Category: romani

  • Romani: cronologia

    ORIGINI ED ETA’ MONARCHICA XIII / 509 a.C.
    XIII / X Gli scavi archeologici riscontrano una presenza umana nei pressi di un guado del Tevere, vicino all’isola Tiberina, poco distante dalla foce. Poco a poco gli insediamenti abitativi riguarderanno i colli Palatino, Quirinale e il Foro

    IX / VII Si verificano cambiamenti socio-economici, si affermano nuove tradizioni artigianali influenzate da frequentazioni straniere (etrusche e greche). Gli insediamenti si allargano anche all’Esquilino e al Campidoglio.

    630 La pavimentazione di un tratto del Foro e la nascita della Curia Hostilia testimoniano il bisogno di un luogo di raduno. tra il 620/580 sorgerà anche la Regia e nel 560 il tempio di Vesta.
    Dalla fondazione fino al 509 Roma sarebbe stata governata da 7 re (Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo) ed i racconti fantasiosi riguardanti questi re corrispondono al progressivo insediamento di una dinastia etrusca a Roma nel VI secolo, e ad un predominio economico e culturale degli Etruschi nel Lazio.

    509 Secondo la leggenda è la data della cacciata dell’ultimo re. Storicamente è l’inizio dell’era capitolina, con la fondazione del tempio di Giove, Giunone e Minerva sul Campidoglio. Risale e questi anni il I trattato Roma – Cartagine, in seguito alla guerra contro Ardea. In esso Roma si impegna a non oltrepassare il promontorio Bello e a non commerciare in Africa e Sardegna, ma solo in Sicilia.

    L’ETA’ DELLA REPUBBLICA
    509 L’applicazione di un nuovo ordinamento costituzionale sega l’inizio di un lungo conflitto tra patrizi e plebei, per ottenere vantaggi economici e civili e per avere la possibilità di partecipare al governo. Le tappe di queste conquiste sociali:
    451 XII Tavole rappresentano la legislazione scritta
    445 LEX CANULEIA abolisce il divieto di matrimonio tra patrizie plebei
    367 LEGES LICINIAE-SEXTIAE i plebei possono accedere al consolato
    342 PLEBISCITO DI GENUCIO Non si può essere rieletti alla stessa carica se non sono passati 10 anni, e non si possono ricoprire 2 magistrature nello stesso anno
    339 LEGES PUBLILIAE almeno 1 dei censori deve essere plebeo
    300 LEX OGULNIA i plebei possono essere eletti al sacerdozio
    287 LEX HORTENSIA i plebisciti sono resi obbligatori
    In politica estera si assiste al progressivo espandersi di Roma a discapito dei Latini, degli Etruschi, dei Cartaginesi e poi del mondo greco ellenistico. Le principali battaglie e guerre:

    504 Guerra di ARICIA contro gli Etruschi che, sconfitti, pensano a forme meno oppressive di controllo (386/356 II periodo di influenza etrusca a Roma)

    501/496 Guerra contro i Latini battaglia del lago Regillo493 FOEDUS CASSIANUM trattato tra Roma e Latini: i romani si impegnano a non far passare i nemici sulle loro terre

    388 I Galli invadono Roma

    344 II Trattato con Roma-Cartagine

    L’ETA’ DELLA REPUBBLICA E LA SUA CRISI
    336/334 I guerra sannitica: scoppia per la crescente ingerenza romana nella vita degli altri popoli della penisola, ma il pretesto è che i Sanniti sobillano le classi inferiori di Napoli, ed attaccano i Sidoni di Tiro. I Romani portano loro aiuto, oltrepassano il fiume Liri e rompono il foedus del 493. Saranno sconfitti a Caudio.

    305 III trattato Roma-Cartagine Serve a Roma per tenere tranquilli i confini del sud Italia e premunirsi da eventuali alleanze etrusco-cartaginesi.

    285 IV trattato Roma-Cartagine 264/241 I guerra punica Scoppia perché Roma vede con preoccupazione l’ insediamento dei Cartaginesi in Sicilia. Il pretesto: i Mamertini, mercenari campani, oppressi dai Siracusani chiedono aiuto a Cartagine prima e a Roma poi ; per accorrere in loro difesa i Romani violano il IV trattato. La guerra si conclude, dopo episodi come quello di Attilio Regolo, con la battaglia delle Egadi in cui Lutazio Catulo sconfigge il Cartaginese Amilcare. I Cartaginesi perdono il possesso di tutte le isole tra l’Italia e la Sicilia, pagano subito 1000 talenti ed altri 2200 in 10 anni. Nel 237 anche la Corsica e la Sardegna saranno dei romani.

    226 Trattato dell’Ebro: i romani vietano ai cartaginesi il passaggio di questo fiume spagnolo.

    218/202 II guerra punica Negli anni tra le due guerre si erano succedute rivolte che i romani avevano placato, ma i cartaginesi, stanchi dei tributi, vogliono ribellarsi. Il motivo fittizio è rappresentato dalla conquista cartaginese di Sagunto, che aveva stretto un alleanza con Roma. Le battaglie più importanti:
    218 Annibale valica le Alpi e sconfigge i romani sul Ticino e sul Trebbia
    217 Sconfitta romana sul Trasimeno Q. Fabio Massimo il Temporeggiatore porta avanti azioni di disturbo (Roma è contemporaneamente impegnata anche nella I guerra macedonica)
    216 Nuova sconfitta romana a Canne
    Negli anni successivi le cose non vanno più così bene per i Cartaginesi, che perdono a Cartagena (Spagna 210), Metauro (Pesaro 207). Scipione ed Annibale concludono una tregua nel 203, ma non regge e si arriva allo scontro decisivo di Zama.
    Cartagine restituisce i prigionieri, si ritira da Italia e Gallia, rinuncia alle isole tra Italia e Africa, ad una politica estera, consegna la flotta meno 20 navi. (Roma è in questi anni tra le guerre puniche impegnata anche in scontri con l’oriente ellenistico cfr. Grecia)

    149/146 III guerra punica Si risolve nell’assedio di Cartagine, che capitola, vinta da Scipione l’ Emiliano

    167/133 In questo quarantennio si individua una svolta nella politica estera romana che, per pacificare aree di crisi ricorre all’ordinamento provinciale. La continua espansione aveva portato al fenomeno del latifondo, con la crescente riduzione dei piccoli proprietari terrieri al rango di proletari o schiavi, che possono rappresentare manodopera a basso costo, ma anche essere facilmente manovrabili

    134/133 TIBERIO GRACCO è eletto tribuno della plebe e presenta la rogatio agraria : fissa il numero massimo di iugeri per possedimento, stabilisce la ridistribuzione delle terre avanzate ai cittadini. I senatori si ribellano e lo uccidono guidati da Scipione Nasica.

    124/123 CAIO GRACCO eletto tribuno vuole indebolire la nobilitas, per questo approva leggi a favore del ceto equestre, ed inoltre la Lex frumentaria. Violando la legge che vieta la rielezione (Lex villia annalis 180.C.) è eletto per il 123 / 122, ma viene ucciso.

    112/107 Guerra contro Giugurta, re della Numidia. Si mette in luce Caio Mario, esponente dei populare, homo novus, che viene eletto console per 4 anni di fila 104 / 100 a.C.

    91/88 Guerra Sociale
    Per l’88 sono eletti consoli L. Cornelio Silla e Q.Pompeo Rufo, dopo che Rufo, convinto da Mario, gli fa affidare dal senato il comando in oriente, Silla marcia su Roma. Inizia uno scontro che si conclude nell’82 con la battaglia di Porta Collina, in cui le forze mariane sono battute.

    82/81 Dittatura di Silla: limita il diritto di veto dei tribuni della plebe, stabilisce un ordine ed un intervallo di tempo tra le magistrature, riordina il sistema giudiziario, ripristina l’organico del senato.

    78/49 Roma è governata dalla nobilitas di ascendenza sillana, definita “l’ultima generazione della repubblica”. I “populares” processano gli esponenti più corrotti (Cesare contro Dolabella, Cicerone contro Verre)

    63 Congiura di Catilina. Cesare, Pontefice Massimo, denuncia i diritti negati ai congiurati, questo gli costa la rottura con gli Optimates, ma anche la leadership dei populares. Pompeo rientrato nel 60 a Roma dopo aver pacificato l’oriente trova un clima sospettoso ed avverso ed offre il suo appoggio a Cesare e a Crasso.

    49/44 Nasce il I TRIUMVIRATO (accordo segreto). Cesare và in Gallia.
    Dopo la morte di Giulia, moglie di Pompeo e figlia di Cesare, i due sono in rotta. Il senato appoggia Pompeo e Cesare varca il Rubicone. Scoppia la guerra civile, il senato si rifugia in Grecia.
    Inizia la dittatura di Cesare di stampo ellenistico. Nel testamento di Cesare i beneficiari sono la plebe ed il giovane Ottaviano, Antonio rimane a bocca asciutta.
    43 Dopo aver allestito un esercito Ottaviano si fa nominare console mentre Antonio assedia Bruto a Modena. Antonio, Lepido, Ottaviano stipulano il II TRIUMVIRATO, (sancito dalla lex Titia)

    42 I cesaricidi muoiono a Filippi

    40/31 Progressivo allontanamento tra Ottaviano e Antonio, che porterà alla dichiarazione di guerra all’Egitto di Cleopatra

    ETA’ IMPERIALE
    27 Il 16 Gennaio Ottaviano riceve il titolo di Augustus Politica ESTERA guerre e campagne in Etiopia, Arabia Germania e nel regno dei Parti

    *14 d.C. Politica INTERNA : riforma economica e del Cursus Honorum, maggiore burocrazia. Augusto muore (*le date sono d’ora in poi tutte d.C.)
    14/37 TIBERIO patrizio restauratore della libertà, è malvisto dal senato, che ha paura di nuovi scontri e guerre
    sociali. Dà impulso al commercio con l’India per risollevare le finanze.

    37/41: Caligola

    41/54 Claudio:
    INTERNI E’ l’epoca dei liberti, che vogliono avere successo in politica; oramai con il denaro si può fare tutto, persino comperare la cittadinanza. Nel 49 caccia i Giudei da Roma, perché li confonde con i Cristiani;
    predicazione di Paolo a Roma

    54/68 Nerone:
    INTERNI La riforma più importante è il cambiamento del rapporto oro/argento nella monetazione. Il tutto và a favore del denarius d’argento, moneta della borghesia

    68/69 E’ stato definito il “Longus et unus annus” in cui si succedono:
    GALBA, governatore della Tarraconese
    OTONE, di ispirazione borghese eletto dalle coorti pretorie
    VITELLIO, legato della Germania superiore

    69/79 VESPASIANO, borghese eletto dalle truppe in Giudea
    INTERNI: Preoccupato della restaurazione dell’ordine, rivendica allo Stato le terre usurpate dai privati cittadini : si scatena il “metus totius taliane”.
    ESTERI: 70 presa di Gerusalemme da parte di Tito

    79/81 TITO Figlio di Vespasiano (Eruzione del Vesuvio)

    81/96 DOMIZIANO Figlio di Vespasiano
    INTERNI: Fonda la sua autorità sull’appoggio dei possessores italici, perciò è favorevole ai piccoli proprietari terrieri. Aria di Cristianesimo a corte.
    ESTERI: 89 foedus con i Daci, sistema i confini danubiani e renani con gli agri decumates

    96/98 NERVA

    98/117 TRAIANO Spagnolo aristocratico
    INTERNI: svalutazione dell’aureus a vantaggio del denarius. Ma questo deve essere giustificato da più oro circolante e per questo conquista la Dacia
    ESTERI è il grande conquistatore ; campagne contro Germani, Daci e Parti

    117/138 ADRIANO figlio adottivo di Traiano, con lui inizia il principato adottivo E’ ricordato dall’historia augusta come colui che costruisce il muro a protezione dai barbari

    138/161 ANTONINO PIO che per dare più stabilità designa due uomini a succedergli: Lucio Vero (che governa fino al 169) e 161/180: MARCO AURELIO Tensioni con i Cristiani e all’estero con Quadi e Marcomanni

    180/192 COMMODO Figlio di M. Aurelio, con lui finisce il principato adottivo, gli imperatori non saranno più gli Optimi, ma i figli dei precedenti

    193 Come nel 68/69 si succedono quattro imperatori:
    PERTINACE, eletto dai pretoriani
    DIDIO GIULIANO, senatore
    PESCENNIO NIGRO eletto dai legionari della Siria
    SETTIMIO SEVERO eletto dai legionari dell’Illiria. I due si scontrano ad Isso e vince Settimio Severo

    193/211 SETTIMIO SEVERO Il suo interesse è favorire l’esercito, perché su di esso si fonda il suo potere

    211/217 CARACALLA uccide il fratello Geta per salire al potere
    INTERNI: Costitutio antoniniana concede la cittadinanza a tutti i cittadini liberi dell’impero esclusi i dediticii (masse inferiori)

    217/218 MACRINO che scontenta tutti: senato ed esercito

    218/222 ELAGABALO

    222/235 SEVERO ALESSANDRO

    235/238 MASSIMINO IL TRACE soldato della Tracia che vuole la guerra ai barbari, ma ha bisogno di soldi: attacca i Cristiani, requisisce i latifondi, aumenta la pressione fiscale, mette in circolazione più denarii che aurei

    238/244 GORDIANO III

    244/249 FILIPPO L’ARABO e figlio: cristiano esponente della classe equestre

    249/251 MESSIO TRAIANO DECIO: esponente della classe senatoria p perseguita i cristiani

    251/253 TREBONIANO GALLO e VOLUSIANO

    253/260 VALERIANO e GALLIENO con loro l’impero comincia a dividersi in 3 tronconi:
    Galli, Spagna, Britannia -> POSTUMO
    Italia, Illiria -> GALLIENO
    Oriente -> ODENATO

    268/270 CLAUDIO GOTICO di origine dalmata, vince i Goti a Naisso 269

    270/275 AURELIANO

    275/276 PROBO

    282/283 CARO

    283/285 CARINO si scontra con Diocleziano a Margo

    283/284 NUMERIANO

    285/305 DIOCLEZIANO ufficiale dalmata Le sue riforme:
    Militare: vuole creare un esercito di meno soldati, perché l’arruolamento era malvisto e si ricorreva ai barbari, ed era difficile mantenerlo.
    Agraria: divide la terra arabile e produttiva per il numero dei coloni, in base a questa “formula coensi” si trova la quantità che ciascuno deve dare per il sostentamento dell’esercito.
    Sociale: divide l’impero in diocesi rette da vicari di origine equestre
    Economica: Con l’Edictum de pretiis fissa un calmiere.
    Religiosa: perseguita i crisitani
    Governativa: inventa il sistema della TETRARCHIA in cui due Augusti adottano due Cesari per la successione.

    308 Congresso di Carnunto : gli Augusti MASSIMIANO GALERIO e LICINO eleggono rispettivamente cesari MASSIMINO DAIA e COSTANTINO

    312 28 Ottobre Costantino sconfigge Massenzio, eletto dai pretoriani, al ponte Milvio

    313/337 COSTANTINO e LICINO (313/324)
    Editto di Milano 313 – Concilio di Nicea 325 (divisione potere laico/potere religioso, l’Arianesimo è un’eresia) Riforma economica: l’economia si fonda sul solidus aureus cioè sulla moneta che ha valore in sé per la quantità di oro di cui è composta
    Sposta la capitale a Bisanzio a Costantinopoli

    337/340 COSTANTINO II Gallie

    337/350 COSTANZO II Oriente e Tracia

    337/350 COSTANTE Italia, Africa e Macedonia
    Entrano presto in guerra tra di loro e nel 340 Costanzo II perde contro Costante ad Aquileia

    351/361 COSTANZO II

    361/363 GIULIANO: Crea la siliqua per le classi più umili, ma i soldati vogliono il solidus

    363/364 GIOVIANO

    364/375 VALENTINIANO I e VALENTE II (364/378) Rivalutazione del solidus aureus. S. Ambrogio vescovo 373

    375/383 GRAZIANO (occidente)

    375/388 VALENTINIANO II

    379/394 TEODOSIO INTERNI: emissione delle tremisses, monete d’oro di 1 gr. Editto di Tessalonica 380 condanna dell’Arianesimo ed unificazione sotto il simbolo Niceno
    ESTERI: firma un foedus con i Goti, che possono stanziarsi nell’Illiria
    Affronta Arbogaste, generale franco di Valentiniano II al Frigido, ma muore e affida i suoi figli ARCADIO e ONORIO a Silicone.
    395/408 STILICONE: I Goti con Alarico invadono dall’Illiria Costantinopoli e l’Italia. Nel 406 arrivano anche gli Alani, i Vandali , i Burgundi

    394/424 ARCADIO in realtà aveva 18 anni alla morte del padre e non accetta l’autorità di Silicone, che limita in Occidente

    394/423 ONORIO a lui spetta l’occidente insieme a Stilicone

    424/455 TEODOSIO II e VALENTINIANO III
    451 battaglia dei campi CATALAUNICI: Romani, Franchi, Burgundi, Sassoni, Alani, Visigoti contro Unni, Gepidi, Ostrogoti.
    Questi ultimi perdono, ma ci riprovano l’anno successivo, quando Attila è fermato dal vescovo di Roma Leone
    476 23 Agosto Odoacre dopo aver eliminato i due Augusti padre e figlio Oreste e Romolo è proclamato re d’Italia Termina l’impero romano d’occidente.

  • Romani: l’impero e la diffusione del cristianesimo

    La dinastia dei Severi
    Alla morte di Commodo gli succedette per breve tempo il generale Elvio Pertinace, eletto dal senato. I pretoriani lo assassinarono e offrirono il regno al miglior offerente, il senatore Didio Giuliano, fino a quando l’esercito stanziato sul Danubio proclamò imperatore il comandante Settimio Severo.
    Questi, in guerra contro i Parti, conquistò Ctesifonte e ricostituì la provincia di Mesopotamia (199-202).Per risanare la crisi economica interna, centralizzò il sistema delle corporazioni, controllate direttamente dallo Stato, e dimezzò la quantità di argento nelle monete per emetterne una quantità maggiore.
    Alla sua morte furono nominati imperatori i suoi figli Caracalla e Geta che fu assassinato dai pretoriani. Caracalla tentò di conquistare consenso con una politica espansionistica (buoni risultati contro gli Alamanni nel 213) e facendosi oggetto di esaltazione religiosa. Con un importante Editto, la Constitutio Antoniniana, nel 212 concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero. Morì in seguito a una congiura ordita dal prefetto del pretorio Macrino, che gli succedette (217).
    Deposto Macrino da una congiura militare, il potere tornò ai Severi con il giovane Eliogabalo. Sacerdote in Siria del dio solare El Gabal, dedicò ogni energia a promuovere la propria religione. Ucciso dai pretoriani nel 222, gli succedette il cugino Alessandro Severo il quale cercò di conciliarsi il senato ma, per il suo atteggiamento pacifista, fu avversato dai militari, che lo uccisero nel 235.

    Da Massimino a Diocleziano
    I militari elessero imperatore il centurione Massimino (primo imperatore di umili origini). Dopo di lui, ucciso da una cospirazione del senato, tra il 238 e il 284 (periodo detto dagli storici anarchia militare), il potere passò tra le mani di 21 imperatori di cui 19 perirono assassinati. Lo Stato era vicino al tracollo: gruppi di Germani, tra cui i Goti varcavano i confini, a Oriente premeva la dinastia dei Sassanidi, discendenti dei Persiani.
    Durante il regno di Gallieno (253-268), alcune regioni, organizzatesi autonomamente pur rimanendo fedeli all’Impero, riuscirono a contenere l’avanzata nemica. Le frontiere furono ristabilite al Reno e al Danubio.
    L’anarchia militare di questo periodo fu arrestata dai cosiddetti imperatori illirici (tutti nativi della Dalmazia), i quali furono tutti valenti soldati, fautori della più rigida disciplina e fedeli all’ideale di Roma.
    I principali fra essi furono Claudio II, soprannominato il Gotico (268-270) per le sue vittorie sui Goti e gli Alamanni.
    Aureliano (270-275) che continuando l’operato del suo precedessore cinse Roma di una poderosa cerchia di Mura (Mura Aureliane).
    Probo (276-282) e Caro (282-283) che continuarono a difendere l’Impero contro le sempre più frequenti irruzioni dei barbari.
    La ripresa definitiva si ebbe con Diocleziano. Imperatore dal 284, divise il potere con il commilitone Massimiano a cui affidò il compito di governare l’Occidente. Sedi degli Augusti erano Nicomedia e Milano, capitale d’Occidente fino al 404 d.C.
    Domata una ribellione in Egitto, Diocleziano si dedicò alla riorganizzazione dell’Impero. Ripartì il territorio in 12 diocesi che comprendevano più province. Tentò di consolidare le finanze stabilendo un tetto a salari e prezzi e imponendo un regime di doppia tassazione, sulla proprietà fondiaria e sulla persona.
    Nel 293 creò la cosiddetta “tetrarchia” in base alla quale il potere fu ripartito tra due “Augusti”, lui e Massimiano, e due “cesari”, nella veste di successori designati, Galerio e Costanzo Cloro. In questo modo veniva inaugurata l’epoca del dominato (da dominus, signore). Nel 303, di fronte all’opposizione suscitata dal rilancio del carattere divino del l’imperatore, emanò una serie di editti di persecuzione contro i cristiani. Nel 305, malato, depose il potere con Massimiano a favore dei Cesari.

    La crisi dell’Impero Romano e l’affermarsi del Cristianesimo
    La gestione dell’Impero ideata da Diocleziano (tetrarchia) invece di facilitare il problema della successione lo complicò. Costantino, prevalso tra i pretendenti, rinsaldò il potere centrale, riorganizzò in modo efficiente l’esercito e cercò di porre fine ai conflitti religiosi e culturali.
    Con l’Editto di Milano, con cui si concedevano ampie libertà ai cristiani, il destino dell’Impero cominciò a legarsi a quello della Chiesa. Negli ultimi decenni del IV sec. i Goti, stanziatisi nell’lmpero per concessione dell’imperatore d’Oriente Valente, sconfissero l’esercito romano, penetrarono in Tracia e minacciarono Costantinopoli.
    La pace fu stipulata dal nuovo imperatore d’Oriente, Teodosio e i Goti si allearono all’Impero fornendo sempre più soldati all’esercito romano. Teodosio e Graziano (imperatore d’Occidente), con l’Editto di Tessalonica, fecero del Cristianesimo l’unica religione dell’Impero. Alla morte di Teodosio, il generale vandalo Stilicone, al servizio di Roma, non riusci a impedire l’invasione dei Goti e la nascita del primo Regno barbarico nelle Gallie.
    Nel 410 il visigoto Alarico saccheggiava Roma. Anche i Vandali e gli Unni invasero l’Impero, che nessun imperatore seppe risollevare.
    Nel 476 il capo dell’esercito barbaro Odoacre depose l’ultimo imperatore d’Occidente Romolo Augustolo.

    L’Impero di Costantino e la diffusione del Cristianesimo
    Dopo l’abdicazione di Diocleziano e Massimiano sembrò funzionare il meccanismo della tetrarchia: i due Cesari divennero Augusti e nominarono altri due Cesari.
    Alla morte di Costanzo Cloro si scatenò la lotta alla successione. Tra tutti i pretendenti prevalsero in Occidente il figlio di Costanzo Cloro, Costantino (che sconfisse il rivale Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio a Roma nel 312) e in Oriente Licinio (nominato da Diocleziano, intervenuto per calmare i contrasti).
    Nel 313 i due imperatori, incontratisi a Milano, emanarono un Editto, con il quale concedevano libertà di culto ai cristiani e promulgavano leggi in loro favore. Quando Licinio prese a perseguitare di nuovo i cristiani, Costantino gli mosse guerra e nel 324, sconfittolo, divenne unico imperatore e trasferì la capitale a Bisanzio, chiamandola Costantinopoli. Rese quindi più efficiente l’esercito e ampliò l’apparato burocratico, inoltre la figura dell’imperatore fu definitivamente assimilata a quella del sovrano assoluto di stampo orientale, circondato da un’aura sacrale.
    Dopo aver sconfitto i Goti nel 332 Costantino morì nel 337 mentre si preparava ad affrontare i Persiani. Nei confronti del Cristianesimo egli aveva adottato una politica sempre più favorevole, arrivando a esortare i sudditi orientali ad abbracciare questa religione e affidando ai cristiani incarichi nell’esercito e nella pubblica amministrazione.

    Il Cristianesimo e i motivi delle persecuzioni
    Le prime comunità cristiane erano sorte in seguito alla predicazione di Gesù Cristo (vissuto ai tempi di Augusto e Tiberio), degli apostoli e alla predicazione itinerante di Paolo di Tarso.
    I centri cristiani più importanti furono Antiochia Corinto, Efeso, Alessandria e Roma. La penetrazione nell’Impero romano non fu arrestata nemmeno dalle periodiche persecuzioni scatenate dagli imperatori (tra cui Nerone, Domiziano, Decio, Valeriano e Diocleziano).
    Le ragioni delle persecuzioni erano varie: la preoccupazione delle autorità politiche per la forza persuasiva delle comunità cristiane che, con la loro organizzazione gerarchica, apparivano come uno “Stato nello Stato”; il rifiuto dei cristiani di riconoscere la divinità dell’imperatore; l’inquietudine dell’opinione pubblica che vedeva nella crisi dell’Impero una vendetta degli dei. Le cose cambiarono con Costantino e Teodosio, quando il Cristianesimo divenne elemento costitutivo dell’Impero.

    Da Giuliano a Teodosio
    Alla morte di Costantino gli succedettero i tre figli Costante, Costanzo e Costantino II. Costanzo, prevalso sui fratelli, scelse come successore Giuliano, il generale che aveva sconfitto gli Alamanni nel 357.
    Questi, circondatosi di intellettuali e filosofi pagani cercò di escludere i cristiani dalle cariche dirigenziali e tentò di restaurare il paganesimo (i cristiani lo soprannominarono l’Apostata, cioè il Rinnegatore, poiché aveva abbandonato la religione cristiana). Per acquistare prestigio presso il popolo progettò di eliminare totalmente l’Impero persiano ma morì in battaglia. Verso la fine del IV sec. i Goti, spinti dagli Unni, arrivarono al confine danubiano e chiesero di essere ammessi nell’Impero.
    Valente, imperatore d’Oriente, accettò, sperando di utilizzarli nell’esercito ma i continui saccheggi nelle regioni imperiali portarono alla guerra. Nel 378 a Adrianopoli, in Tracia, l’esercito romano fu duramente sconfitto. I Goti dilagarono allora in Tracia, saccheggiando e distruggendo. Graziano, già imperatore d’Occidente, rimase sul trono, mentre in Oriente fu eletto imperatore un generale spagnolo, Teodosio (379).
    Invece di continuare a combattere, Teodosio contrattò la pace, i Goti divennero alleati dell’Impero, sposarono donne romane ed ebbero incarichi dirigenziali. Graziano e Teodosio, nel 380, promulgarono l’Editto di Tessalonica, con il quale il Cristianesimo diventava l’unica religione dell’Impero e veniva cancellata ogni usanza pagana (sacrifici, giochi olimpici, templi).

    Il crollo dell’Impero d’Occidente
    Morto Teodosio, unico imperatore dalla morte di Graziano, gli succedettero i figli Arcadio (a Oriente) e Onorio (a Occidente) che, ancora giovani, furono affidati al generale di origine vandala Stilicone.
    I Goti, controllati tramite concessioni di terre e denaro, divennero sempre più esigenti e decisero di penetrare in Italia guidati da Alarico. Stilicone, nonostante li avesse sconfitti, patteggiò la pace. Altri barbari premevano in Gallia e Spagna: Svevi, Alamanni e Vandali. La classe dirigente, trasferita la capitale a Ravenna e fatto uccidere Stilicone, cercò di affrontare gli invasori.
    Alarico, nel 410, saccheggiò Roma; il suo successore, Ataulfo, fondò nelle Gallie il primo Regno barbarico e sposò la sorella di Onorio. Nel frattempo, i Vandali di Genserico conquistarono Cartagine, impadronendosi della provincia d’Africa (429).
    Nel 430 l’Impero d’Occidente era costituito dall’Italia, da parti della Gallia e da poche terre nei Balcani. All’inizio del V sec. fecero irruzione in Europa, saccheggiando molte città orientali, gli Unni, popolazione asiatica guidata dal feroce Attila. Il generale romano Ezio, alleatosi con i Visigoti, li affrontò e sconfisse ai Campi Catalaunici, nella Francia del nord (451).
    Quando Attila tornò in Italia, l’anno seguente, devastando il Veneto, gli fu mandato incontro il papa Leone I, per contrattare la pace. Colpiti dalla peste, gli Unni si ritirarono e Attila morì nel 453 in annonia. Cessato il pericolo degli Unni, l’Impero era ormai stremato. Capo effettivo, nonostante l’imperatore fosse Valentiniano III, discendente di Teodosio, era il generale Ezio.
    Morto Valentiniano III (455) i Vandali devastarono Roma spogliandola di tutte le sue ricchezze. Dopo un periodo in cui regnarono vari imperatori controllati dal barbaro Ricimero, il patrizio Oreste fece proclamare imperatore il figlio Romolo Augustolo.
    Dopo pochi mesi, costui fu deposto da Odoacre, capo dell’esercito barbaro al servizio dell’Impero, che accettò da Zenone, imperatore d’Oriente, di governare l’Italia. Di fatto era la fine dell’Impero d’Occidente.(476)

    Economia e società nell’Impero Romano
    La fine delle guerre civili e l’instaurazione da parte di Augusto del regime imperiale sono i presupposti politici fondamentali per comprendere l’evoluzione economica dei secoli successivi. L’unità imperiale e i lunghi periodi di pace interna che i successori di Augusto riuscirono a garantire allo Stato romano consentirono una grande crescita della produzione e della circolazione di beni, sia a livello locale e regionale sia nell’ambito del grande commercio.
    Le attività economiche si svolsero infatti all’interno di una cornice unificante costituita da un forte govemo centrale, da un comune sistema monetario e fiscale e da un orientamento generale teso a superare le diversità etniche e culturali dell’lmpero, che culminò nel 212 con la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti (Constitutio Antoniniana di Caracalla). La mobilità sociale, cresciuta anche all’intemo, ebbe un ruolo importante nell’economia. Il numero sempre maggiore di liberti alimentò un nuovo ceto di piccoli borghesi, artigiani, mercanti, banchieri e poi funzionari dello Stato. Il dispositivo militare, collocato in epoca imperiale lungo le frontiere, oltre ad alimentare scambi economici, provocò nuovi stanziamenti e offri possibilità di vita decorosa e anche di carriera a molti soldati.

    Evoluzione economica nell’Impero
    A partire dal I sec. si possono delineare nell’Impero diverse aree economiche. In Italia la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, il Settentrione; in Oriente la Grecia, Creta, la Cirenaica, la Palestina, la Siria, la Mesopotamia; in Africa l’Egitto, Tripoli, il Marocco, Cartagine; e inoltre la Gallia, la Britannia, la Germania occidentale. A partire dal II sec., il prezzo delle terre, inferiore a quello dell’Italia, attirò sempre più persone in queste regioni, causando contemporaneamente nella penisola un aumento delle terre incolte e un crescente spopolamento.
    L’unità politica e amministrativa consentì il funzionamento di una complessa e capillare rete di circolazione fra le province di derrate alimentari (soprattutto grano, vino, olio), materie prime e manufatti di ogni genere. L’immenso Impero, esteso su tre continenti e comprendente aree geografiche diversissime, ebbe il suo fattore unificante nel Mediterraneo. Sul grande mare interno gravitavano le poche megalopoli (Roma Cartagine, Antiochia, Alessandria e, dal IV sec., Costantinopoli) le quali non avrebbero potuto sopravvivere senza i rifornimenti transmarini.
    Il modello di civiltà e di rapporti economici esistente da secoli sulle coste del Mediterraneo si estese nelle parti continentali dell’Europa e dell’Africa, notevolmente arretrate al momento della conquista. Fra il I e il II sec. Roma trasformò profondamente queste aree con un’intensa e programmatica opera di “romanizzazione” il cui strumento principale fu la creazione di città.
    Nelle regioni del Maghreb, in Spagna, nell’Europa settentrionale (Gallia e Britannia) e in tutta l’area danubiana l’urbanizzazione comportò la sistematica riorganizzazione dei territori e la trasformazione, spesso profonda, delle loro vocazioni produttive.
    L’estensione del modello sociale ed economico della città mediterranea implicava, infatti, assoluta prevalenza dell’agricoltura, sedentarizzazione delle popolazioni nomadi e seminomadi, contrazione dell’economia pastorale, un articolato sistema artigianale destinato a soddisfare i bisogni delle città, sviluppo dei commerci, adozione generalizzata della moneta negli scambi.
    Crebbero, quindi, i legami fra centro mediterraneo e periferie continentali, divenne intensa la circolazione delle merci e delle persone, e si fecero complessi i rapporti economici nei quali si inserirono anche le popolazioni barbariche.

    Cambiamenti politici e cambiamenti economici
    Mentre nel I sec. terminò la supremazia agricola e commerciale che l’Italia aveva esercitato nei secoli precedenti, crebbero le esportazioni (olearie e vinarie soprattutto) della Gallia meridionale, della Tarraconense e della Betica.
    Col sec. III iniziò per queste province una fase di regresso economico e subentrò una nuova egemonia, quella africana, fondata sull’esportazione dell’olio e, collateralmente, di ceramiche. Caduto l’Impero d’Occidente e occupata l’Africa dai Vandali nella prima metà del V sec., iniziarono a prevalere nel Mediterraneo le esportazioni di merci e derrate provenienti dalle province dell’Egeo, dell’Asia Minore e dell’area siropalestinese.
    In generale, si può dire che l’economia seguì i tempi della politica. Considerato il lungo arco dell’età imperiale, i secoli I e II furono interessati da un generale movimento espansivo che rallentò ed entrò in crisi nella seconda metà del sec. III, quando l’Impero fu scosso da alcuni decenni di insicurezza politica e militare.
    Con l’avvento di Diocleziano anche la compagine produttiva recuperò vigore ma all’interno di una forma autoritaria di governo che interveniva pesantemente nel funzionamento dei meccanismi economici per mezzo della fiscalità. Il IV sec. segnò in complesso un momento di recuperata floridezza che cominciò a declinare in Occidente a seguito delle invasioni barbariche del V sec. e seguirà, sia pure con recuperi parziali un andamento discendente sotto i Regni romano-barbarici dei secoli. Vl-VII.

    Società e mobilità sociale
    In età monarchica e repubblicana la società era formata da pochi ceti prevalenti, i patrizi (che alimentavano l’esercito e il ceto dirigente), i plebei (soprattutto contadini) e gli schiavi. Al tempo di Augusto i cittadini più in vista potevano percorrere il cursus honorum, aspirando alle cariche più alte, coloro che possedevano almeno 400 000 sesterzi, per diritto di famiglia o per concessione dell’imperatore, potevano invece aspirare alla carriera equestre (i cavalieri erano inizialmente formati da coloro che potevano armarsi per combattere a cavallo) e diventare governatori di province minori e amministratori del fisco. Il patrimonio dava quindi la possibilità di aspirare a una classe sociale più elevata.

    Esercito e mobilità sociale
    Inizialmente potevano far parte dell’esercito solo i patrizi che potevano permettersi di comprarsi armi e armature.
    Un importante cambiamento fu introdotto da Mario che ammise nell’esercito anche volontari nullatenenti e distribuì terre ai suoi veterani. In questo modo, molti poveri cittadini, arruolandosi in un esercito professionale, trovavano un mezzo di sostentamento.
    Con Augusto questa possibilità fu aperta anche ai provinciali che, arruolandosi, diventavano cittadini romani e potevano fare carriera. In età imperiale inoltre molte truppe furono stanziate ai confini dell’Impero e con Adriano cominciarono a essere arruolati anche alcuni barbari.
    Molti soldati, dopo la ferma, si trasferivano nelle regioni vicine, provocando un certo spopolamento soprattutto in Italia; molti accampamenti, inoltre, costituirono il nucleo di future città.

    La mobilità dei liberti
    Fin dall’età repubblicana uno schiavo meritevole poteva essere “affrancato”, cioè liberato (pur mantenendo un vincolo di fedeltà al padrone) e diventare liberto, a tutti gli effetti un cittadino romano.
    La presenza dei liberti fu un elemento di dinamismo economico in quanto molti di essi, abili e intraprendenti, facevano fortuna in attività artigianali, culturali o finanziarie (banchieri, mercanti).
    Sotto Claudio molti liberti acquistarono influenza negli affari statali, poiché inquadrati nell’apparato burocratico dello stato.

    La romanizzazione e il valore della cittadinanza romana
    Erano cittadini di diritto i figli legittimi di un cittadino o i figli naturali di una cittadina. Potevano diventarlo, invece, gli schiavi affrancati o intere popolazioni assoggettate quando Roma lo avesse deciso. Dopo la guerra sociale il senato fu costretto a concedere la cittadinanza a tutta l’Italia.
    Progressivamente, in età imperiale, la cittadinanza fu estesa a molte province e, nel 212, a tutti gli abitanti. Ma quale valore aveva diventare cittadini romani? Innanzitutto i cittadini non erano sottoposti a tortura o fustigati e potevano essere condannati a morte solo da un’assemblea cittadina e non da un semplice magistrato.
    Inoltre, solo i cittadini avevano diritti politici e potevano aspirare a far parte della classe dirigente. In età imperiale molti funzionari, senatori, consoli e anche imperatori (es. Traiano) furono di origine provinciale.
    Concedendo la cittadinanza, Roma assimilava le popolazioni sottomesse e soprattutto legava a sé le loro classi dirigenti. Questo spiega perché durante l’Impero, a differenza dell’età repubblicana, furono rare le rivolte dei popoli vinti.

    BIBLIOGRAFIA: Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse – Tutto Storia De Agostini

  • Romani: Augusto e l’impero

    Augusto princeps
    Dopo la vittoria di Azio contro Antonio, Ottaviano cercò di consolidare il suo potere, evitando atti che potessero farlo sospettare di aspirare al dominio assoluto. Nel gennaio del 27 a.C. il senato gli confermò le funzioni precedenti e gli conferì un potere militare (imperium) decennale e il governo di un certo numero di province; ricevette inoltre il titolo di Augusto (termine che indicava l’autorità quasi sacra, sottolineandone la dignità) e onorificenze simboliche.
    Dal 31 al 23 a.C. fu ininterrottamente console, non potendo avere il consolato a vita, si fece assegnare, nel 23 a.C., un imperium proconsulare maius et infinitum, cioè un ampio potere senza limiti temporali sulle province e sull’esercito, superiore a quello dei proconsoli oltre alla tribunicia potestas, cioè la totalità dei poteri dei tribuni, con diritto di veto e facoltà di proporre e far approvare le leggi che egli stesso, come princeps senatus (capo del senato), aveva il diritto di votare per primo.
    Nel 23 a.C. erano dunque poste le basi costituzionali del Principato; altre connotazioni essenziali del nuovo regime prenderanno corpo in seguito, per esempio il pontificato massimo nel 12 a.C. alla morte di Lepido e il titolo di “padre della patria” nel 2 a.C.
    In campo militare Ottaviano ridusse il numero delle legioni a 28, dalle 60 delle guerre civili, e costituì una guardia personale del principe (guardia pretoriana) comandata da due prefetti equestri. Il collocamento in congedo dei veterani richiese la fondazione di colonie e l’istituzione di una cassa apposita, l’erario militare (6 d.C.). In politica estera Augusto rafforzò i confini settentrionali dell’Impero con una serie di campagne militari e con l’istituzione di nuove province: il Norico (parte dell’Austria), la Pannonia (attuale Ungheria), la Mesia (tra il Mar Nero e i Balcani) e la Rezia (Trentino Alto Adige e parte della Svizzera).
    Il tentativo di penetrazione della Germania, fino all’Elba, fu interrotto dall’insurrezione di tribù germaniche (9 d.C.) guidate da Arminio. Il confine fu così stabilito al fiume Reno. In campo amministrativo Augusto riformò il sistema dei servizi (corpi di polizia, riscossione delle imposte, censimenti periodici di tutta la popolazione), I’amministrazione della città di Roma (con a capo il prefetto urbano), dell’Italia (ripartita in undici regioni) e delle province (divise in imperiali, ovvero quelle non pacificate e direttamente dipendenti dal principe, e senatorie, sottoposte al governo del senato).
    Il senato, pur avendo perso importanza dal punto di vista politico, fu coinvolto nell’amministrazione dell’Impero. Dal senato provenivano i proconsoli, amministratori delle province pubbliche, i comandanti degli eserciti, gli addetti alle opere pubbliche (curatores) e il praefectus urbi (prefetto urbano) che esercitava poteri di polizia. Solo i senatori più ricchi o i loro figli potevano percorrere la carriera politica (cursus honorum) fino alle cariche più alte, dalla questura al consolato.
    Generalmente i consoli, dopo sei mesi o meno, abbandonavano la carica, cedendo il posto a sostituti (suffecti), garantendo un ricambio che accontentava un gran numero di aspiranti.
    Coloro che possedevano almeno 400 000 sesterzi, per diritto di famiglia o per concessione dell’imperatore, potevano aspirare alla carriera equestre. I cavalieri potevano diventare governatori (praefecti) e amministratori del fisco delle province imperiali. Potevano inoltre aspirare alla carica di “prefetto del pretorio” (capo della guardia personale del princeps) o alla prefettura in Egitto, provincia considerata dominio personale di Augusto.
    I comizi persero tutto il loro potere, limitandosi ad acclamare i candidati scelti dal senato a sua volta influenzato dalle decisioni del princeps. Augusto creò anche una fitta rete di funzionari con i quali controllava l’attività degli organi repubblicani e governava le province imperiali. Essi erano nominati e dipendevano direttamente da Augusto che dava loro anche una retribuzione, a differenza di quanto avveniva per i magistrati della Repubblica che svolgevano i loro compiti gratuitamente. La carriera dei funzionari prevedeva promozioni per i più meritevoli che potevano anche aspirare a diventare membri del senato.

    L’organizzazione del consenso
    Ottaviano riuscì a creare attorno a sé un clima di consenso e di riconoscenza per la pace che era finalmente tornata dopo anni di lotte intestine, di persecuzioni tra avversari politici e di instabilità amministrativa.
    Tale consenso fu anche frutto di una incisiva attività propagandistica. Augusto si presentò come il restauratore del vecchio ordine, degli antichi valori morali e religiosi.
    Tali messaggi venivano ampiamente diffusi attraverso tutti i canali della comunicazione allora disponibili (epigrafi, monete, oggetti d’arte e monumenti), oltre che dall’attività del circolo di Mecenate che raccoglieva i massimi artisti e letterati del tempo, come Virgilio, Orazio, Livio, Tibullo, Properzio.
    La restaurazione religiosa, oltre che dal ritorno ai culti arcaici (Augusto fece restaurare vecchi templi in rovina e riorganizzò i collegi sacerdotali di cui egli stesso fece parte), fu caratterizzata dalla nascita di forme di culto alla persona del principe che, spontanee in Oriente, furono associate in Occidente e in Italia alla dea Roma.
    Il nuovo equilibrio garantì una ripresa generale della vita civile e dell’economia; furono restaurati vecchi edifici e ne furono costruiti di nuovi per abbellire la città di Roma. Sorsero numerosi templi, basiliche, piazze e portici (il Pantheon, il teatro di Marcello, l’Ara pacis).

    La questione della successione
    Augusto si preoccupò di assicurare una trasmissione pacifica del suo potere. Teoricamente sarebbe spettato al senato designare il successore, ma grande importanza avevano ormai acquisito anche i cavalieri e i funzionari imperiali. Augusto pensò a una successione ereditaria e, non avendo figli maschi, individuò possibili successori che via via adottò (in particolare i nipoti Marcello, Gaio e Lucio), ma ai quali egli sopravvisse. Fu pertanto indotto ad adottare, nel 5 d.C. Tiberio appartenente alla potente famiglia dei Claudi e figiio di primo letto della seconda moglie Livia e a conferirgli riconoscimenti istituzionali quali la potestà tribunizia e l’imperium proconsulare maius associandolo al governo imperiale e preparandolo ad accogliere la sua eredità.

    L’impero: le dinastie Giulio-Claudia e Flavia
    Il regno di Augusto era stato caratterizzato dal rispetto formale della costituzione repubblicana; d’altra parte, il cumulo di poteri nelle mani del princeps aveva posto le basi per una nuova realtà politica: l’Impero. I primi imperatori, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone, erano discendenti di Augusto, appartenenti alla dinastia Giulio-Claudia.
    Alla morte di Nerone, in un solo anno (69 d.C.), si succedettero ben 4 imperatori: Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano. Il passaggio dei poteri non avvenne per via legittima, ma fu imposto dalla compagine sociale in quel momento più forte: l’esercito (un precedente vi era già stato con Claudio). Vespasiano, che designò successori i figli Tito e Domiziano, affermando il principio della trasmissione ereditaria del potere, apparteneva alla dinastia Flavia.
    In questo primo periodo fu continuato il processo di unificazione e romanizzazione dell’Impero: si diffuse in Occidente la lingua latina e si concesse con parsimonia la cittadinanza romana ai provinciali.
    Tutto ciò contribui alla fusione tra i due universi culturali romano ed ellenico. In politica estera furono protetti i confini stabiliti al tempo di Augusto. Claudio conquistò la parte meridionale della Britannia (44 d.C.), dove sorse la città di Londinium, l’odierna Londra. Tito conquistò Gerusalemme e la fece distruggere (70 d. C.).

    La dinastia Giulio-Claudia
    Alla morte di Augusto il potere passò a Tiberio, suo figlio adottivo e figlio naturale di sua moglie Livia e del prino marito Claudio Nerone (per questo la dinastia si chiamò, oltre che Giulia, dalla casata di Augusto, anche Claudia).
    Tiberio si era messo in evidenza nelle campagne militari contro i Germani. Augusto lo aveva quindi richiamato in patria dandogli incarichi di governo e raccomandandolo al senato come suo successore. Il senato stesso lo proclamò imperatore, nonostante egli avesse chiesto di potersi ritirare a vita privata.
    In politica estera Tiberio fece presidiare i confini settentrionali dal nipote Germanico che sconfisse più volte i Germani (14-16).
    Preoccupato della popolarità di Germanico, lo inviò in Oriente per affrontare i Parti e poi lo fece probabilmente uccidere (19), perdendo il suo prestigio presso il popolo. Tiberio iniziò così una serie di persecuzioni nei confronti dei suoi avversari e poi si ritirò a vita privata nella sua villa di Capri. Affidato il potere a Seiano, prefetto del pretorio, tornò a Roma e lo fece uccidere poiché aveva tramato di usurpare il trono (31).
    L’operato complessivo di Tiberio, nonostante l’intensificazione delle repressioni, ebbe anche lati positivi: lo Stato era in buone condizioni finanziarie, i confini erano sicuri e il potere centrale era ormai ben solido. Tiberio, morto nel 37, aveva segnalato come suoi successori i nipoti Gaio, detto Caligola (dai calzari militari, caliga, che era solito portare) e Tiberio.
    Il senato, approvato dal popolo, acclamò imperatore il primo poiché figlio di Germanico che ancora godeva di molta popolarità. Il suo breve governo (37-41) fu caratterizzato da atti di repressione nei confronti dei suoi nemici e dalla scarsa considerazione data al senato, manifestata tra l’altro con l’atto, passato alla storia, di aver nominato senatore il proprio cavallo. Caligola, nonostante gli atteggiamenti da sovrano orientale (pretese l’erezione di un tempio in suo onore, l’inchino e omaggi divini), fu molto popolare tra la plebe alla quale offriva giochi circensi ed elargizioni di denaro e cibo (da cui l’espressione panem et circensem “pane e circo”, per intendere gli strumenti del controllo sulle masse). Fu vittima di una congiura ordita dai pretoriani (41) che posero sul trono suo zio Claudio.
    Per la prima volta l’imperatore veniva proclamato dai militari. Claudio aveva sempre evitato la vita politica e poco sembrava adattarvisi con il suo carattere timido e apparentemente debole. Il suo regno fu invece positivo.
    Rafforzò l’apparato burocratico e lo affidò alla segreteria imperiale di cui facevano parte anche alcuni liberti e ammise in senato anche cittadini delle province, iniziandone il processo di assimilazione all’Impero romano che si svilupperà con i suoi successori. In politica estera conquistò la parte meridionale della Britannia (44), dove sorse il primo nucleo della città di Londra (allora Londinium).
    La successione al trono fu costellata da una rete di intrighi. Claudio aveva avuto un figlio legittimo, Britannico, dalla prima moglie Messalina. In seconde nozze aveva sposato la nipote Agrippina che aveva già un figlio, Nerone.
    Per favorire il figlio, Agrippina fece uccidere il marito e tramò perché il senato esautorasse Britannico; nel 54 fu proclamato imperatore Nerone. Questi appena diciassettenne, era sotto la tutela della madre e di due esponenti del senato, Afranio Burro, prefetto del pretorio e il filosofo Seneca, suo precettore.
    Ben presto Nerone si liberò di Britannico, fece uccidere la madre e mandò in esilio Seneca. Alla morte di Burro governò circondato da seguaci fidati, assumendo atteggiamenti da sovrano assoluto e mandando a morte i suoi nemici. In politica estera ottenne un successo contro i Parti e impose il protettorato di Roma sull’Armenia.
    Nel 64 gran parte di Roma fu distrutta da un incendio, da cui Nerone prese pretesto per incolpare i cristiani (furono uccisi gli apostoli Pietro e Paolo forse negli anni 66-67). Corse però voce che Nerone stesso avesse provocato l’incendio, per fare spazio al suo grande palazzo, la Domus Aurea.
    Il governo dispotico dell’imperatore, unito alle spese per mantenere la sua fastosa corte e al suo istrionico amore per l’arte drammatica e i giochi, gli inimicò la nobiltà senatoria.
    Nell’ultimo periodo di regno sventò la congiura della famiglia dei Pisoni ed eliminò molti oppositori aristocratici. Vittime illustri furono i letterati Lucano Petronio e lo stesso Seneca che si suicidarono. Inviso alla classe militare per aver fatto uccidere il generale Corbulone Nerone fu costretto a suicidarsi in seguito alla rivolta delle truppe di stanza in Lusitania che proclamarono imperatore il loro comandante Galba (68).

    La dinastia Flavia
    Nel 69 si succedettero ben quattro imperatori. Galba fu deposto dai pretoriani e sostituito da Ottone; questi fu a sua volta rovesciato da Vitellio, sostenuto dalle truppe stanziate al Reno. L’esercito mandato in Oriente a combattere la rivolta degli Ebrei proclamò imperatore il proprio comandante Flavio Vespasiano (con cui iniziò la dinastia Flavia). La politica di Vespasiano fu centrata sul consolidamento delle finanze imperiali e sulla disciplina dell’esercito.
    Rinsaldò le frontiere, aumentando il numero delle legioni stanziate in Siria e Giudea e annettendo la Britannia settentrionale. Sotto di lui terminò la lunga guerra contro gli Ebrei, con la distruzione della città di Gerusalemme (70) da parte delle truppe di Tito, suo figlio.
    Tornato a Roma, nel 71 Tito venne di fatto associato al potere dal padre, alla cui morte ascese al trono. Durante il suo breve regno governò con clemenza (Svetonio lo definì “delizia del genere umano”) e si occupò della costruzione di opere pubbliche portando a compimento il Colosseo. Gli succedette il fratello Domiziano nell’81.
    Questi, combattendo contro la popolazione germanica dei Catti, occupò alcune regioni oltre il Reno e le organizzò nelle nuove province della Germania Superiore e Inferiore. Combatté, senza sconfiggerla, contro la popolazione della Dacia (all’incirca l’attuale Romania) governata dal re Decebalo, e rafforzò il dominio romano in Britannia.
    Riformò l’amministrazione delle province controllando più strettamente l’operato dei governatori locali. Fu inviso al senato per l’accentuazione da lui data agli aspetti assolutistici del Principato e contro di lui furono organizzate varie congiure. Fu vittima dell’ultima tra queste, ordita dai prefetti del pretorio e dalla stessa moglie Domizia Longina (96).

    L’impero: da Traiano a Diocleziano
    Durante il ll sec. d.C., in seguito al crescente processo di unificazione dell’Impero, Roma perse la sua centralità. Tutti gli imperatori del II sec., privi di discendenza, scelsero come successori persone effettivamente capaci, evitando contrasti interni e congiure di palazzo.
    L’Impero raggiunse in questo periodo la sua massima estensione: Traiano conquistò la Dacia e fece di tutta la Mesopotamia una provincia romana. Adriano rafforzò i confini della Britannia. Sotto Marco Aurelio, invece, le tribù germaniche dei Quadi e dei Marcomanni invasero l’Italia; la pace fu firmata da Commodo.
    Dopo 42 anni di regno della dinastia dei Severi, l’Impero piombò per 50 anni in uno stato di anarchia militare: si succedettero ben 21 imperatori. L’economia entrò in crisi; tramontò la cultura classica, sommersa da nuove dottrine filosofiche e dal diffondersi del Cristianesimo. Diocleziano, imperatore dal 284, cercò di risollevare le sorti dell’Impero.

    Da Traiano a Commodo
    Dopo la deposizione di Domiziano, i congiurati proclamarono imperatore l’anziano senatore Cocceio Nerva. Nerva restauro le finanze dello Stato, e diede inizio a quella politica assistenziale verso le classi meno abbienti che caratterizzò gli imperatori del II sec.
    Nel 97 adottò, designandolo successore, Traiano, comandante delle truppe della Germania Superiore. Di famiglia senatoria e di origine spagnola (primo imperatore non italico), Traiano divenne imperatore nel 98, alla morte di Nerva.
    In politica estera, tra il 101 e il 105 combatté i Daci costringendoli alla pace e facendo della Dacia una provincia romana. Tra il 114 e il 116 anche l’Armenia e la Mesopotamia diventarono province romane.
    Governò d’accordo con il senato e promosse una serie di provvedimenti sociali tra cui l’abolizione delle tasse arretrate per le province e l’istituzione di una “cassa di risparmio” per i prestiti ai piccoli contadini. Per suo volere furono costruite ingenti opere in Italia, Spagna e Africa, tale attività, unita alle pesanti spese militari, aggravò la situazione finanziaria.
    Colpito da una grave malattia, Traiano morì a Selinunte, in Cilicia, mentre era in viaggio verso Roma. Il successore da lui designato fu il nipote adottivo Adriano.
    Cosciente dei rischi connessi a una eccessiva espanespansione dell’Impero, Adriano si decise a consolidare le conquiste del predecessore.
    In Britannia, tra il 122 e il 127, fece costruire il Vallo di Adriano, una fortificazione di 117 km, per difendere la provincia dalle incursioni dei popoli settentrionali. All’interno dell’Impero favorì la colonizzazione delle terre incolte e creò un efficiente corpo di funzionari.
    Compì numerosi viaggi di ispezione, cultura e piacere nelle diverse province dell’Impero. Tra il 132 e il 135 fece reprimere l’insurrezione ebraica di Simone Bar Kocheba.
    Cultore di filosofia, poesia e arte, in cui espresse l’ormai compiuta fusione della cultura greca con quella romana, fu tollerante nei confronti dei cristiani e promosse la costruzione di molte grandi opere architettoniche.
    Ad Adriano successe, nel 138, Antonino Pio. Attento amministratore, concesse sgravi fiscali, diede impulso al sistema stradale e all’edilizia. Praticò con convinzione la religione tradizionale (da cui il soprannome “il Pio”). All’estero rafforzò i confini facendo costruire in Britannia il Vallo di Antonino.
    Dopo di lui furono nominati imperatori i fratelli Marco Aurelio e Lucio Vero (161). Dal 165 i Parti invasero la Siria, mentre i confini furono violati dalle tribù germaniche dei Quadi e dei Marcomanni che furono respinti, tra il 167 e il 168, dai due imperatori. Nel 169 Lucio Vero morì e Marco Aurelio restò unico imperatore.
    Nel 175 dovette reprimere in Oriente la rivolta di Avidio Cassio che si era fatto proclamare inperatore. Tornato a Roma, celebrò il trionfo sui Germani e associò al potere il figlio Commodo. In politica interna Marco Aurelio cercò l’appoggio del senato e, con un’accorta politica finanziaria, riuscì a sostenere le forti spese militari. Fu avverso ai cristiani e li perseguitò.
    Uomo di cultura, seguace della filosofia stoica, scrisse un’importante opera in 12 libri (“A se stesso”). Morì di peste (180) lungo la frontiera danubiana dove era accorso per fronteggiare di nuovo i Germani. Commodo salì diciannovenne al trono. Diversamente dal padre instaurò una violenta repressione antisenatoria. Inviso alla classe militare per aver patteggiato la pace con i Quadi e i Marcomanni, fu vittima di una congiura ordita dal prefetto del pretorio Leto. (192).

  • Romani: dai Gracchi al triumvirato

    Dalla crisi economica e sociale alla riforma dei Gracchi
    L’incontro con la cultura ellenistica, determinato dall’estensione dei domini romani sulla Grecia, la Macedonia e parte dell’Asia Minore, fece sì che in Roma si formassero due correnti: quella conservatrice di Marco Porcio Catone, che predicava il ritorno agli antichi costumi e valori romani, e quella innovatrice del circolo degli Scipioni che, pur non rinnegando la tradizione latina, vedeva di buon occhio la cultura greca alla quale cercò di adattare il proprio patrimonio di conoscenze.
    La classe dirigente dei senatori aveva consolidato il suo potere durante le guerre, mentre le classi medie si erano impoverite. Era poi emersa, in campo finanziario, la classe dei cavalieri (ordine equestre) che reclamava i propri diritti di fronte al senato.
    La grande ricchezza che affluiva dalle regioni conquistate permise ai ricchi di comperare territori dell’ ager publicus confiscati ai vinti e appartenenti allo stato. Si diffusero il latifondo e la schiavitù (anch’essa conseguente alle guerre); molti piccoli proprietari, impoveriti, si trasferirono a Roma in cerca di miglior fortuna.
    Un primo tentativo di riforma fu attuato da Tiberio Gracco, un patrizio eletto tribuno della plebe nel 133 a.C. La sua proposta di riportare in vigore la legge che vietava di possedere più di 125 ettari di terreno pubblico e di ridistribuire quindi le parti in eccesso, fu avversata dall’aristocrazia senatoria. Tiberio ripropostosi alla carica di tribuno, fu ucciso in un tumulto e i suoi seguaci condannati a morte.
    Di ciò risentirono anche gli Italici, che si vedevano tolti i loro territori e che, non essendo cittadini romani, non avevano diritto alle nuove distribuzioni. Molti di loro si ribellarono ma furono puniti duramente. Nel 123 a.C. fu eletto tribuno Caio Gracco, fratello minore di Tiberio, promotore di riforme ancor più radicali. Innanzitutto cercò l’appoggio della classe equestre, facendo in modo che i cavalieri fossero in numero maggiore dei senatori nei tribunali che giudicavano i reati di concussione.
    Per ottenere il favore della plebe, promosse la fondazione di nuove colonie e propose una “Lex frumentaria” che dava diritto ai cittadini meno abbienti di ricevere grano a prezzo ridotto. Eletto tribuno una seconda volta, chiese la concessione della cittadinanza agli Italici. I senatori, contrari, si servirono del tribuno Livio Druso per contrastarlo.
    Druso propose riforme demagogiche (abolizione del canone d’affitto delle terre per i piccoli proprietari, fondazione di nuove colonie) che offuscarono la popolarità di Caio. In un clima di tensione e di conflitti interni, nel 121 a.C., il senato approvò il Senatus consultum ultimum, un provvedimento che conferiva ai consoli, tra cui Lucio Opimio avversario di Caio, i pieni poteri perché provvedessero alla salvezza dello stato con qualsiasi mezzo.
    Caio sentendosi ormai sconfitto, si fece uccidere da uno schiavo mentre i suoi seguaci (circa 3000) furono massacrati.

    Dalla Guerra giugurtina all’ascesa di Mario
    Sconfitti i Gracchi, guadagnò prestigio l’oligarchia senatoria, cercando il favore dei cavalieri e quello del popolo attraverso piccole concessioni. Fra il 125 e il 118 a.C. Roma ridusse a provincia la Gallia meridionale. Poco dopo dovette intervenire in Africa, in Numidia dove Giugurta aveva massacrato Romani e Italici residenti a Cirta e aveva usurpato il trono di Aderbale, il quale aveva chiesto l’aiuto romano.
    Nel 111 a.C. iniziò la guerra che si protrasse fino al 107, quando il comando fu affidato a Caio Mario, affiancato dal questore Cornelio Silla. Quest’ultimo riuscì a farsi consegnare Giugurta, che fu giustiziato. Al termine del conflitto tutti gli onori furono tributati a Mario che fu rieletto console, mentre Silla mal tollerò di non essere stato considerato. Il potere di Mario fu consolidato in seguito alla riforma dell’esercito in cui ammise anche volontari nullatenenti ai quali assegnò una paga. Con questo esercito ben addestrato e con nuove tattiche di guerra, Mario, eletto console dal 103 al 100 a.C., sconfisse i Cimbri e i Teutoni, popolazioni germaniche che insidiavano i confini settentrionali.
    Nell’anno 100 a.C. il tribuno della plebe Lucio Apuleio Saturnino, affiancato dal pretore Gaio Servilio Glaucia, fece approvare una legge che assegnava ai veterani dell’esercito di Mario alcune terre della Gallia Cisalpina. Il senato, contrariato, concesse pieni poteri a Mario per liberarsi dei due politici. Egli li fece uccidere e ciò irritò il partito dei popolari. Mario lasciò la vita politica e si recò in Asia.

    Dalla Guerra sociale alla dittatura di Silla
    Il partito degli ottimati governò da allora incontrastato per una decina d’anni. Nel 91 a.C. ottenne il tribunato Livio Druso (figlio del precedente). Le sue proposte (promozione di alcuni cavalieri a senatori e concessione della cittadinanza agli Italici provocarono l’ostilità del senato che lo fece uccidere. Dopo questo fatto i soci (da cui il nome Guerra sociale) Italici si ribellarono per ottenere l’indipendenza da Roma.
    Molte popolazioni, guidate dai Marsi e dai Sanniti, crearono uno stato federale italico con capitale Corfinio (che fu detta Italica). I Romani richiamarono Mario per combattere contro i Marsi, mentre le altre operazioni furono condotte da Pompeo Strabone e Cornelio Silla, eletto console nell’88 a.C. Quando Roma decise di concedere la cittadinanza a coloro che non si erano ribellati o avessero deposto le armi, la lotta si affievolì ma l’esercito romano piegò definitivamente la resistenza dei Sanniti solo nell’80 a.C.
    Nel frattempo, il re del Ponto Mitridate si preparava a guidare alla ribellione tutti gli stati greci e asiatici soggetti a Roma. Il senato decise di inviare in Asia Silla. Nello stesso tempo, il tribuno Sulpicio Rufo, che proponeva di dividere gli Italici nelle 35 tribù già esistenti e non di crearne delle nuove, fece votare questa proposta, insieme a quella di mandare Mario in Asia, da senatori e cavalieri, i quali, non gradendo Silla, le approvarono entrambe. Silla, contrariato, dopo aver sconfitto i seguaci di Mario (che fuggì), marciò su Roma impadronendosene.
    Nell’87 a.C. ottenne di nuovo il comando delle truppe dirette in Oriente. In Grecia saccheggiò ed espugnò Atene alleata di Mitridate. Mario, aiutato dal console Lucio Cornelio Cinna, a capo di un esercito entrò in Roma massacrando i nemici del partito popolare. Un anno dopo, nell’86 a.C. morì. Silla, in Asia, vinse Mitridate e, nell’83 a.C., tornò in Italia.
    Con l’aiuto di Gneo Pompeo, combatté i seguaci di Mario e gli Italici, sconfiggendoli entrambi. Si fece quindi nominare dittatore e iniziò una serie di feroci repressioni a danno di tutti gli avversari. Confiscò diverse terre che andarono ai suoi soldati e si arricchì a spese dei perseguitati. In politica interna restaurò il potere del senato, limitò quello dei tribuni e dei cavalieri. Infine nella sorpresa generale, abdicò alla dittatura e si ritirò.

    La fine della Repubblica: il primo e il secondo Triumvirato
    Dopo la morte di Silla, Pompeo, Crasso e Cesare si unirono (primo Triumvirato) ripartendosi le cariche e opponendosi all’oligarchia senatoria. Morto Crasso, si trovarono di fronte Cesare e Pompeo.
    Cesare entrò in Roma con l’esercito e Pompeo fuggi in Epiro. Lo scontro di Farsalo, in Tessaglia, portò Cesare alla vittoria, al trionfale rientro in Italia e al dominio incontrastato. Alla morte di Cesare (ucciso dai repubblicani Bruto e Cassio) si contesero il potere, inizialmente alleati con Lepido (secondo Triumvirato), Antonio e Ottaviano.
    Con la vittoria di Ottaviano su Antonio ad Azio, sotto molti aspetti si tirarono le fila della intricata vicenda tardo repubblicana. All’inevitabile sbocco autoritario sul piano del governo corrispose un tentativo di restaurazione morale e religiosa che mirava a presentare all’opinione pubblica tradizionalista il nuovo ordine in termini di continuità con il vecchio.

    L’ascesa di Pompeo
    Il giovane Gneo Pompeo, già ufficiale di Silla, si mise in evidenza attraverso tre imprese. Nel 77 a.C. ebbe ragione di Marco Emilio Lepido che nell’Etruria e nella Cisalpina, aveva tentato di abolire la costituzione sillana. In Spagna nel 72 a.C., domò l’insurrezione dei Lusitani guidata da Quinto Sertorio. In Italia, pose fine a una rivolta di schiavi guidata dal trace Spartaco nel 73 a.C., e già affrontata dal generale Marco Licinio Crasso. Insieme a Pompeo e Crasso questo fu eletto console nel 70 a.C.; allo scopo di diminuire l’attività del senato, i due restituirono l’autorità ai tribuni e il controllo dei processi ai cavalieri.
    Un altro uomo stava emergendo, Marco Tullio Cicerone, I’oratore che era riuscito a far condannare, per le molte ruberie, Verre, ex governatore della Sicilia. Nel 67 a.C. Pompeo, al comando di una potente flotta vinse i pirati che spadroneggiavano nel Mediterraneo.
    Nel 66 a.C. Mitridate, il re del Ponto, tentò una nuova offensiva contro Roma. Pompeo fu mandato in Oriente e, dopo il suicidio del re, conquistò la regione, fece della Siria e della Giudea due provincie romane e sottomise l’Armenia e la Bitinia.

    Il primo Triumvirato
    Nel frattempo a Roma il partito dei popolari appoggiava Caio Giulio Cesare, un aristocratico simpatizzante di Mario. Un altro personaggio raccoglieva seguaci, promettendo l’allargamento della cittadinanza, la cancellazione dei debiti e la distribuzione di nuove terre, il sillano Lucio Sergio Catilina.
    Sconfitto da Cicerone nell’ascesa al consolato nel 63 a.C., ordì una congiura. Cicerone lo smascherò in una seduta senatoria (le famose 4 orazioni Catilinarie), costringendolo a fuggire in Etruria dove poco dopo fu sconfitto e ucciso in battaglia.
    Rientrato dall’Oriente, Pompeo sciolse l’esercito e rinunciò a instaurare una dittatura, contestato dal senato per l’ordinamento dato all’Asia, si alleò con Cesare e Crasso formando il primo Triumvirato.

    La conquista della Gallia
    Il carattere di questo accordo fu soltanto privato, non istituzionale. Cesare ottenne il consolato nel 59 a.C. e fece approvare la distribuzione di terre ai veterani di Pompeo.
    L’anno dopo ottenne il governo della Gallia Cisalpina e Narbonese. Arrivato in Gallia nel 58 a.C., costrinse gli Elvezi a rinunciare alla Gallia Narbonese e il principe germanico Ariovisto al protettorato sugli Edui. Sconfitti anche Belgi e Aquitani (57 a.C.), riorganizzò l’intera Gallia in una nuova provincia.
    Nel convegno di Lucca del 56 a.C. Cesare ottenne il comando in Gallia per un altro quinquennio, mentre Pompeo e Crasso ebbero nuovamente il consolato. Nel 53 a.C. Crasso morì in battaglia contro i Parti, che sbaragliarono l’esercito romano a Cana, in Siria. Pompeo e Cesare rimasero soli. Cesare si preparò alla conquista della Britannia, ma fu costretto a rientrare in Gallia per sedare la rivolta di Vercingetorige, re degli Arverni. Vintolo nel 52 a.C., riuscì a pacificare l’intera Gallia (50 a.C.).
    A Roma continuava la lotta tra popolari e conservatori. Il tribuno Publio Clodio, seguace di Cesare, fece esiliare Cicerone il quale fu richiamato da Pompeo. Scoppiarono tumulti e il senato incaricò Pompeo di riportare l’ordine. Egli si fece così eleggere unico console nel 51 a.C.

    La guerra civile e la morte di Cesare
    Cesare rimase in Gallia fino al 49 a.C., quando il senato inviò un ultimatum con l’imposizione di abbandonare la provincia. Varcato il Rubicone (il fiume che divideva la Cisalpina dall’Italia), Cesare marciò verso Roma.
    Era l’inizio della guerra civile. Pompeo, con il senato, fuggì in Oriente cercando di organizzare l’esercito. Lo scontro decisivo avvenne a Farsalo in Tessaglia (48 a.C.). Cesare ebbe la meglio: Pompeo si rifugiò in Egitto presso Tolomeo XIV, il quale, per ottenere i favore di Cesare, lo fece uccidere a tradimento.
    Giunto in Egitto, Cesare affidò il trono a Cleopatra, sorella di Tolomeo della quale era divenuto l’amante. Nel 47 a.C. sconfisse Farnace figlio di Mitridate in Africa e in Spagna vinse definitivamente la resistenza dei pompeiani (46-45 a.C.).
    Tornato a Roma, ormai senza rivali, si dedicò a una serie di riforme economiche e sociali. Console dal 48 a.C. in poi, nel 46 fu nominato dittatore per dieci anni e, all’inizio del 44, dittatore a vita. Tale somma di poteri provocò il risentimento di uomini del suo partito. Alle Idi di marzo (il 15) del 44 a.C., durante una riunione del senato, fu ucciso in una congiura dai repubblicani Bruto e Cassio.

    Esordio e ascesa di Ottaviano
    La successione a Cesare fu contesa da Antonio, generale di Cesare, e Ottaviano, un giovane adottato da Cesare col nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano.
    Dapprima Ottaviano cercò di affrontare il rivale ma, accortosi dell’opposizione del senato, fattosi nominare console, si alleò con lui. Nell’accordo entrò anche un altro generale, Marco Emilio Lepido. Fu così formato il secondo Triumvirato che ebbe il compito di elaborare una nuova costituzione. Tutti i rivali di Cesare entrarono nelle liste di proscrizione; vittime illustri furono Cicerone, Bruto e Cassio.
    I tre triumviri si spartirono l’Impero: Antonio ebbe la Gallia e l’Oriente, Lepido l’Africa e Ottaviano, pur restando in Italia, la Spagna. In seguito allo scontro tra Ottaviano e i seguaci di Antonio rimasti in Italia, fu stretto un nuovo accordo a Brindisi nel 40 a.C., secondo il quale Antonio rinunciava alla Gallia. Lepido, che aveva aiutato Ottaviano a togliere a Sesto Pompeo (figlio di Gneo) la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, pretese per sé la Sicilia. Ottaviano, contrariato, gli tolse l’Africa e lo espulse dal Triumvirato lasciandogli soltanto la carica di Pontefice Massimo.

    Ottaviano e Antonio
    Ottaviano divenne il padrone dell’Occidente e Antonio dell’Oriente. Nel 37 a.C. Antonio sposò Cleopatra, dimenticando il legame con Ottavia, sorella di Ottaviano. Iniziò inoltre a farsi adorare come un dio, secondo il modello orientale.
    Ciò indignava Ottaviano, difensore degli austeri valori romani, il quale, rinfacciando al rivale gli insuccessi contro i Parti, indusse il senato a privare Antonio della sua carica e a dichiarare guerra all’Egitto.
    Lo scontro decisivo avvenne ad Azio, davanti alle coste dell’Epiro, nel 31 a.C. Il generale Agrippa (distintosi nella guerra contro Sesto Pompeo), al comando delle legioni di Roma, ottenne una grande vittoria, costringendo Antonio e Cleopatra alla fuga ad Alessandria. I due si uccisero alcuni mesi dopo, quando seppero dell’arrivo delle truppe di Ottaviano.
    L’Egitto divenne una provincia romana e Ottaviano, rientrato a Roma nel 29 a.C., fu accolto da grande trionfatore.

    Tra Repubblica e Impero: il Principato di Augusto
    L’ultimo secolo della Repubblica, percorso da conflitti civili e instabilità politica, aveva messo in evidenza l’inadeguatezza del sistema di governo romano.
    Tutti sentivano il bisogno di una pacificazione. La classe dirigente non ammetteva la cancellazione delle istituzioni e considerava la monarchia assoluta come una negazione della libertà.
    Ottaviano comprese questa situazione: il suo potere, ottenuto tramite il cumulo di diverse magistrature, con prerogative giuridicamente definite, fu incentrato sul rispetto formale delle tradizioni istituzionali repubblicane e non trasmissibile ereditariamente.
    La solidità del governo di Augusto (titolo ottenuto dal senato) fu determinata dalla larga adesione del popolo al suo programma e dal senso di riconoscenza per l’instaurazione della pace.
    Augusto e i suoi più stretti collaboratori si impegnarono in una capillare attività ideologico-propagandistica, di cui furono cardini la pace civile (Pax Augusta), il recupero e il rinnovamento della storia gloriosa di Roma, il nuovo ordine morale e la ripresa della religione tradizionale, messaggi diffusi soprattutto da letterati e artisti protetti da Augusto stesso.

  • Romani: l’espansione romana

    Dalla Monarchia alla repubblica
    Secondo la leggenda, Tarquinio il Superbo fu cacciato dalla rivolta del nobile Collatino, la cui moglie era stata oltraggiata da Sesto, figlio del re. In realtà le ragioni erano più profonde: Roma stava crescendo e il re non riusciva ad attendere a tutti gli impegni; il suo governo si era fatto dispotico e i patrizi avevano perso il loro potere politico. Tutto ciò fu motivo di ribellione. Il potere venne affidato a due consoli, Bruto e Collatino (509 a.C.).

    Le prime guerre repubblicane
    Le città latine, preoccupate del rafforzamento di Roma, la affrontarono federate nella Lega latina, nel 496 a.C. uscendo sconfitte. Nei 493 a.C. il console Spurio Cassio firmò con queste città il Foedus Cassianum, un’alleanza di tipo difensivo. Altre guerre furono combattute (fino al 430 a.C.) contro Volsci ed Equi; di Volsci ed Equi; di esse rimasero nella leggenda le gesta di Coriolano, che passò dalla parte dei Volsci ma poi si ritirò andando incontro alla morte, e di Cincinnato, che ritornò all’attività di agricoltore dopo aver sconfitto valorosamente i Volsci, senza pretendere alcun tributo di ringraziamento. Motivi economici spinsero Roma alla guerra contro la città etrusca di Veio che, dopo un lungo assedio, fu espugnata da Furio Camillo nel 396 a.C.

    L’ordinamento repubblicano
    Le maggiori cariche della Repubblica romana, delineatasi tra il V e il IV sec. a.C., erano di carattere elettivo, venivano rinnovate periodicamente, erano un servizio prestato gratuitamente ed erano collegiali, cioè vi erano almeno due magistrati per ogni carica. I due consoli, che restavano in carica un anno, comandavano l’esercito, convocavano il senato e i comizi, e giudicavano i reati più gravi. Parte dei compiti dei consoli venne in seguito affidata ai questori che si occupavano della finanza.
    Nei momenti di grande pericolo per lo stato, poteva essere nominato un dittatore che, in carica per sei mesi, sostituiva i consoli. Altri magistrati erano i pretori, in origine comandanti delle truppe fornite dalle tre tribù dei Ramnii, Tizii e Luceri e poi amministratori di funzioni giudiziarie, e i censori (dal 443 a.C.) che rimanevano in carica diciotto mesi, ogni cinque anni, con l’incarico di compilare le liste del censo e dei senatori, in seguito, di vigilare sulla condotta morale dei cittadini.
    Il senato era composto da coloro che avevano già esercitato una delle magistrature superiori. Aveva un potere di tipo consultivo ma di fatto divenne l’organo più importante in quanto doveva approvare le proposte di legge, controllare le finanze, deliberare sulla guerra e sulla pace, concedere la cittadinanza e l’autonomia a città e popolazioni e istituire le province.
    I comizi curiati e centuriati costituivano le assemblee popolari. I primi, già esistenti nell’età dei re, conservarono il solo compito di conferire la formale investitura sacrale ai magistrati. I secondi eleggevano consoli e magistrati, approvavano le proposte del senato ed esercitavano funzioni giudiziarie. La popolazione fu divisa in 193 centurie, ognuna portatrice di un voto; le prime 98 erano costituite dai cittadini più ricchi (anche plebei) che così avevano la maggioranza.

    Il contrasto tra patrizi e plebei
    Fin dai primi anni della Repubblica si diffuse il malcontento tra i plebei costretti al servizio militare senza ricevere il ricavato dei bottini, esclusi dall’accesso alle magistrature e dal matrimonio con i patrizi.
    La prima forma di protesta fu attuata nel 494 a.C. quando, ritiratisi sul Monte Sacro o, secondo un’altra tradizione sull’Aventino, decisero di non lavorare e di non combattere. Il patrizio Menenio Agrippa riuscì a convincerli a tornare, promettendo delle riforme in loro favore.
    I plebei ottennero così l’istituzione dei tribuni della plebe, che difendevano i loro interessi e avevano diritto di veto sulle decisioni dei magistrati e dell’assemblea, e dell’edilità, una magistratura in cui due rappresentanti plebei (edili), affiancando i tribuni, curavano gli interessi della plebe.
    Nel 451-450, alcuni patrizi, riuniti nel collegio dei decemviri, redassero un corpo scritto di leggi penali e civili, la Legge delle XII tavole, con cui i plebei ottenevano diritti pari ai patrizi. La lotta continuò e i plebei ottennero l’abolizione del divieto dei matrimoni misti (445 a.C.), l’accesso alla questura (421 a.C.), al consolato (leggi Licinie Sestie, 367 a.C.) e ai collegi sacerdotali (300a.C.), e il riconoscimento giuridico delle assemblee della plebe, dette comizi tributi (287 a.C., legge Ortensia) le cui deliberazioni (plebisciti) erano vincolanti per tutto il popolo.

    Dall’irruzione dei Galli all’espansione nella penisola
    Fin dal V sec. a.C. i Celti (chiamati Galli dai romani) avevano occupato la Pianura Padana ed erano scesi fino alle Marche e all’Umbria. Nel 390 a.C. alcune migliaia di uomini, guidati da Brenno, devastarono Chiusi e calarono sul Lazio, saccheggiando e incendiando anche Roma. Lo scacco subito dalla città spinse i vecchi nemici, alleati o sottomessi, a ribellarsi, ma Roma, in una serie di guerre svoltesi in circa 40 anni, riuscì a ristabilire il suo potere.

    Le guerre sannitiche
    Nel 343 a.C., in cambio della completa sottomissione, Roma intervenne in aiuto di Capua contro i Sanniti che, dopo il crollo etrusco, avevano occupato la Campania. Iniziò così un conflitto per il controllo dell’Italia centro-meridionale che durò oltre 50 anni. Tra il 343 e il 341 a.C. i Romani ottennero le prime vittorie.
    Un secondo conflitto, tra il 340 e il 338 a.C., oppose i Romani ai Sanniti affiancati dalla Lega latina. Al termine i Romani vittoriosi trasformarono le città laziali in municipi o città federate. Tra il 326 e il 304, Roma, nonostante lo scacco delle Forche Caudine (i militari denudati dovettero passare sotto un giogo di lance davanti ai nemici) ottenne altre vittorie.
    Con l’ultimo conflitto, tra il 298 e il 290, i Sanniti furono definitivamente sconfitti con i loro alleati Galli, Etruschi e Umbri. Roma, padrona dell’Italia centrale, mirò alla Magna Grecia.

    La guerra contro Pirro
    Quando Roma intervenne nelle questioni interne di Turi, incontrò l’opposizione di Taranto con cui aveva firmato un trattato di non interferenza nel 303 a.C. Di lì a poco scoppiò la guerra tra le due città (282 a.C.). Taranto chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro (regione della Grecia nord-occidentale), che nel 280 a.C. sbarcò in Italia con 30 000 uomini e 20 elefanti.
    I Romani furono inizialmente sconfitti. Quando Pirro intervenne in Sicilia a favore delle città greche contro i Cartaginesi, la guerra riprese e terminò con la vittoria romana (275 a.C.) a Maleventum (il nome fu allora mutato in Beneventum) e con l’alleanza tra le due forze (272 a.C.). Roma esercitava ormai il suo potere fino allo stretto di Messina, secondo ordinamenti diversi: i municipi avevano autonomia amministrativa ma dovevano fornire truppe e pagare un tributo, solo alcuni avevano i diritti politici; le città federate, liberamente alleatesi a Roma, avevano autonomia amministrativa, non pagavano tributi ma non avevano diritti politici e dovevano fornire le truppe; le colonie, fondate nei territori sottratti ai vinti, avevano diritti civili e politici se gli abitanti erano Romani, mentre avevano gli stessi diritti delle città federate, se gli abitanti erano Latini.

    Le Guerre puniche e l’espansione in Oriente
    Conquistata l’Italia meridionale, Roma si trovò a confronto con Cartagine, la città africana (nella posizione dell’odiema Tunisi) che dominava nel Mediterraneo occidentale possedendo parte della Sicilia e colonie in Sardegna, Corsica, Spagna e Baleari. A causa degli intralci reciproci nei traffici commerciali, a lungo andare, la convivenza di queste due grandi potenze, che erano state alleate, subi una rottura.
    Lunghi conflitti opposero allora Roma e Cartagine (le Guerre puniche) tra il III e il II sec. a. C., al termine dei quali Roma cominciò l’ascesa a massima potenza del Mediterraneo. La terza Guerra si concluse addirittura con la completa distruzione della città africana. Durante le Guerre puniche Roma estese il suo dominio anche sulla Sardegna, sulla Corsica, sulla Sicilia (la prima provincia romana), sulla Spagna, sulla Gallia Cisalpina e Transalpina oltre che sulla Grecia e sull’Asia Minore.

    La prima Guerra punica
    La città di Cartagine, fondata intorno all’814 a.C. dai Fenici, aveva acquisito il monopolio commerciale nel Mediterraneo imponendo che le navi commerciali potessero approdare solo a Cartagine e non nelle sue colonie. I primi rapporti tra le due città furono di tipo amichevole, nel 508 a.C. fu stipulato un trattato di navigazione e di commercio con cui entrambe le potenze si Cartagine impegnavano a limitare le espansioni l’una a danno dell’altra.
    Questo trattato fu rinnovato nel 348 e nel 306 a.C. definendo ancora più precisamente le rispettive zone di influenza. La rottura avvenne nel 264 a.C. quando i Mamertini di Messina chiesero l’intervento dei Romani per difendersi dai Cartaginesi. Roma inviò così un esercito, guidato dal console Appio Claudio, contro Cartagine e il suo alleato Gerone II di Cartagine Siracusa, che però dal 263 a.C. passò dalla parte dei Romani.
    Decisiva per l’esito della guerra fu la capacità dei Romani di fronteggiare l tradizionale superiorità navale di Cartagine. Nel 260, grazie all’uso dei corvi (ponti mobili che permettevano di agganciare le navi nemiche), la flotta romana comandata da Caio Duilio sconfisse quella cartaginese a Milazzo.
    Dopo il fallimento della spedizione in Africa di Attilio Regolo (256 a.C.), che fu fatto prigioniero e ucciso, i Romani al comando di Lutazio Catulo colsero la vittoria decisiva alle Egadi nel 241, costringendo i Cartaginesi a evacuare la Sicilia e a pagare una forte indennità di guerra. La Sicilia, tranne il territorio di Siracusa, divenne la prima provincia romana; nelle province che dovevano pagare un tributo, ogni tipo di potere e amministrazione era nelle mani dei Romani che vi inviavano ex consoli (proconsoli) o ex pretori (propretori). Nel 238, a pace conclusa, i Romani sottrassero ai Cartaginesi anche la Sardegna e la Corsica.

    La seconda Guerra punica
    Prima di iniziare un secondo conflitto con Cartagine, Roma conquistò la regione adriatica dell’Illiria (230-228 a.C.), riducendola a un piccolo principato e controllando così il canale d’Otranto. In seguito a un tentativo di incursione dei Galli, i Romani, affrontandoli, giunsero a occupare Mediolanum (Milano), affacciandosi sulla Pianura Padana (225 a.C.).
    Nel frattempo, espulsi dalle isole, i Cartaginesi si erano volti verso la Spagna, che fu conquistata tra il 237 e il 219 a.C. da Amilcare Barca e da suo figlio Annibale (al quale il padre aveva inculcato un profondo odio per i Romani). La decisione di Annibale di attaccare Sagunto, alleata di Roma, provocò nuovamente la guerra (218 a.C.).
    Prima che i Romani riuscissero a mandare un esercito in Spagna, Annibale invase l’Italia per via di terra, con una leggendaria traversata delle Alpi, cogliendo brillanti vittorie al Ticino (218), al Trasimeno (217) e soprattutto a Canne (216) ma senza riuscire a spaccare la confederazione romano-itailica. Nel frattempo un esercito romano comandato da Publio e Gneo Scipione impediva che dalla Spagna giungessero rinforzi ad Annibale pressato dalla tattica temporeggiatrice (di logoramento) di Quinto Fabio Massimo, eletto dittatore, ma presto rimpiazzato dai consoli Lucio Emilio Paolo e Terenzio Varrone che nel 216 ripresero il combattimento in campo aperto.
    Nello scontro di Canne, in Puglia, 30.000 dei 50.000 soldati romani rimasero uccisi; Annibale rimandò però la marcia verso Roma, che in breve tempo riuscì a riprendersi. Un esercito inviato in Sicilia espugnò Siracusa e la rese tributaria di Roma (211); un altro in Macedonia combatté contro Filippo V (prima Guerra macedonica) a scopo puramente difensivo (Pace di Fenice, 205 a.C.). Quando Asdrubale, fratello di Annibale, riuscì a portare in Italia un esercito dalla Spagna, fu sconfitto e ucciso al Metauro (207).
    Nel 206 Publio Cornelio Scipione (che sarà chiamato Scipione l’Africano dopo la vittoria), subentrato al comando dell’esercito romano in Spagna, colse una vittoria decisiva a Ilipa e invase l’Africa, costringendo Annibale ad abbandonare l’Italia. La vittoria di Scipione a Zama, nel 202, e costrinse Cartagine alla resa, all’abbandono di tutti i possedimenti europei e della Numidia (che divenne indipendente sotto Massinissa alleato di Roma), e al pagamento di una forte indennità di guerra.

    Dall’espansione in Oriente alla terza Guerra punica
    Dopo la vittoria su Cartagine, Roma intervenne nuovamente in Macedonia, su richiesta di Atene che chiedeva aiuto contro Filippo V. Nel 200 a.C. iniziò così la seconda Guerra macedonica. Nel 197 a.C. i Romani guidati da Tito Quinzio Flaminio sconfissero Filippo a Cinocefale, costringendolo a consegnare la flotta, a pagare un’indennità di guerra e a riconoscere la libertà alle città greche: al protettorato macedone si sostituì quindi quello romano.
    Poichè il re di Siria Antioco III si rifiutò di ritirare le sue truppe dalla Grecia liberata dai Romani, nel 191 a.C. Roma lo attaccò, sconfiggendolo alle Termopili. L’anno seguente Lucio Cornelio Scipione sbarcò in Asia e sconfisse le truppe siriache a Magnesia.
    Un nuovo conflitto con la Macedonia si delineò nel 171 a.C. quando salì al trono Persco, figlio di Filippo V, profondamente ostile ai Romani. Dopo tre anni Lucio Emilio Paolo sconfisse l’esercito macedone a Pidna, la Macedonia fu divisa in 4 repubbliche che divennero alleate di Roma. Due rivolte seguirono alla vittoria romana, quella di Andrisco in Macedonia (149 a.C.) sedata solo nel 146 a.C. da Cecilio Metello, e quella della Lega achea, sedata anch’essa nel 146 dal console Lucio Mummio. Nel frattempo, molti a Roma, tra cui il senatore Marco Porcio Catone, sostenevano la necessità di abbattere definitivamente Cartagine.
    Quando Cartagine decise la guerra contro Massinissa, re dei Numidi, a causa dei suoi continui soprusi, Roma a sua volta dichiarò guerra a Cartagine (149 a.C). I Cartaginesi si arresero, ma quando seppero che tra le condizioni di pace vi era la distruzione della città, vi si asserragliarono e resistettero valorosamente fno al 146, quando Scipione Emiliano espugnò la città e la rase al suolo, trasformando il suo territorio nella provincia d’Africa. Nel 133 a.C., dopo una lunga guerriglia, Scipione Emiliano sedò in Spagna la rivolta di Numanzia, iniziando la romanizzazione del territorio spagnolo. Nel frattempo Roma sottomise anche la Gallia meridionale, dalle Alpi ai Pirenei, facendone una provincia, la Gallia Narbonensis.
    Con queste vittorie Roma aveva così messo in evidenza la sua potenza e la sua solidità.

    La crisi della Repubblica
    Profondi cambiamenti avvennero in Roma dopo le guerre puniche e la conquista della Grecia e dell’Oriente. La diffusione della cultura ellenistica (molti artisti greci si stabilirono a Roma mentre i ricchi romani trascorrevano sempre più tempo in Grecia e in Oriente) mandò in crisi i valori della moralità romana. I ricchi senatori cominciarono a impossessarsi delle terre dello Stato reclamate anche dalla classe equestre; le classi medie, soprattutto i piccoli agricoltori che costituivano il nerbo dell’esercito, si andarono impoverendo sempre più. Tiberio e Caio Gracco si fecero promotori di una riforma agraria, ma il loro tentativo fallì, finendo addirittura nel sangue.
    Dopo un decennio di pace, garantito dai senatori oligarchici, iniziò un periodo molto difficile, percorso da rivalità accese tra i diversi partiti politici. Si combatté la prima guerra civile, tra ottimati guidati da Silla e popolari guidati da Mario. Silla ebbe la meglio ma, dopo aver restaurato il potere dei patrizi ed esautorato i tribuni della plebe, si ritirò a vita privata e morì poco dopo. Le rivalità non erano però terminate e Roma era ormai alle soglie della seconda guerra civile.

  • Romani

    L’Italia preromana
    Con il nome Italia, inizialmente veniva indicata solo la Calabria; nel III sec. a.C. l’Italia coincideva con la parte a sud dei fiumi Magra e Rubicone; nel 49 a.C., divenuta romana anche la Gallia Cisalpina, fu considerata Italia anche il Nord, mentre Sicilia e Sardegna di Diocleziano. La preistoria si protrasse in Italia più a lungo che nelle zone orientali. I primi documenti di civiltà in possesso degli storici risalgono al II millennio a. C.
    La vera e propria età storica vi ebbe inizio soltanto nell’VIII sec. a.C., ai tempi della colonizzazione greca in Italia meridionale e della fioritura della civiltà etrusca. Tra l’VIII e il IV sec. a.C. si stanziarono in Italia anche popolazioni indoeuropee, ricordate come Italici.
    Le colonie greche, intorno al VI sec. a.C., scatenarono feroci lotte per l’egemonia e furono poi oggetto delle mire egemoniche dell’Atene di Pericle. La civiltà etrusca fu indipendente per quattro secoli e sviluppò una cultura di elevato livello, anche rielaborando gli apporti della Grecia e dell’Oriente. La loro espansione li portò a scontrarsi con i Greci e con i Romani a sud e con i Galli a nord. Con progressive annessioni di città, l’Etruria venne incorporata nei possedimenti romani. Dalla preistoria all’VIII sec. a.C.
    Le prime comunità umane in Italia risalgono al tardo Paleolitico. Gradualmente si passò dalla caccia e dalla raccolta alla coltivazione del terreno e quindi a forme stabili di insediamento. Nella seconda metà del III millennio a.C. si cominciò a lavorare il rame.
    Agli inizi del II millennio a.C. si formarono alcune civiltà al nord, intorno ai laghi lombardi verso la metà del II millennio si diffuse la civiltà detta delle “terramare”, dai depositi di terre grasse rinvenuti archeologicamente (terra marna, terra grassa), nelle zone di Modena e Piacenza.
    La civiltà più progredita, la villanoviana, comparve alla fine del II millennio a.C.; dalla zona di Bologna si spinse verso sud fino al Piceno, costruendo villaggi di capanne. Dal XIV sec. a.C. si era diffusa una popolazione di pastori semi nomadi, lungo la dorsale dell’Appennino centrale, da cui il nome di civiltà “appenninica”.
    Iniziò poi la penetrazione di popolazioni indoeuropee dell’Europa centro-orientale che spinsero a sud le popolazioni già esistenti. Gli Italici si insediarono nella parte centro-sud della penisola, costringendo i siculi a emigrare in Sicilia.
    Con il nome Italici i romani indicarono poi le popolazioni non latine assoggettate nella penisola con una serie di guerre che caratterizzarono la fase più antica della loro storia. Durante le guerre puniche gli Italici si federarono con Roma e, dopo la vittoria, parte di essi ebbe riconosciuta la cittadinanza. Nell’VIII sec. a.C. Le principali popolazioni in Italia erano così stanziate: Liguri e Veneti a nord; Umbro-Sabelli e Latini al centro; Iapigi, Lucani e Bruzi a sud; Siculi e Sicani in Sicilia; Sardani e Liguri in Sardegna. In questo periodo, mentre l’Italia meridionale veniva colonizzata dai Greci, si sviluppava al centro-nord la civiltà etrusca.

    Le colonie della Magna Grecia
    Come dimostrano i rinvenimenti di ceramiche e altri materiali, i Greci frequentarono i porti italiani già in età micenea (sec. XVI-XI a.C.). Alla prima metà del sec. VIII a.C. risale l’insediamento calcidese sull’isola di Ischia che aprì la prima fase della colonizzazione greca d’Italia.
    I Calcidesi fondarono poi Cuma, Napoli, Reggio, Catania e Zancle; i Corinti fondarono Selinunte e Siracusa, i Rodiensi Gela e Agrigento; gli Achei dell’Acaia Sibari, Metaponto e Crotone, mentre Taranto fu l’unica colonia fondata da immigrati spartani.
    A partire dal sec. VI a.C. si scatenarono tra le città feroci lotte per l’egemonia. Le tre città achee distrussero verso l’inizio del secolo Siri, mentre fallì il tentativo di Crotone di sottometterne l’alleata Locri. Attorno al 510 a.C. ci fu uno scontro tra Sibari e Crotone; Sibari fu rasa al suolo. Negli anni centrali del sec. V a.C., su iniziativa degli Ateniesi, venne fondata sul sito dell’antica Sibari la colonia di Turi, osteggiata dai Tarantini.
    Negli ultimi anni del sec. V Crotone, Turi (in quanto erede di Sibari), Caulonia e Metaponto si unirono nella Lega italiota per difendersi dagli attacchi dei Lucani e del tiranno di Siracusa Dionigi I; alla Lega aderì in seguito anche Reggio, mentre Locri e Taranto furono dalla parte del tiranno. Dionigi, nel 389 a.C., sconfisse l’esercito della Lega espugnò e distrusse Reggio, ridusse la Lega sotto il controllo di Taranto che, col procedere del sec. IV, dovette più volte far ricorso a condottieri greci per difendersi dalle popolazioni sabelliche e iapigie.
    Dopo la parentesi del dominio tirannico di Agatocle, nei primi anni del sec. III, Taranto chiese l’intervento del re d’Epiro Pirro contro i Romani, a loro volta intervenuti in aiuto di Turi contro i Lucani; risultato del conflitto (280-275 a.C.) fu la sottomissione della regione a Roma.
    In età arcaica la Magna Grecia costituì una delle aree culturalmente più vivaci del mondo greco: nel tardo VI secolo la conquista persiana dell’Asia Minore produsse un movimento migratorio verso Occidente che vi trapiantò un gran numero di filosofi, intellettuali e artisti (tra i quali Pitagora e Senofane di Colofone), il fenomeno contribuì al sorgere di scuole filosofiche (a Elea, con Parmenide e Zenone) e mediche (a Crotone) di primissimo piano.
    La Magna Grecia svolse così un ruolo cruciale nella trasmissione della cultura greca a Roma.

    Gli Etruschi
    La civiltà etrusca fu il frutto dell’innesto di elementi stranieri (attorno ai quali non si hanno notizie certe) sulla preesistente cultura villanoviana, nell’area compresa tra l’Arno e il Tevere. Essenzialmente urbana, si organizzò in città-stato (Volterra, Fiesole, Arezzo, Cortona Perugia, Chiusi, Todi, Orvieto, Veio, Tarquinia ecc.) che, a scopi religiosi ed economici, diedero vita a una Lega formata da dodici città (dodecapoli).
    Ogni città era retta da re (detti lucumoni) e magistrati eletti tra i membri della casta aristocratica. Una prima fase espansiva (sec. VIII-VI a.C.) portò gli Etruschi a contendere a Greci e Cartaginesi il controllo delle rotte tirreniche e adriatiche e a estendere il proprio dominio dalla pianura padana alla Campania, fondando centri come Bologna, Mantova, Piacenza, Pesaro, Rimini, Ravenna, arrivando fino a Roma, che la tradizione vuole governata da re etruschi dal 616 al 509 a.C.
    L’autonomia di Roma e quindi la crescita della sua potenza si intrecciarono con la decadenza etrusca, acceleratasi dopo la sconfitta patita a Cuma nel 474 a.C. a opera dei Greci di Siracusa. La Campania fu persa di lì a poco per opera dei Sanniti e contemporaneamente i Galli dilagarono nella pianura padana. A partire dalla distruzione di Veio (395 a.C.), entro il sec. III a.C. Roma si impossessò di tutta l’Etruria.
    La scarsità di notizie precise attorno agli Etruschi deriva dal fatto che non hanno lasciato una letteratura, la loro lingua (che utilizza un alfabeto assimilabile a quello greco) è stata decifrata con l’aiuto di testi brevissimi, perlopiù iscrizioni sepolcrali. A speciali sacerdoti (gli aruspici, la fama dei quali rimase viva anche in età romana) era affidato il compito di prevedere il futuro e capire la volontà degli dei scrutando le viscere degli animali sacrificati e analizzandone il fegato.
    La centralità del culto dei morti presso gli Etruschi è attestata dalle numerose necropoli e tombe isolate disseminate in Toscana e nel Lazio: convinti che il defunto conservasse l’individualità congiunta alle proprie spoglie mortali, concepirono il sepolcro come un’abitazione sotterranea, arredata con letti, tavoli, utensili e affrescata da vivaci pitture.
    La società era formata da nobili, discendenti dei primi dominatori, e servi, discendenti delle popolazioni preesistenti all’occupazione etrusca. Vi erano schiavi adibiti ai lavori più pesanti, ma anche schiavi semiliberi che, per i loro meriti, potevano condurre vita migliore e anche elevarsi socialmente.

    Le origini di Roma: L’età dei re
    Sulla nascita di Roma sono più ricche di contenuto le leggende che non le conoscenze reali. Lo storico Tito Livio racconta dello sbarco dell’eroe omerico Enea, scampato alla Guerra di Troia, con il figlio Iulo e alcuni compagni.
    Enea fondò la città di Albalonga che, per otto secoli fu governata dai suoi discendenti. I gemelli Romolo e Remo, figli di Rea Silvia, la figlia del re Numitore, e del dio Marte, scamparono alla persecuzione del perfido Amulio, fratello di Numitore, che aveva usurpato il trono. Allevati da una lupa e poi dal pastore Faustolo, diventati adulti, uccisero Amulio e restituirono il trono al nonno. I fratelli decisero di fondare una nuova città ma, mentre Romolo ne tracciava i confini, Remo in segno di sfida saltò il solco e Romolo lo uccise. Era il 21 apr. 753 a.C., la data da cui si fa iniziare la storia di Roma. Per popolare la città, la leggenda narra che Romolo, invitati i Sabini a una manifestazione di giochi, rapì le loro donne. Il conflitto venne evitato in nome di una convivenza pacifica.
    Secondo le conoscenze storiche, invece, l’agglomerazione degli antichi insediamenti sparsi sui colli, specialmente attorno al Palatino (secoli IX e VIII a. C.), approdò alla formazione di un impianto urbano nel sec. VII a.C. La monarchia fu la forma di governo in auge fino al 509 a.C. La cacciata dell’ultimo re, l’intervento successivo di Cumani e Latini, assieme alla maturazione in ambienti aristocratici romani di un’avversione verso l’istituto monarchico, portò alla sua abolizione e alla nascita del regime repubblicano.
    Tra l’VIII e il I sec. a.C., per motivi di difesa dall’invasione etrusca, il villaggio del Palatino, ingranditosi e sviluppatosi in età dall’invasione precedente, si fuse con quelli vicini, Aventino, Esquilino, Celio, Viminale, Quirinale, Capitolino.
    Da questo processo di fusione (di cui rimane il ricordo della festa religiosa del Septimontium, a sottolineare anche il carattere religioso dell’unione), unito all’arrivo di popolazioni sabine, si formò la città di Roma. Secondo la tradizione, a Roma regnarono 7 re, fino al 509; probabilmente furono di più e quelli ricordati sono solo i più importanti. I primi quattro avevano origine latino-sabina, gli ultimi tre etrusca. Morto Romolo durante un temporale (i Romani credettero in una sua ascesa al cielo e lo adorarono col nome di Quirino).
    A Numa Pompilio vengono attribuite l’introduzione delle prime istituzioni religiose, la riforma del calendario con l’anno di 12 mesi e 365 giorni e 1’occupazione della fortezza etrusca del Gianicolo.
    A Tullo Ostilio sono legate le prime azioni militari, la conquista di Albalonga, la vittoria dei tre fratelli romani, gli Orazi, contro i tre fratelli albani, i Curiazi e l’espansione a danno delle popolazioni confinanti.
    Anco Marcio conquistò Ostia e Roma ottenne l’accesso sul mare stabilendo contatti con Etruschi, Cartaginesi e Greci.
    Tarquinio Prisco fu il primo re di origine etrusca. Fece costruire il Circo Massimo, il tempio di Giove Capitolino, la Cloaca Maxima. In campo amministrativo aumentò il numero dei senatori (da 100 a 200) permettendo l’accesso alla carica anche per meriti personali e non più solo per nobiltà di nascita.
    Servio Tullio, (secondo re etrusco) espanse ulteriormente il dominio verso sud; emanò una nuova costituzione basata sul censo (i comizi centuriati) e portò a 300 il numero dei senatori.
    Tarquinio il superbo (terzo re etrusco e ultimo re di Roma) fu un re dispotico e crudele, sospese le costituzioni e governò arbitrariamente con ogni tipo di sopruso.
    Secondo una tradizione, Tarquinio fu cacciato dai Romani e chiese aiuto al lucumone di Chiusi, Porsenna, che venne però sconfitto dagli eroi Orazio Coclite e Muzio Scevola. Secondo il racconto di Tacito invece fu lo stesso Porsenna invece a cacciare l’ultimo re. Da allora cominciò a prendere corpo l’ordinamento repubblicano.
    Dei sette re di Roma, quelli su cui comunque ci sono notizie più attendibili sono gli ultimi tre, perchè è certo che la potenza etrusca influenzò anche Roma; per gli altri purtroppo spesso la fantasia si sovrappone alla realtà.

    L’ordinamento politico
    Tre erano le principali istituzioni di governo nell’antica Roma: il re, il senato e comizi curiati. La carica di re non era ereditaria; il sovrano aveva anche il potere religioso (era sommo sacerdote) militare (era comandante dell’esercito) e giudiziario (era giudice supremo del popolo).
    Se il re pronunciava delle condanne a morte, però, il cittadino poteva fare appello all’assemblea de popolo (provocatio ad populum) e rimettersi al suo giudizio le funzioni di governo, compresi i poteri legislativo e giudiziario, erano svolte con l’assistenza di due assemblee: il senato e i comizi curiati. Il senato era composto da membri dell’aristocrazia scelti dal re e consultati per decisioni sia di politica estera che di politica interna; il senato doveva anche approvare o respingere le proposte di legge del sovrano e le deliberazioni dei comizi curiati.
    Alla morte del re dieci senatori sceglievano un nuovo candidato e lo proponevano ai comizi curiati. Questi ultimi erano formati da cittadini facenti parte delle 30 curie (ripartizioni della popolazione); ogni curia era formata da 10 genti (o gentes, gruppi gentilizi) doveva fornire all’esercito 100 fanti (una centuria) e 10 cavalieri oltre a un senatore per ogni gens (i senatori erano così 300, secondo la riforma di Servio Tullio). Le curie potevano riunirsi in assemblea, dichiarare la guerra, nominare il re, approvarne le proposte di legge e ratificare le condanne a morte. La sede delle riunioni era il Foro.

    Le classi sociali
    Due erano le grandi classi sociali: i patrizi, aristocratici proprietari terrieri, e i plebei, contadini, commercianti e artigiani, utilizzati anche dall’esercito. I patrizi avevano l’accesso alle cariche pubbliche, mentre i plebei ne erano esclusi.
    Con il miglioramento delle condizioni economiche, anche alcuni plebei divennero benestanti e iniziarono una serie di lotte per ottenere la parità di diritti. Al servizio dei patrizi vi erano i clienti che ricevevano dai loro padroni terreni da lavorare, bestiame e protezione in cambio del servizio militare e di un aiuto nella vita pubblica.
    Gli schiavi, prigionieri di guerra o plebei insolventi ai debiti, erano completamente nelle mani dei loro padroni, che potevano decidere della loro vita o anche donare loro la libertà; gli schiavi liberati erano detti liberti.

    La religione
    I culti delle diverse divinità erano affidati a dei collegi sacerdotali, il più importante dei quali era quello dei Pontefici, retto dal Pontefice massimo. Questi, che in età monarchica e imperiale coincideva con il re e con l’imperatore, presiedeva le cerimonie, stabiliva le feste e annotava i fatti storici (Annales).
    Vi erano poi il collegio dei Salii (che presiedeva il culto di Marte), quello delle Vestali (officiava il culto di Vesta, simbolo dell’eternità romana), quello degli Auguri (che dall’osservazione del volo e del canto degli uccelli e delle viscere degli animali sacri, i polli, traeva consigli sulle vie da seguire in caso di decisioni importanti) e quello dei Feziali (depositari del diritto riguardante guerre e alleanze).
    Tra gli dei, i tre più importanti erano luppiter (Giove), Marte e Quirino. Rilevante era anche l’importanza attribuita alle divinità familiari i Lari, gli spiriti degli antenati, e i Penati, protettori della dispensa.

    La Repubblica romana
    Cacciato l’ultimo re, Tarquinio il Superbo, la monarchia venne sostituita da un governo repubblicano a carattere aristocratico. In quel periodo, per alcuni anni, Roma dovette combattere contro Porsenna e contro le popolazioni latine preoccupate della sua ascesa.
    All’interno, il nuovo ordinamento provocò dei contrasti tra le due principali classi sociali, i patrizi e i plebei. Infatti, nonostante i vari poteri, legislativo, esecutivo, giudiziario e militare, fossero affidati a magistrature diverse, erano comunque nelle mani di pochi cittadini patrizi, mentre tutti i plebei ne erano esclusi. Le lotte tra patrizi e plebei si susseguirono per parecchi anni, fino a quando i plebei ottennero alcune concessioni: l’accesso al consolato, il tribunato, l’emanazione di leggi scritte, la cancellazione del divieto di matrimoni misti.
    Nel frattempo, l’esercito romano, dopo aver combattuto l’invasione dei Galli a nord, si preparò a nuove conquiste nell’Italia meridionale, sconfiggendo i Sanniti, occupando Taranto e la Magna Grecia.