Vita e opere
Giordano Bruno (1548-1600), nato a Nola, fu il più grande filosofo del Rinascimento, che, mentre assomma e compendia il lavoro dei predecessori (Talesio, Copernico, Cusano, Lullo, ect., oltre vaste tracce di neoplatonismo, stoicismo, eraclitismo), contiene i motivi principali della filosofia moderna (cfr. Spinoza, Shelling, Hegel, ect.).
Entrò assai giovane nell’Ordine domenicano, ma ne uscì presto per l’incompatibilità delle sue dottrine.
Andò peregrinando per la Svizzera, la Francia, l’Inghilterra, la Germania, finchè fu arrestato a Venezia dall’Inquisizione, e dopo qualche anno di prigione condannato al rogo.
Scrisse De la Causa Principio et uno, l’infinito Universo e Mondi, Degli eroici furori, De Monade, De immenso, La Cena delle Ceneri, ect.
Pensiero
Bruno supera il modesto e cauto naturalismo di Telesio, elaborando un organico e compiuto sistema metafisico.
1. Il centro della sua dottrina è l’infinità della natura, contrapposta alla finalità propugnata da Aristotele e dalla Scolastica.
A questa idea egli giunse sia attraverso i dati che gli venivano offerti dal progresso della scienza, specialmente dal sistema copernicano, che già aveva spostato e allargato lo sguardo dell’uomo dalla terra al sole (ma il Bruno proede oltre Copernico, col negare la finitàdel mondo e l’immobilità delle stelle fisse, sia con speculazioni proprie, miranti a dimostrare che all’infinita Causa (Dio) deve corrispondere un effetto egualmente infinito (gli “infiniti mondi”).
Se l’universo è infinito, cessa per questo fatto dall’avere un solo centro, ma come centro può esssere considerato ogni suo punto: nè la terra, nè il sole possono essere considerati il centro del mondo.
La speculazione bruniana è tutta pervasa da questo sentimento dell’infinito, che, dopo la navigazione di Colombo, che aveva osato infrangere le Colonne d’Ercole, sembra interpretare fedelmente la nuova mentalità del Rinascimento.
2. La dottrina dell’infinità della natura porta naturalmente Bruno al più rigoroso panteismo.
Egli distingue nella natura una materia (Natura Naturata) e una forma o Anima del Mondo o unità o Monade assoluta e perfetta (Natura Naturans): la prima non può stare senza la seconda e viceversa, e non è che l’apparenza molteplice, mutevole, relativa, imperfetta della seconda (cfr. neoplatonismo).
Tutto nel mondo è teofania, rivelazione di Dio: la Natura naturata ci conduce continuamente a una Natura naturante, che è la realtà in sommo grado; la molteplicità delle cose ad una Unità immobile ed eterna.
In tale Unità tutte le opposizioni coincidono (cfr. Cusano), ed anche quello che noi riteniamo sia male è “nell’occhio dell’eternitade” bene.
Bruno elimina in tal modo il dualismo aristotelico-scolastico di natura e di Dio, divinizzando la Natura e dichiarandola un complemento necessario di Dio, senza cui Dio stesso non sarebbe.
3. La morale bruniana, che si trova specialmente nell’opera Degli eroici furori, concorda con questo naturalismo panteistico.
Essa pone, al posto della quieta estasi medievale, l’eroico furore, cioè l’esigenza di un continuo autosuperamento dell’uomo verso il raggiungimento di fini sempre più elevati, per quanto sempre irraggiungibili.
Anche Bruno, come Telesio, adotta il principio della doppia verità.
Egli considera la fede come necessaria “per l’instituzione di rozzi popoli che denno esser governati”, mentre la verità di ragione spetta solo agli uomini che possono intendere e ai quali spetta di governare sè e gli altri: perciò i filosofi mai si sono opposti alla religione, anzi l’hanno favorita.
Partendo da questo principio, egli si dichiara pronto, davanti all’Inquisizione, a ritirare le sue idee e ad ammettere i dogmi della Chiesa cattolica, come già a Ginevra quelli del calvinismo.
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