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  • Babilonesi: lo sviluppo babilonese

    Sviluppo babilonese

    Il regno di Babilonia conobbe il suo splendore con Nabopalassar, come già detto, che nel 626 a.C., unì le tribù caldee, si alleò con i vari regni limitrofi, nonché con la Media e mosse guerra all’Assiria. Probabilmente egli stesso era un caldeo e per questo fu accettato da tutti. Proseguì le gesta di Merodach Baladan, ricordato da tutti i caldei.
    Nel 614 a.C. e nel 612 a.C. caddero Assur e Ninive e, dopo la capitolazione della nuova capitale Harran nel 610 a.C., l’Assiria fu divisa tra medi e babilonesi.
    Nabonassar fa eseguire opere di ammodernamento nelle varie città, non assoggetta i vari popoli, ma li considera alleati, in quanto non si ritiene re, ma pastore di popoli, infine, getta le basi per la fondazione di un impero. In particolare nella località di Karkemish, in Siria, nel 606 a.C., con l’aiuto del figlio Nabucodonosor, sconfigge gli egiziani, che si erano coalizzati con Israele e Fenicia. Da questo momento gran parte del medio oriente è sotto il controllo babilonese, anche se dovranno essere combattute altre guerre e dovranno passare altri anni. Si arriverà al 601 a.C., quando gli egiziani abbandoneranno definitivamente l’area siro-palestinese.
    A questo punto si sviluppano le vie dei commerci e si forma sempre più ricchezza, con conseguenze positive per l’urbanizzazione ed anche per la cultura babilonese.
    Dal 605 a.C. al 562 a.C. regnerà Nabucodonosor II, dipinto dai testi biblici come lucifero, in quanto responsabile della deportazione ebrea a Babilonia.
    A questo proposito, aggiungiamo che la stessa città ci viene rappresentata come un luogo di peccato e degno di distruzione, in base alle profezie di Isaia e Geremia. A Babilonia si associa l’episodio biblico della Torre di Babele, in cui Dio porta tra gli uomini la confusione (da cui il termine babele), per evitare la costruzione della torre che li avvicini alla divinità.
    Queste mmagini ci fanno capire che sicuramente all’epoca Babilonia rivestiva un ruolo fondamentale tra le città del mondo. Tra l’altro rappresentava il cuore della religione orientale, per cui metterlo in cattiva luce significava anche contrapporre una religione monoteista ad una politeista di origini scite.
    Nabucodonosor fonderà un impero che va dall’Egitto alla Persia, attraverso la Palestina e la Siria, dalla Lidia (Asia Minore) al Golfo Persico. Controllerà la Media, in qualità di sposo della figlia del re Ciassarre ed, in qualità di garante di un accordo di pace tra quest’ultima e la Lidia, controllerà anche la stessa Lidia. Questo regno sarà ricchissimo e famoso per la cultura e la scienza. Il re babilonese non sottometteva i popoli conquistati, ma lasciava ai re locali al comando ed al popolo i propri usi e costumi.
    Realizzò un apparato burocratico saldo ed efficiente, basato su collaboratori (gli equivalenti dei ministri) retti e fedeli. Si avvaleva di controllori per monitorare la periferia e controllava anche le attività economiche legate alle proprietà terriere della classe sacerdotale. In poco tempo portò ordine in una situazione caotica, ove comandava solo chi aveva ricchezze. Tuttavia, nel suo regno, l’inflazione era abbastanza alta. Anche la giustizia fu ben amministrata, ribaltando completamente la precedente situazione gestita da una classe ristretta di ricchi. A tale proposito si raccontano casi di condanna esemplare con pene dure, al fine di fornire un monito per chi voleva ripristinare la precedente situazione caotica.
    Molto religioso, non mancava di partecipare alla festa del nuovo anno. Diffuse e rafforzò il culto del dio Marduk: egli non si proclamava re, ma pastore di popoli, servo degli dei.
    Circa l’episodio della deportazione degli ebrei bisogna considerare alcuni aspetti. Nel 609 a.C. il re Giosia, simpatizzante per i babilonesi oppure mosso verso l’indipendeza del suo piccolo regno, si oppone all’avanzata degli egiziani, guidati dal faraone Nicho II, corso in aiuto degli assiri, e muore presso Megiddo. Gli egiziani instaureranno in Israele un re anti-babilonese e formeranno una lega con siriani, palestinesi, fenici ed ebrei. Questo esercito sarà poi sconfitto dai babilonesi, come già detto, presso Karkemish.
    Nel 593 a.C. Gerusalemme, guidata ancora dai filo-egiziani, legati al faraone Psametico II, è assediata dai babilonesi. Il re Joachin, dopo aver resistito, fa atto di sottomissione, ma viene fatto prigioniero e portato a Babilonia con altri notabili ebrei. Tutti verranno trattati bene me riceveranno uno stipendio, in base a quanto è indicato nel racconto di Susanna. Nabucodonosor non nomina un re a lui fedele, ma consente a Sedecia di salire al potere, lasciato ad Israele ampia libertà.
    Nel 587 a.C., nonostante Geremia invitasse il suo popolo alla sottomissione babilonese, c’è una nuova rivolta assieme ai fenici e agli abitanti di Edom. La punizione è esemplare: Sedecia viene portato a Babilonia con la sua famiglia e viene accecato, ne vengono uccisi i figli e vengono deportati circa 5.000 abitanti, tutti artigiani, fabbri, commercianti, che faranno la loro fortuna a Babilonia, sviluppando grandi attività economiche. Inoltre fu proprio a Babilonia che cominciano ad essere composti i primi libri della Bibbia.
    Gerusalemme subisce alcune devastazioni, ma rimane comunque popolata e governata da Ghedalia, nobile giudeo. Considerati i tempi, Nabucodonosor si comportò in modo magnanimo, anche perché non si impose come tiranno, e non vi fu una deportazione di massa del popolo.
    Gli ebrei faranno ritorno a casa solo verso 550 a.C., quando Ciro il Grande, annettendo Babilonia alla Persia, pronunciò un editto in tale direzione. Alcuni ebrei rimarranno nella città mesopotamica perché avevano delle considerevoli attività economiche e commerciali.
    Dal 562 a.C. al 556 a.C. ci saranno tre re babilonesi che si succederanno, alcuni come figli e discendenti diretti di Nabucodonosor, altri come usurpatori:
    Amel Marduk (562-560) figlio del grande re, che restituirà la libertà al re giudeo Joachin, come simbolo della non continuità della politica paterna;
    Neriglissar (560-556) suocero di Nabucodonosor, fa un colpo di tasto in cui muore il re, taglia completamente con la politica del passato, fa opere di abbellimento a Babilonia e Sippar, compie un’incursione militare in Cilicia, comunque mina all’unità del paese mettendo in cattiva luce il grande re;
    Labashi Marduk (556) figlio di Neriglissar, va al potere bambino e perde subito il potere. Nabucodonosor, alla sua morte, aveva preso coscienza che la sua dinastia non avrebbe regnato a lungo.
    Dal 556 a.C. al 539 a.C. regnerà Nabonedo, ultimo re babilonese, salito al potere con un colpo di stato, proveniente dall’Assiria, dalla città di Harran. La storia ce lo tramanda come un re incapace, appassionato di archeologia. Oggi sappiamo che fu vittima di una propaganda effettuata dai persiani, con l’appoggio dei sacerdoti babilonesi, al fine di conquistare il regno senza effettuare guerre. Sostituì la triade divina dei babilonesi con Sin-Shamash-Ishtar, legata ad un culto lunare e più cara agli assiri. Questo non fu motivato solo dalla sua origine, ma anche dal fatto che, accorgendosi del potere sempre più forte dei persiani, voleva ricercare alleati verso ovest. In tal senso, siglò un accordo con Lidia, Sparta ed Egitto. A questo punto è necessario fare un passo indietro.
    Nel 700 a.C. la Persia era divisa in due regioni (Parsumash e Parsa) ed era sotto il dominio della Media. Nel 600 a.C. il re medio Ciassarre riunifica le due regioni, affidando il regno a Cambise che sposerà la figlia di Astiage, nuovo re di Media, e si insedierà nella prima capitale persiana Pasargade. Successivamente venne costruita Persepoli, che diventerà sempre di più la vera capitale persiana. Da questa unione nascerà Ciro II il Grande che governerà dal 559 a.C. al 529 a.C., inventando il modello delle satrapie, che gli consentì di costruire un grande impero (Egitto, Anatolia, Mesopotamia, Arabia, Persia).
    Secondo una leggenda, nata per esaltare la grandezza di Ciro II, Astiage ebbe un sogno nel quale si vedeva ucciso da un giovane re, per cui fece dei tentativi per eliminare il giovane futuro re persiano, senza riuscirci.
    Verso il 550 a.C. Ciro II si allea con Nabonedo (non sembra sicuro) ed insieme prendono la Media. I babilonesi occupano l’Assiria ed i persiani il resto del regno. Successivamente Ciro II invade la Lidia ed insegue il re Creso fino a Sardi, conquistando l’intero regno. In questo modo Ciro II impedisce a Nabonedo di mettere in pratica l’alleanza precedentemente ricordata e comincia a circondare Babilonia. Il re babilonese fu l’unico che aveva capito il pericolo persiano.
    Le vie del commercio verso l’India sono sotto il controllo persiano e l’inflazione a Babilonia arriva al 400%. Si raccontano diversi episodi di carestia. Nabonedo abbandona Babilonia e si reca in Arabia, dove la popolazione locale non lo vedeva di buon occhio. Lo scopo di questo viaggio fu quello di trovare altre vie di commercio per riportare ricchezza al proprio paese. E’ in questo periodo che viene individua la famosa via delle spezie. L’economia babilonese si risolleva.
    Nel frattempo Ciro II trama con i religiosi babilonesi. Nabonedo appare come il traditore, colui che ha dissacrato il nome del dio Marduk, sostituendolo con altre divinità. Alla luce di quanto esposto in precedenza, il re babilonese appare come un incompreso più che un traditore. Il frutto della propaganda fu la cacciata di Nabonedo e l’acclamazione di Ciro II a nuovo re: la Persia si era impossessata di Babilonia senza combattere. Come discorso di insediamento il re persiano si proclamò “nuovo figlio del dio Marduk”, richiamandosi alla propaganda da lui attuata segretamente. Restituì la libertà agli ebrei nel famoso editto e si impadronì della Siria, Palestina, Israele ed Egitto. L’impero persiano fu molto vasto e ricco.
    I persiani rispettarono la bellezza di Babilonia, facendole vivere un secondo splendore con Cambise II e Dario I. Sotto questi sovrani ci furono diverse rivolte a Babilonia i cui capi presero il nome di Nabucodonosor, a ricordo del mito trasmesso dal leggendario re al suo popolo. Queste rivolte furono sedate, senza violente ripercussioni per la città. Serse I, in seguito alle sconfitte con la Grecia, impose tasse ai babilonesi, che si ribellarono di nuovo. Babilonia fu messa al sacco. Artaserse I continuò nella politica repressiva del padre. Comunque Babilonia continuò ad avere un certo prestigio ed una determinata importanza.
    Nel 331 a.C. Alessandro Magno entra a Babilonia e ne rimane affascinato e la proclama capitale del suo nuovo impero. Vengono eseguiti lavori di ammodernamento. A Babilonia verranno celebrati i funerali di Efestione, amico di Alessandro morto ad Ectabana. Lo stesso Alessandro morirà nella città mesopotamica nel 323 a.C.
    Dunque Babilonia fu la città di tre grandi: Nabucodonosor, Ciro ed Alessandro.
    I diadochi successivi continuarono a dare splendore alla città, fino all’avvento di Seleuco prima ed Antioco poi che fecero costruire una nuova città: Seleucia. Nel 275 a.C. fu emanato un editto in base al quale tutti i babilonesi dovevano lasciare la città e recarsi nella nuova. Ma la città continuò a vivere perché non fu abbandonata da tutti. Gli stessi diadochi si impegnarono per fare opere di ricostruzione. Verso il 100 a.C. la diadochia seleucide entra in guerra con i Parti, popolo situato ad oriente della Persia, e la città fu abbandonata.
    Nel 116 d.C. Traiano svernò a Babilonia, ma ormai era diventata un cumulo di macerie.
    Dunque solo molti secoli dopo si realizzarono le profezie di Isaia, di Daniele e di Geremia sulla distruzione della città, che per secoli venne considerato il centro culturale e politico del mondo. La distruzione morale fu poi continuata dai padri della chiesa, tra Origene e S.Agostino, che la rappresentarono come simbolo del male. Essi ripresero la tradizione iniziata nell’Apocalisse di San Giovanni.

    Bibliografia
    “Babilonia” G. Pettinato 1988, Rusconi

  • Babilonesi: attività e società

    Attività

    La posizione geografica del regno di Babilonia, nonché le ricchezze naturali (due fiumi, ricca vegetazione, pascoli fiorenti), favorirono i commerci con i popoli vicini, in particolare con le Indie ed il prosperare di attività agricole e di pastorizia.
    Numerose furono le eredità prese dai Sumeri. Furono grandi conoscitori dell’astrologia: inventarono un calendario che non si discosta molto da quello impiegato attualmente, individuarono tutte le costellazioni, identificarono la cometa di Halley. Grandi matematici, risolvevano equazioni algebriche di terzo grado e sistemi vari, nonché impostarono il teorema di Talete. Eseguivano calcoli complicati nel campo dell’ingegneria edile.
    Grandi ingegneri, realizzarono città, templi e palazzi a Babilonia, dove il tempio più famosi erano quelli di Etemenanki ed Esagila, rivestiti d’oro, Borsippa, sede dell’accademia, Kuta, Kish, Larsa, Marad, Bas e Sippar. Babilonia era così bella che conquistò non solo Ciro il Grande, ma anche Alessandro Magno. Tutti la consideravano “l’ombelico del mondo”, centro di arte e di cultura. Un esempio è dato dalla maestosa porta di Ishtar, tutta decorata da mattoni policromi, dalla via della processione, dalla torre di Babele, dall’oro che rivestiva i templi ed i palazzi, dai Giardini Pensili, considerati una delle sette meraviglie del mondo, realizzati per la regina Amitis, moglie di Nabucodonosor, figlia del re medio Ciassarre, al fine di ricordarle il verde della sua terra.
    Nel campo toponomastico, descrivevano in dettaglio tutte le loro opere con piante e calcoli minuziosi: esistono tantissimi reperti con descrizioni dettagliata di alcune zone di Babilonia. Utilizzarono per la scrittura il codice “lineare B” adottato dai Cretesi, implementandolo con la scrittura cuneiforme.
    Produssero tantissimi libri: ne sono prova i reperti trovati nelle varie biblioteche. Inventarono le Cronache, molto attendibili ed oggettive, in cui venivano riportate le notizie salienti del periodo. Tra queste le informazioni di carattere bellico avevano poca rilevanza, a differenza degli assiri. Questo dimostra che i babilonesi non davano molta importanza alla guerra, piuttosto alla religione ed alla cultura.
    Dal punto di vista militare avevano grossi eserciti, che si avvalevano del carro da guerra, introdotto dai sumeri e perfezionato dagli assiri, e di macchine da guerra utilizzate per assediare le città.

    Società

    Esistevano una classe regale ed una sacerdotale. Quest’ultima deteneva il controllo su latifondi terrieri e beneficiava dei relativi proventi. Parallelamente vi era anche una classe borghese, risultato dei fiorenti commerci babilonesi.
    Poco si conosce della condizione femminile e del resto della popolazione. Il tenore di vita era comunque medio alto. Ciò è testimoniato dall’opulenza delle città e dalla presenza di diversi schiavi.
    Ciascuna città era ben fortificata, basti pensare alle possenti mura di Babilonia. Nabucodonosor, tra l’altro, fece erigere un vallo al confine con la Media, a nord del suo regno, per prevenire eventuali attacchi.

  • Celti: lo sviluppo

    Sviluppo

    I Celti erano composti da diverse tribù, ognuna delle quali si diffuse in uno specifico territorio. Si difesero dai Romani, dai Germani e dalle invasioni asiatiche. Nel corso delle loro migrazioni popolarono un vasto territorio. Videro lo sviluppo di diverse società (kurgan, halstattiana, lateniana) che corrispose anche ad uno sviluppo economico e sociale.
    In base alla premessa fatta in precedenza, possiamo visualizzare la seguente situazione, legata sia al popolo celtico che alla regione di influenza relativa, frutto di continue migrazioni:
    Serbia: Scordisci (325 a.C.);
    Bulgaria: Bastarni (fondatori del regno di Tylis);
    Ungheria, Romania, Boemia: Carnuti, Teutoni, Cimbri(forse di origine germana), Menapi, Treviri, Ubii;
    Svizzera: Rezi, Rauraci, Carnuti, Elvezi;
    Austria: Taurisci, Norici;
    Italia Settentrionale: Boi, Senoni,Veneti, Gesati, Insubri, Taurisci;
    Spagna e Portogallo: Celtiberi che si mescolarono con la popolazione locale degli Iberi e che ebbero un sviluppo diverso rispetto ai Galli, i Gallaecie gli Asturi (Galizia), i Cantabri (zona di Bilbao), i Tarragonesi, i Baeti (zona di Siviglia), i Vasconi (Pirenei, da cui è originato il termine guascone), gli Arevaci, i Vaccei, i Lusitani ed i Vettoni (nel Portogallo);
    Anatolia: Galati (276 a.C.) abitanti della Galazia, arrivati dalle regioni del Danubio;
    Macedonia: Tettosagi, Trocmeri, Tolistoagi, che entrano in contatto anche con Alessandro Magno;
    Francia: Sequani, Edui, Alverni, Ambroni, Arverni, Parisii (che diedero i natali a Parigi), Aquitani, Vocati, Volci, Bellovaci, Venelli, Eburovaci, Suessioni, Tricassi, Mandubii, Carnuti, Veneti, Namneti, Pitti, Biturgi, Allobrogi, Gesati, Ceutroni, Eburoni;
    Paesi Bassi e Belgio: Nervii, Menapi, Suessoni, Remi, Belgi (forse di origine germana);
    Germania: Ambroni, Teutoni, Boi, Nemeti, Vangioni, Treviri, Advatici, Usipeti, Tenteri, Eburoni, Ubii, Sicambri (si tratta in prevalenza di popolazioni germaniche, di influenza celtica);
    Irlanda: Ulsteriani (con capitale Emain Magach), abitanti del Mide (centro-est), del Connacht (ovest) e del Munster (sud-est), Scotti (che migrarono in Caledonia che prese il nome di Scozia);
    Scozia: Pitti e Caledoni;
    Galles: Ordovici, Siluri e Cornovii (che poi migreranno in Cornovaglia)
    Inghilterra: Atrebati, Belgi, Catuvellani, Trinovanti, Dumnoni (in Cornovaglia), Coritani, Briganti, Suessoni, Carataci, Novanti, Segovii, Trinovanti, Iceni;
    Danimarca: Arudi, Cimbri, Ambroni (si tratta in prevalenza di popolazioni germaniche, di influenza celtica).
    Dunque i Celti, durante una loro migrazione, giunsero fino in Turchia. Nel 278 a.C. Brenno, omonimo del condottiero che un secolo prima sconfisse i Romani, invase la Pannonia e da lì, attraverso l’Illiria, giunse in Grecia, distruggendo Delfi, dove venne ferito. Tra il 278 a.C. ed il 270 a.C., trovando resistenza in Grecia, in particolare in Macedonia, una parte della popolazione celtica attraversò lo stretto dei Dardanelli e si stanziò a ridosso della Bitinia, approfittando anche dell’invito del re locale Nicomede, che, in cambio di territori, li assoldò come mercenari per conquistare l’Anatolia ed avere uno stato cuscinetto con i Frigi. La loro espansione ed i loro saccheggi furono interrotti dall’imperatore di Siria Antioco I, che li sottomise e li confinò in Galazia, regione nei pressi di Ankara. Successivamente, nel 230 a.C., il re di Pergamo Attalo I, sconfigge i Galati che si erano ribellati e fa erigere, come segno di trionfo, dei gruppi marmorei. Di questi oggi ci rimane una copia romana del “Galata Morente”. L’altra parte della popolazione, che costituiva il flusso migratorio, caratterizzata in particolare dalla presenza dei Bastarni, sconfitta in Macedonia dal re Filippo, padre di Alessandro Magno, si stanziò in Bulgaria, fondando il regno di Tylis.
    E’ opportuno fare una considerazione sull’Irlanda. Fu l’unico paese celtico che non subì invasioni, per cui sviluppò la propria cultura completamente senza subire influenze esterne. Era divisa in cinque regioni: a nord l’Ulster, con capitale Emain Magach, a sud il Munster, con capitale Caisel, ad ovest il Connaught, con capitale Cruachain, ae est il Leinster, con capitale Dinn Rig ed al centro-est il Mide, con capitale Tara, luogo sacro vicino a Dublino. La prima e l’ultima regione furono le più progredite, con la prevalenza finale dell’ultima. Nel 450 d.C. l’Irlanda era divisa in due regni. Il regno del nord abitato dagli Uì Neìll e quello del sud, popolato dagli Eòganachta.
    Dediti alla pastorizia, gli abitanti dell’Isola Verde, non erano molto progrediti scientificamente. Amavano la musica, le arti esoteriche, la natura e svilupparono l’alfabeto ogamico fatto di segni, con il quale composero fiabe, divinizzando eroi nazionali, tra cui Cù Chulainn. Il mito, presso i Celti era importante e questo gli Irlandesi lo applicarono abbastanza. Favole quali la conquista di Etain, Tàin Bò Cùailnge (la cattura del toro di Cooley), the Book of Leinster, the book of Dun Cow, the yellow book of Lecan (le tre massime fonti mitologiche gaeliche), novità sul maiale di Mac Da Thò sono saghe che raccontano di eroi popolari, di dei, come Maeve, divinità della guerra che visse tre volte, ricalcando le religioni scite e le strutture celesti degli inferi, riprese da tutte le altre religioni. Si ripete il tema della reincarnazione e della resurrezione.
    Gli Scotti migrarono in Galles, dove i loro discendenti furono chiamati “selvaggi” (gaelici) dalle tribù locali ed in Caledonia, a cui diedero il nome di Scozia, tra questi, sull’isola sacra di Iona approdò San Colombano (563 d.C.) che evangelizzò la regione assieme a dodici discepoli.
    Dunque la cultura celtica si interseca con il cristianesimo.
    Sia l’Irlanda che la Gallia furono sede di molti conventi, che in realtà erano comuni. La seconda, poi, fu patria di San Martino, vescovo di Tours, nonché della setta eretica pelagiana, che contrapponeva alla grazia divina, professata da S. Agostino, solo la capacità umana.
    L’Irlanda era la patria della chiesa celtica, che già esisteva prima dell’evangelizzazione della chiesa romana operata da San Patrizio e da Palladio. Questa fu importata dall’Aquitania che aveva frequenti commerci con l’isola verde, ricca di stagno. Nella chiesa celtica non c’era una struttura ed un’organizzazione, esistevano solo abati, la pastorale era semplice, i frati vivevano in luoghi appartati (isole, eremi.), lontano dai conventi, il simbolo più usato era la croce celtica, segno di rigenerazione, contenente al centro la ruota solare, imitando i druidi gli abati al posto della chierica usavano una rasatura da orecchio a orecchio, lasciando i capelli sulla nuca lunghi. La chiesa celtica adattò il modello cristiano all’amore per la natura, per la fantasia, per i luoghi fiabeschi. E’ evidente che, nonostante le dominazioni e le influenze, la filosofia dei Celti rimase incontaminata. In Irlanda, come in Scozia, non si annoverano martiri, segno che il modello cristiano fu accolto pacificamente. Tuttavia ci sono molti santi, nominati anche con la segnalazione degli anacoreti, uomini, che si distinguevano per la semplicità, il vigore, la mitezza.
    Ci furono notevoli dissidi tra chiesa celtica e chiesa romana: alle volte si rasentava la scomunica, come quando Fergal, vescovo di Salisburgo, credeva che sottoterra esistesse un mondo parallelo, in base al modello celtico.
    Lo scontro decisivo tra le due chiese fu nel 663 d.C. nel concilio di Whiotby. In questa sede il dissidio principale, preso a pretesto dalla chiesa romana, consisteva nella festa della Pasqua, che gli abati celtici festeggiavano tre giorni dopo le Palme, secondo la tradizione di Giovanni Evangelista. La chiesa di Pietro e Paolo uscì vincitrice.
    Tuttavia gli abati celtici continuano la loro evangelizzazione in Europa: Sangallo (Svizzera), Bobbio (Pavia), Francia, Salisburgo, Scozia, Inghilterra, Germania.
    Nel 410 d.C. i Sassoni, gli Angli e gli Juti, popoli germanici, occupano l’Inghilterra. I Britanni si ritirano in Cornovaglia, Galles (dove c’è il vallo di Olla), Bretagna e Scozia. Nel 440 Ambrogio Aureliano prende il potere e sconfigge i germani. Nel 491 compare il mito di Artù che, attraverso dodici battaglie, scaccia gli invasori. Dopo il 500 l’Inghilterra è di nuovo in mano ai germanici, che abbracciano la chiesa romana. L’Irlanda vivrà le invasioni vichinghe (793 d.C.) e comincia un periodo di migrazioni degli irlandesi verso l’Europa. Successivamente sarà la volta delle invasioni normanne, che importeranno l’amore per l’agricoltura e la pastorizia.
    Nel 1066 il duca Guglielmo di Normandia riprende l’Inghilterra e restaura la chiesa celtica, rinasce il mito del Graal e di Artù, che viene abbracciato anche dalla Francia, per puri scopi politici, in opposizione al domino della chiesa romana. Nel 1180 Chretien de Troyes scrive il Perceval, nel 1210 Wolfram von Eschenbach compone il Parsival.
    Il re Artù non sappiamo se sia esistito veramente. Sappiamo che richiama il dio celtico Artaios. Questo re si avvaleva del druida Merlino, il cui padre, secondo la tradizione, era Ambrogio Aureliano, a sua volta fratello di Uther. Da quest’ultimo nasce Artù che estrae la spada dalla roccia (caliburnus) e diventa signore di Camelot. Sposa Ginevra e fonda una tavola rotonda di 150 cavalieri. Con essi battè i Sassoni, i Pitti e gli Scotti. Suoi compagni sono:

    * Tristano, che innamorato di Isotta, andò in Francia dove morì;
    * Lancillotto, che circuì Ginevra;
    * Galvano, che si avventura sulle Orcadi, combattendo contro il cavaliere verde;
    * Galahad, figlio di Lancillotto, e Percivale che vanno alla ricerca del Graal.

    Artù, alla fine, accompagnato da alcune donne, si ritira su un’isola, da cui farà ritorno successivamente.
    Dunque, ci sono tutti gli elementi delle saghe celtiche: il re e il druida, che lo consiglia e guida; le riunioni assieme, rievocate dalla tavola rotonda; le sofferenze per l’amore, vissute da Tristano e Lancillotto; la lotta contro il nemico di Galvano, come Cù Chulainn, contro il drago; la rigenerazione, come quella di Artù, che fa ritorno da un’isola misteriosa, cioè muore e si rigenera.
    Siamo di fronte ad un eroe mitizzato, come è nella cultura celtica. Il Graal, poi, rappresenta le nature di Cristo: umana nel sangue e divina nell’acqua. Entrambe sono unite assieme dallo spirito. Questi sono i tre elementi raccontati da Giovanni, che era il più seguito dalla chiesa celtica. Chi possedeva il Graal, possedeva questi tre elementi. Di nuovo la fantasia serve ai Celti per superare le avversità della vita, che in questo caso erano rappresentate dai Germani.
    Tuttavia, come già detto, questa figura mitica fu strumentalizzata dai popoli invasori che volevano contrapporsi alla chiesa di Roma.

  • Cartagine e i cartaginesi

    Cartagine e i cartaginesi

    Intorno all’800 a.C. alcuni abitanti di Tiro migrarono in Africa e fondarono Cartagine. Questo episodio è stato tramandato ai posteri attraverso il mito della regina Didone, che conobbe anche Enea, secondo quanto scrisse Virgilio. Questa regina era conosciuta con il nome di Elissa, figlia di Pigmalione, che per diventare re, fece uccidere suo marito. Con Elissa si schierarono diversi patrizi tirii ed essa decide di lasciare la propria patria, portando un tesoro con se e riuscì a fuggire con un tranello. Arrivata a Cipro, trovò delle donne che si unirono all’equipaggio. Poi si diresse verso la costa africana dove fece edificare la città.
    Come in tutte le leggende, anche questa cela una verità. Alcuni cittadini di Tiro, probabilmente rappresentanti di una classe sociale emergente, erano in contrasto con la reggenza ed anche la borghesia locali. Ci fu un tentativo di presa di potere, che venne vanificato, per cui rimase l’esilio. Nel viaggio fu portato oro e preziosi. Gli esuli tirii scelsero la baia di Cartagine, tipico paesaggio fenicio, come luogo di approdo e di fondazione della nuova città: cartagine significa appunto città nuova. Tiro cercò di impedire questo processo, incaricando la città di Utica di distruggere la nuova colonia, ma l’operazione fallì. Da cui iniziò lo sviluppo di questa cultura molto simile a quella di Tiro. Si adoravano le stesse divinità; tuttavia mentre i fenici avevano ridimensionato la loro crudeltà nei sacrifici agli dei, i cartaginesi erano famosi per la loro efferatezza nelle celebrazioni sacre.
    La città era famosa per la sua Byrsa, collinetta con una rocca ove si conservava l’oro della città e che si usava in casi di estremi di difesa. C’era il tofet , il porto (anzi erano due), il mercato affollatissimo. Era una città che commerciava con l’Africa, la Spagna, la Sicilia e la Sardegna. Le sue mura difensive erano possenti ed ogni patrizio aveva un possedimento terriero, che veniva usato anche come luogo di produzione di scorte di emergenza. La città era protetta anche da 200 km di deserto che si stendevano verso l’Egitto.
    Il potere era in mano al Senato ed ai suffeti. Tuttavia ci furono diversi tentativi di golpe da parte di famiglie militari: prima ci provarono i Magonidi e poi i Barca. All’inizio la città si avvalse di un esercito mercenario, anche perchè la popolazione punica era poca, con il quale intraprese solo azioni di difesa contro i greci. Per le operazioni di conquista ci volle un esercito proprio. Verso il 450 a.C. si alleò con gli Etruschi per combattere i greci. Insieme riportarono una vittoria ad Alalia in Corsica, ma ottennero pochi successi in Sicilia, contro Siracusa.
    Nel 405 a.C. il generale Annibale, prese alcune città siceliote: Selinunte (distrutta), Imera, Gela, tranne Siracusa, Messana, Katania e Akragas, dove perse la vita, fermato da una pestilenza. Il successore Amilcare prese le altre tranne Siracusa, con cui concluse un trattato di pace.
    Nel 398 a.C., Dionigi, il signore di Siracusa distrusse Mozia, usando la stessa tecnica che Alessandro Magno adotterà per Tiro. Per questo il generale punico Himlico, assediò Siracusa senza riuscirvi, fermato da una nuova pestilenza. A tale proposito sembra che i punici non fossero molto curati nell’igiene. La lotta con Siracusa rimase incerta e si stabilì che il fiume Alico, vicino Imera, dovesse essere la linea di confine.
    Nel 310 a.C. Agatocle, signore di Siracusa, fu sconfitto da Amilcare ad Imera e si ritirò nella propria città. Nell’assedio, si diresse con alcune navi su Tunisi ed attaccò Cartagine per via terra, sconfiggendo Bomilcare. Il signore siracusano, si alleò con Ofella, diadoca d’Egitto, ma venne sconfitto. Ottenne comunque un trattato di pace, che segnava di nuovo il confine sul fiume Alico.
    Dal 510 a.C. al 306 a.C., Cartagine strinse con Roma tre patti di collaborazione, mantenendo intatti i traffici, dando ausilio ai romani nei porti, aiutandosi a vicenda in caso di aggressione da altri popoli, non costruendo città in Sardegna. La cosa funzionò soprattutto con Pirro, che sbarcato a Taranto nel 280 a.C., fu sconfitto dai romani e devastò la Sicilia, fino a Lilibeo, fu poi sconfitto dai punici e dai romani venuti in loro aiuto.
    Nel 265 a.C. scoppia la prima guerra punica.
    Gerone, signore di Siracusa attacca Messana, che chiama in aiuto sia Cartagine che Roma, quest’ultima occupa la città con delle truppe.
    La protesta punica, circa la violazione degli accordi, portò alla guerra che si tramutò in stallo, esclusa una schermaglia avvenuta ad Agrigento, fino al 260 a.C., quando a Milazzo i romani sconfissero i cartaginesi, avvalendosi del ponte mobile. I punici si rifecero a Termini. Nel 257 a.C. i romani, comandati da Attilio Regolo, vinsero a Gela e puntarono su Cartagine, dove attaccarono via terra, finendo sconfitti dalla cavalleria numidica. Amilcare Barca, padre di Annibale, soprannominato lampo, fu mandato in Sicilia, dove organizzò una resistenza tra Trapani ed Erice, ma rimase tagliato fuori dalla patria. I romani intanto vinsero alle isole Egadi ed ottennero una pace vantaggiosa che assicurò la Sicilia a Roma ed indebitò economicamente Cartagine.
    Tra il 241 a.C. ed il 237 a.C. ci furono delle rivolte tra i punici, capeggiati da Matho. Sotto la guida di Amilcare, Cartagine si riprese e costruì, assieme al successore il genero Asdrubale, un considerevole regno in Spagna. Fu fondata Cartagena, che sembrava richiamare la leggenda della città punica. I Barca attuavano una politica più personale che filo cartaginese tra gli iberici.
    Nel 226 a.C. fu firmato un trattato con i romani in cui ci si impegnava a non superare il fiume Ebro. Questo trattato costò l’indipendenza dei Celtiberi, che furono combattuti da entrambi. Intanto Cartagine si rafforzava ed aveva un’economia sempre più florida.
    Nel 219 a.C. scoppia la seconda guerra punica.
    Sagunto, città spagnola al di sotto dell’Ebro, insorge e chiama in aiuto i romani. Annibale, succeduto allo zio, prese Sagunto e Roma gli dichiarò guerra. A questo punto Annibale compì la famosa impresa.
    Oltrepassate le Alpi, tra il 218 ed il 217 a.C. vinse i romani (Trebbia, Ticino, Trasimeno e Canne), attuando la sua famosa tattica dell’accerchiamento sulle ali. Non riuscì ad allearsi alle popolazioni italiche locali, se non ad alcune sannite. Trascorse un lungo periodo a Capua, ma non si sentiva sicuro a prendere Roma. Di lui si diceva che sapeva vincere le battaglie, ma non le guerre.
    Si alleò con Siracusa e con Filippo V di Macedonia, ma entrambi furono sconfitti dai romani. Siracusa in particolare pianse Archimede. I romani ottennero anche vittorie in Spagna ed uccisero sul Metauro, Asdrubale, il fratello di Annibale che aveva cercato di riunire le forze.
    Scipione l’Africano sbarcò a Tunisi e, con l’aiuto del numidico Massinissa, costrinse Annibale, dopo 13 anni, a lasciare l’Italia, sconfiggendolo a Zama. Fu siglata un’altra pace con Roma, dove stavolta Cartagine oltre a pagare altri debiti, non poteva compiere guerre se non con il consenso romano.
    Annibale rimase a governare, portando Cartagine ad un certo benessere. Roma voleva Annibale e questi scappò prima in Siria, formando un esercito ce venne sconfitto, e poi in Bitinia dove fu tradito e preferì il suicidio nel 183 a.C..
    Intanto Massinissa provocava Cartagine con saccheggi, fino al punto che ci fu la risposta dei punici, contravvenendo gli accordi di pace con Roma. I romani attendevano questo momento e nel 149 a.C. scoppiò la terza guerra punica.
    Nonostante Cartagine sia ritornata sui suoi passi, consegnato ostaggi e pagato altri debiti, Roma era decisa a distruggere la città ed affidò l’incarico al generale Scipione Emiliano. Il senatore Catone era un sostenitore di questa politica.
    Come per Tiro, fu costruita una diga sul mare. La città fu difesa casa per casa e dopo sei giorni capitolò, nonostante il generale Asdrubale la difese valorosamente. Rasa al suolo la città, fu sparso del sale sul terreno per renderlo sterile.
    Sopravvissero comunque il capitalismo e l’abilità nel commerciò che già i fenici avevano tramandato al mondo.

    Religione
    I Fenici ed in particolare i Cartaginesi sono stati tramandati come crudeli e sanguinari soprattutto dai Greci. Ciò probabilmente era dovuto ad uno scopo propagandistico ed alla loro religione, avente tipiche caratteristiche orientaleggianti.
    I sacerdoti fenici compivano molti sacrifici sui tofet, spesso anche di umani, come accadde a Cartagine sotto l’assedio del siceliota (greco-siracusano) Agatocle, dove furono sacrificate circa 300-500 giovani vite.
    Esisteva una trinità fenicia: El, Baalat e Baal. Il primo è un dio inafferabile, lontano dall’uomo. Baalat è la moglie di El e la grande madre, colei che dava calore, fertilità e sicurezza all’uomo. Era anche conosciuta come Ashera.
    Questa figura era nota ai Sumeri come Innin, ai Babilonesi ed Assiri come Ishtar, agli Egiziani come Iside.
    Molto più vicina all’uomo è il loro figlio Baal, oppure Adon o Eshmun, venerato come Melkart presso Cartagine e Tiro. Egli ogni anno moriva e poi risorgeva, richiamando le stagioni. Egli si sacrifica per l’uomo: muore e risorge per lui. Questa figura farà nascere il mito di Ercole (Eracle) e di Adone, importato in Grecia.
    C’erano altre divinità, forse realizzate dai sacerdoti per esigenze locali: Kusor, dio del mare e guardiano delle stagioni; Hijon, protettore degli artigiani e degli industriali; Dagon, dio del grano; Shadrapa, patrono dei medici, Reshef, amministratore di tuoni e di fulmini; Misor e Sydyk, dei della giustizia.
    Si credeva che il mondo fosse un uovo, creato da El, e che una sua rotazione violenta avesse separato terra e acque. Poi furono creati gli dei e fu fatto l’uomo, da cui ebbero origine le vite animali e vegetali. Baal e Baalat erano venerati un po’ dappertutto.
    Presso la cultura fenicia si celebrava il rito della prostituzione sacra. Ogni donna, solo una volta l’anno, in occasione di particolari feste, concedeva il proprio corpo. Questo per consentire all’uomo di corrispondere direttamente con la divinità, tra l’altro si trattava di un simbolo di fertilità.
    L’elemento ravvivante per queste divinità era il sacrificio, simbolo dunque di rigenerazione e di resurrezione. Baal voleva che una madre sacrificasse il figlio con il sorriso sulle labbra: per questo erano vietati pianti e lamenti in queste circostanze.
    Questa religione ebbe molti contrasti con il vicino monoteismo di Israele. A tale proposito è indicativa la lotta ingaggiata dal profeta Isaia contro la regina fenicia Jezabel, fino al punto di farla uccidere. Questo infatti simboleggiava la vittoria del monoteismo e della tradizione ebraica sul politeismo fenicio.
    La filosofia di vita fenicia, imperniata sul vivere basandosi sul razionale, sul non confidare nel futuro e negli dei, sul non attendersi nulla per non essere delusi, sul vivere in uno stato di apparente serenità fu all’origine dello stoicismo.
    Dalla religione fenicia nacquero dei miti, sviluppati poi dai greci: Afrodite, Europa, Adone e Dioniso.

  • Fenici: lo sviluppo

    Sviluppo
    Nata verso il 1150 a.C., la civiltà fenicia si avviò ad un lento declino verso l’850 a.C., con la dominazione assiro-babilonese, fino al 350 a.C., periodo della dominazione macedone di Alessandro Magno.
    Tramite una fitta rete di commerci e attraverso l’uso delle navi triremi di loro invenzione, si sparsero in tutto il Mediterraneo, fondando città ovunque. E’ possibile riassumere la seguente situazione.
    Libano: Tiro, Sidone, Tripoli, Haifa, Arvad, Beruta (Beirut);
    Africa Settentrionale: Leptis Magna, Utica, Cartagine, Tunisi, Lisso (dopo le colonne d’Ercole);
    Sicilia occidentale: Drapana (Trapani), Lilibeo (Marsala), Panormo (Palermo), Mothya (Mozia);
    Spagna: Gadir (Cadice), Ibiza e Cartagena;
    Sardegna: Nora, Cagliari, Bythia, Carloforte, Tharros e Sant’Antioco;
    Creta, Rodi, Melo, Malta, Gozo, Cipro.
    Si presume che anche la città di Tebe in Grecia abbia origini fenicie. Su alcuni documenti si racconta della presenza fenicia anche in alcuni porti dell’Asia Minore
    I Fenici subirono diverse dominazioni, ma le affrontarono intelligentemente, rispettandole. In cambio poterono mantenere una certa autonomia economica.
    La Fenicia convisse con Israele in modo pacifico, sviluppando un’intensa attività commerciale. A Tale proposito, ricordiamo che intorno al 1600 a.C. l’Egitto si trovava sotto il controllo degli Hyksos. Questo era un popolo di origine hurrita, cioè caucasico, proveniente dalle regioni dell’Urartu, molto favorevole agli ebrei, che aveva conquistato la mesopotamia, stabilendosi tra Siria ed Assiria, ed era in lotta con gli ittiti. I semiti, seguendo Giuseppe, migrarono dalle dure terre palestinesi verso il delta del Nilo, dove vissero in pace e serenità.
    Successivamente nel 1570 a.C., il faraone Ahmose dell’Alto Egitto cacciò gli Hyksos e fondò il Regno Nuovo, destinato a durare quattro secoli. Sotto Tutmosi III, gli ebrei migrarono dall’Egitto, guidati da Mosè (forse un seguace del monoteista Akhenaton, che si avvalse di Aronne per comunicare con i semiti) e si ristabilirono nella Palestina, occupata nel frattempo da altri popoli, fondando le dodici tribù. Siamo intorno al 1200-1100 a.C., a questo punto, come già detto, entra in scena Davide che riunisce le tribù e fonda il regno di Israele, approfittando del fatto che l’Egitto, in lotta con gli Ittiti, lascia un po’ di autonomia alla Palestina.
    In seguito alla dominazione dei popoli del mare nasce il regno dei Fenici. Le città di Tiro, fondata da Hiram prima del 1100 a.C., e Sidone prendono il posto, come importanza, di Biblo. La convivenza con Israele, basata sul commercio, si interruppe per questioni religiose.
    La convivenza con l’Egitto fu ottima e sempre imperniata al commercio. Verso l’850 a.C. gli assiri di Assurnarsipal II, non più minacciati dal pericolo dei Medi, conquistarono i fenici, i quali, consapevoli della loro inferiorità, andarono incontro agli aggressori con pace e proponendo commerci. Ciò ebbe i suoi frutti fino al 700 a.C., quando tutte le città parteciparono ad una rivolta armena antiassira, subito sedata da Sennacherib, che impose una tassazione elevata. Sidone subì devastazioni, Tiro si difese e la sua isola non fu presa, nonostante alcune città fenicie collaborarono con gli assiri, come faranno secoli dopo con Alessandro Magno.
    Sotto il successore assiro Asarhaddon, Sidone si ribellò e stavolta fu Tiro a collaborare con i mesopotamici. Sidone fu distrutta. Fu poi la volta di Assurbanipal che continuò a controllare la zona.
    In generale, però la Fenicia, anche se divisa in due provincie (settentrionale e meridionale), continuò a prosperare con i commerci.
    Intorno all’800 a.C. alcuni abitanti di Tiro migrarono in Africa e fondarono Cartagine.
    La cultura che ne deriverà acquisterà sempre più potere, fino allo scontro con quella romana, che segnerà la sua fine.
    Nel 600 a.C. la civiltà di Assur e di Ninive lasciò il posto a quella di Babilonia, sotto il dominio di Nabucodonosor II, che scese fino in Egitto. I Fenici si allearono con Israele per contrastarlo, ma furono sconfitti. Gli ebrei conobbero la cattività babilonese, ma Tiro resistette di nuovo, dal 585 a.C. al 572 a.C., proponendo alla fine un patto di pace, in cui formalmente veniva annessa a Babilonia, mantenendo comunque una certa autonomia economica. Questo grazie anche alla politica del lungimirante re babilonese che sognava un grande impero in armonia. Gli ingegneri fenici lavorarono a Babilonia e la resero una delle città più belle del mondo.
    Nel 539 a.C. il re persiano Ciro II conquistò la Mesopotamia e quindi la Fenicia. I fenici costituirono la marina persiana e aiutarono gli ebrei a ricostruire Gerusalemme, abbandonata per il periodo di cattività. La convivenza con la Persia fu eccellente, anche se Tiro perse Cipro, presa dall’Egitto.
    Nel 525 a.C. il re persiano Cambise conquistò anche l’Egitto ed i Fenici collaborarono nell’impresa, avendo in cambio la quasi totale indipendenza.
    Nel 500 a.C., Dario era il re dell’impero persiano. Dinanzi a Salamina di Cipro i fenici furono sconfitti dai greci, inferiori come numero ed esperienza, successivamente presso Samo, con l’aiuto di Dario i fenici vinsero.
    Nel 480 a.C., Serse I, nuovo re di Persia, con 1207 navi, comandate da fenici, affrontò le 313 navi greche di Temistocle, presso la baia di Salamina in Grecia, venendo sconfitto. Fu poi la volta della sconfitta di Micale, presso Mileto. Contemporaneamente, presso Imera, in Sicilia, i siracusani (alleati dei greci) sconfissero truppe cartaginesi ed etrusche. Dunque, la Grecia fece la sua comparsa sui mari che prima erano fenici. Nel 465 a.C. gli elleni presero Cipro ed ormai, assieme a Cartagine, presero il posto dei libanesi, sempre più sotto le satrapie persiane.
    Verso il 350 a.C. Tripoli fu nominata capitale della federazione fenicia. I fenici avevano capito che dovevano unirsi, ma ormai era troppo tardi. Le città fenicie rimasero sotto il giogo persiano, nonostante qualche rivolta di Sidone e di Tiro.
    Nel 332 a.C. Alessandro Magno, diretto in Egitto, comincia ad assediare Tiro, dopo aver annesso le altre città fenicie. Secondo la sua strategia questa città doveva essere distrutta, perché rappresentava sempre la marina dei persiani. Fu aiutato da altre città fenicie e realizzò una diga che tolse ai tirii l’elemento naturale di difesa: il mare. Tiro, che aveva ricevuto la promessa di aiuto da parte di Cartagine, si difese strenuamente, poi, non ricevendo alcuna collaborazione esterna, capitolò. Fu la fine del regno fenicio. Tiro fu distrutta e rifiorì un po’ sotto i romani.
    Verso il 300 a.C. Alessandro Magno non c’era più ed il suo impero fu diviso in tre diadochie: la Macedonia sotto gli agonidi, l’Egitto sotto i tolemaici e l’Asia Minore sotto i seleucidi. Per quanto riguarda la Fenicia, anche se il suo regno non c’era più, ci furono ancora delle attività commerciali di svariato tipo. L’elemento dominante era però l’ellenizzazione dei costumi e della società: basti pensare che ogni 5 anni a Tiro si svolgevano i giochi.
    In questo periodo lo spirito fenicio sopravvisse in Cartagine che ebbe un grande splendore e presto si scontrò dapprima con i greci e poi con i romani.

  • Alessandro Magno e la Macedonia

    Il regno macedone si era costituito dal VI secolo a.C. nella regione montuosa a nord della Grecia. All’inizio del IV secolo a.C. la monarchia macedone si presentava come uno stato fortemente centralizzato.

    Con l’ascesa al trono del sovrano Filippo II (359 a.C.) maturò il progetto di un’espansione verso la Grecia. La superiorità militare macedone ebbe la meglio sulla volontà di resistenza dei greci, che furono sconfitti nella decisiva battaglia di Cheronea, in Beozia (338).
    Succedete a Filippo suo figlio Alessandro. Aveva venti anni e nutriva in cuore una ambizione smisurata. Educato dal filosofo Aristotetele, addestrato alle armi e alla politica dai generali di suo padre, dotato di grande intelligenza, di energia e di tenacia, creò un impero mondiale. Appena salito al trono, Alessandro si fece confermare i diritti di cui aveva goduto suo padre, il comando supremo dell’esercito.

    Quindi volle dimostrare ai popoli soggetti che la morte di Filippo non aveva diminuito la forza della Macedonia: accorse in Illiria a domare una ribellione e, essendo insorta Tebe alla falsa notizia della sua morte, se ne impadronì con la forza, la rese al suolo e ne vendette schiavi gli abitanti. L’esempio era sufficiente per dissuadere gli altri confederati da ogni insubordinazione e potè dedicarsi alla guerra nazionale contro la Persia. Nella primavera del 335 a.C. si diresse verso la Siria, e a Isso affrontò affronto l’esercito del re di Persia Dario III.

    Gli Asiatici, sebbene superiori di numero, furono travolti dalle falangi macedoni e Dario si salvò con la fuga. Prima di penetrare nell’interno dell’Asia, egli volle assicurarsi il possesso di tutta la costa mediterranea. Penetrò nell’Egitto. Presso il ramo sinistro del delta del Nilo fondò una città, Alessandria. Dall’Egitto, Alessandro ritornò sui suoi passi, sconfisse nuovamente Dario presso Guaguamela, in Mesopotamia.

    Con questa vittoria caddero nelle sue mani Babilonia, Susa e Persepoli. Continuando l’inseguimento di Dario, Alessandro penetrò nella Media. Nel 328 a.C., aveva attraversato tutto l’Iran, giungendo con un amplissimo giro fina alla Battriana: aveva toccato gli estremi dell’impero.
    Prima di varcare il passo Khyber e entrare in India, Alessandro sentì il bisogno di riorganizzare l’armata che aveva guidato attraverso l’Iran e la Battriana e di adattarla al clima e al terrno differente.

    Bruciò tutti i carriaggi colmi di bottino che impedivano la sua mobilità e congedò un gran numero dei suoi veterani ormai inutilizzabili, riforgiando la sua armata con l’impiego di parecchie migliaia di cavalieri iranici. Le forze combattenti ammontavano a circa 40000 uomini.

    Mentre le truppe pesanti, al comando di Perdicca ed Efestione, mossero insieme ai bagagli attraverso la valle del Kabul fino all’attuale Charsadda, Alessandro alla testa di truppe armate più alla leggera si spinse più a nord, attraverso le regioni dello Swat, abitate da popolazioni montanare indiane estremamente bellicose e restie a sottomettersi. Perdicca ed Efestione che, avevano compiuto un percorso più facile, avevano costruito un ponte sull’Indo, e su esso, nella Primavera del 326, Alessandro passò nel territorio del Punjab, che come dice il nome, è una regione composta da cinque fiumi, affluenti dell’Indo che convogliano su di esso le acque della catena Hymalaiana.
    Il territorio in cui era penetrato l’esercito macedone era dominato da tre potentati. Nella Primavera del 326 Alessandro entrò nel regno di Ambhi, da lui poi ribattezzato Taxila, e ricevette un’accoglienza amichevole dal sovrano, che lo equipaggiò con elefanti e truppe.

    I regni di Taxila e Poro erano in relazioni ostili e per questa ragione Alessandro poteva contare in Taxila come un valido alleato.

    Abisare preferì una tattica più attendista, pronto a soccorrere il vincitore dello scontro che si andava profilando. Alessandro raggunse l’Idaspe (una regione del Poro), proprio mentre stava iniziando la lunga stagione delle piogge monsoniche e il fiume si stava gonfiando.

    Sull’altra sponda il Re indiano aveva schierato le sue truppe al completo, circa 30000 uomini e 200 elefanti. Attraversare il fiume su zattere davanti al nemico non era un piano che avesse prospettive di successo, perché l’esercito sarebbe stato attaccato appena uscito dal fiume senza potersi schierare; bisognava cercare un guado non sorvegliato. Alessandro ordinò ai suoi soldati di fare un rumore continuo e spostarsi in continuazione, in modo da abituare gli Indiani a non dare troppo peso a queste continue manovre. Poi, dopo avere lasciato Cratero al comando del corpo principale dell’armata, guidò una forza d’assalto composta da 5000 cavalieri e 6000 fanti equipaggiati con barche e zattere, verso un guado, situato una ventina di chilometri più a monte del punto in cui era accampato l’esercito indiano.
    Il guado si presentava particolarmente difficile: erano iniziate le piogge monsoniche e il fiume stava rapidamente crescendo di livello; i fanti e i cavalieri si videro costretti ad attraversare con l’acqua fino al petto e pure i cavalli soffrirono non poco la violenza della corrente.

    Una volta passati tutti senza perdite, Alessandro dispose le truppe per la marcia, con gli arcieri e la cavalleria in testa, mentre la fanteria seguiva in formazione. Gli esploratori indiani avevano informato re Poro che gli invasori avevano forzato il fiume, ed egli, probabilmente non consapevole della reale consistenza del corpo di sbarco, inviò contro di loro un contingente composto da 2000 cavalieri e 120 carri, guidati dal suo stesso figlio, che si rivelò inadeguato al compito. Gli Indiani si batterono coraggiosamente ma furono alla fine sconfitti e volti in fuga perdendo tutti i carri, mentre lo stesso figlio di Poro cadde in battaglia. Una volta appreso l’esito dello scontro Poro capì che la minaccia principale veniva da Alessandro e non dalle truppe macedoni ancora schierate dall’altra parte del fiume, per cui risolse di muovere l’intero esercito contro di lui, dopo avere lasciato una schiera esigua a custodia del fiume di fronte a Cratero. Vinse in una grande battaglia il re Poro. Ma qui la sua energia dovette piegarsi davanti al malcontento dei soldati, esauriti dalla lunga guerra. Tutta l’opera sua, durante e dopo la spedizione, è dominata dal pensiero di dare alla conquista un saldo fondamenta, e la marcia degli eserciti fu accompagnato dalla fondazione di numerose colonie, che dovevano diventare fiorenti centri di propagazione dell’ellenismo (cultura greca).

    Alessandro si propose di fondere l’Occidente e l’Oriente, di fare dei molti popoli e delle molte civiltà un popolo e una civiltà unica. Incorporò nell’esercito contigenti indigeni. Dare effettività unità all’impero si rivelò opera ben difficile della conquista militare. L’opera non fu compiuta.

    A Babilonia, mentre pensava ai grandi disegni politici ed economici, il 13 giugno 323 a.C. Alessandro moriva all’età di 33 anni di regno.

    La scomparsa prematura e improvvisa di Alessandro tolse all’impero il suo principio creatore e regolatore: il partito ateniese antimacedone, proclamò la guerra di liberazione contro l’oppressore e fu seguito dalle altre città greche. Nel corso del III secolo a.C. la Macedonia tenne direttamente soggetta una parte della Grecia.

    Dopo la morte di Alessandro, l’immenso impero da lui conquistato si frazionò a causa delle lotte che i suoi generali intrapresero per la successione. Dopo circa un ventennio di conflitti, al posto dell’unico impero si formarono alcuni grandi stati detti regni ellenistici.

    Lo Stato ellenistico maggiormente attivo, più ricco (grano, papiro, birra, oro) e politicamente tranquillo è l’Egitto tolemaico (304-30 a.C.).

    La Pirenaica legò i suoi destini all’Egitto dei Tolomei.

    Tolomeo I fonda il Museo e la Biblioteca di Alessandria, che presto diviene la più grande di tutto il mondo classico.
    La Macedonia degli Antigonidi, fondata da Antigono Gonata dopo la vittoria sui Galati a Lisimachea (277 a.C.) è la prima a entrare in conflitto con Roma durante le Guerre Macedoniche (221-168 a.C.), fino a ridursi a provincia romana (148 a.C.). I tentativi di Atene e delle altre città greche di riconquistare l’indipendenza cozzano contro il pugno di ferro di Antipatro (322 a.C.) e di Antigono Gonata (261 a.C.).
    Diversa è la situazione nel composito Oriente dei Seleucidi (304-64 a.C.). Dalla nuova capitale Seleucia i sovrani cercano di governare (anche con l’ausilio di postazioni militari fisse e di una moneta unica) un territorio troppo vasto, che racchiude perdipiù genti di differente costume e lingua (le più diffuse divengono il greco e l’aramaico).

    Il regno si erode quasi subito con la vittoria dell’indiano Ciandragupta su Seleuco I, nel territorio del Punjab. Vasti territori dell’Asia Minore si staccano anche sotto il regno di Antioco I “Sotere” (il Regno del Ponto di Mitridate 280 a.C. ca.), mentre una calata di Celti (279 a.C.) porta alla fondazione del Regno di Bitinia. Si stacca poi, ad opera di Eumene I, il Regno di Pergamo (263 a.C.), ove si erige una vasta biblioteca.

    Ma è l’arrivo dei Parti (247 a.C.) a far crollare il regno seleucide.

    Questa tribù scitica giunge dal Caspio e dal deserto iranico sotto la guida di Arsace I. Vincendo Antioco II e Seleuco II, i Parti fondano un vero impero sotto la guida di Mitridate I (171-138 a.C.), che domina su Iran e Mesopotamia. Dopo che il figlio, Fraate I, muore combattendo la tribù dei Saci, l’impero passa a Mitridate II (124-87 a.C.), sotto il quale si verificano i primi scontri di una secolare lotta contro Roma.
    Libro, Edizioni Scolastiche Bruno Mondatori- Il lavoro dell’uomo / Libro, Europeans book Milano- Atlantica n.7 / Cd, Rizzoli Larousse 2001- Enciclopedia multimediale / Internet- Cronologia.

  • L’impero persiano

    Gli inizi della dinastia persiana degli Achemenidi sono ancora poco conosciuti; verso il 700 a.C. i Persiani erano stanziati a Parsumach, ai piedi dei monti Bakhtiyari, dove, sotto la direzione di Achemene, fondarono un piccolo regno; l’Elam non era più abbastanza potente per fare opposizione. Il regno persiano continuò a espandersi: Teispe (675-640 a.C.), figlio di Achemene, che portava già il titolo di re di Anzan, si annettè la provincia di Parsa (Fars). Alla morte di Teispe il regno fu diviso tra i due figli: Ariaramne di Media (640-590 circa) e Ciro I di Persia (640- 600 circa). Dopo la distruzione totale dell’Elam da parte degli Assiri, Ciro I riconobbe l’autorità di questi ultimi, inviando uno dei suoi figli come ostaggio. Il successore di Ciro, Cambise I, obbligò il figlio di Ariaramne ad abdicare in suo favore, lasciandogli tuttavia il governo della provincia di Parsa, e sposò la figlia di Astiage di Media: da questa unione nacque Ciro II il Grande (558-528 circa).
    I due regni iraniani che si formarono, quello dei medi e quello dei persiani, vennero unificati dal re persiano Ciro, detto il Grande, nel 599 a.C. Dopo aver consolidato la sua posizione all’interno, Ciro sottomise l’Asia Minore, conquistò Babilonia (539), assumendo il controllo della Siria e ottenendo la sottomissione dei re fenici. Alla sua morte l’Impero passò a Cambise II (529-521 a.C.), che aveva regnato con il padre per otto anni. Il nuovo re dovette domare diverse rivolte in Persia, prima di partire alla conquista dell’Egitto nel 525; nel 522, abbandonando il progetto di conquistare Cartagine e l’Etiopia, ritornò in patria, dove un usurpatore, Gaumata, si era proclamato re; morì poco dopo in circostanze misteriose. Il suo successore Dario I (521-485) era figlio di Istaspe, satrapo dell’Ircania, e nipote di Ariaramne. Egli iniziò la sua opera ristabilendo l’ordine nel paese e nell’Impero; in seguito estese la sua azione a Oriente, sottomettendo il Gandhara, l’India occidentale e la valle dell’Indo; quindi combattè gli Sciti della Russia meridionale ed estese il suo potere sulle città greche della costa. Di lì si volse alla conquista della Grecia stessa, dando origine alle cosiddette guerre persiane, dopo le quali la lotta per i confini occidentali dell’Impero e per le città greche continuò per un secolo e mezzo: laddove la forza non bastava, l’oro del Gran re interveniva, suscitando e mantenendo le lotte intestine in Grecia. Con gli ultimi Achemenidi Artaserse I (465- 424), Dario II (424-404), Artaserse II (404-358), Artaserse III (358- 338), maturò lentamente la decadenza dell’Impero, fino alla definitiva sconfitta di Dario III (331 a.C.) a opera di Alessandro Magno.
    La forza dei persiani era in primo luogo militare: un potente esercito , costituito da un nucleo di nobili cavalieri persiani fornite dalle province assoggettate, era lo strumento per mantenere il controllo dell’impero. A essa si univa però anche una notevole capacità di assimilazione culturale (a cominciare da Ciro, che conquistata Babilonia nel 539 a.C., restituì la libertà agli ebrei che vi erano stati deportati da Nabucodonsor nel 596). Ma grande fu anche l’abilità con cui Dario seppe organizzare l’immenso impero. Il potere era centralizzato: il sovrano governava attraverso i satrapi, membri dell’aristocrazia persiana, ai quali era affidato il controllo delle diverse province, o satrapie, dell’impero.

    Libro, Edizione Scolastiche- Il lavoro dell’uomo / Libro, European book Milano-Atlantica Junior n.7 / Libro, Rizzoli Larousse 2001- Enciclopedia multimediale

  • Persiani: attività, sviluppo e religione

    Attività del popolo persiano

    Il popolo persiano ha sviluppato numerose e differenti attività. Abile nella lavorazione della pietra, dei vasi e della ceramica, era conosciuto anche per la lavorazione dell’oro e dei preziosi. Dal punto di vista archeologico risulta interessante il Tesoro di Saqquiz , di epoca scita, ricco di sculture bronzee, riproducenti fedelmente la realtà e le espressioni della vita quotidiana.

    In particolare si sviluppò l’arte sasanide che era caratterizzata dal dinamismo e dal realismo delle figure rappresentate.

    Dal punto di vista urbanistico, realizzarono templi caratteristici. Le case erano costituite da un cortile interno, secondo il modello ” ivan “, diffuso nel mondo, in particolare nel periodo sasanide.

    Le città persiane (Ectabana, Persepoli, Pasargade, Ctesifonte ed Ecatompilo) erano ricche e caratterizzate da imponenti costruzioni e palazzi. Assieme ai Fenici ed agli Egiziani hanno attivato il canale di Suez.

    Per la conformazione geografica e la posizione del loro territorio, erano ottimi mercanti. Hanno sviluppato un buon sistema viario e fondato il sistema delle carovane e delle stazioni di servizio e di cambio. Per la navigazione si servivano prevalentemente dei Fenici, anche se compirono grandi imprese marittime, quali l’aver coperto la rotta dall’India al Mar Rosso in poco tempo.

    Dal punto di vista bellico non erano molto organizzati strategicamente, perché gli eserciti erano strutturati secondo i paesi di provenienza, ma utilizzavano correttamente il carro da guerra e la cavalleria. Tale carenza organizzativa fu sfruttata in pieno da Alessandro Magno, nella disfatta dell’Impero Achemenide.

    Dal punto di vista legislativo seppero erigere un valido sistema ed una buona organizzazione. Nel campo della sovranità seppero amministrare con lungimiranza, rispettando gli usi e le tradizioni dei popoli sottomessi. In questo modo seppero sviluppare una splendida arte ed una buona letteratura.

    Sviluppo

    Dal 700 a.C. al 651 d.C. i persiani furono i proprietari di un estesissimo impero, approfittando all’inizio della debolezza mesopotamica e poi contendendo il potere prima con Roma e successivamente con Bisanzio. Il loro ricchissimo regno andava dall’Egitto, dalla Nubia e dall’Etiopia, all’inizio dell’India, dalla Tracia, Grecia orientale e dall’Asia Minore, all’attuale Afganistan, dal Caucaso al Mar Caspio.

    Religione

    Nel corso dei 3 millenni di regno in territorio persiano si svilupparono numerose religioni quasi tutte a carattere monoteista.

    Durante la sovranità achemenide si mostrarono tolleranti verso l’ebraismo, in quanto era una religione monoteista, che in un certo senso si ricollegava alla loro.

    Successivamente questa venne perseguitata assieme al cristianesimo, in quanto era vista come un potenziale avversario delle religioni di stato.

    Anche il cristianesimo subì delle modificazioni in Iran. Nacquero il nestorismo, secondo la quale Cristo aveva sia la natura divina che quella umana, ed il monofismo, imperniato su una sola natura. Inoltre venne indetto un concilio cristiano a Seleucia, in cui si fondò la Chiesa Iranica che prese le distanze da quella di Costantinopoli.

    Nel corso dei secoli si svilupparono le seguenti religioni principali:
    Mazdeismo
    Zoroastrismo
    Manicheismo

    Mazdeismo
    Questa religione è stata quella a lungo più venerata nell’impero persiano. Essa nacque nel periodo achemenide ed era legata anche al potere che la classe sacerdotale gestiva nella struttura sociale.

    Il grande dio era Ahuramazdah, creatore di tutto. E’ lui che guida gli atti del re, a cui ha dato direttamente il potere. Tuttavia bisogna precisare che la Persia degli achemenidi non era uno stato fondato sulla religione, cioè integralista, come avverrà per i califfi arabi che regneranno al posto dei persiani.

    Vi sono altre divinità: Mitra (sole) che verrà venerato anche dai romani; Mah (luna), Zam (terra), Atar (fuoco), Apam Napat (acqua), Vayu (vento). Questo modello religioso si sviluppa con Dario a cui il potere è conferito da dio stesso. Si tratta di divinità legate alla natura ed alle esigenze primarie degli iranici.

    Con Antaserse II assistiamo alla presenza di questa trinità: Ahuramazdah, Mitra, dio del sole, dei contratti (legato al commercio) e della redenzione, Anahita, dea delle acque, della fecondità e della procreazione.

    I Persiani veneravano le loro divinità con sacrifici di sangue, secondo l’influenza indo-iranica. Tra i sacerdoti ricordiamo la classe particolare dei magi, di origine meda, che era l’espressione di una religiosità di tipo sciita, la quale svolgeva un’attività a parte rispetto agli altri sacerdoti e deteneva un fortissimo potere presso la corte. Rappresentavano una comunità isolata che praticava il matrimonio tra consanguinei e non usavano l’inumazione dei cadaveri, come avveniva tra i Persiani, ma li esponevano all’aria per essere escarnificati.

    Essi credevano nel BENE e nel MALE. Essi preparavano l’haoma, una pozione inebriante impiegata durante i riti religiosi. Dal commercio di tale bevanda traevano numerosi proventi economici. Inoltre i magi custodivano le tombe reali, educavano la gioventù maschile, interpretavano i sogni, celebravano i sacrifici, prendevano parte all’incoronazione reale presso Pasagarde. Si osservi come molte pratiche dei magi saranno simili a quelle celtiche. Ciò è dovuto alla comune origine della religione nel popolo scita.

    I Persiani non avevano numerosi templi, ne ricordiamo tre: a Pasargade, realizzato da Ciro, a Susa, costruito da Antaserse II ed a Naqs-i Rustam, eretto da Dario. La maggior parte delle cerimonie religiose veniva praticata all’aria aperta, su altari poste in campagna.

    Alcuni imperatori achemenidi eressero alcune statue alle divinità, come è avvenuto ad Ectabana o presso Babilonia per la dea Anahita.

    Non si tratta di una religione monoteista, ma è indubbio che il ruolo principale è svolto da Ahuramazdah.

    Nel periodo partico il culto della dea Anahita, conosciuta anche come Artemide, occupò un ruolo principale. Sorsero numerosi templi in tutto l’impero dedicati a questa divinità: Arsak, Ectabana, Kengavar, Susa, Istahr, Siz. In questo periodo ebbero un forte sviluppo anche i magi, che gestirono un potere in tutto l’impero.

    Il dio Mitra conobbe una rapida diffusione nell’impero romano nel periodo di dominazione di Pompeo in oriente. Egli, infatti, riportò numerosi prigionieri a Roma che trasmisero la propria religione.

    Zoroastrismo
    Il profeta Zoroastro o Zarathustra, originario della Media, riformò il Mazdeismo. Egli andò via dal suo paese e si rifugiò in Iran Orientale ove trovò numerosi proseliti, tra cui viene annoverato il principe Histape, padre di Dario. La popolazione locale era continuamente esposta al pericolo delle invasioni delle popolazioni nomadi, per cui era ben disposta ad accettare una nuova religione basata sulla redenzione.

    La morale zoroastriana si basa sulla triade “buon pensiero, buone parole, buone opere”.

    Secondo Zoroastro il mondo era retto da due principi: il BENE ed il MALE. Il primo si identifica in Ahuramazdah, aiutato da altre divinità ispirate alle forze della natura, il secondo nello spirito malefico Ahriman. I due spiriti hanno ingaggiato una lotta, interpretata come la lotta tra il pensiero e l’intelligenza, terminata con la vittoria dello spirito buono.

    Siamo di fronte ad un “monoteismo imperfetto”, in quanto è presente solo il bene. Anche l’umanità partecipa a questa lotta, in quanto è divisa tra uomini retti e pii e uomini cattivi ed atei, che seguono due divinità diverse.

    Dopo la morte, ognuno verrà giudicato: i buoni andranno in paradiso, i cattivi subiranno una lunga pena. Vi sarà poi un giudizio universale, secondo il quale tutti subiranno la prova del fuoco.

    L’uomo deve evitare e combattere l’eretico, deve essere buono con gli animali, curarli e trattarli bene. Un buon principe combatte per la religione, difende il popolo, nutre il povero, protegge il debole. E’ considerato cattivo chi è un pessimo giudice, l’uomo che abbandona il campo e colui che opprime gli altri.

    I sacrifici di sangue sono vietati, perché gli animali sono venerati. La bevanda inebriante haoma è anche essa vietata. I morti non possono essere né sepolti, né bruciati, né immersi per non sporcare i tre elementi sacri che sono la terra, l’acqua ed il fuoco. I cadaveri vengono esposti sulle montagne o su torri innalzate a questo scopo: le ossa scarnificate si devono poi racchiudere in ossari che vengono deposti in tombe in muratura o scavate nella roccia.

    Questa religione ha molti punti in comune con il buddhismo, nato in India nello stesso periodo. Entrambi i movimenti nascono dalla protesta contro le pratiche crudeli ed i riti sanguinari delle antiche religioni ariane. Il primo era frutto della classe aristocratica, il secondo era un’espressione del popolo. Per questo motivo il buddhismo si è diffuso molto di più dello zoroastrismo.

    Tuttavia quest’ultima religione venne venerata presso le corti imperiali persiane e speso difesa come religione di stato.

    Manicheismo
    All’inizio della dominazione sasanide, nella regione del Fars erano venerate le divinità Ahuramazdah e Anahita. Il re Sapur I si pose l’obiettivo di creare una religione di stato che potesse esprime il neonazionalismo iranico. Trovò la risposta nel manicheismo che suscitò l’avversione della classe sacerdotale mazdaica e venne distrutto con la scomparsa dell’imperatore.

    Mani, uomo nobile, si professava inviato da dio, al pari di Zaratustra, Gesù e Buddha. Egli si ispirava alle tradizioni iranica, babilonese, buddhista e cristiana.

    Secondo la sua religione, il mondo è formato dalla lotta tra il BENE ed il MALE, luce e tenebre. Nell’uomo l’anima ed il corpo rappresentano rispettivamente la luce ed il corpo: la morale manichea si sviluppa attorno alla liberazione dell’anima dal corpo.

    Quando tutta la luce e tutte le anime tenute prigioniere saranno liberate e saliranno al sole, il cielo e la terra (la materia) crolleranno e si separeranno, mentre il regno della luce durerà in eterno.

    I fedeli si dividono tra eletti ed uditori. I primi si identificano nel clero che è tenuto al celibato, devono astenersi dalla carne ed evitare la cupidigia e la menzogna. I secondi hanno diritto di sposarsi, possono lavorare, devono conservarsi puri e non aspirare alla ricchezza.

    Non sono ammessi sacrifici cruenti né immagini divine, ma preghiere e digiuni. I manichei praticano il battesimo, la comunione e ricevono l’assoluzione prima della morte.

    Il manicheismo subì l’influenza gnostica, in quanto dimostrò un’avversione per l’ebraismo, considerata la religione delle tenebre. Gli inni, di ispirazione babilonese, sono enunciati da Zoroastro; dal cristianesimo vengono presi il dogma della trinità ed alcune parti del Vangelo; i nomi degli angeli erano siriani.

    Sapur I vede la debolezza delle religioni tradizionali iraniche e cerca di contrapporre all’ascesa del cristianesimo e del buddhismo, che nel regno Kusana era divenuta religione di stato, questo nuovo culto, sperando di farlo divenire religione di stato.

    Il mazdeismo si trovò minacciato all’interno, nonché stretto all’esterno dalle altre religioni monoteiste. Alla morte di Sapur I, si diffusero violente persecuzioni contro tutte le religioni, in particolare contro il manicheismo. Mani venne sottoposto a giudizio e condannato al supplizio. I suoi fedeli lasciarono l’Iran e si recarono in Asia centrale, la Siria e l’Egitto, dove diffusero la propria religione. Essa conobbe un discreto successo in Cina (dove si diffuse anche il cristianesimo nestroriano), Mongolia e Nord Africa, dove venne combattuto da S. Agostino. Da qui il manicheismo si diffuse nel sud della Francia, dando vita alla seta purista dei Catari, che nel 1200 venne combattuta aspramente dai cattolici che ne massacrarono tutti i proseliti.

    Con l’imperatore Narsete il manichiesmo conobbe un nuovo periodo di successo, in quanto fu posto in contrapposizione con il cristianesimo che si stava diffondendo in Mesopotamia, finchè lo zoroastrismo non lo annientò definitivamente in Iran, divenendo religione di stato.

    Bibliografia
    “La civiltà persiana antica”, Roman Ghirshman, Einaudi 1972

  • Persiani: i Seleucidi

    Alla morte di Alessandro il suo regno viene suddiviso in tre diadochie: Mecedonia, che controlla l’Europa; Egitto, detta lagide, per la sovranità sull’Africa; seleucide in Asia.

    Il primo sovrano di questa diadochia è Seleuco I , capo della cavalleria macedone presso Susa e satrapo di Babilonia. Nel suo operato perde alcune provincie orientali, ma mantiene un certo equilibrio all’interno del regno. Fonda due capitali: Seleucia, sul Tigri, che prende il posto di Babilonia ed Antiochia in Siria, collegate da una strada reale. Queste due capitali segneranno due regni che, nel tempo cadranno sotto il controllo dei Parti ad oriente e dei Romani ad occidente. I Seleucidi, infatti, invocarono spesso l’intervento romano per riportare alcuni satrapi all’obbedienza, ma una volta arrivati i capitolini si insediarono nelle regioni, provocando perdite economiche e politiche presso gli iranici.

    I principali successori di Seleuco I furono:

    * Antioco I (280-261 a.C.)
    * Antioco II (261-246 a.C.)
    * Seleuco II (246-226 a.C.)
    * Antioco III (226-187 a.C.)
    * Antioco IV (175-164 a.C.)
    * Demetrio II
    * Antioco VII

    Sotto il regno dei primi due monarchi si assiste all’indipendenza della Persia, Parthia e Bactriana. La seconda in particolare vedrà il sorgere dei Parti. Nella Bactriana (regione più orientale) si stabilì un contingente greco già sotto Alessandro che rimase e diffuse la cultura greca presso l’India, dando vita ad una pacifica convivenza tra iranici e greci. Con Seleuco II si registrano le prime vittorie partiche e la perdita di gran parte dell’Asia Minore.

    Con Antioco III i seleucidi rivivono un periodo di gloria. In otto anni, non solo riprende tutti i possedimenti, compresa la ricca Armenia (regno di Urartu), ma tenta di invadere la Macedonia, protetta dai Romani che a Magnesia riportano una prestigiosa vittoria contro gli iranici. Il re seleucide sigla ad Apamea (188 a.C.) una pace con i romani che lo obbliga ad un pesante tributo economico ed alla perdita dell’Asia Minore.

    Antioco IV tentò di creare una lega tra le satrapie e ottenne delle vittorie in Egitto, ma l’avanzata dei Parti era iniziata e portò alla disfatta l’impero seleucide che si concretizzò dapprima durante il breve regno di Demetrio II e successivamente con quello di Antioco VII.

    Gli achemenidi avevano basato la loro politica sull’etnia iranica, vista come colonna portante del regno. La stessa cosa aveva capito Alessandro Magno, che ricevette forti critiche per aver fatto affidamento sulla popolazione locale. I seleucidi, invece, popolarono il regno di greci e macedoni, facendo di questi la struttura principale dell’impero, ma il processo non poté continuare per l’avvento dei Parti.

    Società, Amministrazione ed Attività
    Per tutto il III secolo a.C. la sovrappopolazione ellenica e quella dell’Europa sud-orientale migrò in Siria, Mesopotamia ed Iran. Dovunque nacquero città elleniche: Nisa-Alessandropoli in Partia, Europos nei pressi di Teheran, Laodocea, odierna Nihavand. Il modello amministrativo fu quello di Dario, perfezionato sia per la flessibilità e la potenza della politica fiscale, sia per il maggiore controllo dei funzionari. I Seleucidi attivarono un processo di ellenizzazione dell’oriente: usi e costumi attici vennero introdotti presso le varie satrapie orientali. In tutto l’impero si parlava il greco, come in precedenza veniva usato il semita. I vari monarchi seleucidi venivano venerati come divinità.

    Parallelamente ad un processo di ellenizzazione degli iranici si assiste ad una iranizzazione dei greci sparsi sul territorio: si diffondono i matrimoni misti e le varie religioni orientali vengono praticate. La città di Istahr (fortezza) diviene una città sacra per i persiani su cui non si diffuse molto la cultura greca, sia per la scarsa viabilità sia perché la Persia costituiva il vero cuore dell’Iran. Dunque i greci non riuscirono pienamente ad assorbire l’oriente che ben presto passò all’offensiva.

    I Seleucidi proposero un modello sociale che vedeva in primo piano i cittadini, in base al modello greco. Vi erano poi i componenti dell’amministrazione ed i mercanti. Anche i componenti dell’esercito occupavano un ruolo particolare. Notiamo che si aggiungono una nuova aristocrazia e borghesia a quelle persiane. Si tratta dei Greci e dei Macedoni immigrati, che gestiscono un certo potere politico ed economico. I Seleucidi riscattarono le classi meno abbienti da una situazione di miseria, ma non riuscirono nella fusione delle due etnie che Alessandro aveva ritenuto fondamentale.

    L’arte seleucidica non fu estremamente brillante nel settore della lavorazione del marmo. Maggiori successi vennero raggiunti nella produzione di bronzi, che si basava comunque sulla scuola greca. Anche nella lavorazione dei preziosi e dell’oro provenienti dall’Armenia si raggiunse un certo successo.

    Viene migliorata la viabilità stradale e marittima ed il commercio. In Italia fanno la loro comparsa i limoni, il cotone, il melone, le olive, i fichi, i datteri, il sesamo, l’anitra ed il bue asiatico. Sono sensibilmente sviluppate l’agricoltura e la pastorizia.

    Durante il regno dei Seleucidi si diffondono religioni che si richiamavano alla redenzione ed alla speranza, considerata l’elevata pressione fiscale esercitata dal governo.

  • Persiani: gli Achemenidi

    Questo nome trae la sua origine dal primo re persiano Achemene che fondò il principato nel 700 a.C.. Da questi successero Ciro I, Cambise I, che rafforzarono il regno. Seguirono poi questi sovrani, di cui si riportano i caratteri salienti:

    Ciro II (detto il Grande) (559-530 a.C.) – in breve tempo conquistò la Media al nonno Astyage, l’Assiria, la Lidia e tutta l’Asia Minore. Senza combattere, ma con un’abile politica di propaganda, sottomise Babilonia, approfittando della particolare strategia politica del sovrano babilonese Nabonedo, che al culto del dio Marduk sostituì quello assiro. Ciro si proclamò figlio di Marduk, fece cacciare il sovrano mesopotamico e venne accolto come salvatore. Emise anche un editto che consentiva agli ebrei di fare ritorno alla loro patria e di porre fine alla cattività babilonese. In questo modo il sovrano controllò anche l’area fenicio-palestinese. Conquistò anche alcune regioni orientali, estendendo i confini del suo regno, che venne mantenuto integro attraverso una politica avveduta, che consisteva nel conferire libertà ai popoli sottomessi e nel rispetto dei loro costumi. Fece spostare la capitale da Pasargade a Persepoli, abbellendola e arricchendola in modo particolare. Divenne città di arte e di giusta amministrazione.

    Cambise II (530-522 a.C.) – conquistò l’Egitto e progettò tre spedizioni militari di conquista: Etiopia, Cirenaica e Cartagine. Solo la prima andò in porto, mentre per le altre due ci furono rispettivamente una disfatta dell’esercito persiano colpito da una tempesta nel deserto ed un ammutinamento dei fenici che non volevano marciare contro i fratelli punici. Sembra che il sovrano fosse malato di epilessia e della cosa approfittarono alcuni aristocratici per spodestarlo e prendere il potere. Tra questi ricordiamo Gaumata, un magio, cioè un sacerdote, che si spacciò per suo fratello. Tra tutti i congiurati emerse la figura del nobile Dario che prese il potere ed uccise Gaumata.

    Dario I (522-486 a.C.) – fu l’espressione della continuazione della politica di Ciro il Grande. Rappresentò la nuova forza vitale per la famiglia imperiale. Era un giovane ufficiale dei Diecimila Immortali , che costituiva il corpo di guardia di reale di Cambise II ed era sostenuto dal potente esercito persiano. Impiegò due anni per sedare tutte le rivolte scoppiate nel regno sotto il suo predecessore. Il suo regno arrivò ad oriente fino all’Hindukush e ad occidente fino l’Egitto. Sotto il suo regno venne ricostruito il tempio di Gerusalemme (515 a.C.) e nacque il primo stato teocratico: venne istituita la figura del sommo sacerdote per controllare meglio la comunità ebraica. La politica libertaria di Ciro II aveva segnato un fallimento considerati i tumulti scoppiati nell’impero alla morte del sovrano. Dario appose dei correttivi alla politica del predecessore, centralizzando il potere: istituì le satrapie, gestite da un sovrano locale (satrapo) nominato direttamente dall’imperatore al quale doveva rendere conto del suo operato. Questi veniva controllato da un segretario e da ispettori reali, denominati “le orecchie del re”, che giungevano improvvisamente a verificare la situazione amministrativa locale. Quest’ultima figura verrà ripresa moltissimo da Carlo Magno. Sembra accertato che già sotto Ciro e Cambise vennero nominate alcune satrapie. Accanto al satrapo vi erano altre due figure che rispondevano direttamente all’imperatore del loro operato: il generale delle truppe ed il funzionario addetto alla riscossione delle imposte (abbastanza elevate da cui erano esentati solo gli iranici). Per gestire al meglio il controllo delle satrapie venne realizzato un imponente e funzionale sistema viario. Nella sua politica espansionistica Dario arrivò fino alla foce dell’Indo ad oriente, mentre ad occidente riaprì il canale di Suez, fatto erigere precedentemente dal faraone Necho, con 700.000 uomini invase la Tracia, per combattere gli Sciti, e sottomise Bisanzio ed anche la Macedonia, stabilendo un valido caposaldo oltre lo Stretto dei Dardanelli. Con l’oro cercò di controllare il potere su Sparta ed Atene, ma ottenne un effetto di coesione delle polis greche. Nel 498 a.C. vinse a Salamina ed a Marsia, soggiogando Cipro e le città greche dell’Asia Minore. In particolare gli abitanti di Mileto furono deportati alla foce del Tigri. Nel 490 a.C. gli ateniesi riportarono una strepitosa vittoria a Maratona, ma Dario non potè vendicarsi, in quanto prima sedò una rivolta in Egitto e poi fu colto dalla morte. Sotto questo imperatore il regno conobbe un florido periodo artistico ed economico. In tutto l’impero veniva parlata una lingua unica: il semita. Questo dimostra che i persiani non imposero i loro usi ai sudditi.

    Serse (486-465 a.C.) – fu vice re di Babilonia. Amante degli sfarzi di corte, porta avanti la lotta con la Grecia. Facendo attraversare lo Stretto dei Dardanelli dal suo esercito su un ponte, conquista la Tessaglia, la Macedonia e presso le Termopili riporta una vittoria: Atene, incendiata e saccheggiata, e l’Attica sono sottomesse. Nel 480 a.C. Serse viene sconfitto presso Salamina. Il re lascia il fronte nelle mani del generale Mardonio che continua nelle devastazioni, ma a Platea viene sbaragliato per un errore tattico dello stesso generale che si getta nella mischia e viene ucciso. La debolezza politica di Serse fa in modo che tutta la Grecia riconquista l’indipendenza: i Persiani vengono ricacciati indietro. Scoppiarono tumulti in Egitto ed a Babilonia, sedati con la violenza. L’esercito persiano, seppure numeroso, era organizzato male: i soldati venivano schierati in base al paese di origine, per cui si ingenerava disorganizzazione e confusione. Lo stesso generale combatteva tra i soldati esponendosi ad alti rischi. La città di Persepoli conobbe fasti e splendori.

    Antaserse I (465-424 a.C.) – continua nella repressione come aveva fatto il padre, ma perde influenza in Grecia ed in oriente. Non comanda mai l’esercito ed è molto legato all’ambiente di corte, circondato da eunuchi. Si mostra benevolo con gli ebrei, rispettati perché credenti in una religione monoteista, legata quasi al modello iranico pseudo-monoteista.

    Dario II (424-405 a.C.) – cercò con l’oro di riprendere l’influenza in Grecia, corrompendo i governi di Sparta ed Atene. Scoppiano diversi tumulti che lasciano il paese nel disordine. In particolare l’Egitto esce dal giogo persiano ed entra sotto il controllo greco, desideroso di impossessarsi delle sue riserve di grano. L’Asia Minore esce dal controllo achemenide. Il re non combatte mai di persona.

    Antaserse II (405-359 a.C.) – continua nella politica di corruzione nei confronti della Grecia. Sotto il suo regno 10.000 mercenari greci fanno ritorno in patria senza che il sovrano intervenga: la corte persiana continua a mostrare debolezza. Con l’oro conquista tutta la Grecia, ma scoppiano rivolte in varie satrapie, che portano all’indipendenza metà dell’impero. Il pericolo cessa con il ripensamento degli stessi satrapi, perdonati poi dal sovrano che mostra ancora la propria debolezza.

    Antaserse III (359-338 a.C.) – rapidamente riprende tutto l’impero, dando esempi di devastazioni a Sidone ed in Egitto. Intanto la Grecia si unisce in una lega sotto Filippo, re di Macedonia, che prepara l’invasione della Persia, ma viene avvelenato, forse per mano dello stesso re achemenide. Quest’ultimo cade anch’egli avvelenato segnando la fine dell’impero.

    Dario III (338-331 a.C.) – è il testimone dell’ascesa di Alessandro Magno e del mondo occidentale su quello orientale. Questi, dopo aver distrutto ed annientato Tebe, ottiene il controllo della Grecia, che però, tramite la lega di Corinto, non lo sostiene molto nella sua grande spedizione: gli vengono forniti 7.000 uomini e poche navi, che verranno impiegate pochissimo. Inizia l’invasione che non viene presa sul serio dal re achemenide. Dopo la città di Troia, tutte le altre città ioniche vengono conquistate. A Granicoi macedoni ottengono la prima vittoria sui persiani, massacrando i mercenari greci fatti prigionieri. Molte città della costa si alleano ad Alessandro, ma Alicarnasso oppone resistenza e viene distrutta. L’Asia Minore è sotto il controllo macedone e viene riorganizzata secondo il modello delle satrapie.

    Il condottiero greco presso Isso ottiene una nuova vittoria e la strada verso l’area siro-palestinese è aperta. Rapidamente la Siria è sottomessa e viene fatta prigioniera la famiglia reale. In Fenicia solo Tiro si oppone con una strenue resistenza durata 7 mesi, che alla fine la vede distrutta attraverso un abile stratagemma usato dallo stratega: la città di Tiro è un’isola, la sua forza è il mare; i macedoni costruiscono dei ponti che la rendono attaccabile via terra, eliminando la difesa del mare.
    Successivamente sarà la volta di Gaza che dopo due mesi capitola ed apre la strada verso l’Egitto, di cui Alessandro ne rimane invaghito. Qui viene accolto come un trionfatore, in quanto la popolazione si ricordava le repressioni persiane. Il macedone non insegue direttamente il re persiano, ma preferisce assicurarsi le spalle ed il controllo sul mare. Rifiuta costantemente le tre proposte di resa fatte da Dario III ed impedisce alla diplomazia della lega di Corinto di trattare la pace. Attraversa il Tigri e l’Eufrate e muore la moglie di Dario, prigioniera di Alessandro, a cui viene data sepoltura reale. Il re persiano offre al generale sua figlia in sposa e metà del regno, ma avviene un nuovo rifiuto. Presso Gaugamela (Pascolo dei cammelli), vicino Arbela, in Assiria avviene lo scontro finale dei due eserciti.
    La disorganizzazione dell’esercito persiano viene sconfitta dall’efficienza macedone. Il re fugge ad Ectabana e virtualmente Alessandro ha vinto. Viene accolto in modo trionfante a Babilonia, di cui rimane affascinato, a Susa. Sarà poi la volta di Persepoli dopo aver annientato una resistenza di un satrapo. Ovunque mantiene la struttura amministrativa preesistente, alleggerendo la pressione fiscale, affiancando un controllo militare macedone. In questo periodo Persepoli è distrutta dalle fiamme, sembra accidentalmente o per vendicare la precedente distruzione di Atene da parte di Serse. Si proclama re achemenide, nonché figlio di Zeus, ed introduce usanze orientali presso il suo seguito (uso della porpora achemenide, venerazione di divinità ultra-greche e della sua persona, inchino o proskynesisnei suoi confronti), suscitando il malumore dei suoi soldati, che viene comunque vinto dal suo carisma. Alessandrosi dirige in Bactriana, ove Dario era tenuto prigioniero dal satrapo locale, che lo uccide. Questi viene seppellito con tutti gli onori dal macedone che offre omaggio anche alla tomba di Ciro il Grande di Dario I. La sua egemonia si spinge in oriente, ove edifica numerose città che portano il suo nome, per controllare il territorio (Alessandria del Caucaso, Alessandria nella Dragiana, in Archosia). Nel 327 a.C. attraversa l’Hindukush e invade l’India, affrontando numerose battaglie, specialmente contro i Sogdiani, finché i suoi soldati ormai stanchi della guerra lo invitano a ritornare indietro. Una parte dell’esercito fa ritorno con l’ammiraglio Nearco che, attraverso l’Indo, giunge nel golfo Persico. Il resto dei suoi uomini è diviso in due gruppi: uno segue la costa, l’altro passa all’interno e subisce decimazioni. Nel 324 a.C. è a Susa. Nel 323 a.C. muore ad Ectabana Efestione, il suo amante. Nello stesso anno, avvolto da immenso dolore, il grande generale macedone muore a Babilonia. In quell’anno stava progettando la conquista di Cartagine. I suoi sudditi non si sentono dominati da uno straniero, ma mantengono la loro indipendenza. Alessandro aveva capito che il territorio era troppo vasto e gli uomini a sua disposizione erano pochi. Aveva inserito macedoni nei punti chiave dal punto di vista politico ed amministrativo. Aveva favorito la fusione tra greci ed orientali, rispettando forse anche troppo i loro usi. Questo gli provocò 4 congiure nei suoi confronti: Dragiana (330 a.C.), Marakanda (Samarcanda 328 a.C.), Bactriana (327 a.C.), Opis (324 a.C.). Era riuscito ad unificare oriente ed occidente, secondo il disegno degli achemenidi.

    Società, Amministrazione ed Attività

    La struttura societaria persiana è stata caratterizzata dalla presenza di nobili, di aristocratici, di sacerdoti e di schiavi.

    I primi trovavano la loro ricchezza principalmente nelle numerose proprietà terriere di cui disponevano. Infatti, è possibile ritenere che presso i persiani nacque una struttura che verrà ripresa successivamente dal mondo occidentale in epoca medioevale, secondo lo schema dei vassalli e dei signori.

    Sarà su questa struttura che gli imperatori più illuminati adotteranno una politica di controllo, prelevando una serie interminabile di tasse, avvalendosi di funzionari reali, ottenendo immense ricchezze che faranno dell’impero persiano uno dei più ricchi del mondo.

    Nel periodo achemenide vengono fondate le satrapie. Si tratta di regioni (ve ne erano 17), il cui controllo era affidato ad un incaricato dell’imperatore al quale doveva rispondere. Inoltre, attraverso dei legati ed un ottimo sistema viario, il sovrano stesso controllava l’attività amministrativa e giudiziaria di ciascuna satrapia.

    Questo tipo di organizzazione, tuttavia, conferiva alla periferia un ampio potere e spesso si assisteva a rivolte contro il potere centrale. Grazie a questo modello il concetto di stato si diffuse in tutto il mondo.

    Presso ciascuna corte nobiliare vi erano anche i sacerdoti, che detenevano un forte potere, se consideriamo la grandezza e la diffusione dei templi in tutto l’impero. In alcuni casi la classe sacerdotale poteva gestire anche il potere giudiziario, da cui ne derivava un continuo processo di clientelismo. Inoltre curava l’educazione dei giovani principi e futuri imperatori.

    Tale classe è stata testimone di una continua lotta tra le affermazioni delle diverse religioni praticate nell’impero (mazdekismo, manicheismo, zoroastrismo), ognuna delle quali coinvolgeva una specifica classe sociale (poveri, uomini liberi, aristocratici).

    Nell’impero vi era una presenza diffusa di schiavi, testimone del fatto che il tenore di vita era ricco e che i persiani effettuavano diverse guerre di conquista.

    Accanto a questa classe sociale vi erano numerosi poveri, lavoratori della terra, la cui vita era legata al grande proprietario terriero, che erano i primi ad essere impiegati nelle diverse guerre nei reparti di fanteria. La loro situazione sociale era disperata, infatti presso di loro si diffuse rapidamente la filosofia mazdkea (prototipo di quella marxista) che sosteneva l’eguaglianza sociale e la divisione delle ricchezze tra tutti.

    Nell’impero vi erano anche molti uomini liberi, commercianti, artisti, piccoli imprenditori che circolavano liberamente e dovevano pagare delle tasse.

    Nell’esercito, come in tutte le cose, il ruolo più prestigioso veniva svolto dai nobili, anche se spesso vi erano anche dei mercenari.

    Infine, la condizione della donna non era molto emancipata, anche se, in alcuni casi, delle donne hanno gestito il potere. Comunque, si trattava di una società tendenzialmente matriarcale, considerato che l’uomo svolgeva un’attività sedentaria e stanziale ed aveva così perso la sua importanza, non procacciando più il cibo attraverso la caccia.