Category: germani

  • Germani: società e religione

    Società ed economia

    I Germani, anche prima di venir a contatto coi Romani erano barbari ma non selvaggi; centro della loro organizzazione era la famiglia; più famiglie ,si univano in un’orda; più orde in un distretto o pago. L’associazione dei pagi costituì per secoli il vero stato, il solo legame politico che poteva raccogliere in sè fino a 50-60.000 membri. Al padre spettava l’autorità suprema sulla famiglia e sui servi (la popolazione si divideva in liberi e servi); i liberi in nobili e popolo; tutti i liberi costituivano l’eribanno (esercito), tutti i possessori di fondi partecipavano di diritto all’assemblea popolare (ting), dove si eleggevano i capi o il re, dove si deliberava la guerra e si risolvevano i litigi personali. In guerra i fanti costituivano il cuneo e combattevano mescolati coi cavalieri; l’intera tattica si concentrava nell’urto che decideva la sorte della battaglia. I morti si bruciavano; più tardi si seppellirono.
    Presso i Germani l’attività dello Stato era nulla o quasi ; tutto aveva carattere personale. Gli interessi comuni, come la proprietà, la guerra, la religione, univano i liberi in assemblea, dove ciascuno si presentava armato,: e dove si deliberava d’accordo, giusta la sentenza che aveva raccolto più vasto consenso. Pel resto, come per il diritto ereditario, la giustizia, il governo della famiglia, ognuno si regolava secondo la tradizione, la consuetudine, o il giudizio e l’azione personale. Al contrario, nel mondo romano lo Stato esercita la massima ingerenza sulla comunità, esso domina così la società come l’individuo, fissa le norme della convivenza sociale, dei rapporti tra cittadini, e di questi verso lo stato; li costringe ai doveri inerenti al servizio militare, alle imposte; ne limita la libertà d’azione; li condanna nell’infrazione della legge; li obbliga nell’offesa a ricorrere alla giustizia comune, e per tutte queste prerogative dispone di organi speciali; l’uomo così è in primo luogo parte dello stato, poi parte di se stesso. Caratteristica del germano è il suo egocentrismo; la sua libertà non subisce quasi restrizioni; la sua partecipazione alla vita comune e in ragione della sua volontà, della sua capacità, dei suoi mezzi, del suo coraggio, della sua dignità; in guerra egli s’aggrega a un capo di riconosciuto valore; in pace corrisponde ai tributi con offerte spontanee; offeso, esercita personalmente la giustizia. Lo stato ha carattere patriarcale, le cariche vi sono elettive, o occasionali; soltanto, dopo l’invasione e per influsso della civiltà romana, il re nominerà gli strumenti della sua autorità, costituendo il padatium corte regia. La società germanica è una società rurale, sparsa pei campi, che i singoli liberamente coltivano, nella quale le condizioni sono di grande eguaglianza, dato che la differenza delle fortune si limita al numero degli armenti e dei servi. Il vincolo più saldo in essa è quello del sangue e della parentela, vincolo che s’allenta, a mano a mano che il cerchio degli affini s’allarga. Nell’orbe romano l’individuo fa corpo con lo stato e si confonde con esso, e gli delega la sua parte di sovranità; nel mondo germanico il cittadino resta individuo, e però conserva integra in massima la sua sovranità personale.
    Senonchè, mentre la sovranità dello stato è legge superiore, dritta, impersonale, fonte di ordine, di disciplina, di potenza; la sovranità individuale, la libertà illimitata per ciascuno, sono fonti dl arbitrio, di anarchia, di debolezza. Roma ha creato un grande impero, una meravigliosa civiltà, la sicurezza e la pace nel mondo; i Germani invece, appena creato sulle tracce della romanità e con la guida di un grande, l’impero, si sono affrettati a scomporlo, a disintegrarlo a beneficio dei singoli.
    Di qui è venuto agli uomini il giogo più triste che la storia ricordi: quello del Feudalismo. Per neutralizzarne gli effetti, in Italia almeno, fu necessaria la reazione dei Comuni; per annullarli del tutto nel resto d’Europa, bisognerà attendere la Rivoluzione francese dell’89.

    Economia
    L’economia aveva caratteri naturali: i produttori erano anche consumatori; i mercanti erano stranieri e importavano solo generi di lusso; raro il traffico tra connazionali e vicini; facili gli spostamenti e le emigrazioni essendo le case di legno, coperte di pelli; si occupava un territorio in ragione del numero e della sicurezza, con buoni confini naturali; nel centro si collocavano i villaggi e i terreni agricoli, distribuiti a ciascuno in ragione della dignità, dei membri della famiglia, dei servi e degli armenti. Si dissodava il terreno e gli si lasciava intorno l’allmende, o bosco di confine, per il legnatico, la caccia e il pascolo di tutti. Per siffatto sistema economico i popoli gérmanici dovevano disporre di vasti territori; ne avvenne che, col crescere della popolazione, si dovettero disboscare e dividere anche le allmende, ciò che provocò contatti e conflitti coi vicini, e più tardi la fusione e l’amalgama di più stirpi, quindi ancora grandi coalizioni di popoli con tendenza a cercar sedi più ricche e più comode. L’agricoltura stabile comincia a preponderare ai tempi di Cesare e s’accentua in quelli di Tacito. Tuttavia l’eccesso di popolazione spingeva i popoli più numerosi ad emigrare: cosi avevano fatto i Teutoni e i Cimbri ai tempi di Mario, così gli Svevi in quelli di Cesare. Dal 50 a. C. al 250 d. C. Roma potè fermare l’avanzata dei Germani; ma quando intere foreste vergini furono dissodate, quando tutte le allmende passarono in proprietà individuale, il movimento riprese tenace. A uno a uno caddero i confini: il Limes, l’Istro, il Reno; sicchè prima la Dacia, la Mesia, la Pannonia, l’Illirico, l’Epiro, l’Acaia, il Norico, la Vindelicia, la Rezia, la Germania, poi la Belgica, la Gallia, la Spagna, l’Italia furono preda dell’invasore; prima i Goti poi gli Alamanni, i Burgundi, i Franchi, i Longobardi, i Bavari.
    I Germani portavano con se i loro dei, il loro giure, il loro costume nazionale, la loro lingua, sicchè, pur venendo assorbiti a poco a poco da una civiltà superiore, lasciarono viva traccia di sè nella lingua, nei costumi, nelle istituzioni di coloro che costituiranno in processo di tempo le nuove entità nazionali: Tedeschi, Francesi, Spagnoli, Italiani.

    Religione

    I Germani veneravano le forze naturali che personificarono ed intesero dualisticamente, cioè come potenze lucide o buone e potenze tenebrose o cattive: Anses (fulcri del cielo e dell’ordine morale); Thurs e Jótun, giganti malvagi, contro cui è in perpetua guerra Donar (o Thórr), dio delle bufere e protettore dell’agricoltura, e con Donar gli altri dei. Di qui trae sua origine quel particolare carattere drammatico e tragico, da cui è animata tutta quanta la mitologia germanica. Gli dei per poco non debellati dai Giganti, furono salvati da Odino o Wotan, simbolo dell’aria che penetra tutto e moralmente del furor teútonicus; questi coi suoi compagni riuscì a scongiurare la rovina e il Walhalla, sede degli dei, ne fu modificato.

    Accanto a Odino o Wotan è Donar o Thórr, dio del tuono; seguono: Tyr (Zill, Eru), dio della guerra; Nerfus la terra, madre degli dei; Frigg, moglie di Odino; Freyja, dea dell’amore; Baldur, dio della luce primaverile; Bragi, della poesia; Loki, dio diabolico del fuoco; Freyr, dell’abbondante raccolto, che cavalca un cinghiale dalle setole d’oro; Hel, dea dell’inferno; le tre Norne che tessono la sorte; le Walchirie, vergini portascudo di Odino, che sospingono nel Walhalla gli eroi caduti sul campo di battaglia. Come tutti i popoli ariani i Germani riconducono agli dei la loro origine e abbondano di saghe particolari ; ma non possiedono un nome che tutti li comprenda; essi ci fanno l’effetto di un popolo che abbia smarrita, o non abbia avuto mai una coscienza nazionale: infatti il nome di Germano, divulgato da Roma, è nome probabilmente celtico, e quello di Deutsch, che significa popolo è seriore, data cioè dal IX secolo.

    ODINO
    Il Sovrano di tutti gli dei nell’antica religione nordica (dei Germani e degli Scandinavi). Equivale al sassone Wodan, antico alto-tedesco Wuotan; forse erede di una tradizione religiosa pre-germanica. L’etimologia del suo nome si collega al termine “furore” che e’ alla base anche dell’ispirazione divinatoria e poetica. Infatti Odino, pur occupando una posizione dominante nel pantheon germanico, come “padre universale”, “governatore di cielo e terra” e “creatore” non ha i caratteri olimpici delle divinità supreme di altri popoli di lingua indoeuropea come il greco Zeus o il romano Juppiter; il dio germanico il cui nome etimologicamente corrisponde a questi ultimi e’ un altro (Tyr o Ziu) che tuttavia passa in second’ordine rispetto a Odino. In Odino abbondano invece i caratteri funesti: egli e’ capo della “caccia selvaggia”, schiera delle anime dei morti; e’ il dio della guerra la cui lancia (Gungir) colpisce infallibilmente il segno e ritorna a lui. La sua potenza, limitata unicamente dal fato (al “crepuscolo degli dei” Odino sarà divorato dal lupo Fenrir), gli deriva da una suprema sapienza magica: per acquistare questa, attinta alla sorgente di Mimir, egli ha dato in cambio un occhio, diventando con ciò monocolo come certi demoni ciclopici di altre mitologie. Egli conosce la magia delle rune, conquistata mediante lo star sospeso (impiccato) all’Yggdrasil (il frassino sacro) per nove notti. Esercita la sua potenza nel bene e nel male: nel violentare donne, nel rapire l’idromele magico a Skattung, ma anche nel creare, insieme con i fratelli Vili e Ve’, il mondo, sollevando la terra dalle acque, e la prima coppia umana da un frassino e da un olmo. Peregrinando per il mondo sa tutto (due corvi lo informano delle cose lontane) e fonda la civilta’ umana. I Romani lo identificavano non senza ragione (nessi con i morti, invenzioni culturali) con Mercurio, donde la parola inglese Wednesday, giorno di Wodan sta per Mercoledì (Mercurii dies): la mitologia germanica gli da per genitori Borr e Bestla, per moglie Frigg e per figlio primogenito Balder.

  • Germani: la riforma protestante

    Guerre religiose

    La Riforma protestante fu il prodotto della combinazione degli ideali spirituali di Martin Lutero e delle ambizioni secolari dei principi tedeschi. A Massimiliano succedette nel 1519 Carlo V, cui spettò il compito di mantenere l’unità e il controllo di un impero nel pieno dello scisma protestante e del particolarismo tedesco.
    Inizialmente, le istanze riformiste si legarono a rivendicazioni di carattere sociale ed economico che sfociarono spesso in scontri violenti (guerra dei contadini, 1524-1526).
    Lutero non voleva tuttavia confondere le questioni religiose con quelle secolari; egli incitò i principi a reprimere ogni insurrezione. I contadini persero tutti i loro tradizionali diritti e i principi fondarono chiese di stato, mantenute con le rendite delle terre confiscate alla Chiesa, amministrate da un clero cui era permesso sposarsi.
    In questa prima fase, la rottura con Roma non sembrava inevitabile: Carlo V, impegnato in guerre lontane, era intenzionato a mantenere la pace nei territori dell’impero. Alla Dieta di Augusta (1530) luterani e cristiani riformati non si dimostrarono disposti ad alcun compromesso, e anche i principi e il papa delusero la speranza di Carlo di risolvere la disputa con un concilio. Disperando di riuscire a comporre la controversia pacificamente, Carlo guidò le sue truppe contro i principi protestanti e le città della Lega di Smalcalda (1531), sconfiggendoli nella battaglia di Mühlberg (1547). Egli fu tuttavia costretto ad accettare il compromesso della pace di Augusta (1555) che riconosceva il luteranesimo (ma non il calvinismo) e conferiva ai principi il diritto di scegliere la religione del loro territorio.
    Carlo abdicò nel 1556: il titolo imperiale e i territori tedeschi passarono al fratello Ferdinando e i domini spagnoli al figlio Filippo, futuro Filippo II di Spagna.
    Mentre Ferdinando I e il figlio Massimiliano II erano impegnati a difendersi dalla minaccia dell’invasione turca, il protestantesimo si diffuse rapidamente in Germania, nonostante i principi riaffermati dalla Controriforma a difesa della tradizione cattolica e contro la riforma protestante; i Gesuiti fondarono numerosi centri nelle città tedesche, facendo con successo opera di proselitismo.
    La tensione tra protestanti e cattolici crebbe: i primi si riunirono sotto la guida dell’elettore palatino Federico IV nell’Unione evangelica (1608) mentre, nel 1609, Massimiliano I di Wittelsbach, duca di Baviera, raccolse i principi cattolici nella Lega cattolica, dotata anch’essa di un esercito proprio. L’imperatore Rodolfo II, figlio di Massimiliano II, fu costretto ad abdicare in favore del fratello Mattia, cui successe il nipote, Ferdinando II d’Asburgo. Nel contempo, la Francia cattolica era determinata a non lasciarsi sopraffare dagli Asburgo; anche Inghilterra, Olanda e protestanti si opponevano a una forte dinastia asburgica mentre la Danimarca e la Svezia ambivano a dominare il Baltico. Approfittando delle lotte interne tra gli stati tedeschi, tutti questi paesi avanzarono pretese in Germania, facendone il teatro di una guerra europea di proporzioni devastanti (guerra dei Trent’anni, 1618-1648).
    I conflitti iniziarono nella Boemia protestante, che rifiutò di accettare il cattolico Ferdinando II come re e futuro imperatore; nel 1618 i cechi costituirono un proprio governo, scegliendo come re l’elettore protestante Federico V del Palatinato, ma Ferdinando sconfisse le forze boeme nella battaglia della Montagna Bianca (1620) e restaurò il cattolicesimo con la forza.
    I principi protestanti si opposero quindi alla presenza di truppe spagnole in Germania e diedero il loro sostegno a Cristiano IV di Danimarca che, sostenuto dagli olandesi e dagli inglesi, invase la Germania nel 1625, dando inizio a una nuova fase della guerra, conclusa con la sconfitta di Cristiano e con l’emanazione da parte di Ferdinando dell’Editto di restituzione (1629), che imponeva la restituzione di tutte le proprietà della Chiesa cattolica confiscate dai protestanti a partire dal 1552.
    Una terza fase della guerra si aprì quando Gustavo II Adolfo di Svezia invase la Pomerania come paladino dei principi protestanti. La guerra si prolungò per anni, con le due armate contrapposte che devastavano le campagne senza riuscire a ottenere vittorie decisive; nel 1635 fu dichiarato l’armistizio e l’Editto di restituzione fu revocato.
    Oltre agli svedesi anche i francesi, guidati dal cardinale Richelieu, erano determinati a sottomettere gli Asburgo. In una quarta fase della guerra iniziarono perciò a sovvenzionare l’esercito svedese perché continuasse l’offensiva mentre le loro truppe attraversavano il Reno. Dovettero trascorrere altri tredici anni di guerra perché l’imperatore Ferdinando III e i principi deponessero le armi.
    Con la pace di Vestfalia (1648), venne riconosciuta la sovranità e l’indipendenza di ogni stato del Sacro romano impero, togliendo così ogni effettivo potere alla stessa autorità imperiale; fu stabilito inoltre che la religione di ciascuno stato tedesco dovesse essere decisa dal principe dello stato stesso. In materia religiosa venne confermato lo status quo: i possedimenti degli Asburgo, così come il sud e l’ovest della Germania, restavano cattolici e i protestanti (la cui fede otteneva il riconoscimento ufficiale) avrebbero potuto mantenere le terre acquisite.
    Alla fine del lungo conflitto la Germania aveva perduto circa un terzo della sua popolazione, decimata dalla guerra, dalla fame o dalla peste e le perdite materiali furono enormi e disastrose.

  • Germani

    Storia antica

    Nelle zone germaniche possiamo citare i Franchi, gli Alamanni, e i Sassoni. Quelle conosciute ai tempi di Tacito (98 d.C.) buona parte in questo periodo sono già scomparse, come i Catti, Cauci, Cheruschi, Suebi, Gepidi, Burgundi ecc., forse integrati con altre tribù.
    Lo stesso Tacito con le sue ricerche e “interviste” ai romani che tornavano da quei territori, era venuto a conoscenza (e credeva) che discendevano da tre ceppi ben precisi nonostante quelle incontrate dalle legioni fossero circa 40 tribù diverse (da altri fonti circa un centinaio) . Un ceppo, gli Ingevonis e Istevoni provenivano dall’oceanus Germanicus (così chiamato allora il mare del Nord). Un altro ceppo dal Suevicum (Baltico). Il terzo dal “Cimbrico Jutland” (Danimarca), con gli Erminoni stanziati sull’Elba.
    Nel I secolo d.C. appaiono tutti amalgamati, quasi un unico popolo con forti analogie negli usi e i costumi, ma non nelle loro arcaiche istituzioni. Queste erano molto differenziate, ecco perché non è ancora il momento di chiamarli tutti Germani, e meno ancora Franchi anche se così li abbiamo già citati, e per comodità così li citeremo ancora fin quando la divisione sarà quasi netta (con Meroveo e Clodoveo).
    Fra poco con le orde che si abbatteranno su questo territorio – quindi altre fusioni- sarà ancora più difficile per gli storici capire chi erano esattamente queste popolazioni e da dove venivano. L’unica fonte storica è quella di Tacito, nella sua opera De origine situ germanorum, scritta nel 98 d.C.
    Privi di queste note non solo noi ignoreremmo le loro origini ma le ignorerebbero gli stessi Germani e i Franchi; non essendoci ancora nel secolo IV una lingua germanica scritta non potevano certo lasciare una documentazione storica. Quella di Tacito, resta in assoluto la prima opera d’informazione sulla vita e i costumi degli antichi Germani e ci offre anche l’opportunità di sapere qualcosa sulle loro divinità.
    Culturalmente sappiamo poco, etnicamente qualcosa, con l’archeologia molto di più. Ci sono oggi gli scavi archeologici che testimoniano con vari reperti che la prima sede originaria è tra la Scandinavia del sud e le coste del Baltico nello Jutland e lungo il corso del fiume Elba. Ci indicano i reperti rintracciati la cultura detta di Jastorf che è datata 700 a.C. Ed è questo il periodo dove avvengono le prime grandi migrazioni.
    Due le grandi direttrici migratorie: Verso il Reno a ovest e verso il Danubio a sud. Entrambe entrarono in contatto con la CIVILTA’ CELTICA che si era diffusa su tutta Europa fin dal 1600 a.C.
    Durante l’età del ferro (“la cultura di Hallstatt” è celtica) dal 700 a.C. fino al 500 a.C. i Celti sono sulla Mosa, sul Reno, sul Meno, sulla Marna, nello Champagne; tutti questi vennero chiamati GALLI. L’origine di questo termine sembra risalga all’indo-europeo garlus, dalla radice gar = gal, che significa gridare.
    Altri gruppi dominarono invece l’intero corso del Danubio dalle sorgenti del Giura fino al Mar Nero. Infine lo sviluppo celtico interessò anche l’Italia del nord nell’ultimo periodo della loro massima espansione nel 400 a.C. soprattutto sul territorio Padano.

    Le migrazioni germaniche al nord Europa, dunque iniziarono proprio nel 700 a.C. Nel 300 a. C. di Celti quasi non ne esisteva più traccia in Europa; o furono cacciati (ne ritroviamo un buon numero in Asia Minore prima come soldati di Filippo poi di Alessandro Magno) o lentamente furono assorbiti da questi altri popoli detti “figli del mare” – mero-vei, in inarrestabile movimento.
    Furono chiamati dai romani i Celtici e i Galli, tutti Germani, per il motivo che una delle prime tribù che conobbero e sconfissero, così si chiamava, cioè jerman, provenienti dallo Jutland nordico, scesi assieme ai Suebi, Marcomanni, Cimbri, Ambroni, e ai Teutoni, verso il Danubio superiore. L’ultima indicata si stanziò nella Gallia meridionale, e anche questa essendo una delle prime tribù che si scontrò con i romani di Gaio Mario nel 102 a.C. per un lungo periodo Teutonici rimase l’equivalente per indicare i Germanici, poi anche i latini iniziarono a usare questo termine gallico per indicare tutti le tribù dei figli del mare, molto diversi come costumi, però legati dalle somiglianze dei dialetti e dai tipici utensili usati nelle varie attività quotidiane.
    Dunque erano due le due grandi direttrici di marcia: verso ovest (Reno) e verso sud (Danubio). Sono trascorsi circa 1000 anni dalle prime migrazioni e insediamenti. Nel 373 d.C. siamo nel periodo dove a dominare sono rimasti solo due grandi gruppi: i popoli del nord attorno al Danubio, e sono questi gli Alamanni, mentre attorno al Reno gli altri, presto li chiameremo Franchi.
    A questo punto dovrebbe essere chiara la loro provenienza, ma ci sono però anche le leggende; una delle più affascinanti è quella di un cronista storico dove racconta che questo popolo nell’antichità faceva parte del regno di Re Priamo di Troia; dopo una sanguinosa guerra furono scacciati dalla Frigia. Vagarono con mogli e figli per molti anni, all’interno delle ottime terre del Mar Nero, poi scoperta la foce del Danubio, dopo essere venuti in lite fra loro, si divisero in due gruppi. Il gruppo comandato da un certo re Francione, risalì il grande fiume. L’agricoltura per quanto praticata era arcaica e non conosceva ancora la concimazione, essa si spingeva anno dopo anno su nuovi terreni dove i limi alluvionali favorivano le colture. Anno dopo anno Francione arrivò nel territorio che ritenne il migliore, incastonato fra quattro grandi fiumi, Danubio, Reno, Meno, Nekar, e gli diede il suo nome: FRANCONIA, il quel perimetro dove sorge oggi Norimberga, Stoccarda, Mannheim, Magonza, Darmstad, e infine Francoforte. Territorio che fu in seguito il centro della vita politica tedesca e del regno dei franchi orientali per molti secoli, poi residenza secolare degli stessi imperatori Carolingi.
    Di qui, narra la leggenda, re FRANCIONE partì per conquistare a est, al di là del Reno il territorio che poi prese il suo nome: la FRANCIA.
    Questa è una versione leggenda, molto popolare e accettata nel primo medioevo. Ma la storia più verosimile è un’altra più verosimile; ed è quella dei Mero-Vei (“figli” del mare). Pur non disponendo di documenti storici i reperti archeologici dicono oggi molte cose. Sembra dunque che il popolo dei Franchi, in questo periodo composto da moltissime tribù, una in particolare riuscì a prevalere e ad assorbire le altre. Era la tribù dei Salii, provenienti dal lago salato Issel (Salato).
    L’intera zona circostante, infatti, è chiamata Saaland: Terra del sale. Queste tribù a poco a poco, una parte si impose a sud ovest e arrivò fino allo Schelda, alla Mosa e sulle rive sx del Reno, mentre un’altra, penetrò all’interno della riva destra renana rimanendo piuttosto ribelle nei confronti dell’altra.
    E qui che l’imperatore Giuliano li incontrò per la prima volta in quella “pulizia” che abbiamo accennato nel 357, e dove dopo i vari compromessi concedette ai primi anche la libertà (con uno statuto di foederati) di rimanere sul proprio territorio nei vari pagus = ormai non più accampamenti ma veri e propri villaggi, e in seguito città.
    Ammiano Marcellino scrive circa la tribù di salii: uomini coraggiosi che si erano spinti a sud della Mosa fino ai fortini della strada romana di Colonia. I romani iniziano a distinguerli: “i liberi” cioè gli af-francati, alias Franchi salii, mentre gli altri, Ripuari salii, cioè quelli che vivono nell’altra ripa, cioè nell’altra sponda. (ripa è un termine romano, più precisamente usato dagli Itali di Corfinio, in Abruzzo). Ammiano afferma che questi ultimi, i Ripuari salii, avevano un proprio re. Uno di questi di cui si ha notizia é Clogio o Clojo o Clodione che occupava con altre tribù, vari pagus nella riva destra.
    Successivamente, quando i romani con Stlicone entreranno in difficoltà, i Salii si erano spinti risalendo il Reno, fino alla odierna Franconia. Qui nel prossimo 431 e 451 si scontreranno con Ezio il generale romano comandante della Gallia.
    Tutte le storie di Francia narrano (Ma anche lo storico Prisco che conobbe di persona il re) che alla morte di Clodione successe suo figlio Mereveo. Nel frattempo i salii si erano spinti nel Turnai e nella valle della Loira; e da Colonia fino alla odierna Francoforte (dando vita al loro territorio: la Franconia). Inizia dunque la dinastia dei Salii, detti anche Merovingi, o uomini venuti dal mare. Lo stesso re, definito il capostipite dei Merovingi, cioè Mereveo significa del resto, figlio del mare, da mer = mare, oveo = figlio.

    Storia medievale

    Basso Medioevo
    Durante il XII e il XIII secolo, il conflitto tra i due poteri si tradusse in Germania e in Italia nella rivalità tra i sostenitori degli Hohenstaufen (ghibellini) e quelli del papato (guelfi). Enrico V morì senza lasciare figli nel 1125; ignorati i diritti di successione dei nipoti Federico e Corrado Hohenstaufen di Svevia, i principi scelsero Lotario II, duca di Sassonia. Questi riprese i progetti d’espansione a oriente e di affermazione del potere imperiale in Italia, dove compì due spedizioni, dovendo nel contempo fronteggiare la rivolta degli Hohenstaufen che rifiutavano di riconoscerne l’autorità.

    Alto Medioevo
    I re germanici medievali ebbero dunque tre grandi obiettivi: mantenere sotto controllo i principi rivoltosi; acquisire il controllo dell’Italia, facendosi incoronare imperatori; espandersi verso nord e verso est. Quando l’ultimo re carolingio morì senza eredi, franchi e sassoni elessero Corrado, duca di Franconia, loro re; alla sua morte (918) scelsero come successore il duca sassone Enrico I l’Uccellatore, che sconfisse magiari e slavi e ottenne il controllo della Lorena. Nel 936 gli succedette al trono il figlio Ottone I; determinato a creare un governo efficiente e centralizzato riducendo il potere dei grandi feudatari laici, egli assegnò tutti i ducati a propri parenti, dividendoli in feudi non ereditari molti dei quali concessi a vescovi e abati. Questa politica, portata avanti anche dai successori di Ottone I determinò un sempre maggiore assoggettamento della Chiesa alla corona e l’ingerenza sempre più stretta dell’imperatore nel papato che sarebbe sfociata nella cosiddetta lotta per le investiture.
    Ottone rafforzò il dominio sulla Lorena e la Borgogna, sconfisse i danesi e gli slavi e sottomise definitivamente i magiari. Nel desiderio di emulare Carlomagno e cingere la corona imperiale, avviò quindi la disastrosa politica di coinvolgimento negli affari d’Italia: quando la regina dei longobardi Adelaide, rimasta vedova, gli chiese aiuto contro l’usurpatore Berengario, incoronatosi re d’Italia, Ottone, invaso il nord della penisola (951), sposò Adelaide, sconfisse Berengario e gli strappò la corona. Scese poi una seconda volta in Italia chiamato da papa Giovanni XII contro Berengario: sconfitto quest’ultimo, nel 962 fu incoronato imperatore dal papa.
    I successori di Ottone ne continuarono la politica in Germania e in Italia per tutto il X e l’XI secolo: Ottone II stabilì la Marca Orientale (Austria) quale avamposto militare del regno affidandola alla casata di Babenberg, ma fu sconfitto dai saraceni nel tentativo di conquista dell’Italia meridionale; sul piano interno, invece, Ottone III ed Enrico II (che morì senza figli) sostennero il movimento riformista benedettino sorto a Cluny, in Borgogna.

    Tardo Medioevo e primo Rinascimento
    Verso la fine del Medioevo, dai numerosi piccoli ducati tedeschi emersero alcuni grandi potentati, le cui famiglie signorili (tra le maggiori quelle degli Asburgo, dei Wittelsbach e dei Lussemburgo) si contesero i diritti sulla corona imperiale.
    Nel 1273 gli elettori posero fine al periodo del Grande Interregno scegliendo un principe svevo, creduto incapace di riconquistare le terre che essi stessi gli avevano usurpato; in effetti, appena eletto Rodolfo I d’Asburgo si pose l’obiettivo di estendere e rafforzare il potere del suo casato. Aiutato dai Wittelsbach e da altre famiglie, sconfisse il ribelle Ottocaro II di Boemia e ne confiscò le terre d’Austria, Stiria, Carinzia e Carniola, elevando così gli Asburgo tra le grandi potenze dell’impero. Quando il figlio ed erede Alberto I manifestò l’intenzione di proseguire la politica espansionistica del padre, venne fatto uccidere dagli elettori che scelsero quale successore il conte Enrico di Lussemburgo. Con la sede pontificia trasferita da Roma ad Avignone (vedi cattività avignonese) egli intervenne nella disputa tra guelfi e ghibellini nel tentativo di ristabilire l’autorità imperiale in Italia: attraversate le Alpi nel 1310, Enrico VII sottomise temporaneamente la Lombardia e si fece incoronare imperatore a Roma, ma poco dopo morì durante il tentativo di sottrarre Napoli ai francesi. La scena tedesca fu a quel punto nuovamente dominata dalla guerra civile fino a che il candidato dei Wittelsbach al trono, Ludovico il Bavaro, non sconfisse il rivale Federico il Bello d’Asburgo nella battaglia di Mühldorf nel 1322: il titolo gli venne disconosciuto da papa Giovanni XXII, che lo scomunicò. Ludovico IV gli oppose un antipapa e reclamò la convocazione di un concilio. Nel 1338 gli elettori stabilirono che da quel momento il re dei tedeschi eletto con voto di maggioranza sarebbe diventato immediatamente imperatore, senza che fosse necessaria l’incoronazione da parte del papa.
    Nel 1347 la scelta di cinque dei sette elettori cadde su Carlo IV di Lussemburgo re di Boemia e nipote di Enrico VII. Con la Bolla d’Oro (1356) questi assegnò permanentemente ed ereditariamente il titolo di grandi elettori agli arcivescovi di Magonza, Treviri e Colonia, al conte del Palatinato renano, al duca di Sassonia, al margravio di Brandeburgo e al re di Boemia.
    Il figlio di Carlo, Sigismondo, fu occupato principalmente a seguire gli affari interni delle sue terre boeme, attraversate dal movimento del riformatore Jan Hus: finito costui sul rogo come eretico, la Boemia fu sconvolta da un’ondata di sollevazioni popolari e di conflitti armati, le cosiddette guerre hussite. Morto senza lasciare eredi, Sigismondo ebbe come successore, eletto all’unanimità, il genero Alberto d’Austria, della linea degli Asburgo, imperatore con il nome di Alberto II. Con lui, la corona imperiale divenne in pratica ereditaria. Alberto II morì nel pieno della guerra civile in Boemia e di una invasione ottomana dell’Ungheria, regioni perse poi dal cugino e successore Federico III, che in più vendette il Lussemburgo alla Francia per sostenere la sua lotta con i turchi alle frontiere e con i principi tedeschi ribelli, che tuttavia nel 1486 lo costrinsero ad abdicare. Il figlio Massimiliano I, sposandosi con Maria di Borgogna, acquisì ricchissimi possedimenti che comprendevano le prospere città fiamminghe. Con il matrimonio del figlio Filippo il Bello con Giovanna, erede al trono spagnolo, ottenne la Spagna con i suoi domini in Italia e nel Nuovo Mondo; analogamente acquisì l’Ungheria e la Boemia combinando le nozze del nipote Ferdinando con la figlia di Ladislao II Jagellone.