinum, Fregellae), Hernici (Ciociaria), Frentani (di Larinum) , Apuli o Dauni (di Arpi) , Messapii (Salento) , Marrucini (basso Abruzzo) , Vestini (alto Abruzzo) , Campani (di Capua) , Alfaterni (di Nuceria) , Sidicini (di Teanum).

    Molti di questi popoli sono noti anche come sabellici, nel senso che parlavano dialetti di tipo osco, mentre sabelli sono considerati quei popoli che parlavano direttamente l’osco. Ai primi appartengono i seguenti popoli: Peligni, Marrucini, Vestini, Marsi. Ai secondi: Sanniti, Mamertini, Frentani, Sidicini, Campani, Lucani, Apuli, Bruzi .

    I sanniti, i sabelli per eccellenza, si distinguevano dagli altri popoli anche per altri elementi: arte, religione, senso della difesa comune, sistema legislativo. Le tribù sannite erano quattro:
    i Carecini, abitanti della regione del basso Abruzzo, con capitali Cluviae, Aufidena e Juvanum;
    i Pentri, popolo bellicoso, residente in Molise, con capitale Bovianum, che annoveravano tra le loro città Aesernia e Sepinum;
    i Caudini, tribù ellenizzata, residente nella zona del beneventano, con capitale in Caudium, l’odierna Montesarchio, e Telesia;
    gli Irpini (dall’osco hirpus-lupo), popolo lottatore, che aveva la propria capitale in Maleventum ed anche città come Aeclanum, Abellinum, Compsa, Carife, Aquilonia, Luceria e Venusia.

    Queste tribù occupavano e gestivano il controllo di una regione estesa ed impervia.

    Attività

    La durezza del territorio abitato costringeva i sanniti a sviluppare attività abbastanza ridotte ed essenziali, tutte finalizzate alla sopravvivenza.

    Quelle principali erano costitute dalla pastorizia e dalla caccia. La prima in particolare spinse ad un’attività di transumanza lungo i tratturi: piste prestabilite che attraversavano il sud dell’Italia. I sanniti vivevano molto anche sulle razzie che compivano ai danni dei villaggi dei popoli vicini.

    Molto semplici nel vestire e nel mangiare, lavoravano la pietra e qualche metallo: ne sono un esempio le numerosissime fibulae ed i monili trovati nelle varie tombe. Non coniarono monete, ma basavano le attività di compravendita sul baratto. Solo sotto la dominazione romana iniziarono a forgiare delle monete, anche a scopo puramente di ribellione, rappresentando l’effigie di qualche repubblicano o anti-romano.

    L’attività industriale era ridotta al minimo ed era abbastanza semplice. Anche l’agricoltura non ebbe molto sviluppo, basti pensare alla tipologia del territorio sannita. Famosi erano comunque i cavoli sabelli. Il tasso di mortalità era abbastanza elevato ed i sanniti venivano seppelliti nelle tombe a tumulo, importate dalla cultura indoeuropea.

    Amavano molto la lotta e praticavano dei giochi gladiatori in occasione dei funerali. Famosi furono i gladiatori sanniti, al pari dei Marsi, e sembra che i romani importarono da loro e non dagli etruschi tale arte ludica.

    Dal punto di vista militare, erano organizzati in coorti, come i romani ed avevano un equipaggiamento leggero, perché non disponevano di molto metallo. In battaglia impiegavano l’astuzia ed erano accompagnati da una buona dose di vigore. Le loro armi erano: le lance, il giavellotto, gli scudi tondi e rettangolari. Alcune di essere furono impiegate anche dai romani. Tipici erano i gambali ed i pennacchi sull’elmo, comuni a tutti i popoli italici.

    Per quanto riguarda l’arte, ci è pervenuto pochissimo, sia perché non ne possedevano molta, sia perché quel poco che era stato realizzato venne preso dai romani. Pochissime sono le pitture, molto semplici, mentre più numerose sono le lavorazioni in marmo ed in bronzo. I santuari di Pietrabbondante e Schiavi d’Abruzzo hanno rappresentato una miniera in tal senso.

    I templi, realizzati in pietra, erano imponenti ed orientati lungo l’asse est-ovest, secondo la tradizione orientale. Le città erano tutte arroccate in alto sulle rocce, per scopi difensivi, e circondate da palizzate (il termine carseoli è legato alla parola roccia).

    Le case erano molto semplici ed essenziali, come le tombe del resto. Il numero maggiore di reperti che ci è pervenuto è rappresentato dalle tombe. Di grande interesse risultano essere anche i templi di Sepino e di Pietrabbondante .

    Bisogna aggiungere che lo stile vita e la cultura dei sanniti subì notevoli influenze dai greci e dai romani. In particolare i Caudini furono sottoposti ad un processo di ellenizzazione, considerata la loro vicinanza con Napoli. I romani, infatti, una volta vinta la guerra, non trovarono molte difficoltà a fare apprendere a tale tribù il concetto di civitas, che aveva radici nel mondo greco, completamente ignorato dal resto dei sanniti.

    L’influenza romana si basava su scopi politici. Venne attuata una strategia che si proponeva di separare fisicamente le quattro tribù sannite tra loro, creando delle regioni “cuscinetto”. Inoltre, con un costante processo di romanizzazione, si mirava ad affievolire lo spirito ribelle di queste popolazioni. Questo ebbe dei riflessi anche sulla lingua osca, molto semplice da apprendere, che venne sistematicamente cancellata, per lasciare posto al latino.

    La conferma di tutto ciò si ha quando Annibale scese in Italia e non riuscì a portare dalla sua parte tutte le tribù sannite, ormai romanizzate. Da un certo punto di vista la storia sannita e quella etrusca si assomigliano, soprattutto nell’epilogo.

    Sviluppo

    Dal 500 a.C. al 350 a.C., i sanniti, attraverso i loro flussi migratori con i quali conquistavano territori ricchi di pascoli e di campi da coltivazione, controllarono gran parte dell’Italia centro-meridionale (Sannio, Molise, alta Lucania, alta Puglia, Alta Campania), realizzando un regno abbastanza florido. Anche il tenore di vita sannita mutò in funzione delle ricchezze che venivano lentamente acquisite.

    In Campania, gli etruschi lasciavano spazio alle tribù sannite che avevano sempre più interesse a controllare territori ricchi come Capua, Pompei, Nocera e Nola. Verso la Puglia la loro espansione si sentiva minacciata da incursioni dall’Oriente, mentre in direzione della Calabria (Bruzi) e della bassa Campania vi erano influenze elleniche e siceliote, in particolare siracusane. Nel momento in cui gli interessi sanniti si diressero verso il basso Lazio e Napoli, si entrò in contatto con i romani.

    Società

    Tra i sanniti non vi era il concetto di civitas o di città-stato. La più piccola unità politica era il pagus. Si trattava di una parola osca che rappresentava un distretto rurale semindipendente. Esso svolgeva funzioni governative locali, reclutava militari, aveva nel suo interno edifici e in esso si tenevano assemblee, dove si approvavano leggi. Più pagi formavano un touto. Il touto dei Peligni era composto di 25 pagi. Soprattutto in termini militari, i sanniti si riunivano spesso in touto, che risiedeva presso la capitale. Alcune tribù avevano più capitali perché, di volta in volta, il touto si riuniva in luoghi diversi.

    L’autorità amministrativa più importante era il meddix tuticus (magistrato-console), che veniva eletto dall’assemblea e gestiva molto potere. Vi erano anche dei funzionari minori: censor, legatus (kenzstur in osco), aidilis, praetor, prefectus. Simbolo del potere era un trono di pietra. Solo con la dominazione romana il potere fu affidato ad una oligarchia fatta di ricchi possidenti, a cui erano legati numerosi vassalli. Questa fu la fase di decadenza della società sannita, in cui una classe ristretta aveva potere di vita e morte sulla maggioranza della popolazione.

    Ciascun touto era una repubblica ed approssimativamente corrispondeva ad una tribù. Quando i sanniti dovevano affrontare una guerra, nominavano un comandante in capo. Spesso le diverse tribù si riunivano in federazioni, in particolare nella fase finale della guerra contro Roma.

    Vi era anche una classe sacerdotale che gestiva un potere non indifferente. Non si conosce praticamente nulla della condizione della donna, anche se si presuppone che la società fosse abbastanza patriarcale.

  • Romani: cronologia

    ORIGINI ED ETA’ MONARCHICA XIII / 509 a.C.
    XIII / X Gli scavi archeologici riscontrano una presenza umana nei pressi di un guado del Tevere, vicino all’isola Tiberina, poco distante dalla foce. Poco a poco gli insediamenti abitativi riguarderanno i colli Palatino, Quirinale e il Foro

    IX / VII Si verificano cambiamenti socio-economici, si affermano nuove tradizioni artigianali influenzate da frequentazioni straniere (etrusche e greche). Gli insediamenti si allargano anche all’Esquilino e al Campidoglio.

    630 La pavimentazione di un tratto del Foro e la nascita della Curia Hostilia testimoniano il bisogno di un luogo di raduno. tra il 620/580 sorgerà anche la Regia e nel 560 il tempio di Vesta.
    Dalla fondazione fino al 509 Roma sarebbe stata governata da 7 re (Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo) ed i racconti fantasiosi riguardanti questi re corrispondono al progressivo insediamento di una dinastia etrusca a Roma nel VI secolo, e ad un predominio economico e culturale degli Etruschi nel Lazio.

    509 Secondo la leggenda è la data della cacciata dell’ultimo re. Storicamente è l’inizio dell’era capitolina, con la fondazione del tempio di Giove, Giunone e Minerva sul Campidoglio. Risale e questi anni il I trattato Roma – Cartagine, in seguito alla guerra contro Ardea. In esso Roma si impegna a non oltrepassare il promontorio Bello e a non commerciare in Africa e Sardegna, ma solo in Sicilia.

    L’ETA’ DELLA REPUBBLICA
    509 L’applicazione di un nuovo ordinamento costituzionale sega l’inizio di un lungo conflitto tra patrizi e plebei, per ottenere vantaggi economici e civili e per avere la possibilità di partecipare al governo. Le tappe di queste conquiste sociali:
    451 XII Tavole rappresentano la legislazione scritta
    445 LEX CANULEIA abolisce il divieto di matrimonio tra patrizie plebei
    367 LEGES LICINIAE-SEXTIAE i plebei possono accedere al consolato
    342 PLEBISCITO DI GENUCIO Non si può essere rieletti alla stessa carica se non sono passati 10 anni, e non si possono ricoprire 2 magistrature nello stesso anno
    339 LEGES PUBLILIAE almeno 1 dei censori deve essere plebeo
    300 LEX OGULNIA i plebei possono essere eletti al sacerdozio
    287 LEX HORTENSIA i plebisciti sono resi obbligatori
    In politica estera si assiste al progressivo espandersi di Roma a discapito dei Latini, degli Etruschi, dei Cartaginesi e poi del mondo greco ellenistico. Le principali battaglie e guerre:

    504 Guerra di ARICIA contro gli Etruschi che, sconfitti, pensano a forme meno oppressive di controllo (386/356 II periodo di influenza etrusca a Roma)

    501/496 Guerra contro i Latini battaglia del lago Regillo493 FOEDUS CASSIANUM trattato tra Roma e Latini: i romani si impegnano a non far passare i nemici sulle loro terre

    388 I Galli invadono Roma

    344 II Trattato con Roma-Cartagine

    L’ETA’ DELLA REPUBBLICA E LA SUA CRISI
    336/334 I guerra sannitica: scoppia per la crescente ingerenza romana nella vita degli altri popoli della penisola, ma il pretesto è che i Sanniti sobillano le classi inferiori di Napoli, ed attaccano i Sidoni di Tiro. I Romani portano loro aiuto, oltrepassano il fiume Liri e rompono il foedus del 493. Saranno sconfitti a Caudio.

    305 III trattato Roma-Cartagine Serve a Roma per tenere tranquilli i confini del sud Italia e premunirsi da eventuali alleanze etrusco-cartaginesi.

    285 IV trattato Roma-Cartagine 264/241 I guerra punica Scoppia perché Roma vede con preoccupazione l’ insediamento dei Cartaginesi in Sicilia. Il pretesto: i Mamertini, mercenari campani, oppressi dai Siracusani chiedono aiuto a Cartagine prima e a Roma poi ; per accorrere in loro difesa i Romani violano il IV trattato. La guerra si conclude, dopo episodi come quello di Attilio Regolo, con la battaglia delle Egadi in cui Lutazio Catulo sconfigge il Cartaginese Amilcare. I Cartaginesi perdono il possesso di tutte le isole tra l’Italia e la Sicilia, pagano subito 1000 talenti ed altri 2200 in 10 anni. Nel 237 anche la Corsica e la Sardegna saranno dei romani.

    226 Trattato dell’Ebro: i romani vietano ai cartaginesi il passaggio di questo fiume spagnolo.

    218/202 II guerra punica Negli anni tra le due guerre si erano succedute rivolte che i romani avevano placato, ma i cartaginesi, stanchi dei tributi, vogliono ribellarsi. Il motivo fittizio è rappresentato dalla conquista cartaginese di Sagunto, che aveva stretto un alleanza con Roma. Le battaglie più importanti:
    218 Annibale valica le Alpi e sconfigge i romani sul Ticino e sul Trebbia
    217 Sconfitta romana sul Trasimeno Q. Fabio Massimo il Temporeggiatore porta avanti azioni di disturbo (Roma è contemporaneamente impegnata anche nella I guerra macedonica)
    216 Nuova sconfitta romana a Canne
    Negli anni successivi le cose non vanno più così bene per i Cartaginesi, che perdono a Cartagena (Spagna 210), Metauro (Pesaro 207). Scipione ed Annibale concludono una tregua nel 203, ma non regge e si arriva allo scontro decisivo di Zama.
    Cartagine restituisce i prigionieri, si ritira da Italia e Gallia, rinuncia alle isole tra Italia e Africa, ad una politica estera, consegna la flotta meno 20 navi. (Roma è in questi anni tra le guerre puniche impegnata anche in scontri con l’oriente ellenistico cfr. Grecia)

    149/146 III guerra punica Si risolve nell’assedio di Cartagine, che capitola, vinta da Scipione l’ Emiliano

    167/133 In questo quarantennio si individua una svolta nella politica estera romana che, per pacificare aree di crisi ricorre all’ordinamento provinciale. La continua espansione aveva portato al fenomeno del latifondo, con la crescente riduzione dei piccoli proprietari terrieri al rango di proletari o schiavi, che possono rappresentare manodopera a basso costo, ma anche essere facilmente manovrabili

    134/133 TIBERIO GRACCO è eletto tribuno della plebe e presenta la rogatio agraria : fissa il numero massimo di iugeri per possedimento, stabilisce la ridistribuzione delle terre avanzate ai cittadini. I senatori si ribellano e lo uccidono guidati da Scipione Nasica.

    124/123 CAIO GRACCO eletto tribuno vuole indebolire la nobilitas, per questo approva leggi a favore del ceto equestre, ed inoltre la Lex frumentaria. Violando la legge che vieta la rielezione (Lex villia annalis 180.C.) è eletto per il 123 / 122, ma viene ucciso.

    112/107 Guerra contro Giugurta, re della Numidia. Si mette in luce Caio Mario, esponente dei populare, homo novus, che viene eletto console per 4 anni di fila 104 / 100 a.C.

    91/88 Guerra Sociale
    Per l’88 sono eletti consoli L. Cornelio Silla e Q.Pompeo Rufo, dopo che Rufo, convinto da Mario, gli fa affidare dal senato il comando in oriente, Silla marcia su Roma. Inizia uno scontro che si conclude nell’82 con la battaglia di Porta Collina, in cui le forze mariane sono battute.

    82/81 Dittatura di Silla: limita il diritto di veto dei tribuni della plebe, stabilisce un ordine ed un intervallo di tempo tra le magistrature, riordina il sistema giudiziario, ripristina l’organico del senato.

    78/49 Roma è governata dalla nobilitas di ascendenza sillana, definita “l’ultima generazione della repubblica”. I “populares” processano gli esponenti più corrotti (Cesare contro Dolabella, Cicerone contro Verre)

    63 Congiura di Catilina. Cesare, Pontefice Massimo, denuncia i diritti negati ai congiurati, questo gli costa la rottura con gli Optimates, ma anche la leadership dei populares. Pompeo rientrato nel 60 a Roma dopo aver pacificato l’oriente trova un clima sospettoso ed avverso ed offre il suo appoggio a Cesare e a Crasso.

    49/44 Nasce il I TRIUMVIRATO (accordo segreto). Cesare và in Gallia.
    Dopo la morte di Giulia, moglie di Pompeo e figlia di Cesare, i due sono in rotta. Il senato appoggia Pompeo e Cesare varca il Rubicone. Scoppia la guerra civile, il senato si rifugia in Grecia.
    Inizia la dittatura di Cesare di stampo ellenistico. Nel testamento di Cesare i beneficiari sono la plebe ed il giovane Ottaviano, Antonio rimane a bocca asciutta.
    43 Dopo aver allestito un esercito Ottaviano si fa nominare console mentre Antonio assedia Bruto a Modena. Antonio, Lepido, Ottaviano stipulano il II TRIUMVIRATO, (sancito dalla lex Titia)

    42 I cesaricidi muoiono a Filippi

    40/31 Progressivo allontanamento tra Ottaviano e Antonio, che porterà alla dichiarazione di guerra all’Egitto di Cleopatra

    ETA’ IMPERIALE
    27 Il 16 Gennaio Ottaviano riceve il titolo di Augustus Politica ESTERA guerre e campagne in Etiopia, Arabia Germania e nel regno dei Parti

    *14 d.C. Politica INTERNA : riforma economica e del Cursus Honorum, maggiore burocrazia. Augusto muore (*le date sono d’ora in poi tutte d.C.)
    14/37 TIBERIO patrizio restauratore della libertà, è malvisto dal senato, che ha paura di nuovi scontri e guerre
    sociali. Dà impulso al commercio con l’India per risollevare le finanze.

    37/41: Caligola

    41/54 Claudio:
    INTERNI E’ l’epoca dei liberti, che vogliono avere successo in politica; oramai con il denaro si può fare tutto, persino comperare la cittadinanza. Nel 49 caccia i Giudei da Roma, perché li confonde con i Cristiani;
    predicazione di Paolo a Roma

    54/68 Nerone:
    INTERNI La riforma più importante è il cambiamento del rapporto oro/argento nella monetazione. Il tutto và a favore del denarius d’argento, moneta della borghesia

    68/69 E’ stato definito il “Longus et unus annus” in cui si succedono:
    GALBA, governatore della Tarraconese
    OTONE, di ispirazione borghese eletto dalle coorti pretorie
    VITELLIO, legato della Germania superiore

    69/79 VESPASIANO, borghese eletto dalle truppe in Giudea
    INTERNI: Preoccupato della restaurazione dell’ordine, rivendica allo Stato le terre usurpate dai privati cittadini : si scatena il “metus totius taliane”.
    ESTERI: 70 presa di Gerusalemme da parte di Tito

    79/81 TITO Figlio di Vespasiano (Eruzione del Vesuvio)

    81/96 DOMIZIANO Figlio di Vespasiano
    INTERNI: Fonda la sua autorità sull’appoggio dei possessores italici, perciò è favorevole ai piccoli proprietari terrieri. Aria di Cristianesimo a corte.
    ESTERI: 89 foedus con i Daci, sistema i confini danubiani e renani con gli agri decumates

    96/98 NERVA

    98/117 TRAIANO Spagnolo aristocratico
    INTERNI: svalutazione dell’aureus a vantaggio del denarius. Ma questo deve essere giustificato da più oro circolante e per questo conquista la Dacia
    ESTERI è il grande conquistatore ; campagne contro Germani, Daci e Parti

    117/138 ADRIANO figlio adottivo di Traiano, con lui inizia il principato adottivo E’ ricordato dall’historia augusta come colui che costruisce il muro a protezione dai barbari

    138/161 ANTONINO PIO che per dare più stabilità designa due uomini a succedergli: Lucio Vero (che governa fino al 169) e 161/180: MARCO AURELIO Tensioni con i Cristiani e all’estero con Quadi e Marcomanni

    180/192 COMMODO Figlio di M. Aurelio, con lui finisce il principato adottivo, gli imperatori non saranno più gli Optimi, ma i figli dei precedenti

    193 Come nel 68/69 si succedono quattro imperatori:
    PERTINACE, eletto dai pretoriani
    DIDIO GIULIANO, senatore
    PESCENNIO NIGRO eletto dai legionari della Siria
    SETTIMIO SEVERO eletto dai legionari dell’Illiria. I due si scontrano ad Isso e vince Settimio Severo

    193/211 SETTIMIO SEVERO Il suo interesse è favorire l’esercito, perché su di esso si fonda il suo potere

    211/217 CARACALLA uccide il fratello Geta per salire al potere
    INTERNI: Costitutio antoniniana concede la cittadinanza a tutti i cittadini liberi dell’impero esclusi i dediticii (masse inferiori)

    217/218 MACRINO che scontenta tutti: senato ed esercito

    218/222 ELAGABALO

    222/235 SEVERO ALESSANDRO

    235/238 MASSIMINO IL TRACE soldato della Tracia che vuole la guerra ai barbari, ma ha bisogno di soldi: attacca i Cristiani, requisisce i latifondi, aumenta la pressione fiscale, mette in circolazione più denarii che aurei

    238/244 GORDIANO III

    244/249 FILIPPO L’ARABO e figlio: cristiano esponente della classe equestre

    249/251 MESSIO TRAIANO DECIO: esponente della classe senatoria p perseguita i cristiani

    251/253 TREBONIANO GALLO e VOLUSIANO

    253/260 VALERIANO e GALLIENO con loro l’impero comincia a dividersi in 3 tronconi:
    Galli, Spagna, Britannia -> POSTUMO
    Italia, Illiria -> GALLIENO
    Oriente -> ODENATO

    268/270 CLAUDIO GOTICO di origine dalmata, vince i Goti a Naisso 269

    270/275 AURELIANO

    275/276 PROBO

    282/283 CARO

    283/285 CARINO si scontra con Diocleziano a Margo

    283/284 NUMERIANO

    285/305 DIOCLEZIANO ufficiale dalmata Le sue riforme:
    Militare: vuole creare un esercito di meno soldati, perché l’arruolamento era malvisto e si ricorreva ai barbari, ed era difficile mantenerlo.
    Agraria: divide la terra arabile e produttiva per il numero dei coloni, in base a questa “formula coensi” si trova la quantità che ciascuno deve dare per il sostentamento dell’esercito.
    Sociale: divide l’impero in diocesi rette da vicari di origine equestre
    Economica: Con l’Edictum de pretiis fissa un calmiere.
    Religiosa: perseguita i crisitani
    Governativa: inventa il sistema della TETRARCHIA in cui due Augusti adottano due Cesari per la successione.

    308 Congresso di Carnunto : gli Augusti MASSIMIANO GALERIO e LICINO eleggono rispettivamente cesari MASSIMINO DAIA e COSTANTINO

    312 28 Ottobre Costantino sconfigge Massenzio, eletto dai pretoriani, al ponte Milvio

    313/337 COSTANTINO e LICINO (313/324)
    Editto di Milano 313 – Concilio di Nicea 325 (divisione potere laico/potere religioso, l’Arianesimo è un’eresia) Riforma economica: l’economia si fonda sul solidus aureus cioè sulla moneta che ha valore in sé per la quantità di oro di cui è composta
    Sposta la capitale a Bisanzio a Costantinopoli

    337/340 COSTANTINO II Gallie

    337/350 COSTANZO II Oriente e Tracia

    337/350 COSTANTE Italia, Africa e Macedonia
    Entrano presto in guerra tra di loro e nel 340 Costanzo II perde contro Costante ad Aquileia

    351/361 COSTANZO II

    361/363 GIULIANO: Crea la siliqua per le classi più umili, ma i soldati vogliono il solidus

    363/364 GIOVIANO

    364/375 VALENTINIANO I e VALENTE II (364/378) Rivalutazione del solidus aureus. S. Ambrogio vescovo 373

    375/383 GRAZIANO (occidente)

    375/388 VALENTINIANO II

    379/394 TEODOSIO INTERNI: emissione delle tremisses, monete d’oro di 1 gr. Editto di Tessalonica 380 condanna dell’Arianesimo ed unificazione sotto il simbolo Niceno
    ESTERI: firma un foedus con i Goti, che possono stanziarsi nell’Illiria
    Affronta Arbogaste, generale franco di Valentiniano II al Frigido, ma muore e affida i suoi figli ARCADIO e ONORIO a Silicone.
    395/408 STILICONE: I Goti con Alarico invadono dall’Illiria Costantinopoli e l’Italia. Nel 406 arrivano anche gli Alani, i Vandali , i Burgundi

    394/424 ARCADIO in realtà aveva 18 anni alla morte del padre e non accetta l’autorità di Silicone, che limita in Occidente

    394/423 ONORIO a lui spetta l’occidente insieme a Stilicone

    424/455 TEODOSIO II e VALENTINIANO III
    451 battaglia dei campi CATALAUNICI: Romani, Franchi, Burgundi, Sassoni, Alani, Visigoti contro Unni, Gepidi, Ostrogoti.
    Questi ultimi perdono, ma ci riprovano l’anno successivo, quando Attila è fermato dal vescovo di Roma Leone
    476 23 Agosto Odoacre dopo aver eliminato i due Augusti padre e figlio Oreste e Romolo è proclamato re d’Italia Termina l’impero romano d’occidente.

  • Romani: l’espansione romana

    Dalla Monarchia alla repubblica
    Secondo la leggenda, Tarquinio il Superbo fu cacciato dalla rivolta del nobile Collatino, la cui moglie era stata oltraggiata da Sesto, figlio del re. In realtà le ragioni erano più profonde: Roma stava crescendo e il re non riusciva ad attendere a tutti gli impegni; il suo governo si era fatto dispotico e i patrizi avevano perso il loro potere politico. Tutto ciò fu motivo di ribellione. Il potere venne affidato a due consoli, Bruto e Collatino (509 a.C.).

    Le prime guerre repubblicane
    Le città latine, preoccupate del rafforzamento di Roma, la affrontarono federate nella Lega latina, nel 496 a.C. uscendo sconfitte. Nei 493 a.C. il console Spurio Cassio firmò con queste città il Foedus Cassianum, un’alleanza di tipo difensivo. Altre guerre furono combattute (fino al 430 a.C.) contro Volsci ed Equi; di Volsci ed Equi; di esse rimasero nella leggenda le gesta di Coriolano, che passò dalla parte dei Volsci ma poi si ritirò andando incontro alla morte, e di Cincinnato, che ritornò all’attività di agricoltore dopo aver sconfitto valorosamente i Volsci, senza pretendere alcun tributo di ringraziamento. Motivi economici spinsero Roma alla guerra contro la città etrusca di Veio che, dopo un lungo assedio, fu espugnata da Furio Camillo nel 396 a.C.

    L’ordinamento repubblicano
    Le maggiori cariche della Repubblica romana, delineatasi tra il V e il IV sec. a.C., erano di carattere elettivo, venivano rinnovate periodicamente, erano un servizio prestato gratuitamente ed erano collegiali, cioè vi erano almeno due magistrati per ogni carica. I due consoli, che restavano in carica un anno, comandavano l’esercito, convocavano il senato e i comizi, e giudicavano i reati più gravi. Parte dei compiti dei consoli venne in seguito affidata ai questori che si occupavano della finanza.
    Nei momenti di grande pericolo per lo stato, poteva essere nominato un dittatore che, in carica per sei mesi, sostituiva i consoli. Altri magistrati erano i pretori, in origine comandanti delle truppe fornite dalle tre tribù dei Ramnii, Tizii e Luceri e poi amministratori di funzioni giudiziarie, e i censori (dal 443 a.C.) che rimanevano in carica diciotto mesi, ogni cinque anni, con l’incarico di compilare le liste del censo e dei senatori, in seguito, di vigilare sulla condotta morale dei cittadini.
    Il senato era composto da coloro che avevano già esercitato una delle magistrature superiori. Aveva un potere di tipo consultivo ma di fatto divenne l’organo più importante in quanto doveva approvare le proposte di legge, controllare le finanze, deliberare sulla guerra e sulla pace, concedere la cittadinanza e l’autonomia a città e popolazioni e istituire le province.
    I comizi curiati e centuriati costituivano le assemblee popolari. I primi, già esistenti nell’età dei re, conservarono il solo compito di conferire la formale investitura sacrale ai magistrati. I secondi eleggevano consoli e magistrati, approvavano le proposte del senato ed esercitavano funzioni giudiziarie. La popolazione fu divisa in 193 centurie, ognuna portatrice di un voto; le prime 98 erano costituite dai cittadini più ricchi (anche plebei) che così avevano la maggioranza.

    Il contrasto tra patrizi e plebei
    Fin dai primi anni della Repubblica si diffuse il malcontento tra i plebei costretti al servizio militare senza ricevere il ricavato dei bottini, esclusi dall’accesso alle magistrature e dal matrimonio con i patrizi.
    La prima forma di protesta fu attuata nel 494 a.C. quando, ritiratisi sul Monte Sacro o, secondo un’altra tradizione sull’Aventino, decisero di non lavorare e di non combattere. Il patrizio Menenio Agrippa riuscì a convincerli a tornare, promettendo delle riforme in loro favore.
    I plebei ottennero così l’istituzione dei tribuni della plebe, che difendevano i loro interessi e avevano diritto di veto sulle decisioni dei magistrati e dell’assemblea, e dell’edilità, una magistratura in cui due rappresentanti plebei (edili), affiancando i tribuni, curavano gli interessi della plebe.
    Nel 451-450, alcuni patrizi, riuniti nel collegio dei decemviri, redassero un corpo scritto di leggi penali e civili, la Legge delle XII tavole, con cui i plebei ottenevano diritti pari ai patrizi. La lotta continuò e i plebei ottennero l’abolizione del divieto dei matrimoni misti (445 a.C.), l’accesso alla questura (421 a.C.), al consolato (leggi Licinie Sestie, 367 a.C.) e ai collegi sacerdotali (300a.C.), e il riconoscimento giuridico delle assemblee della plebe, dette comizi tributi (287 a.C., legge Ortensia) le cui deliberazioni (plebisciti) erano vincolanti per tutto il popolo.

    Dall’irruzione dei Galli all’espansione nella penisola
    Fin dal V sec. a.C. i Celti (chiamati Galli dai romani) avevano occupato la Pianura Padana ed erano scesi fino alle Marche e all’Umbria. Nel 390 a.C. alcune migliaia di uomini, guidati da Brenno, devastarono Chiusi e calarono sul Lazio, saccheggiando e incendiando anche Roma. Lo scacco subito dalla città spinse i vecchi nemici, alleati o sottomessi, a ribellarsi, ma Roma, in una serie di guerre svoltesi in circa 40 anni, riuscì a ristabilire il suo potere.

    Le guerre sannitiche
    Nel 343 a.C., in cambio della completa sottomissione, Roma intervenne in aiuto di Capua contro i Sanniti che, dopo il crollo etrusco, avevano occupato la Campania. Iniziò così un conflitto per il controllo dell’Italia centro-meridionale che durò oltre 50 anni. Tra il 343 e il 341 a.C. i Romani ottennero le prime vittorie.
    Un secondo conflitto, tra il 340 e il 338 a.C., oppose i Romani ai Sanniti affiancati dalla Lega latina. Al termine i Romani vittoriosi trasformarono le città laziali in municipi o città federate. Tra il 326 e il 304, Roma, nonostante lo scacco delle Forche Caudine (i militari denudati dovettero passare sotto un giogo di lance davanti ai nemici) ottenne altre vittorie.
    Con l’ultimo conflitto, tra il 298 e il 290, i Sanniti furono definitivamente sconfitti con i loro alleati Galli, Etruschi e Umbri. Roma, padrona dell’Italia centrale, mirò alla Magna Grecia.

    La guerra contro Pirro
    Quando Roma intervenne nelle questioni interne di Turi, incontrò l’opposizione di Taranto con cui aveva firmato un trattato di non interferenza nel 303 a.C. Di lì a poco scoppiò la guerra tra le due città (282 a.C.). Taranto chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro (regione della Grecia nord-occidentale), che nel 280 a.C. sbarcò in Italia con 30 000 uomini e 20 elefanti.
    I Romani furono inizialmente sconfitti. Quando Pirro intervenne in Sicilia a favore delle città greche contro i Cartaginesi, la guerra riprese e terminò con la vittoria romana (275 a.C.) a Maleventum (il nome fu allora mutato in Beneventum) e con l’alleanza tra le due forze (272 a.C.). Roma esercitava ormai il suo potere fino allo stretto di Messina, secondo ordinamenti diversi: i municipi avevano autonomia amministrativa ma dovevano fornire truppe e pagare un tributo, solo alcuni avevano i diritti politici; le città federate, liberamente alleatesi a Roma, avevano autonomia amministrativa, non pagavano tributi ma non avevano diritti politici e dovevano fornire le truppe; le colonie, fondate nei territori sottratti ai vinti, avevano diritti civili e politici se gli abitanti erano Romani, mentre avevano gli stessi diritti delle città federate, se gli abitanti erano Latini.

    Le Guerre puniche e l’espansione in Oriente
    Conquistata l’Italia meridionale, Roma si trovò a confronto con Cartagine, la città africana (nella posizione dell’odiema Tunisi) che dominava nel Mediterraneo occidentale possedendo parte della Sicilia e colonie in Sardegna, Corsica, Spagna e Baleari. A causa degli intralci reciproci nei traffici commerciali, a lungo andare, la convivenza di queste due grandi potenze, che erano state alleate, subi una rottura.
    Lunghi conflitti opposero allora Roma e Cartagine (le Guerre puniche) tra il III e il II sec. a. C., al termine dei quali Roma cominciò l’ascesa a massima potenza del Mediterraneo. La terza Guerra si concluse addirittura con la completa distruzione della città africana. Durante le Guerre puniche Roma estese il suo dominio anche sulla Sardegna, sulla Corsica, sulla Sicilia (la prima provincia romana), sulla Spagna, sulla Gallia Cisalpina e Transalpina oltre che sulla Grecia e sull’Asia Minore.

    La prima Guerra punica
    La città di Cartagine, fondata intorno all’814 a.C. dai Fenici, aveva acquisito il monopolio commerciale nel Mediterraneo imponendo che le navi commerciali potessero approdare solo a Cartagine e non nelle sue colonie. I primi rapporti tra le due città furono di tipo amichevole, nel 508 a.C. fu stipulato un trattato di navigazione e di commercio con cui entrambe le potenze si Cartagine impegnavano a limitare le espansioni l’una a danno dell’altra.
    Questo trattato fu rinnovato nel 348 e nel 306 a.C. definendo ancora più precisamente le rispettive zone di influenza. La rottura avvenne nel 264 a.C. quando i Mamertini di Messina chiesero l’intervento dei Romani per difendersi dai Cartaginesi. Roma inviò così un esercito, guidato dal console Appio Claudio, contro Cartagine e il suo alleato Gerone II di Cartagine Siracusa, che però dal 263 a.C. passò dalla parte dei Romani.
    Decisiva per l’esito della guerra fu la capacità dei Romani di fronteggiare l tradizionale superiorità navale di Cartagine. Nel 260, grazie all’uso dei corvi (ponti mobili che permettevano di agganciare le navi nemiche), la flotta romana comandata da Caio Duilio sconfisse quella cartaginese a Milazzo.
    Dopo il fallimento della spedizione in Africa di Attilio Regolo (256 a.C.), che fu fatto prigioniero e ucciso, i Romani al comando di Lutazio Catulo colsero la vittoria decisiva alle Egadi nel 241, costringendo i Cartaginesi a evacuare la Sicilia e a pagare una forte indennità di guerra. La Sicilia, tranne il territorio di Siracusa, divenne la prima provincia romana; nelle province che dovevano pagare un tributo, ogni tipo di potere e amministrazione era nelle mani dei Romani che vi inviavano ex consoli (proconsoli) o ex pretori (propretori). Nel 238, a pace conclusa, i Romani sottrassero ai Cartaginesi anche la Sardegna e la Corsica.

    La seconda Guerra punica
    Prima di iniziare un secondo conflitto con Cartagine, Roma conquistò la regione adriatica dell’Illiria (230-228 a.C.), riducendola a un piccolo principato e controllando così il canale d’Otranto. In seguito a un tentativo di incursione dei Galli, i Romani, affrontandoli, giunsero a occupare Mediolanum (Milano), affacciandosi sulla Pianura Padana (225 a.C.).
    Nel frattempo, espulsi dalle isole, i Cartaginesi si erano volti verso la Spagna, che fu conquistata tra il 237 e il 219 a.C. da Amilcare Barca e da suo figlio Annibale (al quale il padre aveva inculcato un profondo odio per i Romani). La decisione di Annibale di attaccare Sagunto, alleata di Roma, provocò nuovamente la guerra (218 a.C.).
    Prima che i Romani riuscissero a mandare un esercito in Spagna, Annibale invase l’Italia per via di terra, con una leggendaria traversata delle Alpi, cogliendo brillanti vittorie al Ticino (218), al Trasimeno (217) e soprattutto a Canne (216) ma senza riuscire a spaccare la confederazione romano-itailica. Nel frattempo un esercito romano comandato da Publio e Gneo Scipione impediva che dalla Spagna giungessero rinforzi ad Annibale pressato dalla tattica temporeggiatrice (di logoramento) di Quinto Fabio Massimo, eletto dittatore, ma presto rimpiazzato dai consoli Lucio Emilio Paolo e Terenzio Varrone che nel 216 ripresero il combattimento in campo aperto.
    Nello scontro di Canne, in Puglia, 30.000 dei 50.000 soldati romani rimasero uccisi; Annibale rimandò però la marcia verso Roma, che in breve tempo riuscì a riprendersi. Un esercito inviato in Sicilia espugnò Siracusa e la rese tributaria di Roma (211); un altro in Macedonia combatté contro Filippo V (prima Guerra macedonica) a scopo puramente difensivo (Pace di Fenice, 205 a.C.). Quando Asdrubale, fratello di Annibale, riuscì a portare in Italia un esercito dalla Spagna, fu sconfitto e ucciso al Metauro (207).
    Nel 206 Publio Cornelio Scipione (che sarà chiamato Scipione l’Africano dopo la vittoria), subentrato al comando dell’esercito romano in Spagna, colse una vittoria decisiva a Ilipa e invase l’Africa, costringendo Annibale ad abbandonare l’Italia. La vittoria di Scipione a Zama, nel 202, e costrinse Cartagine alla resa, all’abbandono di tutti i possedimenti europei e della Numidia (che divenne indipendente sotto Massinissa alleato di Roma), e al pagamento di una forte indennità di guerra.

    Dall’espansione in Oriente alla terza Guerra punica
    Dopo la vittoria su Cartagine, Roma intervenne nuovamente in Macedonia, su richiesta di Atene che chiedeva aiuto contro Filippo V. Nel 200 a.C. iniziò così la seconda Guerra macedonica. Nel 197 a.C. i Romani guidati da Tito Quinzio Flaminio sconfissero Filippo a Cinocefale, costringendolo a consegnare la flotta, a pagare un’indennità di guerra e a riconoscere la libertà alle città greche: al protettorato macedone si sostituì quindi quello romano.
    Poichè il re di Siria Antioco III si rifiutò di ritirare le sue truppe dalla Grecia liberata dai Romani, nel 191 a.C. Roma lo attaccò, sconfiggendolo alle Termopili. L’anno seguente Lucio Cornelio Scipione sbarcò in Asia e sconfisse le truppe siriache a Magnesia.
    Un nuovo conflitto con la Macedonia si delineò nel 171 a.C. quando salì al trono Persco, figlio di Filippo V, profondamente ostile ai Romani. Dopo tre anni Lucio Emilio Paolo sconfisse l’esercito macedone a Pidna, la Macedonia fu divisa in 4 repubbliche che divennero alleate di Roma. Due rivolte seguirono alla vittoria romana, quella di Andrisco in Macedonia (149 a.C.) sedata solo nel 146 a.C. da Cecilio Metello, e quella della Lega achea, sedata anch’essa nel 146 dal console Lucio Mummio. Nel frattempo, molti a Roma, tra cui il senatore Marco Porcio Catone, sostenevano la necessità di abbattere definitivamente Cartagine.
    Quando Cartagine decise la guerra contro Massinissa, re dei Numidi, a causa dei suoi continui soprusi, Roma a sua volta dichiarò guerra a Cartagine (149 a.C). I Cartaginesi si arresero, ma quando seppero che tra le condizioni di pace vi era la distruzione della città, vi si asserragliarono e resistettero valorosamente fno al 146, quando Scipione Emiliano espugnò la città e la rase al suolo, trasformando il suo territorio nella provincia d’Africa. Nel 133 a.C., dopo una lunga guerriglia, Scipione Emiliano sedò in Spagna la rivolta di Numanzia, iniziando la romanizzazione del territorio spagnolo. Nel frattempo Roma sottomise anche la Gallia meridionale, dalle Alpi ai Pirenei, facendone una provincia, la Gallia Narbonensis.
    Con queste vittorie Roma aveva così messo in evidenza la sua potenza e la sua solidità.

    La crisi della Repubblica
    Profondi cambiamenti avvennero in Roma dopo le guerre puniche e la conquista della Grecia e dell’Oriente. La diffusione della cultura ellenistica (molti artisti greci si stabilirono a Roma mentre i ricchi romani trascorrevano sempre più tempo in Grecia e in Oriente) mandò in crisi i valori della moralità romana. I ricchi senatori cominciarono a impossessarsi delle terre dello Stato reclamate anche dalla classe equestre; le classi medie, soprattutto i piccoli agricoltori che costituivano il nerbo dell’esercito, si andarono impoverendo sempre più. Tiberio e Caio Gracco si fecero promotori di una riforma agraria, ma il loro tentativo fallì, finendo addirittura nel sangue.
    Dopo un decennio di pace, garantito dai senatori oligarchici, iniziò un periodo molto difficile, percorso da rivalità accese tra i diversi partiti politici. Si combatté la prima guerra civile, tra ottimati guidati da Silla e popolari guidati da Mario. Silla ebbe la meglio ma, dopo aver restaurato il potere dei patrizi ed esautorato i tribuni della plebe, si ritirò a vita privata e morì poco dopo. Le rivalità non erano però terminate e Roma era ormai alle soglie della seconda guerra civile.

  • Romani

    L’Italia preromana
    Con il nome Italia, inizialmente veniva indicata solo la Calabria; nel III sec. a.C. l’Italia coincideva con la parte a sud dei fiumi Magra e Rubicone; nel 49 a.C., divenuta romana anche la Gallia Cisalpina, fu considerata Italia anche il Nord, mentre Sicilia e Sardegna di Diocleziano. La preistoria si protrasse in Italia più a lungo che nelle zone orientali. I primi documenti di civiltà in possesso degli storici risalgono al II millennio a. C.
    La vera e propria età storica vi ebbe inizio soltanto nell’VIII sec. a.C., ai tempi della colonizzazione greca in Italia meridionale e della fioritura della civiltà etrusca. Tra l’VIII e il IV sec. a.C. si stanziarono in Italia anche popolazioni indoeuropee, ricordate come Italici.
    Le colonie greche, intorno al VI sec. a.C., scatenarono feroci lotte per l’egemonia e furono poi oggetto delle mire egemoniche dell’Atene di Pericle. La civiltà etrusca fu indipendente per quattro secoli e sviluppò una cultura di elevato livello, anche rielaborando gli apporti della Grecia e dell’Oriente. La loro espansione li portò a scontrarsi con i Greci e con i Romani a sud e con i Galli a nord. Con progressive annessioni di città, l’Etruria venne incorporata nei possedimenti romani. Dalla preistoria all’VIII sec. a.C.
    Le prime comunità umane in Italia risalgono al tardo Paleolitico. Gradualmente si passò dalla caccia e dalla raccolta alla coltivazione del terreno e quindi a forme stabili di insediamento. Nella seconda metà del III millennio a.C. si cominciò a lavorare il rame.
    Agli inizi del II millennio a.C. si formarono alcune civiltà al nord, intorno ai laghi lombardi verso la metà del II millennio si diffuse la civiltà detta delle “terramare”, dai depositi di terre grasse rinvenuti archeologicamente (terra marna, terra grassa), nelle zone di Modena e Piacenza.
    La civiltà più progredita, la villanoviana, comparve alla fine del II millennio a.C.; dalla zona di Bologna si spinse verso sud fino al Piceno, costruendo villaggi di capanne. Dal XIV sec. a.C. si era diffusa una popolazione di pastori semi nomadi, lungo la dorsale dell’Appennino centrale, da cui il nome di civiltà “appenninica”.
    Iniziò poi la penetrazione di popolazioni indoeuropee dell’Europa centro-orientale che spinsero a sud le popolazioni già esistenti. Gli Italici si insediarono nella parte centro-sud della penisola, costringendo i siculi a emigrare in Sicilia.
    Con il nome Italici i romani indicarono poi le popolazioni non latine assoggettate nella penisola con una serie di guerre che caratterizzarono la fase più antica della loro storia. Durante le guerre puniche gli Italici si federarono con Roma e, dopo la vittoria, parte di essi ebbe riconosciuta la cittadinanza. Nell’VIII sec. a.C. Le principali popolazioni in Italia erano così stanziate: Liguri e Veneti a nord; Umbro-Sabelli e Latini al centro; Iapigi, Lucani e Bruzi a sud; Siculi e Sicani in Sicilia; Sardani e Liguri in Sardegna. In questo periodo, mentre l’Italia meridionale veniva colonizzata dai Greci, si sviluppava al centro-nord la civiltà etrusca.

    Le colonie della Magna Grecia
    Come dimostrano i rinvenimenti di ceramiche e altri materiali, i Greci frequentarono i porti italiani già in età micenea (sec. XVI-XI a.C.). Alla prima metà del sec. VIII a.C. risale l’insediamento calcidese sull’isola di Ischia che aprì la prima fase della colonizzazione greca d’Italia.
    I Calcidesi fondarono poi Cuma, Napoli, Reggio, Catania e Zancle; i Corinti fondarono Selinunte e Siracusa, i Rodiensi Gela e Agrigento; gli Achei dell’Acaia Sibari, Metaponto e Crotone, mentre Taranto fu l’unica colonia fondata da immigrati spartani.
    A partire dal sec. VI a.C. si scatenarono tra le città feroci lotte per l’egemonia. Le tre città achee distrussero verso l’inizio del secolo Siri, mentre fallì il tentativo di Crotone di sottometterne l’alleata Locri. Attorno al 510 a.C. ci fu uno scontro tra Sibari e Crotone; Sibari fu rasa al suolo. Negli anni centrali del sec. V a.C., su iniziativa degli Ateniesi, venne fondata sul sito dell’antica Sibari la colonia di Turi, osteggiata dai Tarantini.
    Negli ultimi anni del sec. V Crotone, Turi (in quanto erede di Sibari), Caulonia e Metaponto si unirono nella Lega italiota per difendersi dagli attacchi dei Lucani e del tiranno di Siracusa Dionigi I; alla Lega aderì in seguito anche Reggio, mentre Locri e Taranto furono dalla parte del tiranno. Dionigi, nel 389 a.C., sconfisse l’esercito della Lega espugnò e distrusse Reggio, ridusse la Lega sotto il controllo di Taranto che, col procedere del sec. IV, dovette più volte far ricorso a condottieri greci per difendersi dalle popolazioni sabelliche e iapigie.
    Dopo la parentesi del dominio tirannico di Agatocle, nei primi anni del sec. III, Taranto chiese l’intervento del re d’Epiro Pirro contro i Romani, a loro volta intervenuti in aiuto di Turi contro i Lucani; risultato del conflitto (280-275 a.C.) fu la sottomissione della regione a Roma.
    In età arcaica la Magna Grecia costituì una delle aree culturalmente più vivaci del mondo greco: nel tardo VI secolo la conquista persiana dell’Asia Minore produsse un movimento migratorio verso Occidente che vi trapiantò un gran numero di filosofi, intellettuali e artisti (tra i quali Pitagora e Senofane di Colofone), il fenomeno contribuì al sorgere di scuole filosofiche (a Elea, con Parmenide e Zenone) e mediche (a Crotone) di primissimo piano.
    La Magna Grecia svolse così un ruolo cruciale nella trasmissione della cultura greca a Roma.

    Gli Etruschi
    La civiltà etrusca fu il frutto dell’innesto di elementi stranieri (attorno ai quali non si hanno notizie certe) sulla preesistente cultura villanoviana, nell’area compresa tra l’Arno e il Tevere. Essenzialmente urbana, si organizzò in città-stato (Volterra, Fiesole, Arezzo, Cortona Perugia, Chiusi, Todi, Orvieto, Veio, Tarquinia ecc.) che, a scopi religiosi ed economici, diedero vita a una Lega formata da dodici città (dodecapoli).
    Ogni città era retta da re (detti lucumoni) e magistrati eletti tra i membri della casta aristocratica. Una prima fase espansiva (sec. VIII-VI a.C.) portò gli Etruschi a contendere a Greci e Cartaginesi il controllo delle rotte tirreniche e adriatiche e a estendere il proprio dominio dalla pianura padana alla Campania, fondando centri come Bologna, Mantova, Piacenza, Pesaro, Rimini, Ravenna, arrivando fino a Roma, che la tradizione vuole governata da re etruschi dal 616 al 509 a.C.
    L’autonomia di Roma e quindi la crescita della sua potenza si intrecciarono con la decadenza etrusca, acceleratasi dopo la sconfitta patita a Cuma nel 474 a.C. a opera dei Greci di Siracusa. La Campania fu persa di lì a poco per opera dei Sanniti e contemporaneamente i Galli dilagarono nella pianura padana. A partire dalla distruzione di Veio (395 a.C.), entro il sec. III a.C. Roma si impossessò di tutta l’Etruria.
    La scarsità di notizie precise attorno agli Etruschi deriva dal fatto che non hanno lasciato una letteratura, la loro lingua (che utilizza un alfabeto assimilabile a quello greco) è stata decifrata con l’aiuto di testi brevissimi, perlopiù iscrizioni sepolcrali. A speciali sacerdoti (gli aruspici, la fama dei quali rimase viva anche in età romana) era affidato il compito di prevedere il futuro e capire la volontà degli dei scrutando le viscere degli animali sacrificati e analizzandone il fegato.
    La centralità del culto dei morti presso gli Etruschi è attestata dalle numerose necropoli e tombe isolate disseminate in Toscana e nel Lazio: convinti che il defunto conservasse l’individualità congiunta alle proprie spoglie mortali, concepirono il sepolcro come un’abitazione sotterranea, arredata con letti, tavoli, utensili e affrescata da vivaci pitture.
    La società era formata da nobili, discendenti dei primi dominatori, e servi, discendenti delle popolazioni preesistenti all’occupazione etrusca. Vi erano schiavi adibiti ai lavori più pesanti, ma anche schiavi semiliberi che, per i loro meriti, potevano condurre vita migliore e anche elevarsi socialmente.

    Le origini di Roma: L’età dei re
    Sulla nascita di Roma sono più ricche di contenuto le leggende che non le conoscenze reali. Lo storico Tito Livio racconta dello sbarco dell’eroe omerico Enea, scampato alla Guerra di Troia, con il figlio Iulo e alcuni compagni.
    Enea fondò la città di Albalonga che, per otto secoli fu governata dai suoi discendenti. I gemelli Romolo e Remo, figli di Rea Silvia, la figlia del re Numitore, e del dio Marte, scamparono alla persecuzione del perfido Amulio, fratello di Numitore, che aveva usurpato il trono. Allevati da una lupa e poi dal pastore Faustolo, diventati adulti, uccisero Amulio e restituirono il trono al nonno. I fratelli decisero di fondare una nuova città ma, mentre Romolo ne tracciava i confini, Remo in segno di sfida saltò il solco e Romolo lo uccise. Era il 21 apr. 753 a.C., la data da cui si fa iniziare la storia di Roma. Per popolare la città, la leggenda narra che Romolo, invitati i Sabini a una manifestazione di giochi, rapì le loro donne. Il conflitto venne evitato in nome di una convivenza pacifica.
    Secondo le conoscenze storiche, invece, l’agglomerazione degli antichi insediamenti sparsi sui colli, specialmente attorno al Palatino (secoli IX e VIII a. C.), approdò alla formazione di un impianto urbano nel sec. VII a.C. La monarchia fu la forma di governo in auge fino al 509 a.C. La cacciata dell’ultimo re, l’intervento successivo di Cumani e Latini, assieme alla maturazione in ambienti aristocratici romani di un’avversione verso l’istituto monarchico, portò alla sua abolizione e alla nascita del regime repubblicano.
    Tra l’VIII e il I sec. a.C., per motivi di difesa dall’invasione etrusca, il villaggio del Palatino, ingranditosi e sviluppatosi in età dall’invasione precedente, si fuse con quelli vicini, Aventino, Esquilino, Celio, Viminale, Quirinale, Capitolino.
    Da questo processo di fusione (di cui rimane il ricordo della festa religiosa del Septimontium, a sottolineare anche il carattere religioso dell’unione), unito all’arrivo di popolazioni sabine, si formò la città di Roma. Secondo la tradizione, a Roma regnarono 7 re, fino al 509; probabilmente furono di più e quelli ricordati sono solo i più importanti. I primi quattro avevano origine latino-sabina, gli ultimi tre etrusca. Morto Romolo durante un temporale (i Romani credettero in una sua ascesa al cielo e lo adorarono col nome di Quirino).
    A Numa Pompilio vengono attribuite l’introduzione delle prime istituzioni religiose, la riforma del calendario con l’anno di 12 mesi e 365 giorni e 1’occupazione della fortezza etrusca del Gianicolo.
    A Tullo Ostilio sono legate le prime azioni militari, la conquista di Albalonga, la vittoria dei tre fratelli romani, gli Orazi, contro i tre fratelli albani, i Curiazi e l’espansione a danno delle popolazioni confinanti.
    Anco Marcio conquistò Ostia e Roma ottenne l’accesso sul mare stabilendo contatti con Etruschi, Cartaginesi e Greci.
    Tarquinio Prisco fu il primo re di origine etrusca. Fece costruire il Circo Massimo, il tempio di Giove Capitolino, la Cloaca Maxima. In campo amministrativo aumentò il numero dei senatori (da 100 a 200) permettendo l’accesso alla carica anche per meriti personali e non più solo per nobiltà di nascita.
    Servio Tullio, (secondo re etrusco) espanse ulteriormente il dominio verso sud; emanò una nuova costituzione basata sul censo (i comizi centuriati) e portò a 300 il numero dei senatori.
    Tarquinio il superbo (terzo re etrusco e ultimo re di Roma) fu un re dispotico e crudele, sospese le costituzioni e governò arbitrariamente con ogni tipo di sopruso.
    Secondo una tradizione, Tarquinio fu cacciato dai Romani e chiese aiuto al lucumone di Chiusi, Porsenna, che venne però sconfitto dagli eroi Orazio Coclite e Muzio Scevola. Secondo il racconto di Tacito invece fu lo stesso Porsenna invece a cacciare l’ultimo re. Da allora cominciò a prendere corpo l’ordinamento repubblicano.
    Dei sette re di Roma, quelli su cui comunque ci sono notizie più attendibili sono gli ultimi tre, perchè è certo che la potenza etrusca influenzò anche Roma; per gli altri purtroppo spesso la fantasia si sovrappone alla realtà.

    L’ordinamento politico
    Tre erano le principali istituzioni di governo nell’antica Roma: il re, il senato e comizi curiati. La carica di re non era ereditaria; il sovrano aveva anche il potere religioso (era sommo sacerdote) militare (era comandante dell’esercito) e giudiziario (era giudice supremo del popolo).
    Se il re pronunciava delle condanne a morte, però, il cittadino poteva fare appello all’assemblea de popolo (provocatio ad populum) e rimettersi al suo giudizio le funzioni di governo, compresi i poteri legislativo e giudiziario, erano svolte con l’assistenza di due assemblee: il senato e i comizi curiati. Il senato era composto da membri dell’aristocrazia scelti dal re e consultati per decisioni sia di politica estera che di politica interna; il senato doveva anche approvare o respingere le proposte di legge del sovrano e le deliberazioni dei comizi curiati.
    Alla morte del re dieci senatori sceglievano un nuovo candidato e lo proponevano ai comizi curiati. Questi ultimi erano formati da cittadini facenti parte delle 30 curie (ripartizioni della popolazione); ogni curia era formata da 10 genti (o gentes, gruppi gentilizi) doveva fornire all’esercito 100 fanti (una centuria) e 10 cavalieri oltre a un senatore per ogni gens (i senatori erano così 300, secondo la riforma di Servio Tullio). Le curie potevano riunirsi in assemblea, dichiarare la guerra, nominare il re, approvarne le proposte di legge e ratificare le condanne a morte. La sede delle riunioni era il Foro.

    Le classi sociali
    Due erano le grandi classi sociali: i patrizi, aristocratici proprietari terrieri, e i plebei, contadini, commercianti e artigiani, utilizzati anche dall’esercito. I patrizi avevano l’accesso alle cariche pubbliche, mentre i plebei ne erano esclusi.
    Con il miglioramento delle condizioni economiche, anche alcuni plebei divennero benestanti e iniziarono una serie di lotte per ottenere la parità di diritti. Al servizio dei patrizi vi erano i clienti che ricevevano dai loro padroni terreni da lavorare, bestiame e protezione in cambio del servizio militare e di un aiuto nella vita pubblica.
    Gli schiavi, prigionieri di guerra o plebei insolventi ai debiti, erano completamente nelle mani dei loro padroni, che potevano decidere della loro vita o anche donare loro la libertà; gli schiavi liberati erano detti liberti.

    La religione
    I culti delle diverse divinità erano affidati a dei collegi sacerdotali, il più importante dei quali era quello dei Pontefici, retto dal Pontefice massimo. Questi, che in età monarchica e imperiale coincideva con il re e con l’imperatore, presiedeva le cerimonie, stabiliva le feste e annotava i fatti storici (Annales).
    Vi erano poi il collegio dei Salii (che presiedeva il culto di Marte), quello delle Vestali (officiava il culto di Vesta, simbolo dell’eternità romana), quello degli Auguri (che dall’osservazione del volo e del canto degli uccelli e delle viscere degli animali sacri, i polli, traeva consigli sulle vie da seguire in caso di decisioni importanti) e quello dei Feziali (depositari del diritto riguardante guerre e alleanze).
    Tra gli dei, i tre più importanti erano luppiter (Giove), Marte e Quirino. Rilevante era anche l’importanza attribuita alle divinità familiari i Lari, gli spiriti degli antenati, e i Penati, protettori della dispensa.

    La Repubblica romana
    Cacciato l’ultimo re, Tarquinio il Superbo, la monarchia venne sostituita da un governo repubblicano a carattere aristocratico. In quel periodo, per alcuni anni, Roma dovette combattere contro Porsenna e contro le popolazioni latine preoccupate della sua ascesa.
    All’interno, il nuovo ordinamento provocò dei contrasti tra le due principali classi sociali, i patrizi e i plebei. Infatti, nonostante i vari poteri, legislativo, esecutivo, giudiziario e militare, fossero affidati a magistrature diverse, erano comunque nelle mani di pochi cittadini patrizi, mentre tutti i plebei ne erano esclusi. Le lotte tra patrizi e plebei si susseguirono per parecchi anni, fino a quando i plebei ottennero alcune concessioni: l’accesso al consolato, il tribunato, l’emanazione di leggi scritte, la cancellazione del divieto di matrimoni misti.
    Nel frattempo, l’esercito romano, dopo aver combattuto l’invasione dei Galli a nord, si preparò a nuove conquiste nell’Italia meridionale, sconfiggendo i Sanniti, occupando Taranto e la Magna Grecia.