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  • Roma dal 753 A.C. al 31 A.C.

    Roma, fondata secondo le tradizioni nel 753 a.C. dal mitico Romolo, nacque in realtà da una fusione delle tribù che abitavano i vilaggi fortificati posti su colli alla sinistra del Tevere. Questi gruppi di persone costruirono il foro, uno spazio comune situato in basso nella pianura circondata dai colli, dove si teneva il mercato e le assemblee. La prima forma di governo di Roma fu la monarchia elettiva: essa durò due secoli e mezzo, dalla metà dell’VII secolo a.C. alla fine del VI. Fra i cittadini non vi erano forti differenze per quanto riguarda il tenore di vita, esisteva comunque una divisione sociali fra i patrizi, ricchi, nobili e politicamente influenti e plebei, poveri e dunque esclusi dalla politica. Il re amministrava la giustizia, era capo dell’esercito e svolgeva i compiti di sommo sacerdote. La popolazione era originariamente suddivisa in tre tribù, che avevano il compito di fornire all’esercito cento fanti e dieci cavalieri; inoltre dovevano eleggere dieci senatori. Questo ordinamento venne successivamente riformato suddividendo la cittadinanzain ventuno tribù su base esclusivamente territoriale.
    Nel corso del V secolo a.C. si vennero progressivamente delineando le caratteristiche del nuovo ordinamento repubblicano. Il primo periodo della repubblica si differenzia da quello monarchico sostanzialmente per un fatto: invece di un re in carica fino alla morte, il senato patrizio eleggeva ogni anno due consoli (repubblica aristocratica). Le prerogative religiose erano affidate a un sacerdote apposito. Il governo, anche qui, era in mano ai patrizi, i soli che ricoprivano cariche pubbliche e che erano membri di diritto del senato. Solo loro potevano fare le leggi. Non è facile cogliere la vera origine di questi distinti ordines, anche perchè le risposte date finora dagli studiosi sono state estremamente diverse; patrizi e plebei, se ebbero tra loro profonde differenze di carattere economico, sociale e religioso (professavano infatti culti diversi) dovettero inizialmente (nel periodo monarchico) distinguersi soprattutto per motivi etnici. C’è chi ha voluto vedere, ad esempio, nei patrizi i latini che si imposero sull’etnia sabina, cioè i plebei; oppure individuare nei patrizi gli etruschi conquistatori (etruschi erano i re Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo) che sottomisero la componente etnica latino-sabina, riducendola a plebe. Certo è che la lotta che si sviluppò tra patrizi e plebei nelle prime fasi dell’età Repubblicana portò alla progressiva abolizione di numerosi privilegi politico-sociali del patriziato. I plebei, pur essendo costretti a partecipare alle guerre non avevano il diritto di partecipare alla spartizione dei territori occupati. Sicchè, ad ogni guerra il divario tra patrizi e plebei invece di diminuire, aumentava. La pretesa parificazione dei diritti con i patrizi, portò i plebei a condurre dure lotte sociali, civili e politiche. Alla fine i patrizi furono costretti a riconoscere due magistrati (tribuni della plebe) come rappresentanti dei plebei in senato. Essi potevano opporre il loro veto alle leggi ritenute anti-plebee. Ma la più grande conquista dei plebei furono le Leggi delle XII tavole (incise nel 450 a.C. su tavole di bronzo ed esposte nel Foro, la piazza più importante della città ). Esse segnano il passaggio dal diritto orale a quello scritto: affermano il principio dell’uguaglianza davanti alla legge e la sovranità del popolo. Tuttavia, solo dopo circa un secolo e mezzo fu riconosciuto ai plebei il diritto di accedere a tutte le cariche pubbliche. I vari magistrati erano eletti dai cittadini. In momenti difficili, come in caso di guerra, tutti i poteri si concentravano nelle mani di un solo capo, il dittatore, che per impedire si trasformasse in tirannia restava in carica solo sei mesi. La celebre sigla, S.P.Q.R. che assieme alla Lupa Capitolina era il simbolo del potere di Roma, significa Senatum Popolus Quae Romanus ossia Senato del Popolo Romano. Nel 494 a.C. la secessione della plebe guidata da Menenio Agrippa diede luogo all’elezione dei tribuni della plebe (tribuni plebis). Eletti annualmente, godevano dell’inviolabilità personale (sacrosanctitas) e del diritto di veto sulle deliberazioni dei magistrati patrizi (intercessio) e rappresentavano per i plebei il punto di riferimento politico nei conflitti con il patriziato: avevano cioè ufficialmente il diritto di soccorrere la plebe (ius auxilii ferendi plebi). Questi cambiamenti politici segnarono la nascita di una nuova aristocrazia. Il Senato, che originariamente possedeva solo una serie di limitate prerogative amministrative, divenne il fulcro del governo della Repubblica, poichè a esso spettava ogni decisione in materia di pace e di guerra, nella scelta delle alleanze e delle colonie da fondare, nel controllo delle finanze statali.
    A Roma i banchetti svolgevano un ruolo in parte diverso rispetto a quello giocato nel modo greco. Venivano consumai alimenti molto semplici, come vegetali o legumi, spesso crudi o freddi, e che non richiedeva la compagnia delle altre persone. Roma ereditò dai greci molti aspetti della propria civiltà e tra gli altri l’interesse per i giochi agonistici. Tuttavia lo sport presso i romani perse del tutto il suo originario significato rituale, per trasformarsi definitivamente in uno spettacolo. I romani introdussero anche nuove attività nei giochi che si svolgevano negli anfiteatri, come ad esempio le lotte tra gladiatori o tra gladiatori o animali feroci. Mentre i greci amavano soprattutto la forza, la destrezza e l’armonia del gesto atletico, i romani preferivano le emozioni forti e non disdegnavano quindi gli spettacoli violenti e sanguinari.
    Roma, al contrario delle città greche, manifestò molto presto la volontà di uscire dai propri confini. La concessione dei diritti ai plebei portò le classi e i ceti più agiati a scatenare diverse guerre di conquista contro i popoli vicini, per recuperare, per così dire, i privilegi perduti. Tra il 449 e il 390 a.C. la politica espansionistica di Roma divenne particolarmente aggressiva: con la presa di Veio (396 a.C.) da parte di Marco Furio Camillo, l’Etruria iniziò a perdere la propria indipendenza. Intorno alla metà del IV secolo a.C., nell’Etruria meridionale vennero stanziate alcune guarnigioni romane. Le vittorie su volsci, latini ed ernici assegnarono a Roma il controllo dell’Italia centrale. Dopo aver domato a fatica la ribellione delle città latine (338 a.C.), Roma ingaggiò un lungo conflitto con i sanniti. Alla fine delle guerre sannitiche, nel 296 a.C. l’area sotto il controllo di Roma si estendeva su tutta l’Italia centrale.
    Tra l’inizio del IV e il III secolo a.C. i celti iniziarono a esercitare una pressione, che a sua volta era dovuto alla pressione dei popoli nordici, che provocarono una serie di migrazioni: i Celti penetrarono nel mondo greco-romano, invadendo l’Italia settentrionale, la Macedonia, la Tessaglia, e saccheggiando Roma (390) e Delfi (279), ma qui senza successo, pur rimanendo nei Balcani. Nel 225 il loro potere cominciò a vacillare in seguito alla sconfitta inflitta dai Romani a Talamone, e la loro supremazia in Europa cominciò a declinare, anche se occorsero altri 200 anni prima che Giulio Cesare sottomettesse la Gallia (58 a.C.) e un altro secolo ancora prima che la Britannia venisse annessa all’Impero Romano. Ma la loro storia non termina con la conquista romana. I Celti infatti continuarono ad esistere in tutta Europa e, sebbene le loro favelle siano scomparse in molti luoghi, sono rimaste vive le loro idee, le loro superstizioni, le loro feste popolari, i nomi che hanno dato alle località .
    La conquista della Campania nel IV secolo a.C. mise Roma a diretto contatto le città greche dell’Italia meridionale. Taranto, entrato in guerra, chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro. Pirro forse dall’ambizione di creare uno stato greco nell’Italia meridionale, sbarcò in Italia nel 280 a.C.; ma dopo alcune vittorie iniziali fu sconfitto nel 275 a.C. a Benevento. I tarantini furono costretti ad arrendersi e ad accettare l’alleanza con Roma, che in breve tempo conquistò tutta l’Italia meridionale. A nord le ultime comunità etrusche indipendenti vennero acquisite pochi anni dopo. Roma organizzò le città e i popoli sottomessi nella seguenti forme: municipi: erano città che conservavano la possibilità di governarsi da sè con l’obbligo di versare tributi per le spese militari; colonie: erano nuclei di militari trasferiti a presidio di territori di recente conquista; premature: erano città considerati pericolose, cui non era concessa nessuna autonomia ed erano governate da funzionari romani, i prefetti; alleati: erano stati che Roma legò a sè con contratti: restavano indipendenti ma dovevano fornire aiuto militare a Roma.
    Roma, dovette affrontare lo scontro più duro con i Cartaginesi per fondare il suo impero sul Mediterraneo e diventare oltre che una potenza terrestre una potenza marinara. Il primo conflitto tra romani e cartaginesi si verificò in Sicilia. L’isola era dominata nella parte occidentale dai cartaginesi e nella parte orientale da Gerone, tiranno di Siracusa. Un capo di soldati mercenari licenziati da Gerone aveva occupato Messina e si era posto sotto la protezione dei romani. Questi, passati lo stretto, sconfissero Gerone e lo costrinsero a firmare con essi un patto di alleanza. Contro i romani insorsero i cartaginesi, desiderosi di ricacciarli dall’isola, ed ebbe così inizio la prima guerra punica (264-241 a.C.) e i romani riuscirono a trarre dalla loro parte Gerone. Roma, per escludere i cartaginesi dall’isola dovette pensare a batterli per mare, proprio dove avevano un evidente superiorità . La guerra durò diversi anni, finchè i romani sconfissero i cartaginesi, costretti ad abbandonare l’isola. Poco dopo, i romani, approfittando della debolezza del nimeco vinto, riuscirono ad annettere anche la Sardegna (la Corsica era già stata occupata durante il conflitto). Direttamente connesse al conflitto con Cartagine furono altre imprese militari: la guerra contro i celti, spinti da Annibale alla sollevazione, che permise ai romani di impadronirsi dell’Italia settentrionale e dell’attuale Francia. Le popolazioni che vivevano in questi territori erano molto eterogenee: liguri, iberi, celti, cimbri, teutoni, belgi e tanti altri ancora.
    Cartagine, dopo la sconfitta, aveva cercato in Spagna un compenso delle perdite subite e per mezzo di grandi generali quali Amilcare Barca, suo genero Asdrubale e suo figlio Annibale, aveva esteso la sua egemonia fino all’interno della penisola. Nel 226 a.c. Roma strinse con Annibale un trattato col quale egli si impegnava a non oltrepassare il confine dell’Ebro. Annibale nel 220 a. C. aveva posto l’assedio a Sagunto, una città alleata dei romani, che dichiararono guerra (218 a.C.). I romani si proponevano di portare l’offensiva sia in Spagna sia in Africa, ma ogni loro piano fu sconvolto dall’audace strategia di Annibale. Con le vittorie sul Ticino e sul Trebbia, Annibale si rese padrone della Valle Padana. Non rimaneva che tentare la difesa dei valichi e dell’Appennino, ma ancora una volta Annibale prevalse grazie alla sua superiorità . Ormai il nemico era giunto fino al cuore dell’Italia, incutendo terrore nella stessa Roma. Gran parte degli alleati dell’Italia meridionale, costretti dalla forza, si staccarono da Roma. La guerra si allargò alla Sicilia e alla penisola balcanica, dove Annibale trovò un alleato nel re di Macedonia Filippo V. I romani dettero prova di grande prontezza e forza d’animo. Annibale, nel 211 a.C., fece col suo esercito un’incursione fino a poche miglia di Roma. In Spagna, dove fino ad allora erano prevalsi i cartaginesi, il comando viene assunto dal giovane generale Publio Cornelio Scipione. Scipione comprese che l’unico mezzo per costringere Annibale ad abbandonare l’Italia era quello di tentare uno sbarco in Africa. Stretta alleanza con Massinissa, un principe dei Numidi, nemico dei cartaginesi, sbarcò in Africa. Nonostante la strenua resistenza, i soldati di Annibale vennero sbaragliati. Marco Porcio Cotone, console nel 195 a.C., si recò con un commissione in Africa e fu profondamente colpito dalla prosperità di Cartagine. Il preteso per un intervento che segnasse la fine dell’antica rivale fu offerta a Roma nel 150 a.C., quando Massinissa assalì nuovamente la città . La terza guerra punica, che era sembrata di grande importanza si potrasse per tre anni. Cartagine fu distrutta e il suo territorio venne costituito in provincia con il nome di Africa.
    Lo scontro con Roma, che mirava ad estendere il proprio controllo sull’ Adriatico, fu inevitabile: le guerre illirico-romane, iniziate nel 229 a.C. si conclusero nel 167 a.C. con la vittoria di Roma. Il popolo illirico (Albania) fu ridotto in schiavitù e il suo territorio fu frazionato in piccole unita’ amministrative.
    Nel 200 a.C. in Portogallo viene costituita la provincia romana di Litania.
    Verso la fine del III secolo la Macedonia, sotto Filippo V, era in piena ripresa e mirava nel vecchio sogno di stabilire la sua supremazia sulla Grecia e sull’Egeo. Filippo V di Macedonia e Antiocco III di Siria, nel 202 a.C., strinsero un’alleanza per attaccare l’Egitto e spartisene i possedimenti. Roma non aveva interesse immediato ad intervenire confidando che, lasciato a se stesso, l’Oriente avrebbe continuato a indebolirsi. Ma Scipione l’Africano vedeva nell’Oriente un immenso campo di gloria; così nel 200 a.C. fu dichiarata guerra a Filippo. Lo scontro decisivo avvenne nel 197 a.C. in Tassaglia, dove le falangi macedoni furono completamente disfatti. Filippo fu obbligato a pagare una forte idennità di guerra e dovette rinunciare a tutte le conquiste fatte. Roma dovette volgersi ad Antiocco III. Contro le sue speranze trovò pochi aiuti, mentre Atene con la maggior parte delle città greche e lo stesso Filippo V, si alleava con Roma. La pace venne conclusa nel 168 a.C. a condizione assai grave per il re di Siria. Perse V, che succedete a Filippo V, ereditò dal padre sogni di riscossa e intervenne attivamente in Grecia con le armi e stabilendovi relazioni diplomatiche. Roma, vista minacciata la propria egemonia in Oriente, dichiarava guerra a Perseo V. il re fu catturato e con lui un immenso bottino. Con la battaglia di Pidna (168 a.C.) finisce la stopria del regno di Macedonia. Esso fu sventrato in quattro stati autonomi e qualche anno dopo diventava una provincia di Roma. Nel 146 a.C. la Grecia divenne provincia romana.
    Un’ulteriore espansione di Roma nell’Oriente si ebbe nel 133 a.C., quando l’ultimo re di Pergamo, Atallo III lasciò in ereditò all’alleata Roma il suo stato, che abbracciava un notevole porzione dell’Asia Minore. Il regno fu ordinato provincia con il nome di Asia.
    La prima conseguenza di tale unificazione fu un generale sviluppo dell’economia, favorito da diversi fattori, in particolare l’esistenza di un grande e solido impero, che facilitò l’interdipendenza dei mercati, le province infatti si aprirono le une alle altre.
    Altra conseguenza fu la rovina della piccola proprietà contadina: indebitati e immiseriti, i contadini furono spinti a vendere la loro proprietà a chi possedeva abbondanti capitali da investire. A questo si accompagnò una forte urbabanizzazione, che ebbe però prevalentemente parassitari. Qui disoccupati e agricoltori impoveriti emigrarono in gran numero. Tutte queste persone campavano sulle distruzioni gratuite di vettovaglie. Alla mancanza soluzioni del problema delle terre si aggiunse lo scontento degli alleati italici, che sempre più erano portati a riconoscersi come cittadini romani, mentre di fatto erano quasi ridotti alla condizioni di sudditi. Un’altra fonte di tensione nasceva dalle rivendicazioni di un ceto sociali cresciuto con le guerre, i cavalieri, formati da artigiani, ricchi commercianti e dai pubblicani, le persone cui lo stato aveva affidato la gestione degli affari pubblici. Pur essendo benestanti erano tuttavia non-nobili e pertanto esclusi dalle cariche pubbliche.
    Giugurta (nipote di Massinissa) era considerato un alleato da Roma, avendo combattuto in Spagna con Scipione l’Emiliano. Uccise Iempsale (un fratello) e costrinse alla fuga Adertale (un altro fratello). Nel 112 a.C. prese Cirta e massacrò tutti gli italici. Solo allora venne dichiarato nemico di Roma. Iniziò la guerra prima con Quinto Cecilio Metello, detto il numidico, e poi con Mario e Silla. Alla fine venne sconfitto e portato a Roma in catene, ucciso nel carcere mamertino. Ben governata da Roma, la Numidia divenne una provincia ricca, le sue città furono fortificate e la prosperità della sua produzione agricola le valse l’appellativo di “granaio di Roma”.
    Il ruolo centrale dell’esercito fu evidente sin dall’elezione a console (107 a.C.), con l’appoggio dei popolari, di Gaio Mario. Egli attuò una riforma dell’esercito, in base alla quale vennero arruolati tutti coloro (romani, italici o abitanti delle province) che si fossero offerti come volontari; i legionari, dopo una ferma di sedici anni, avrebbero ricevuto, all’atto di congedo, un appezzamento agricolo.Grande antagonista di Mario fu l’aristocratico Silla. Silla dopo due anni di vittoriosa quanto cruenta guerra civile si fece nominare dittatore a tempo indeterminato. Silla, console nell’88 a.C., aveva avuto un ruolo fondamentale nella guerra sociale, e proprio alla testa delle legioni che aveva guidato nel corso di quel conflitto marciò su Roma. La fuga di Caio Mario gli lasciò libero il campo: Silla fu rieletto console e partì per la guerra contro Mitridate nell’87 a.C. Durante la sua assenza, però, Caio Mario e Lucio Cornelio Cinna, rivestendo nuovamente il consolato, si reimpadronirono del potere, che mantennero finchè morirono, Mario nell’86 a.C. e Cinna nell’84 a.C. Quando Silla, nell’83 a.C., ritornò dall’Asia Minore, marciò di nuovo su Roma e stroncò la resistenza dei suoi avversari. Nominato dittatore, egli eliminò i suoi nemici mediante proscrizioni, e le terre appartenenti agli oppositori politici furono confiscate e distribuite ai veterani delle sue legioni; emanò poi numerose leggi (leges Corneliae) che restituivano all’aristocrazia senatoria il pieno controllo della vita politica dello stato, limitando non poco le prerogative dell’ordine equestre, cui Mario aveva concesso alcuni privilegi.
    Nell’88 a.C. Tolomeo X Alessandro I (circa 140-88 a.C.) aveva lasciato l’Egitto in eredità al popolo romano, o almeno questo venne sostenuto. Ma il Senato romano non aveva accettato l’eredità . In effetti Tolomeo IX Soter (142-81 a.C.), fratello di Tolomeo X, era ancora in vita e regnava sull’Egitto. Nell’81 Soter morì. Nell’80 Silla (138-78 a.C.), dittatore di Roma, favorì l’ascesa al trono d’Egitto di Tolomeo XI Alessandro II (circa 100-80 a.C.), figlio di Tolomeo X Alessandro I. Ma poco tempo dopo il popolo di Alessandria insorse e uccise Tolomeo XI. Per impedire che Silla intervenisse di nuovo o annettesse l’Egitto a Roma, fu chiamato dalla Siria Tolomeo XII Auletes, figlio illegittimo di Soter.
    Silla si ritirò dalla politica nel 79 a.C., lasciando un potere che pur nell’ambito di una struttura costituzionale Repubblicana – aveva i caratteri autocratici della monarchia. Ma il senato, non più in grado di garantire una salda guida allo stato, dovette affidarsi di nuovo alle armi e ai poteri eccezionali conferiti a un solo uomo, Pompeo.
    Cesare propose, a Crasso, suo finanziatore e creditore interessato alla ricostituzione del suo patrimonio, e a Pompeo, politicamente isolato dopo che aveva licenziato l’esercito al ritorno dall’Oriente, di costituire un’associazione a tre, di carattere privato e convalidata da un solenne giuramento di reciproca lealtà , che avesse come fine, con opportuna distribuzione di compiti, il predominio sullo Stato (luglio del 60). Ebbe origine così il primo triumvirato, che assicurò l’elezione di Cesare al consolato per il 59. Cesare chiese e ottenne da Pompeo e Crasso la proroga del comando nelle Gallie per un altro quinquennio.
    Verso la metà di dicembre del 59 a.C. Publio Clodio (?-53 a.C.), un tribuno della plebe che aveva fatto approvare una legge per la distribuzione gratuita di grano al popolo di Roma, propose di annettere Cipro per provvedere al finanziamento della legge. In quel momento Cipro, isola appartenente al dominio degli egiziani, era governata da Tolomeo, fratello di Auletes. Tolomeo venne deposto, ma rifiutò l’offerta di divenire sommo sacerdote di Afrodite a Pafo e si suicidò. Auletes non reagì. Il tesoro pubblico di Cipro, pari a circa settemila talenti, venne inviato a Roma. Nel secondo semestre del 58 Auletes venne a trovarsi in gravi difficoltà . Aveva dovuto aumentare le tasse per restituire il debito contratto con Rabirio. Aveva perso Cipro. Non era andato in soccorso del fratello. Il popolo si ribellò e diede il trono a Cleopatra VI Trifena, figlia di Auletes e sorella di Cleopatra VII. Auletes, forse accompagnato dalla dodicenne Cleopatra VII, fuggì a Roma. Cesare era in Gallia. Pompeo accolse Auletes nella sua villa sui colli Albani. Dal 57 Auletes, in attesa del giudizio dei Romani, si era ritirato ad Efeso nel tempio della dea Artemide. Alla fine di aprile del 55 Auletes riebbe il suo trono.
    Crasso andò incontro alla morte (nel 53 a Carre), Cesare portò invece a compimento il capolavoro del suo genio militare. Il triumvirato era ormai divenuto un drumvirato con la morte di Crasso. Nel 51 a.C. Auletes fece testamento lasciando il trono a Cleopatra e a Tolomeo XIV. Inviò il testamento a Roma perchè fosse conservato nel Tesoro. Ma a causa della difficile situazione politica non fu possibile. La copia del testamento venne trattenuta da Pompeo. L’originale era rimasto ad Alessandria. Nella estate del 51 Auletes morì. Sul trono, con l’approvazione di Pompeo, salirono Cleopatra, diciotto anni, e il fratello/sposo Tolomeo XIV, dieci anni.
    Pompeo, nominato console unico (51) dal senato, si credette abbastanza forte per imporre al conquistatore delle Gallie di rientrare in Roma come semplice cittadino. Fallito ogni accordo, il senato adottò un provvedimento di forza: con un senatus consultum ultimum affidò pieni poteri ai consoli e sostituì Cesare nel comando delle Gallie, con l’avvertimento che sarebbe stato dichiarato pubblico nemico se non avesse lasciato la provincia entro un termine stabilito. Cesare era accampato a Ravenna con una legione in attesa degli eventi. Nella notte del 10 gennaio del 49 varcò il Rubicone in aperta violazione della legge, che proibiva l’ingresso armato dentro i confini dell’Italia. Si iniziava con questo atto la guerra civile, che sarebbe durata dal 49 al 45 e che ci è descritta nei Commentari(De bello civili).
    Pompeo, colto di sorpresa, fuggì precipitosamente in Grecia, mentre Cesare occupava l’Italia (gennaio- febbraio 49). Portata la guerra in Grecia, sconfisse Pompeo a Farsalo (48) e lo inseguì in Egitto. Il figlio di Pompeo, Gneo Pompeo, venne inviato in Egitto a chiedere aiuti. Tolomeo XIII diede sessanta navi e cinquecento soldati. L’assenza di ogni riferimento a Cleopatra testimonia di una rottura tra i due fratelli. In effetti Cleopatra era stata costretta alla fuga in Alto Egitto nel 50 e deposta nel 49.
    Pompeo ancorò le navi vicino al promontorio di Kaison in prossimità dell’esercito di Tolomeo. Il Consiglio di Reggenza giudicò la causa di Pompeo senza speranza. Inoltre il consiglio ritenne necessario un atto significativo per entrare nelle grazie di Cesare, contro il quale si erano mosse le navi e l’esercito egiziano: Pompeo doveva morire. Al momento dello sbarco Settimio pugnalò Pompeo. La moglie, il figlio e gli amici assistettero all’assassinio. Gli egiziani tagliarono la testa di Pompeo e abbandonarono il corpo alla pietà di Filippo che, con l’aiuto di un soldato della guerra mitridatica, potè bruciare le sue spoglie. Poi la flotta egiziana assalì quella romana, che venne costretta alla fuga. Dopo quattro giorni dall’assassinio di Pompeo, Cesare arrivò con una flotta di dieci navi da guerra nel porto di Alessandria. Teodoto gli portò a bordo la testa e l’anello di Pompeo. Cesare pianse. Poi, contro ogni previsione degli egiziani, ordinò alle truppe di sbarcare e occupò il palazzo reale. Vista l’ostilità della popolazione ordinò che due legioni venissero ad Alessandria dalle province romane limitrofe.
    Cleopatra, costretta, infatti, dall’ostilità dei favoriti del fratello a lasciare Alessandria, potè rientrarvi solo grazie all’appoggio dello stesso Giulio Cesare, affascinato, secondo la tradizione, dalle sue grandi arti seduttive, e che non esitò a muovere guerra al recalcitrante Tolomeo XIV, provocandone la morte. Cleopatra tornò allora sul trono come sposa di un altro fratello poco più che bambino, Tolomeo XV, ma il suo posto era ormai al fianco di Cesare. Fra i due nacque una grande passione allietata, nel 47 a.C., dalla nascita di un figlio, che ebbe nome Cesarione. La sovrana d’Egitto accompagnò il condottiero romano in un trionfale viaggio lungo il Nilo per presentargli il suo regno. Tornò a Roma per riprendere la lotta contro i superstiti seguaci di Pompeo. Con fulminea rapidità li battè e nel settembre del 45 fece il solenne ingresso nell’Urbe quale signore incontestato del mondo mediterraneo e della repubblica, celebrando un quinto splendido trionfo (ottobre 45).
    Egli poneva le basi di un governo assoluto, autocratico e presumibilmente trasmissibile, come lasciava intendere l’adozione del giovane nipote Ottavio. Ma per la grandezza dei suoi piani occorreva anche il titolo di re: non in Roma, culla della repubblica, dove gli bastava la dittatura per avere l’autorità suprema, ma nelle terre d’Oriente, in cui il titolo di monarca conservava tuttora il prestigioso fascino di antiche teocrazie. Cleopatra non esitò in seguito a raggiungerlo a Roma con il figlio. Qui, pur in condizioni non sempre favorevoli, data la palese diffidenza se non ostilità che la circondava e lo scandalo suscitato dalla sua sola presenza, visse in una magnifica dimora, circondata da onori e da un lusso leggendario che contribuì a rafforzare la sua leggenda. A Roma, Cleopatra rimase fino all’assassinio di Cesare, nelle Idi di marzo del 44 a.C., quindi fece ritorno ad Alessandria.
    Marco Antonio fu abile capitano, oratore eloquente e suasivo, ma uomo licenzioso e crudele. Più tardi, nel 43, Antonio s’accordò con Ottaviano e con Lepido costituendo il secondo triumvirato, il cui primo atto, voluto da lui, fu l’uccisione di Cicerone. Essi si spartirono il potere (pace di Brindisi, 40 a.C.) suggellando la pace con il matrimonio tra Antonio, vedovo di Fulvia, e Ottavia, sorella di Ottaviano. Antonio rimase affascinato e sedotto dalla regina d’Egitto e accettò di dividere con lei le proprie ambizioni e il proprio destino. La loro unione, allietata anche dalla nascita di 3 figli, Alessandro Elio, Cleopatra Selene e Tolomeo, e quella dei loro domini, pareva destinata a dar vita a un grande e potente impero, capace di contrapporsi con successo a quello romano. Antonio concesse a Cleopatra il governo della Fenicia, della Celesiria, di Cipro e di parte della Siria e dell’Arabia, e ai figli avuti da lei il titolo di re. Ma Ottaviano, non potendo più tollerare una tale situazione, mosse guerra alla regina d’Egitto. Il 2 settembre del 31 a.C. ad Azio egli sconfisse duramente i due rivali, che, fuggiti ad Alessandria, senza più speranze, scelsero di darsi la morte, Antonio con un colpo di spada, Cleopatra con il morso di un aspide. Ottaviano sancì la definitiva annessione dell’Egitto a Roma (30 a.C.), dove tornò immediatamente, portando con sè i tre figli di Antonio e Cleopatra, della cui educazione si fece personalmente carico.

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  • L’Italia preromana

    Mentre nascevano le prime civiltà urbane della Mesopotamia e dell’Egitto, in Europa la preistoria non si era ancora conclusa. Basti pensare che la scrittura fece la sua prima comparsain Italia non prima dell’VIII secolo. Le civiltà neolitiche europee conservavano a lungo un’organizzazione tribale e un grado di sviluppo di gran lunga inferiore a quello vicino-orientale.
    Analizziamo il passaggio tra la fase finale dell’Età del Bronzo (metà XII-fine X secolo a.C.) e l’inizio dell’Età del Ferro: il territorio della provincia di Viterbo in questa fase del Bronzo Finale è immerso nell’aspetto culturale protovillanoviano. Come nelle precedenti fasi dell’Età del Bronzo, essi sono situati soprattutto in posizione elevata e spesso, data la natura vulcanica di gran parte della regione, su speroni tufacei circondati da corsi d’acqua; ma si conoscono anche abitati posti nei pressi della costa tirrenica o sulla riva dei laghi vulcanici, come ad esempio il Villaggio del Gran Carro nel Lago di Bolsena. La tipologia prevalente d’insediamento vede la diffusione delle cosiddette aree con difesa perimetrale, porzioni di territorio con difese naturali (fossi, corsi d’acqua, pareti rocciose), talvolta potenziate dall’opera dell’uomo per renderle inespugnabili.
    La superficie coperta dagli insediamenti protovillanoviani, il 70 % dei quali situata su altura difesa, è mediamente di 4-5 ettari: gli abitati, in cui vivevano alcune centinaia di individui, controllavano un territorio di qualche decina di chilometri quadrati.
    Nel periodo del Bronzo finale, caratterizzato dagli aspetti culturali protovillanoviani, si nota una sostanziale aderenza ad alcuni degli aspetti del periodo successivo, quello Villanoviano nell’età del Ferro.
    Parlare del villanoviano significa fare un vero e proprio salto nel tempo di quasi tremila anni per arrivare quasi al IX secolo a.C. i villanoviani non inumavano i propri morti, tranne in rari casi. Di solito li cremavano e metevano i resti dentro a delle urne. Molti esperti ritengono che i villanoviani praticassero dei sacrifici umani, o più semplicemente che un congiunto o un servitore venisse ucciso per seguire il defunto nell’aldilà . Si dormiva e si viveva in un unico ambiente. In grandi vasi c’erano le provviste. Al centro c’era il focolare.
    Il tetto era di canne e in cima c’era un’apertura per il fumo. La civiltà etrusca fiorì a partire dal IX-VIII secolo a.C. nella regione compresa tra i fiumi Arno e Tevere; sul finire del VII secolo a.C., per l’acquista vitalità economica e commercia, gli Etruschi estesero la loro influenza a Sud, nel Lazio e poi in Campania, e a Nord, nella pianura padana, fondando nuove città . Essi si stabilirono anche in Corsica e Sardegna. Da sempre le vicende e la cultura di questo popolo sono avvolte di mistero, favorita dalla sua incerta provenienza. C’è, infatti, che ritiene che gli Etruschi siano giunti attraverso il mare, accreditando l’opinione dello storico greco Erodoto, vissuto nel V secolo a.C. Dionigi di Alicarnasso, vissuto dal 60 a.C. al 7 d.C., asseriva, che gli Etruschi erano autoctoni.
    Oggi si ritiene che i villanoviani accolsero gli apporti, nella lingua come nell’arte, della cultura orientale, di quella greca e degli altri popoli dell’Italia antica, grazie al flusso di genti ed esperienze nell’intesa rete di scambia commerciali e culturali che percorreva tutto il Mediterraneo. Infatti, nel 750 a.C. sbarcarono in Italia i greci e colonizzarono tutto il meridione. I villanoviani cominciarono a scrivere, prima l’alfabeto era sconosciuto. Le loro città fatte di capanne si trasformarono in città con case e templi. I discedento dei villanoviani erano sempre villanoviani dal punto di vista genetico, ma culturalmente erano molto diversi e si chiamavano etruschi. Il nome che noi diamo agli Etruschi corrisponde ai nomi loro dato dai latini (etrusci, tusci).
    I greci li chiamavano Tyrrenoi. Gli etruschi si chiamavano se stessi Rasenta. Occore però precisare che gli Etruschi non costituirono mai un vero e proprio stato unitario, bensì una confederazione di 12 città autonome, organizzate secondo il modello della città -polis greche e fenicie, federate in una lega, al contempo religiosa e politico. A questa lega appartennero le città di Arezzo, Volterra, Perugina, Chiusi, Populonia, Vetulonia, Orvieto, Roselle, Vulci, Tarquina, Cerveteri e Veio. Le città etrusche rette in un primo tempo a monarchia, in seguito subentrarono le repubbliche aristocratiche. I sovrani (detti lucumoni) concentravano nelle loro mani, per un anno, i poteri civili, militari e sacerdotali. Erano assistiti da un consiglio degli anziani, scelti tra i capi delle famiglie nobili, e da un’assemblea popolare. L’Etruria nel VI sec. a.C. aveva ormai una struttura sociale schiavistica.
    Oltre ai contadini sottomessi (molti dei quali era discendenti degli umbri e dei latini vinti un tempo) vi erano gli schiavi comperati e i prigionieri di guerra. La servitù domestica, i musicanti, le danzatrici, i ginnasti erano tutti schiavi. Anche se la lingua degli Etruschi non è stata del tutto interpretata, conosciamo bene l’arte di questo popolo, testimoniata da oggetti, statue e pitture murali rinvenuti nelle loro tombe. Questi reperti attestano che essa ha sviluppato caratteri autonomi rispetto a quella degli altri popoli della penisola e del Mediterraneo. Gli Etruschi furono molto abili nella lavorazione dei materiali che il loro territorio offriva: metalli, argilla. Altra occupazione fondamentale era l’agricoltura: coltivavano cereali d’ogni specie; sulle colline l’ulivo e la vite. Gli Etruschi furono i primi ad utilizzare sistematicamente l’arco, a partire del IV secolo a.C., nella penisola italica e in tutto l’occidente mediterraneo, ma è forse giunto in Italia dall’Asia Minore attraverso le colonie greche. Il suo utilizzo ha rappresentato una tappa fondamentale: nel vecchio sistema trilitico il peso del muro sovrastante grava sull’architrave, che tende a flettersi fino a spezzarsi; l’arco a tutto sesto, ovvero a forma di semicerchio, tende a distribuire tale peso lungo le pareti; in questo modo consente di praticare aperture di grandi dimensioni lungo i muri di qualsiasi altezza e spessore.
    Il tempio etrusco aveva forma e concezione spaziale diversa rispetto quella greco. Diversa era anche la sua utilizzazione: esso non era più la casa degli dei, ma luogo in cui il sacerdote interpretava i segni divini. Non ci sono pervenuti templi nella loro forma originaria. L’architettura funeraria degli Etruschi è documentata dalle ricce tombe, organizzate in vere e proprie città dei morti, la necropoli.
    I falisei, popolo dell’Italia antica, di ceppo linguistico differente a quello degli Etruschi, ha un’entità etnica diversa da questi ultimi, nonostante in alcuni periodi della sua storia si notino dei chiari contatti con la cultura etrusca.
    Il territorio dello stato falisco era compreso tra i confini naturali del fiume Tevere, dei Monti Cimini e Sabatini, corrispondente a parte della provincia di Roma a nord della capitale ed al settore meridionale della provincia di Viterbo. Le città principali della nazione falisca erano, da nord a sud, Vignanello, Fescennium (Corchiano ?), Falerii (Civita Castellana,la capitale), Sutri, Nepi, Capena e Narce (presso l’odierna Calcata). Sutri e Nepi erano poste in un’area di confine tra lo stato etrusco e quello falisco e la loro posizione ha talmente permeato della cultura di questi due popoli le cittadine da rendere difficile, agli storici, stabilirne l’appartenenza ad una nazione piuttosto che all’altra.
    La capitale dei Falisci, Falerii, raggiunge il massimo splendore nel periodo arcaico (VI secolo a.C.): in questo periodo si assiste ad una forte ellenizzazione della cultura falisca con la conseguente rielaborazione dei temi iconografici provenienti appunto dal mondo ellenico. La vicinanza con gli Etruschi fu spesso causa di scelte politiche comuni tra i due popoli: abbiamo notizia di alleanze strette per contrastare Roma che, dal V secolo a.C., diviene sempre più minacciosa nell’avanzata per la conquista dei territori dell’Italia centrale.
    Fra le altre civiltà evolute va segnalata quella dei celti (chiamati galli dai romani), una popolazione di lingua indoeuropea, che intorno al V secolo a.C. fu protagonista di un’imponente movimento migratorio dell’area renana verso la Francia, la Spagna, la Gran Bretagna e l’Italia settentrionale.
    Gli italici dediti alla pastorizia nell’area appenninica, avevano un livello di organizzazione economica, sociale e politica arretrato.

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  • L’impero persiano

    Gli inizi della dinastia persiana degli Achemenidi sono ancora poco conosciuti; verso il 700 a.C. i Persiani erano stanziati a Parsumach, ai piedi dei monti Bakhtiyari, dove, sotto la direzione di Achemene, fondarono un piccolo regno; l’Elam non era più abbastanza potente per fare opposizione. Il regno persiano continuò a espandersi: Teispe (675-640 a.C.), figlio di Achemene, che portava già il titolo di re di Anzan, si annettè la provincia di Parsa (Fars). Alla morte di Teispe il regno fu diviso tra i due figli: Ariaramne di Media (640-590 circa) e Ciro I di Persia (640- 600 circa). Dopo la distruzione totale dell’Elam da parte degli Assiri, Ciro I riconobbe l’autorità di questi ultimi, inviando uno dei suoi figli come ostaggio. Il successore di Ciro, Cambise I, obbligò il figlio di Ariaramne ad abdicare in suo favore, lasciandogli tuttavia il governo della provincia di Parsa, e sposò la figlia di Astiage di Media: da questa unione nacque Ciro II il Grande (558-528 circa).
    I due regni iraniani che si formarono, quello dei medi e quello dei persiani, vennero unificati dal re persiano Ciro, detto il Grande, nel 599 a.C. Dopo aver consolidato la sua posizione all’interno, Ciro sottomise l’Asia Minore, conquistò Babilonia (539), assumendo il controllo della Siria e ottenendo la sottomissione dei re fenici. Alla sua morte l’Impero passò a Cambise II (529-521 a.C.), che aveva regnato con il padre per otto anni. Il nuovo re dovette domare diverse rivolte in Persia, prima di partire alla conquista dell’Egitto nel 525; nel 522, abbandonando il progetto di conquistare Cartagine e l’Etiopia, ritornò in patria, dove un usurpatore, Gaumata, si era proclamato re; morì poco dopo in circostanze misteriose. Il suo successore Dario I (521-485) era figlio di Istaspe, satrapo dell’Ircania, e nipote di Ariaramne. Egli iniziò la sua opera ristabilendo l’ordine nel paese e nell’Impero; in seguito estese la sua azione a Oriente, sottomettendo il Gandhara, l’India occidentale e la valle dell’Indo; quindi combattè gli Sciti della Russia meridionale ed estese il suo potere sulle città greche della costa. Di lì si volse alla conquista della Grecia stessa, dando origine alle cosiddette guerre persiane, dopo le quali la lotta per i confini occidentali dell’Impero e per le città greche continuò per un secolo e mezzo: laddove la forza non bastava, l’oro del Gran re interveniva, suscitando e mantenendo le lotte intestine in Grecia. Con gli ultimi Achemenidi Artaserse I (465- 424), Dario II (424-404), Artaserse II (404-358), Artaserse III (358- 338), maturò lentamente la decadenza dell’Impero, fino alla definitiva sconfitta di Dario III (331 a.C.) a opera di Alessandro Magno.
    La forza dei persiani era in primo luogo militare: un potente esercito , costituito da un nucleo di nobili cavalieri persiani fornite dalle province assoggettate, era lo strumento per mantenere il controllo dell’impero. A essa si univa però anche una notevole capacità di assimilazione culturale (a cominciare da Ciro, che conquistata Babilonia nel 539 a.C., restituì la libertà agli ebrei che vi erano stati deportati da Nabucodonsor nel 596). Ma grande fu anche l’abilità con cui Dario seppe organizzare l’immenso impero. Il potere era centralizzato: il sovrano governava attraverso i satrapi, membri dell’aristocrazia persiana, ai quali era affidato il controllo delle diverse province, o satrapie, dell’impero.

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  • I Fenici e gli Ebrei

    La parte settentrionale della di Canaan, l’attuale Libano, vide fiorire nel XII sec. a.C. la civiltà fenicia, fondata su da una serie di città -Stato autonome, le cui più importanti erano Biblo, Sidone e Tiro. La forza di queste città non consisteva nella potenza politico-militare, ma nello sviluppo economico, basato soprattutto sul commercio marittimo. I fenici erano ottimi navigatori e conquistatori, tanto che tutta la zona da Cipro alle coste africane (Cartagine) cadde in loro potere, così come Sardegna, Sicilia e Spagna. Furono commercianti di stoffe e legnami, nonchè artigiani di vetro e metalli. Nel 1100 a.C. i fenici fondarono Cartagine, nell’Africa settentrionale (attuale Tunisia) ed entrarono in conflitto con i romani.
    Generalmente il potere apparteneva a un re, il quale, tuttavia, doveva tenere conto dei pareri dell’assemblea dei rappresentanti dei commercianti, degli armatori e dei proprietari terrieri. Tiro rappresentò per un certo tempo un’eccezione, perchè, nel VI secolo, venne governata da magistrati detti sufeti, che erano eletti dal popolo, restavano in carica un anno ed erano generalmente due. La loro era una carica civile, non militare: sovrintendevano alle relazioni internazionali, avevano funzioni legislative, amministrative e giudiziarie.
    Col passaggio all’età del Ferro, il potere regio nelle città -stato dei Fenici venne limitato dall’ascesa delle classi mercantili, ma il sovrano conservò le funzioni religiose e sacerdotali che costituivano una sua prerogativa e continuò a preoccuparsi della costruzione degli edifici sacri.
    La regina godeva di privilegi particolari, poteva esercitare la reggenza e riferirsi a se stessa e all’erede usando il plurale.
    Ai fenici è attribuita l’invenzione dell’alfabeto fonetico e la forma esteriore delle lettere che fu adottata dai greci. E’ grazie a loro che furono diffuse le unità di misura e il sistema dei pesi babilonesi in tutto il bacino del Mediterraneo.
    Giacobbe con tutta la sua famiglia si recò in Egitto: e sembra che l’emigrazione degli ebrei si debba integrare con quella più vasta compiuta dagli Hyksos (“principi di paesi stranieri”) che raggiunsero l’Egitto passando attraverso la Terra di Canaan: al loro seguito il piccolo numero degli Ebrei (secondo la Bibbia si trattava di circa settanta persone) acquistò ben presto posizione eminente. Giuseppe, figlio di Giacobbe, fu primo ministro del faraone e tutta la sua stirpe, aumentata considerevolmente di numero, si stabilì ai confini orientali del Delta. All’inizio, gli Ebrei conservarono una certa libertà ; si spostarono anche, come nomadi, forse fino alla Terra di Canaan, unita allora all’Egitto.
    Dopo l’espulsione degli Hyksos, gli Egiziani, avendo bisogno di manodopera, asservirono gli Ebrei. Liberati da Mosè, nel XV o nel XIII sec. a.C., gli Ebrei peregrinarono per un certo tempo nella penisola sinaitica, furono nutriti miracolosamente dalla manna e dissetati con acqua miracolosa. Intorno ai secoli XIII-XII, essi si stanziarono nella regione meridionale della terra di Canaan, ossia l’attuale Palestina. Il popolo d’Israele era organizzato come una confederazione di dodici tribù. La costituzione di un regno creava però un problema di legittimità , ossia gi giustificazione dell’autorità del re. Gli Ebrei intesero il sovrano come prescelto di Dio.
    Saul (significa impetrato da Dio) 1º re degli Ebrei, che regna dal 1020 al 1000 a.C., quando muore in guerra contro i Filistei. Fu scelto per consiglio divino e unto re segretamente a Rama dal profeta Samuele, che in seguito lo proclamò re pubblicamente. Gli succede Davide, suo genero, che regna per quasi quarant’anni, dal 1000 fino al 961 a.C. A Davide succede, nel 961 a.C., il figlio suo e di Betsabea, Salomone, diventato proverbiale per la sua saggezza. Salomone è quello che si dice un sovrano illuminato. Alla sua morte (922 a.C.) il regno si spezzò in due: uno è il regno di Israele, e l’altro si chiamerà di Giudea.
    L’alimentazione degli ebrei era caratteristica di un popolo dedito prevalentemente all’allevamento; infatti non mancavano il pane e il vino, ma un ruolo centrale era svolto dalla carne, ovviamente di animali non impuri come pecore e capre, e del latte e dei latticini. Resta il problema del significato dei tanti tabù alimentari degli ebrei. Si è fatta lìipotesi che essi, sotto l’apparenza religiosa, non fossero altro che proibizioni di carne di maiale sarebbe stato il risultato della consapevolezza della facile deperibilità di questo tipo di carne nei climi caldi, come quella dei palestinesi. Secondo questa interpretazione, le proibizioni religiose sarebbero state introdotte per rafforzare delle proibizioni di tipo sanitario.

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  • Le origini della civiltà greca

    A partire dal terzo millennio a.C., a Creta visse una straordinaria fioritura culturale. Creta appare oggi arida, nell’antichità l’isola era ricca di vegetazione. La sua particolare collocazione geografica al centro dell’Egeo (Mediterraneo orientale) le permise di divenire il fulcro di estesi traffici commerciali. Il palazzo di Cnosso è la testimonianza della civiltà cretese tra il 1700 e il 1400 a.C., che era privo di fortificazioni. La zona centrale era occupta da un ampio corridoio rettangolare. I cretesi giungevano lungo le coste della Grecia, in Egitto, in Asia. Verso il 1700 a.C. la città di Crosso era il centro più popoloso del Mediterraneo. Creta non si costituì mai in uno stato unitario. Testa e cuore della città era il palazzo, dove venivano esercitate le fondamentali funzioni economiche e politiche. Una specificità del palazzo cretese è la mancanza di mura e fortificazioni. Verso il 2000 a.C. la Grecia venne invasa da popoli nomadi provenienti dalle pianure della Russia meridionale. Uno di questi popoli, gli Achei, si stabilì nel Peloponneso, la penisola che costituisce la parte più meridionale della Grecia. Qui gli Achei fondarono alcune città : Micene, Argo, Tirinto, Pilo. Erano città -fortezze situate in posizioni strategiche, difese da imponenti mura con due o tre sole porte d’accesso. Proprio dal nome di una di esse, Micene, la loro civiltà prese il nome di civiltà micenea. Gli Achei erano soprattutto guerrieri e il loro re era, in genere, il capo più valoroso. Questi distribuiva le terre e i bottini di guerra, amministrava la giustizia e l’economia, e decideva le spedizioni militari. Ogni città era indipendente e spesso in guerra con le altre. La vita economica si svolgeva grazie al lavoro dei contadini, degli artigiani, degli schiavi. Tra il 1600 e il 1200 a.C. gli Achei divennero anche marinai, commercianti, probabilmente pirati.
    Tra il 1600 e il 1400 a.C. i micenei subirono l’influenza dei cretesi, dei quali appresero a navigare, a commerciare e a coltivare l’ulivo e la vite. Dopo il 1400 a.C., però, essi si sostituirono ai cretesi nel predominio sul mar Egeo ed estesero la loro supremazia nel Peloponeso. Quando i cretesi, nell’anno 1425 a.C., tentarono una disperata sollevazione contro l’invasore, ebbero la peggio, e dovettero subire una repressione sanguinosa, conclusasi con la spietata distruzione del loro palazzo reale. Tra il 1400 e il 1100 a.C. gli Achei, minacciati dalle popolazioni vicine, eressero attorno ai centri abitati, collocarono su alture, possenti mure di difesa. Nella loro società il potere era in mano ad un’aristocrazia militare ed il palazzo reale, che esaltava la potenza del re.
    I dori, occupando le popolazioni micenee darà origine la civiltà greca.

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  • I primi Stati della Mesopotamia

    Si svilupparono i primi insediamenti urbani nelle regioni della Mesopotamia, antico nome della regione dell’Asia Anteriore compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, occupate dalla moderna Turchia, dalla Siria e dall’Iraq. Queste regioni, a partire dal III millennio a. C., furono teatro di imponenti flussi migratori di molteplici popolazioni (semiti, ittiti, filistei, aramei, fenici ecc..). Le prime città stato della Mesopotamia si svilupparono nel sud della regione, nelle zone alluvionali a ridosso del Golfo Persico. Anche qui le condizioni ambientali stimolarono le risorse e l’inventiva dell’uomo. Le piene del Tigri e dell’Eufrate avevano luogo in primavera, con il rischio che l’acqua invadesse i raccolti prima del raccolto; viceversa, l’acqua scarseggiava in autunno, quando sarebbe stata necessaria. Gli antichi popoli mesopotamici affrontarono il problema attraverso canali regolati da chiuse, l’acqua veniva fatta affluire nei campi nel momento e nelle qualità opportuni.
    Uno degli elementi che favorì il sorgere dei centri urbani fu la presenza di un’organizzazione agricola che soddisfacesse le esigenze alimentari sia degli addetti al lavoro dei campi sia di coloro che si dedicavano ad altre attività . Ciò provocò una dipendenza della campagna dalla città , che aveva bisogno di assicurarsi grandi quantità di prodotti agricoli. Questi venivano versati dai contadini quale tassa in natura all’autorità cittadina. Non si trattava di uno scambio alla pari, perchè il potere era tutto nelle mani dei sacerdoti del tempio, ai quali spettava ogni decisione importante. La condizione dei contadini andò peggiorando nel corso del tempo: se nella prima fase della rivoluzione urbana essi erano in maggioranza possessori delle terre che coltivavano e liberi di organizzare il lavoro secondo le proprie scelte, in seguito crebbe sempre più una categoria di agricoltori direttamente dipendente dal tempio.
    I sumeri furono la più antica popolazione della Mesopotamia, le cui origini sono rintracciabili grazie a reperti risalenti al 3000 a. C. Il codice di leggi di Ur-Nammu, raccolta di testi giuridici, rappresenta la più antica raccolta di massime giuridiche della storia dell’uomo. I sumeri non si organizzarono in uno stato unitario, bensì in tante città -stato indipendenti l’una dall’altra, talvolta in lotta fra loro ed economicamente autosufficienti. La città sumerica era governata da un re chiamata lugar, il quale apparteneva generalmente alla classe sacerdotale. La città di Uruk, nata verso il 3500 a.C., sorgeva sulla destra del vecchio corso dell’Eufrate. Il tempio di Eanna fu il centro di un complesso di attività organizzative e politiche, che permisero a Uruk di acquisire sia il controllo della pianura intorno alla città sia il dominio sui villaggi urbani minori di una vasta area della Mesopotamia meridionale. Inoltre, Uruk fondò colonie anche a centinaia di chilometri verso nord, sino in Siria e in Anatolia. Queste avevano la funzione di controllare i commerci a lunga distanza. I sumeri erano politeisti; gli dei erano rappresentazioni e personificazioni delle varie forze della natura. Furono abilissimi artigiani, costruivano ornamenti, decoravano vasi d’argilla e fabbricavano strumenti in metallo che sapevano fondere a temperatura elevatissime. Il tempio, grande piramidi a gradoni chiamata ziggurat, era il cuore della città : nel tempio si svolgevano le attività di commercio, di scambi e le attività politiche. Il tempio era il supremo proprietario della terra e del bestiame. I sacerdoti amministravano queste ricchezze. Schiavi erano in Sumer, non solo i prigionieri di guerra, ma anche i debitori che perdevano la terra e la libertà a vantaggio del creditore. L’astronomio sumera si sviluppò dalla divinazione, cioè dall’arte di provvedere al futuro grazie all’interpretazione del movimento degli astri. I sumeri sapevano riconoscere stelle e pianeti: scoprirono che i loro movimenti rispettavano scansioni temporali. E’ ai sumeri, infine, che dobbiamo le prime cosmogonie (cosmo), cioè i primi tentativi dell’umanità per piegare l’origine del mondo, delle cose, dell’uomo stesso. Nella scrittura cuneiforme inventata dai sumeri, accanto ai segni pittografici compaiono anche dei segni fonetici. Ciò significava, ad esempio, con i simboli delle parole re e ma si potevano indicare, oltre ai suddetti termini, anche parole come mare e rema. Sembra questa la strada che ha portato all’invenzione dell’alfabeto. Una curiosa caratteristica dei segni fonetici sumeri sta nel fatto che essi inventarono un sistema per esprimere i suoni simile a quello che oggi noi usiamo per comporre i giochi dei rebus. La scrittura rimase però una pratica molto complessa: sapevano usarla soltanto gli scribi o scrivani di professione, cioè coloro che erano alle dipendenze del tempio o del palazzo e ne curavano l’amministrazione. La struttura delle città -stato sumere aveva messo in evidenza tutta la sua fragilità politica e militare di fronte a una popolazione nomade proveniente dall’Siria o dal deserto arabico: gli accadi. Essi conquistarono il territorio dei sumeri. Il potere venne quindi assunto dal re accadico Sargonn, il Conquistatore, che fondò la nuova capitale Akkad. Alla sua morte, verso il 2300 a.C., i popoli sottomessi si ribellarono, e la situazione fu ripresa in mano solo dal nipote Naram-Sin, che tuttavia non riuscì a ripristinare durevolmente la struttura dello Stato. Alla morte di Naram-Sin una tribù di origine semitica, anch’essa proveniente dall’Iran, penetrò in Mesopotamia e impose il proprio dominio a Sumeri ed Accadi. Nonostante che i nuovi venuti, denominati Gutei, avessero portato la prosperità economica del paese, vennero sempre considerati degli usurpatori e scacciati appena fu possibile. Fu il principe della città di Uruk, Utkhegal, che guidò la rivolta antigutea nel 2051 a.C., consentendo così la rinascita della potenza sumero-accadico. Il sovrano accadico riceveva in vita onori divini, essendo considerato un figlio degli dei; e quando veniva a morte, la sua scomparsa da questo mondo era considerata come un semplice passaggio nel mondo eterno degli dei, precluso invece ai comuni mortali. I Sumeri inventarono anche la scrittura cuneiforme, così chiamata perchè consta di tanti piccoli segni.
    Verso il ventesimo secolo a.C. cominciarono a premere sullo stato di Accad molti dei popoli confinanti, tra i quali gli Elamiti, i Mari, i Cananei e gli Assiri, ma la prevalenza venne assunta dai babilonesi, che riuscì a estendere il proprio dominio sul territorio circostante, finchè, verso il 1700 a.C., divenne capitale di un vastissimo regno che unificava l’alta e la bassa Mesopotamia (Akkad e Sumer). Testimonianza della civiltà politica babilonese è il codice di Hammurabi, insieme di leggi incise a caratteri cuneiformi.
    Contemporaneamente alla civiltà babilonese, nacque nella parte settentrionale della Mesopotamia l’impero assiro. La dinastia amorrea fondata da Samsi-adad diede inizio al periodo di indipendenza ed espansione oltre l’Eufrate. Lo scontro con la civiltà babilonese inferse un duro colpo alla civiltà assira: il re Hammurabi occupò l’intera Assiria e nel 1679 a. C. l’occupazione della città di Mari segnò il declino del primo periodo di splendore della civiltà assira.
    La struttura della monarchia assira era aristocratico militare, con molti elementi mediati dalla civiltà babilonese: l’economia basata sull’agricoltura e sul commercio fioriva grazie allo sfruttamento dei paesi conquistati. L’arte assira riprende i temi dell’arte mesopotamica dei sumeri, esemplificata nello Ziqqurat di Ur o tempio torre con sovrapposizione fino a sette piani di bastioni inclinati. La superiorità degli Assiri era soltanto militare: infatti essi non apportano nessun elemento culturale, ma solo l’uso dei carri da guerra e dei cavalli.
    Verso la metà del II millennio a.C. il dominio di Babilonia fu sottoposto alla pressione dei “popoli dei monti”, popolazioni nomadi e siminomadi. Tra questi vi erano gli assiri, che rendendosi indipendenti da Babilonia, poi, verso il 1146 a.C. occuparono la città stessa. Dopo così sconfitto la popolazione dei Mitanni, gli Assiri guidati dal re Salmanassar I invasero tutta la Mesopotamia trattando i popoli vinti con inaudita crudeltà , inchiodando sulle mure della città sottomese la pelle e la testa dei condottieri uccisi, deportando intere popolazione da una regione all’altra. L’odio e il terrore che gli Assiri avevano ispirato ai popoli sottomessi esplosero con furore quando venne anche per loro il momento della sconfitta. Gli invasori vennero ricacciati per qualche tempo sulle loro montagne. Ma a partire dall’883 a.C., di nuovo gli Assiri discendono come uccelli rapaci e di nuovo s’impongono a tutti gli avversari. Sotto il dominio degli assiri caddero progressivamente, tra il 1000 e il 700 a.C. la Palestina, la Siria e la Fenicia; verso il 670 venne conquistato anche l’Egitto. Inoltre i conquistatori hanno acquistato un’arma nuova: è la spada di ferro, che hanno loro trasmesso gli Hittiti, e che consente di sbaragliare con irrisoria facilità gli eserciti ancora armati completamente di bronzo.
    Organizzato un potente Stato sotto il governo dei primi sovrani, gli Ittiti cominciarono, come tutti gli altri popoli confinati, a guardare con desiderio le fertili pianure della Mesopotamia. Finalmente, dopo anni di guerriglia, riuscirono a invadere la Siria conquistando la capitale Aleppo, e poi spingersi fino alla stessa Babilonia; li guidava il re Morsili I, un abile generale, che però poco tempo dopo venne assassinato. Questo determinò una crisi nel governo ittita e un arresto nella politica di espansione militare, che riprese solo dopo due secoli, quando, nel 1365 a.C., si lanciarono all’assalto del regno dei Mitanni. Più che un regno, quello creato dagli Hittiti può essere considerato una grande confederazione di popoli e genti diversa. Gli Hittiti, infatti, costituivano una minoranza straniera nelle regioni conquistate e cercavano di evitare possibili ribellioni, concedendo una certa autonomia ai popoli sottomessi; spesso si accontentavano di ricevere da questi ultimi tributi e aiuti militari, lasciando sul trono il sovrano locale, anche se con un potere limitato. Il re era prescelta in relazione alla sua abilità guerriera o di comando. Egli non era quindi nè l’interprete della divinità nè dio egli stesso. L’autorità regia era limitata dall’assemblea degli uomini liberi, che aveva potere decisionale su molti aspetti della vita sociale e sull’elezioni del nuovo re. Ma nonostante tutto, venne anche per i saggi Ittiti il tempo della fine. Poco prima dell’undicesimo secolo a.C., essi vennero a conflitto coi Frigi, i fondatori della famosa città di Troia di cui parlano i grandi ci parlano i grandi poemi omerici, e la loro potenza crollò sotto i colpi dei nuovi dominatori, i quali ne invasero il territorio e vi fondarono una nuova capitale, chiamata Gordio.
    Il periodo di massimo splendore del regno di Frigia cadde tra l’ottavo e il settimo secolo a.C. Il regno frigio tuttavia, entrò ben presto in crisi a causa degli Assiri, i quali, guidati da Sargon II, ne sbaragliarono le forze nel 709 a.C.
    Essi vennero sostituiti dai Lidi, che a cavallo tra il settimo e il sesto secolo a.C. stabilirono il loro reame. Il secondo impero babilonese ebbe momenti di rinnovata grandezza sotto il regno di Nabucondosor, quando fu conquistata la Palestina fino ai confini dell’Egitto. Nabucodonsor II, nel 587 a.C., distrusse Gerusalemme, capitale del regno di Giudea, e deportò in massa gli ebrei in Babilonia, obbligandoli a collaborare alla costruzione di un grande edificio di culto, una torre detta ziggurat, che gli ebrei chiamarono poi nella loro Bibbia torre di Babele ritenendo che Dio stesso avesse confuso le lingue di coloro che la costruivano, mentre si trattava solo dei diversi popoli deportati dall’imperatore e costretti a lavorare come schiavi alla costruzione. Toccò al re Nabonide di vedere la fine dell’impero: inimicatisi i sacerdoti, avendo cercato di limitare il loro potere i loro privilegi, li spinse ad accordarsi segretamente coi nemici dell’impero, e in particolare coll’imperatore di Persia Ciro II. Costui nel 539 a.C. poteva così impadronirsi della grande, della splendida Babilonia.
    Il politeismo è senza dubbio il carattere fondamentale di tutte le religioni antiche. Quella della Mesopotamia era caratterizzata da un politeismo di tipo naturalistico: i popoli mesopotamici credevano cioè che ciascuna forza della natura (terra, acqua, vento, ecc.) fosse controllata da un dio. Oltre alle divinità della natura, c’erano gli dei protet0tori di ogni singola città , ai quali era dedicato il grande tempio posto al centro della città stessa.

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  • L’antico Egitto

    Nell’area medio-orientale, dominata dalle civiltà idrauliche dell’Egitto e della Mesopotamia, la via di comunicazione più logica era rappresentata da quelli stessi fiumi. Le imbarcazioni furono ovviamente il mezzo di comunicazione principale. Notizie che possiamo ricavare dai poemi omerici e dai dipinti ci dicono che le navi da guerra, a differenze di quelle mercantili, erano longilinee e leggere, tali cioè da poter esser trascinate a riva dell’equipaggio. La nave da guerra non serviva solo per le battaglie in mare aperto, ma anche per gli sbarchi di sorpresa sulle piagge vicine alle città nemiche. Omero ci informa che l’equipaggio della nave da guerra era di 50 uomini, notizia che consente agli esperti di affermare che la sua lunghezza media era di 35-40 metri. A metà del II millennio a.C. cominciò a essere usato il cocchio; si trattava di un carro leggero trainato da cavalli, le cui ruote, al contrario dei primi carri coperti, non erano piene ma a raggi. Il cocchio ebbe all’inizio soprattutto usi militari. Ma carri e cocchi necessitano ovviamente di strade sufficientemente larghe e curate, che effettivamente cominciarono ad apparire, a partire dal II millennio a.C., all’interno dei paesi più estesi. Possiamo individuare due tipi di viaggiatori: i soldati e i messaggeri. Va sottolineato che questa sorta di servizio postale riguardava esclusivamente i messaggi destinati al sovrano; i privati, quando volevano far pervenire un messaggio a qualcuno, lo affidavano a chi era in procinto di intraprendere un viaggio. Ma i veri protagonisti dei viaggi dell’antichità erano i mercanti; infatti, la necessità di vendere o di procurarsi le merci imponevano loro viaggi su distanze più o meno lunghe. Il quadro dei viaggiatori dell’antichità non sarebbe completo se non ne consideriamo altre due tipologie: i devoti e i turisti.

    L’antico Egitto

    L’esigenza di regolare con opere idrauliche lo scorrere del Nilo portò, fin dal IV millennio a.C., da un lato alla fusione dei diversi popoli in un’unica civiltà , dall’altro alla formazione di due regni: il Basso Egitto, costituito dalle ampie pianure del delta, e l’Alto Egitto, costituito da strette fasce coltivabili lungo il corso del fiume, al di là delle quali si estendevano vasti altopiani desertici.
    Si evidenziarono però delle differenze fra il Nord e il Sud del paese: infatti nella zona del delta del Nilo (Basso Egitto) la grande fertilità dei terreni consentiva di disporre di eccedenze di prodotti che alimentavano il commercio, anche per mare, con i popoli limitrofi; a sud (Alto Egitto) il terreno meno fertile costringeva invece le popolazioni a compiere delle razzie nelle zone circostanti.
    Il primo faraone fu Narmer, che avrebbe poi assunto il nome di Menes, una volta divenuto monarca. Re della parte meridionale dell’Egitto o Alto Egitto conquistò la parte settentrionale o Basso Egitto. Unificato l’Egitto fu anche il primo a portare il tradizionale copricapo, fusione della “Corona Bianca” del Basso Egitto con la “Corona Rossa” dell’Alto Egitto. Di lui conserviamo una tavoletta di scisco celebrante il suo trionfo militare.
    Durante il periodo arcaico, in cui si succedettero due dinastie (comprendenti almeno diciassette faraoni), si affermò la natura assolutistica e teocratica del potere del faraone, considerato figlio del dio sole Ra, e adorato egli stesso come divinità ; venne stabilita anche la struttura dello stato, diviso in distretti (detti “nomi”) governati dai nomarchi. Si sviluppò nel frattempo la scrittura (i primi geroglifici si datano a partire da questo periodo) e vennero costruiti anche edifici funerari a Saqqara e ad Abido, primi esempi dell’arte egizia.
    Attorno al 2300 è l’inizio della produzione del formaggio, nell’Egitto, come forma di conservazione del latte.
    Il primo periodo intermedio dura dal 2178 al 2067 a.C. circa. Il secondo sovrano della III dinastia fu Sesostri, che regnò dal 2737 al 2717 ca. a.C.; durante il suo regno l’espansione militare si indirizzò a sud verso la Nubia. Sono note anche alcune spedizioni commerciali in Libano, da dove veniva importato il legname da costruzione, che scarseggiava in Egitto, e nel deserto del Sinai, che forniva pietre per l’edilizia, gemme preziose e metalli (rame e oro).
    Al primo periodo intermedio appartengono la VII e l’VIII Dinastia con capitale a Menfi e la IX e la X Dinastia con capitale principale a Heracleopolis (e dette perciò dinastie eracleopolitane).
    Montu Hotepi I (2137-?): Regnò per pochi anni ma sotto il suo regno inizia la riunificazione dei due regni. Il medio regno dura dal 2064 al 1785 a.C. circa. Nel 2000 appaiono in Egitto i primi oggetti in vetro.
    Montu Hotepi II (2064-2013) regnò più di cinquant’anni, durante i quali sconfisse definitivamente il sovrano di Assyut e quello Heracleopolis, ristabilì l’unità del paese, estese il potere al Basso Egitto con l’appoggio della borghesia che era interessata a riaprire il commercio su tutto il territorio.
    Sesostri III (1877-1843): fu un grande generale. Colonizzò la Nubia, che divenne provincia egiziana. Vinse i Libici e per la prima volta nella storia egiziana si spinse in Siria. Sekhembra (1785-1785) diventa re sposando la regina-faraone Sebeknefru. Non riesce ad acquisisce tutti i poteri per regnare. Questa situazione è fonte d’indebolimento del regno e causa, tra l’altro, il distacco della Nubia.
    Il secondo periodo intermedio dura dal 1785 al 1560 a.C. Contrariamente al precedente periodo intermedio, non ci furono carestie o guerre cruente. I pacifici re che si succedettero goderono ancora in parte dell’effetto Sesostri. Il popolo stava mediamente bene, ma senza una guida forte si lasciava semplicemente vivere.
    Sobekhotep IV governò 8 anni e durante il suo regno si verificò l’occupazione di una città da parte degli Hyksos che, più tardi diventerà la loro capitale Avaris. Lentamente ma inesorabilmente all’indebolimento del potere centrale, corrispondeva l’infiltrazione incontrollata di genti straniere che occupavano intere città che si rendevano indipendenti.
    Al 1785 risale il Papiro Smith, in cui sono esposte le tecniche chirurgiche degli antichi egizi. Al 1550 risale una copia di un originale più antico, fonte per la conoscenza della medicina egiziana.
    L’Egitto è conquistato dagli Hyksos, popolo di nomadi cananei e ammoniti. Il dominio dei sovrani Hyksos, dei quali si conosce poco, va dal 1635 al 1545, comprende la XV, XVI dinastia. Si stabilirono ad Avaris, sul Delta, e vennero scacciati solo con l’avvento della XVIII Dinastia tebana. Costruirono monumenti e templi rilanciarono gli scambi commerciali con gli altri popoli, mantennero la stessa struttura amministrativa, i medesimi canoni artistici e diedero impulso alla diffusione della letteratura, adottarono usi egiziani e si proclamarono faraoni, trascrivendo i loro nomi in geroglifici e assumendo a volte nomi egiziani. Gli Hyksos contribuirono sicuramente a importare in Egitto motivi asiatici che influenzarono l’arte egiziana.
    Al tempo del re Hyksos Yaqub-Har, da un ramo secondario della XIII dinastia, naque a Tebe la XVII dinastia con sovrani che regnarono da Elefantina ad Abidos.
    Il nuovo regno dura dal 1543 al 1078 a.C. Amhose (1543-1515) fratello e successore di Kamose, nel decimo anno del suo regno conquistò Avaris e inseguì gli Hyksos fino in Palestina distruggendo definitivamente la loro base operativa nella città di Sharuhen. Riconquistò la Nubia fino ad Abu Simbel e ristabilì la monarchia su tutto l’Egitto ormai unificato.
    Thutmose III (1490-1436): fu il più grande faraone d’Egitto dopo Ramsete II. Eclissato in giovane età dalla suocera e matrigna Hatscepsut, rimasto solo sul trono condusse una serie di campagne militari vittoriose sulla costa comprendente gli odierni Israele, Libano, Siria e Giordania (il Retenu). Celebri le sue vittorie contro i Mitanni. I popoli che non furono sottomessi, dovettero comunque versare tributi.
    Amenofi IV – Ekhnaton (1367-1350): fu un rivoluzionario in campo religioso. Istituì una sorta di monoteismo mistico, in cui unico dio era Aton, personificazione del disco solare.
    Ramseten II (1290-1224) il più attivo costruttore di tutti i tempi. Governò per 67 anni portando pace e splendore. Il terzo periodo intermedio dura dal 1078 al 525 a.C. circa. Il potere va in mano a re libici e più tardi ai re etiopi. In questo periodo si dividono “le Due Terre”, si hanno quindi sovrani che regnano sul Basso Egitto contemporaneamente ad altri che regnano sull’alto Egitto.
    Uno dei popoli che contrastarono più a lungo ed efficacemente il dominio egiziano sull’Oriente mediterraneo fu quello degli Ittiti. Interpretando e leggendo una raccolta statale di diecimila tavolette, si potè ricostruire la storia del popolo ittita e del suo impero. Il grande scontro fra le armate faraoniche e gli Ittiti avvenne nel 1296 a.C. presso Kadesh, sulle rive del fiume Oronte, in Siria. Alla testa dell’esercito imperiale egiziano era Ramses II, mentre le truppe ittite erano comandate dal re Mutavalli. Gli egiziani vennero presi in un colossale tranello, avanzando verso la città dove erano attestati gli Ittiti, mentre questi si tenevano nascosti e giravano le colonne nemiche. Quando Muvatalli lanciò l’assalto contro il grosso dell’esercito faraonico, ebbe facile gioco, tanto che lo stesso Ramses riuscì a stento a salvarsi, grazie a un distaccamento del suo esercito che era riuscito a sfuggire alla manovra accerchiante. Trent’anni dopo, tra l’Egitto e il regno ittita veniva firmata la pace, e nel 1256 a.C. i due imperi strinsero addirittura un patto di alleanza che venne suggellato da un matrimonio politico-dinastico.
    La società egizia era divisa in caste ereditarie. Accanto al faraone le caste più importanti erano quelli dei sacerdoti, degli scribi e dei militari. La massa della popolazione era costituita da contadini, che vivevano in modo modestissime. In qualche caso avevano delle terre personali. Erano gravati dalle fortissime pressioni fiscali e amministrative. Per la maggior parte erano operai e braccianti.
    Il denaro non era diffuso nell’antico Egitto. Le paghe erano date in natura, con vestiti e generi di prima necessità .
    I contadini erano lavoratori dipendenti che si occupavano delle terre del faraone o dei sacerdoti. Nei campi si coltivavano soprattutto cereali, lino e vite, impiegata per la produzione del vino. Per millenni gli straripamenti annuali del fiume Nilo hanno lasciato sui campi ricchi depositi di lino, rendendo fertile la terra e consentendo lo sviluppo di insediamenti agricoli. Il fango del fiume era prezioso anche per la costruzioni di vasi e mattoni. Durante il periodo delle inondazioni i contadini venivano occupati nella costruzione di grandi opere, in primo luogo le piramidi, cioè la tomba dei loro faraoni.
    Le varie tribù avevano le proprie divinità legati al ciclo della natura. Erano adorati per esempio gli astri e il sole, ma anche animali come l’ibis, il coccodrillo e lo scarabeo. Questi riti religiosi continuarono anche dopo l’unificazione. I tentativi di introdurre un rito monoteistico non ebbero mai successo. Il sentimento religioso era spontaneo e immediata. I corpi furono sepolti con una dotazione di oggetti ritenuti necessari per la vita dopo la morte.
    L’architettura è la massima espressione dell’arte egizia ed è legata alle tematiche religiose. Le imponenti piramidi sono opere collettive e sono lo sforzo di un intero popolo per rendere omaggio al sovrano e agli dei.
    Gli egizi avevano approfondirono la matematica, l’astronomia e la medicina.
    La civiltà egizia, come molte delle grandi civiltà dell’antichità , si basava in modo prevalente sui vegetali e, in particolare, sui cereali. Per molto tempo gli egizi produssero solo un pane non lievitato; in un’epoca precisa, ma forse già nel corso del III millennio a.C., essi scoprirono (probabilmente per la prima volta nella storia dell’uomo) la tecnica per far lievitare la pasta. Geroglifico non è che la forma di pittografia elaborata degli egizi, gelosamente custodita dai sacerdoti e dagli scribi, fin dal III millennio a.C.
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  • I primi passi dell’homo sapiens

    Circa 35-30.000 milioni di anni fa, però, l’homo di Neandertal scomparve e il pianeta restò popolato soltanto dalla sottospecie alla quale apparteniamo anche noi. L’homo sapiens sapiens fu il primo decorare le sue caverne con la pittura. L’invasione dei sapiens è stata lentissima. Dove avanzava il sapiens, il neanderthal inevitabilmente scompariva. La specie umana raggiunse l’Australia e l’America. 35.000 anni fa circa una importantissima mutazione fisiologica, che avviene solo nell’uomo: fa abbassare nella sue gola la laringe, che va a creare una vera e propria camera vocale, dove può modulare a suo piacimento i suoni che emette. Non potrà più bere e respirare contemporaneamente, come fanno gli scimpenzè, ma in compenso ora può articolare e modulare i suoni laringei. Al principio si pronunciò solo la p, è la più semplice consonante dopo la chiusura della bocca. Poi la b, m, poi le palatali c, le dentali t,d,g. Un bambino nei primi mesi ripete pari pari tutto l’intero processo descritto ora. 26.600 anni fa circa il nostro antenato ha scoperto che l’uomo cresce a somiglianza di ciò su cui fissa i proprio pensieri, nasce la curiosità , l’attenzione, la comparazione e quindi la riflessione. Inizia anche a creare un suo cantuccio, dove mette ciò che vede e sente, poi analizza, elabora, riassembla, ricrea, alcune verità le fa solo sue, autonome, una visione del mondo tutta sue. E’ il carattere! 26.580 anni fa circa se prima l’occhio vedeva e l’orecchio sentiva e il cervello era cieco, ora è quest’ultimo che vede. E’ il cervello che ora domina perchè ogni cosa la analizza, fa comparazioni con messaggi residenti che sono il frutto di tante esperienza. 26.525 anni fa circa il nostro antenato ha già capito cosa sono i rapporti sociali, la coabitazione tranquilla, l’armonia del gruppo, e rallenta-inibizione quelli che sarebbero gli impulsi che comprometterebbero la sue esistenza. La sue società è anche questo, inibizione che si formano davanti a un capo clan, che fa divieti, proibizioni, leggi. L’uomo nel pensiero utilizza un’area dove assorbe le frasi e i discorsi degli altri, mentre le sue risposte vengono (solo in parte) da quella dove ricompone quello che ha udito nel passato e nel presente. 26.400 anni fa circa l’uomo scopre l’empatia, capacità d’immedesimarsi in un’altra persona (calarsi nei suoi pensieri e agire quindi in un altro modo, che spesso non è il suo). In questa proiezioni distingue ciò che provoca gioie o dolori agli altri, e si prodiga per le prime e si astiene nel provocare i secondi, si da una norma; sta insomma nascendo l’uomo etico. L’etica è un’insieme di regole, obblighi, diritti, doveri che permette a una società di sopravvivere. E sono necessari quando i suoi membri presentano degli interessi alle volte in conflitto fra di loro, e occorre dunque adattarsi. 26.200 anni fa circa l’uomo ha scoperto, nella capacità dell’attenzione, la chiave della libertà . Una definizione che un etica (o morale) non si basi su questi fattori non è gradita a un credente ma costui dimentica che i dogmi stessi sono essi stessi un’informazione imposta da altri soggetti che hanno creato una sequenza di informazioni, spesso perfino astratte, vaghe, non sezionabili razionalmente, quindi non verificabili se vere o false. Hanno un unico scopo, propiziazione e conciliazione dei poteri, che in questo momento sono incomprensibili al nostro progenitore per dirigersi e controllarsi da soli dentro il suo mondo interiore. 26.100 anni fa circa è l’ora dove si forma le filosofie, le religioni, che va nascendo da un’etica ideale che chiunque ambisce. Scopriamo oggi, che in certe religioni primitive, era essenziale (e lo è ancora) il rito, mentre i miti, i credi, i dogmi sono costruiti a posteriori. Religione significa in occidente, che unisce il fedele alla divinità , mentre questo legame è completamente estraneo in altre grandi dottrine (come ad esempio il buddismo). E non sfugge che alcune religioni rimangono monoteistiche (un solo Dio personale come quello giudaico cristiano da temere e divinizzare), e altre sono rimaste politeistiche, come quella giapponese che ha una miriade di dei. Comune a tutte le religioni sono comunque i bisogni insoddisfatti il mistero angoscioso del doloro e della morte, la precarietà dell’esistenza, che fa trovare in esse una risposta compensatrice. Da esse nasce lo stato interiore (valori) e l’uomo scopre l’espressione più alta della vita spirituale della comunità umana. 25.220 anni fa circa osservate il cinico, l’egoista; il mondo è suo, lui non si interroga, prende ciò che vuole, non rispetta chi è etico. Quest’etico riuscirà persino a comprenderlo, a perdonare. 25.148 anni fa circa nel villaggio arcaico troviamo membri che discutono per la prima volta di etica e di norme, è l’inizio del comportamento morale, si mettono freni al dominio dei sensi: fame, sesso, libertà , possesso di beni. Altri, i ribelli, gli antisociali, che devono però per le leggi varie sottostare a quelle norme reagiscono con l’angoscia o la rabbia, e per mitigarla, ricorrono sempre più all’alcool. In questo arcaico dramma scoprono un altro succedaneo della beatitudine o eccitazione interiore: il suono, la danza, il movimento, il ritmo. 25.000 anni fa circa nascono le idee. 24.800 anni fa circa avviene anche un altro evento straordinario: in una buia grotta una femmina e un maschio nel delicato processo di identificazione scoprono assieme qualcosa e formando qualcosa di diverso nel proprio mondo interiore. Dopo la nascita della conoscenza del sè, stanno scoprendo e formando il mondo del noi, sta nascendo il sentimento reciproco del donarsi monogamo. Non è un rapporto sessuale, ma è un intima identità dei due che non la vivono solo, ma la condividono più che nell’intimità fisica in quella anteriore. E’ indubbiamente l’attimo dove nasce l’amore. Nasce quel legame più duraturo con una precisa direzione. 24.180 anni fa circa nella famiglia viene iniziata la suddivisione dei compiti, nasce la cooperazione di giovani e vecchi, prima d’ora quest’ultimi quasi considerato inutili al gruppo. Nella tribù, questa nuova figura, non più impegnata nella caccia, scopriamo che va assumendo un’importanza per il gruppo e il futuro della stessa società umana. E’ lui, quest’anziano, a raccogliere molteplici notizie, i fatti (è lui il libro, giornale, radio, tv del villaggio). 24.087 anni fa circa ora da una posizione centrale del campo, il nostro avo domina e s’interroga sui fenomeni che dominano il mondo. 24.075 anni fa circa l’uomo prende un bastone e ogni notte fa una tacca (tag=giorno, in sanscritto), dopo 28 notti la luna è ancora lì: il bastone è ora diventato la misura del tempo (mes=mese, in sanscritto è misura). 24.000 anni fa circa compaiono le prime manifestazioni artistiche, consistenti in incisioni di complesse interpretazioni, cioè le pitture e le figure di animali molto schematizzati. Simili raffigurazioni artistiche si possono fare solo se si utilizza un linguaggio molto sviluppato, che va a creare una autocritica realistica che porta a miglioramenti. 23.000 anni fa circa l’industria litica procede a passi di gigante, ritocchi bifacciali della selce, punte peduncole, lamelle a punte, dorsi a foglia di salice che diventano veri coltelli, raschiatoi per scuoiare, pulire. 18.000 anni fa circa vivono associato in orde e iniziano a vivere nelle prime costruzioni, mentre i nomadi vivono dentro capanni mobili, grandi e piccoli pali riuniti e coperti da grandi pelli. 17.000 anni fa circa iniziano pratiche per la caccia: magie, credenze in una idea della fecondità ; prime inumazioni con ricchi corredi funebri con ricchi corredi funebri (cibo, recipienti, utensili, ornamenti, armi varie). 15.000 anni fa circa a Lescaux, alle pareti di una caverna, troviamo la prima pittura con colore. 14.000 anni fa circa mutano le condizioni climatiche per un migliaio di anni: ha inizio una desertificazione nelle grandi foreste. 13.000 le grandi prede migrano verso nord, ora ci si ciba di piccoli animali che prima erano scartati: lepri, volatili, pesci, molte varietà vegetali. Questo fenomeno del cambiamento di dieta, avviene contemporaneamente in tutti i continenti. 12.800 anni fa circa la fame è molta, a fine sera si è a digiuni ed ecco raccogliere sparpagliati per terra anche dei piccoli granuli caduti da certe spighe dorate. Scoprono così la fonte piè economica degli alimenti energetici sono carenti di amminoacidi essenziali, ma uniti a grasso o bacche creato importanti capolavoro di alta cucina. 12.400 tracciamo anche qui i confini dell’ulivo, la colza e il mais. Senza acidi grassi e i lipidi non si hanno le membrane cellulari del sistema nervoso, non si formano i muri della difesa. Il cervello è sprovvisto di riserve lipidiche. 12.000 anni fa circa si ha nascita dell’arte. Il colore poteva essere applicato con le dita. Inoltre l’uomo inventa le frecce. 11.500 anni fa circa è un salto qualitativo cerebrale e avviene proprio sulle coste marine: lo iodio diventa per il metabolismo una fonte preziosa dell’aminoacido tirosina. 11.250 fa circa si formano quindi degli insediamenti proto-palafitticoli, e le risorse alimentari che hanno attorno hanno i preziosi sali minerali per la sinapsi del cervello. 9.500 anni fa circa in Iraq troviamo una bacinella per il grano. 9.000 anni fa circa a Shamra, in Siria, ritroviamo alcuni forni per il pane. 8.500 anni fa circa a Gerico le capanne, ora sono case in muratura. 8.300 anni fa circa nell’area mesopotamica appare una novità , la ceramica modellata: prime coppe, stoviglie, contenitori, vasi, impressi o dipinti. I lunghi intervalli tra il popolamento dei vari continenti sono dovuti al fatto che le successive glaciazioni rendevano impraticabili vastissime zone della Terra.
    Nel periodo neolitico (da 10000 a 3000 anni fa) si verificò un ulteriore perfezionamento nella lavorazione della pietra e la domesticazione di piante e animali, ovvero la nascita dell’agricoltura e dell’allevamento. Si passò da un’economia di prelievo a un’economia di produzione. Le informazioni raccolte finora non permettono, però, di rispondere a un altro interrogativo: il nomadismo andò definitivamente in crisi con la domesticazione di piante e animali? L’allevamento, nel Neolitico ma anche in epoche successive, non era praticato come lo è per lo più oggi, cioè in modo sostanziale, all’interno di stalle e con l’utilizzo di foraggi prodotti apposta per gli animali, ma era invece di tipo transumante. Gli animali, infatti, traevano il proprio sostentamento da pascoli naturali che, una volta consumati, dovevano essere sostituiti, con il conseguente spostamento in nuove aree non ancora sfruttate. Appare però evidenti che lo sviluppo contemporaneo di agricoltura e pastorizia, che implicavano modi di vivere contrapposti, come il nomadismo e la sedentarietà , creava necessariamente conflitti. Con le società del neolitico iniziò quella trasformazione dell’ambiente. Gli uomini abbandonarono le caverne e il nomadismo per costruire villaggi stabili. I villaggi neolitici, anche quando raggiungevano notevoli dimensioni, non erano vere e proprie città : essi, infatti, mancavano di strade, di piazze, di opere e di edifici pubblici; non avevano un’organizzazione politica e amministrativa; erano costituiti da un insieme di edifici pubblici; non avevano un’organizzazione politica e amministrativa; erano costituiti da un insieme di famiglie, ciascuno delle quali era autosufficiente, ossia produceva i beni di cui aveva bisogno, sia agricoli sia artigianale. Dapprima a Eridu, poi in altri centri, comparvero i primi edifici pubblici: i templi, che raggiunsero presto grandi dimensioni. Questo fatto comportò considerevoli modificazioni nell’organizzazione del lavoro. Occorrevano dunque sia muratori, falegnami, scalpellini, persone che progettassero e dirigessero i lavori. Nomadismo, seminomadismo e insediamenti sono le tre caratteristiche principali che avranno nello sviluppo culturale, sociale e spirituale, una importanza enorme. Il nomadismo proseguirà nelle regioni del nord (sopra il 45° parallelo) fino al 1500 d.C., il seminomadismo si arresterà nel 2000 a.C. nel sud Europa (Francia, Spagna, Sud Italia, Grecia ) , mentre lo stanziamento fisso nella zona dei grandi fiumi è nel 10.000-8.000 a.C. già un fatto compiuto. (Nilo, Tigri, Eufrate). Nelle zone più calde e piovose dell’Asia Minore e Anteriore e nei luoghi in prossimità di grandi fiumi crebbero spontaneamente le graminacee. A partire dal 10000 a.C. abbiamo la scoperta del processo di germinazione del grano (da parte delle donne) e i primi esperimenti di coltura del Medio-Oriente. La prima bevanda alcolica risale circa al 10000 a.C. e deriva probabilmente dalla fermentazione di miele e di datteri. Grazie alla creazione della società agricole sedentarie, viene intrapreso l’addomesticamento degli animali. Nel 9000 a.C. inizia l’allevamento della pecora; nell’8000 a.C. quello delle api. Altre date importanti sono quelle relative alla capra (7500 a.C.), al maiale (7000 a.C.) e ai bovini (6000 a.C.). Nel 6000 a.C. hanno inizio in Egitto la coltura della vite e la produzione del vino. Intorno all’8000 a.C. l’agricoltura si afferma su larga scala. L’uomo del neolitico dispone di svariati prodotti, quali frumento, legume, cipolle, rape, cavoli. Nel 3500 a.C. in America Centrale vi è un consumo di zucchine, pomodori, avocado, fagioli e, in Perù la patata. Noci di cocco e banane fanno la loro comparsa nell’alimentazione asiatica. A partire dal 3500 a.C. la coltura dell’olivo si diffonde nel Mediterraneo orientale. La scrittura pittografia nasce dalla pittura, ossia dalla capacità che si sviluppa presso gli uomini primitivi di ritrarre gli oggetti. Ma si differenzia da essa perchè un’immagine dipinta intende rappresentare un’idea, mentre il segno pittografico è uno strumento tecnico per comunicare un messaggio. I cambiamenti climatici avvenuti dopo l’ultima glaciazione avevano modificato l’ambiente. Durante la preistoria la terra fu poco abitata e, di conseguenza, l’uomo primitivo ebbe a disposizioni enormi spazi che gli avrebbero consentito di trascorrere un’esistenza solitaria. Egli invece preferì stabilire dei rapporti. La caccia degli animali, per esempio, imponeva uno sforzo collettivo. Nel corso del Neolitico venne praticata un tipo di agricoltura che si definisce secca, perchè basata sull’acqua fornita dalle pioggia: un anno di scarsa piovosità era sufficiente pregiudicare l’intero raccolto. Risultati assai migliori diede invece l’agricoltura irrigua, basata sullo sfruttamento delle acque di grandi fiumi. Fu in queste zone che si svilupparono, tra il IV e il II millennio a.C, alcune grandi civiltà . Nel V millennio a.C., nella Mesopotamia meridionale iniziò il lento processo di trasformazione del villaggio che doveva portare alla nascita delle prime città . Le differenze fra la città e il villaggio erano le nuove funzioni esercitate dal centro urbano: • funzioni economiche: la città coordinava i lavori di controllo e smistamento delle acque; • funzioni religiose e politiche: gravitanti intorno al tempio, in cui operavano i sacerdoti e il palazzo, il luogo del potere politico, la sede del sovrano: qui veniva accumulata la ricchezza prodotte dalle campagne. La civiltà urbana tra il 3400 e il 3000 a.C., si estese dalla Mesopotamia meridionali, ad alcune zone dell’Anatolia, della Siria, dell’Iran, dell’Egitto e, poco più tardi, alla valle dell’Indo. In Cina i fenomeni che caratterizzavano la nascita delle città , come la costruzione di palazzi e di tombe più ricche delle altre sono documentati dagli scavi archeologici soltanto a partire dall’inizio del II millennio a.C. Con la comparsa delle città si sviluppò più rapidamente la tecnologia della lavorazione dei metalli. Questi materiali erano conosciuti dai vari gruppi di uomini già da molto tempo, 8000-7000 a.C, ma le tecniche di evoluzione si erano evolute molto lentamente. Non era facile cambiare l abitudini se non di fronte a dei procedimenti che presentassero una netta superiorità ; ma questo, all’inizio, non era affatto chiaro. A ciascuna di esse corrisponde una tappa della storia umana denominato con il nome del metallo che si lavorava in quel periodo: -età de rame va dal 5000 al 3300 a.C. circa; -età del bronzo dal 3300 al 1200 a.C.; -età del ferro dal 1200 al 700 a.C.

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  • La seconda guerra mondiale

    La “strana guerra” e l’ingresso dell’Italia nel conflitto

    L’Italia, consapevole della sua impreparazione ad un conflitto decise di dichiararsi potenza non belligerante. In modo simile si dichiararono pure gli Stati Uniti e il Giappone.
    La guerra, appena iniziata era diversa rispetto alla I guerra mondiale, le truppe si muovevano in modo più rapido grazie all’utilizzo di mezzi di trasporto e di combattimento veloci. Inoltre l’utilizzo di bombardamenti aerei su vasta scala e il perfezionamento dei sommergibili rendevano la guerra ancora più dura.
    Dopo l’occupazione polacca, la Russia spostò il suo fronte in Finlandia per conquistare l’istimo di Carelia al fine di proteggere meglio la città di Leningrado. Dopo un breve combattimento, la Finlandia cedette l’istimo e contemporaneamente Hitler conquistava la Norvegia e la Danimarca per potere lottare con l’Inghilterra da posizioni più favorevoli.
    Sul fronte ovest, si parlò di “Strana Guerra” infatti sia le truppe anglofrancesi che quelle tedesche stavano ferme, senza combattere, rispettivamente lungo la linea fortificata di Marginot e lungo la linea di Siegfried.
    Sottovalutando i progressi fatti dalla macchina bellica tedesca, i poveri francesi, avevano concentrato tutte le loro forze solo sulla linea di Marginot.
    Il 10 maggio 1940 cominciò finalmente anche la guerra su questo fronte. L’esercito tedesco invase il Belgio e l’Olanda sfondò la linea anglofrancesi. Sotto i bombardamenti tedeschi, gli inglesi riuscirono a malapena a mettere in salvo utilizzando qualunque imbarcazione il loro esercito e parte di quello francese abbandonando però tutto il loro materiale bellico nelle spiagge. Il 4 Giugno 1940 le preparatissime truppe tedesche erano già a Parigi costringendo i francesi a chiedere un armistizio che firmeranno nello stesso vagone dove qualche anno prima avevano fatto firmare la capitolazione alla Germania Guglielmina.
    L’armistizio firmato dal francese Petain divise la Francia in due: la parte nord comprendente i 2/3 della popolazione andava alla Germania, la parte meridionale, con capitale Vichy veniva affidata al nuovo capo di Stato Petain il quale instaurava un governo autoritario incline a collaborare coi nazisti.
    Ad un trattato così umiliante si ribellava De Gaulle il quale dai microfoni di Radio Londra il 18 giugno ’40 esortava i francesi alla resistenza.
    In pochi giorni era crollato l’esercito più solido del continente e lo stato che fino a poco prima era considerato il punto di riferimento per la vita culturale e politica europea.
    Superando ogni perplessità grazie anche alle difficoltà Francesi, Benito Mussolini in un celebre discorso annunciava, il 10 giugno ’40 al popolo italiano, l’entrata in guerra.
    Contemporaneamente in Inghilterra al posto del remissivo Chamberlain, saliva Churchill. L’Inghilterra dopo la caduta della Francia si era trovata da sola contro le potenze dell’asse, i territori occupati (Belgio, Olanda, Francia, Danimarca, Norvegia, Polonia) e i nuovi governi filofascisti (Spagna, Ungheria, Romania, Portogallo, Bulgaria). Non vedendo nella Germania la capacità di essere uno stato guida per l’Europa capace di garantire un futuro di pace, Churchill rifiutò qualsiasi trattato e affermò di voler combattere fino all’annientamento del nemico tedesco.
    Hitler preparò il progetto di invasione dell’Inghilterra denominato “Operazione Leone Marino“. L’aviazione tedesca doveva distruggere le città e i centri nevralgici inglesi demoralizzando la popolazione.
    La popolazione inglese, rinvigorita dai discorsi di Churchill si riorganizzò e in breve tempo riuscì ad apportare ai nemici, grazie all’invenzione del radar, perdite tali da convincere Hitler a rimandare il progetto.
    Falliva così ogni probabile speranza di guerra lampo e il conflitto diventava sempre più grande e coinvolgeva sempre più potenze.
    L’Italia intraprese una guerra autonoma parallela,In caso di vittoria, avrebbe avuto il dominio sul Mediterraneo. Ciò voleva dire confrontarsi subito con gli inglesi sia sul piano navale che su quello terrestre. Inizialmente l’Italia ebbe delle vittorie navali, ma già nella seconda parte del ’40 gli inglesi mostrarono la loro superiorità attaccando la base di Taranto e rendendo impossibili i rifornimenti per i militari in Africa.
    Sul fronte africano, i primi scontri furono favorevoli per gli Italiani guidati dal Duca Amedeo D’Aosta. Il nostro obiettivo era quello di conquistare l’Egitto, colonia inglese importantissima, spostandoci dalla Libia.
    Le truppe stanziate in Libia e guidate da Graziani, inizialmente vinsero, ma gli inglesi con la loro controffensiva fecero retrocedere gli italiani di 1000 km.
    Il 28 ottobre 1940 si decise di invadere la Grecia, ma il progetto si rivelò un fallimento a causa del territorio aspro e dell’accanita resistenza.
    Contemporaneamente i Greci attaccavano il porto di Valona in Albania. Grazie all’aiuto tedesco, gli italiani riuscirono a riprendere in mano la situazione e Hitler conquisto la Jugoslavia, la Grecia e Creta.
    I tedeschi si spostarono sul fronte africano, riconquistarono la Libia ma ciò non servì a bilanciare la perdita dell’Africa Orientale subita dall’Italia quando nel maggio ’41 gli Inglesi occuparono l’Etiopia rimettendo sul trono il Negus Haile Selassie.
    Ogni illusione di guerra parallela andava scemando mostrando l’Italia in un ruolo di subalternità.
    Nel patto Tripartito firmato da Germania, Italia, Giappone a Berlino il 27 settembre ’40 veniva descritto il modo con cui le potenze si dovevano dividere il mondo: alla Germania, l’Europa settentrionale, all’Italia il predominio sul Mediterraneo, al Giappone il controllo dell’Asia orientale.

  • La seconda rivoluzione industriale

    Differenze sostanziali della II rivoluzione industriale con la prima:

    1. Carattere generale (interessa tutta l’Europa e non solo una nazione).
    2. Danneggiamento nei confronti dell’agricoltura (produzioni abbondanti per via dei nuovi territori disponibili e conseguente calo dei prezzi).
    3. Innovazioni tecnologiche (petrolio, elettricità, acciaio, telefono, motore a scoppio, telegrafo senza fili, dinamite, ricerca chimica, linee ferroviarie transcontinentali).
    4. Capitalismo finanziario (nascita di nuovi grandi istituti di credito per rendere disponibili maggiori capitali). Si creano nuovi contatti tra società:
    * cartelle: intese tra imprese che producono le stesse merci per fissare i prezzi;
    * trust: concentrazione di aziende legate ad un identico ciclo di produzione.
    5. Protezionismo invece di liberoscambismo (gli imprenditori nazionali volevano essere Tutelati con dazi verso l’esterno).

    Cambiano le motivazioni che caratterizzavano il colonialismo infatti prima si colonizzava per avere materie prime e per far emigrare e lavorare la popolazione in eccesso; ora invece, oltre a questi motivi si aggiungono la creazione di nuovi mercati ove collocare le merci nazionali, la tutela degli investimenti con gli eserciti e l’ideologia di potenza. Prima della nuova fase del colonialismo si intrapresero missioni esplorative in Africa, finanziate dai governi interessati ai territori (Livingstone, Stanley individuarono la sorgenti del Nilo, ecc.).
    Ben presto agli scopi scientifici e umanitari si contrapposero quelli politici e militari. L’Inghilterra si impossessa dell’Egitto, della Somalia e della Nigeria. Tenta, ma non riesce, di occupare il Sudan.

    La Francia occupa la Tunisia (per accordi di Berlino), gran parte del Congo e il Madagascar. La Germania conquista il Camerun, il Togo e il sud-ovest dell’Africa. Nel 1885 Bismark convoca una conferenza sulla situazione africana e in particolare della parte restante del Congo. Quest’ultimo verrà dichiarato Stato libero, ma la sovranità apparterrà a Leopoldo II del Belgio. Tra il 1894-1895 si ebbe una ripresa del colonialismo inglese e francese. Le loro mire espansionistiche finirono però per scontrarsi in Sudan, a Feshoda. Entrambe preferirono non combattere, per non avvantaggiare la Germania; i francesi si ritirarono, ma nacque tra le due potenze, un rapporto di distensione.
    In Asia la situazione fu la seguente:
    * Francia: occupa l’Indocina.
    * Inghilterra: la Birmania, la Persia e il Turkistan, sui quali c’era l’attenzione della Russia.

    Rimaneva insoluto il problema della Cina, nazione debole ma ancora autonoma.