Fascismo: la politica estera di Mussolini

In questo campo si notavano diverse contraddizioni che avevano contraddistinto il fascismo (tra continuazione e rottura con il liberalismo). Mussolini, da un lato aveva sempre in mente i piani di revisione dei trattati di pace; dall’altro, non voleva opporsi al volere delle grandi potenze europee di Francia e Inghilterra. Da uomo realista qual’era, si rendeva conto delle disparità tra la sua nazione e le altre due, ma il suo obiettivo restava comunque quello di far raggiungere all’Italia il medesimo loro livello sia economico che militare. Non rinunciava a gesti esteriori come nel caso dell’occupazione dell’isola di Corfù avvenuta dopo l’assassinio di un suo generale sul fronte greco – albanese, e che il duce abbandonò solo dopo la mediazione inglese. A seguito poi di una trattativa con la Jugoslavia, Mussolini firmò il trattato di Roma, e Fiume divenne città italiana.
Fino al patto di Locarno la diplomazia italiana aveva sostanzialmente mantenuto una rigorosa applicazione dei trattati di pace e il principale obiettivo era quello di mantenere indipendente l’Austria, per scongiurare un’annessione con la Germania. Tale trattato, pur avendo definito i confini occidentali della Germania, lasciava molte libertà su quelli orientali, e di questa situazione ambigua ne volle trarre vantaggio il governo fascista, con il ministro Dino Grandi. Vennero stipulati una serie di trattati e di patti d’amicizie con le regioni balcaniche (Albania, Ungheria, Romania, Bulgaria) e con l’avvento in questi paesi di governi filofascisti, il regime inaugurò una politica di sostegno alle nazioni sconfitte, in rottura con la tradizione liberale. Nonostante le ambizioni espansionistiche del duce, non vi fu mai vera rottura con le grandi democrazie occidentali. La situazione cominciò a mutare con l’affermarsi del nazismo in Germania e con la ripresa della politica espansionistica giapponese. Hitler in particolare voleva anch’egli una revisione dei trattati di pace; Mussolini si ritrovava così con un agguerrito riferimento internazionale. Tuttavia però decise di muoversi ancora verso un’intesa con Francia e Inghilterra, per paura di iniziative tedesche in Austria e firmò, nel 1933 il patto a quattro tra Italia, Germania, Francia e Inghilterra con l’impegno di una revisione dei trattati.
Le proteste scatenate dall’URSS e dagli stati balcanici indussero però la Francia a limitare la revisione di tale trattato all’interno della Società delle Nazioni, rendendo inattuabili i disegni mussoliniani di una revisione consensuale dei trattati di pace. Rimase però in lui un atteggiamento di protezione verso l’indipendenza austriaca, favorito anche dalla politica antitedesca francese. La Francia firmò infatti con Mussolini un trattato che prevedeva ufficialmente una rettifica dei confini somali, ma ufficiosamente dava il via libera all’Italia per la conquista dell’Etiopia.
La guerra d’Etiopia era dettata da due principali motivi: la crescente disoccupazione, causa della crisi economica (quindi la colonizzazione era ritenuta una valida alternativa all’emigrazione); e la necessità da parte del regime di ostentare una militarizzazione (seppur superficiale) di un atto importante di politica estera. Con grande propaganda quindi si diede avvio alle operazioni militari, condotte prima da De Bono e poi da Badoglio sul fronte eritreo, e da Graziani su quello somalo.
Conclusa vittoriosamente e brevemente la guerra, scattarono subito le ripercussioni internazionali. In particolare l’opinione pubblica inglese si dimostrò ostile a questo atto e nonostante un tentativo di rendere l’Etiopia protettorato italiano (rifiutato dal popolo inglese), la Società delle Nazioni condannò l’Italia a delle sanzioni economiche che, per quanto blande, furono usate dal regime per fini propagandistici.

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