Category: moderna

  • Locke

    Vita e opere

    Giovanni Locke nacque a Wrington, in Inghilterra, nel 1632.
    Studiò scienze naturali e medicina ad Oxford, e ciò influì molto sul suo pensiero filosofico.
    Partecipò alla vita politica del periodo della Restaurazione 8Stuart), dapprima come segretario dell’ambasciatore inglese presso la corte dell’Elettore di Brandeburgo, e più tardi come segretario ed amico di lord Ashley, divenuto poi Duca di Shaftesbury e Gran Cancelliere d’Inghilterra.
    Dal 1675 al 1679 soggiornò in Francia, facendo conoscenza a Parigi coi più illustri rappresentanti della cultura francese di quel tempo, e prendendo moltissime note per la composizione del suo Saggio sull’intelletto umano.
    Nel 1683, quando lord Ashley, caduto in disgrazia per essersi opposto al dispotismo degli Stuart, cercò rifugio in Olanda, anche Locke lasciò l’Inghilterra e soggiornò in Olanda, entrando in relazione con moltissime personalità culturali che allora si trovavano in questo paese.
    Nel 1689, dopo la rivoluzione liberale che portò sul trono inglese Guglielmo D’Orange, Locke ritornò anch’egli in Inghilterra, ove prese di nuovo ad interessarsi della cosa pubblica: ebbe un ufficio governativo, e si adoperò per il trionfo del principio di libertà di religione e di stampa, si occupò di questione economiche e finanziarie, ecc.
    Passò gli ultimi anni ad Oates, nella contea di Essex, presso una famiglia amica, dove morì nel 1704.

    OpereSaggio sull’intelletto umano (1690), in 4 libri; Pensieri sull’educazione; due Trattati sul governo; quattro Lettere sulla tolleranza religiosa, ect.

    Pensiero

    Locke è il più grande rappresentante dell’empirismo.
    Mentre Bacone si era limitato ad affermare la necessità del metodo induttivo-sperimentale nella filosofia e nelle scienze, Locke giustifica questo empirismo, ponendosi per primo esplicitamente il problema dell’origine e del valore della conoscenza.

    Critica all’innatismo Cartesiano
    Locke incomincia con la critica dell’innatismo cartesiano.
    Se le idee – che in Locke sono sinonimo di rappresentazione mentale nel senso più generico della parola – fossero innate, tutti gli uomini dovrebbero avere le medesime idee: invece i bimbi, i selvaggi, gli incolti mancano di parecchie idee (es. principio di contraddizione, idea di Dio, principi morali fondamentali, ect.), e ciò appunto perchè la loro esperienza è più limitata.
    Le idee derivano dunque dall’esperienza e lo spirito è una tabula rasa.

    L’esperienza, le idee e le qualità
    1. Le idee derivano dall’esperienza, e precisamente da due fonti:

    1. senso esterno o sensazione, mediante il quale lo spirito conosce le cose materiali;
    2. senso interno o riflessione, mediante il quale lo spirito, riflettendo (ossia ripiegandosi) sulle proprie operazioni, conosce i fatti di coscienza (percepire, pensare, volere, ect).

    2. Tutte le idee che si trovano nella nostra coscienza, derivino esse dal senso esterno o dal senso interno, si dividono in due classi: idee semplici e idee complesse.
    Le idee semplici sono quelle non decomponibili in idee più semplici, come ad es. le idee di coloro, di estensione, di movimento, di solidità, di percezione, di volizione, di piacere, di dolore, ect.
    Le idee complesse sono quelle che risultano dalla fusione di più idee semplici, come ad es. l’idea di sostanza materiale (che risulta dalla fusione delle idee semplici di peso, colore, forma, grandezza, ect).
    Tale fusione è opera dell’intelletto, il quale interviene ad elaborare le idee semplici mediante tre principali operazioni:

    • la sintesi, che consiste nel combinare parecchie idee semplici in modo da formarne una complessa (es. idea di triangolo, di corpo, di numero, ect.).
    • la comparazione, che consiste nel paragonare un’idea con se stessao con un’altra, in modo da stabilire delle relazioni tra di esse (es. idea di identità, di causalità, di posizione, di grandezza, ect.).
    • l’astrazione o analisi, che consiste nel separare un’idea da tutte quelle altre idee che l’accompagnano nella sua esistenza reale, in modo da dare origine all’idea generale (es. idea generale, o astratta, di uomo, di albero, ect.).

    In tal modo, mentre riguardo alle idee semplici la mente umana si trova ad essere passiva, riguardo alle idee complesse diventa attiva: per quanto tale attività si limiti ad essere qualcosa di puramente estrinseco e meccanico, riducendosi ad unire e a separare i dati.
    Il concetto di astrazione è dunque diverso da quello aristotelico.
    L’astrazione aristotelica da luogo ad un concetto astratto, qualitativamente diverso dalle immagini empiriche, particolari e contingenti; l’astrazione lockiana da luogo ad un’idea astratta che non è qualitativamente diversa dalle immagini empiriche, ma è piuttosto questa medesima immagine che resta più generale: infatti le astratte sono anch’esse individuali e determinate fin nei minimi particolari (omnimodo determinatae).

    3. Locke distingue poi dalle idee (semplici e complesse) le qualità dei corpi.
    Egli introduce qui la nota distinzione di qualità primarie (o oggettive) e qualità secondarie (o soggettive), già avanzata da Galilei e da Cartesio.
    Sono qualità primarie l’estensione, il moto, la solidità, il numero, ect.
    Sono qualità secondarie i colori, gli odori, i suoni e simili.
    Le qualità primarie, oltre ad essere idee, esistono realmente anche fuori di noi, in se medesime; le qualità secondarie esistono solo come idee.
    Si noti che questa distinzione è in contraddizione con la teoria generale di Locke, affermante che noi conosciamo solamente le nostre idee: perchè in base ad essa si conclude l’esistenza di realtà (le qualità primarie o oggettive), che non sono idee nostre, ma esistono fuori di noi, in se medesime.

    Critica all’idea di sostanza
    Molto importante è in Locke la critica dell’idea di sostanza, in cui egli precorre Kant e l’idealismo moderno.
    L’idea di sostanza è un’idea complessa, risultato di un processe di astrazione, per cui, separando una serie di qualità costantemente coesistenti (es. peso, colore, forma, grandezza), congetturiamo che esista un “sostrato”, in cui quelle qualità ineriscano; ma in realtà noi conosciamo soltanto le qualità, non la sostanza sottostante.
    L’idea di sostanza è quindi inconoscibile, e ogni metafisica (teologia, psicologia, cosmologia) è impossibile: la teologia, in quanto si fonda sull’idea di sostanza divina; la psicologia, in quanto si fonda sull’idea di sostanza spirituale; la cosmologia, in quanto si fonda sull’idea di sostanza materiale.
    Ciononostante Locke tenta in un secondo tempo di fondare una metafisica, dimostrando l’esistenza del mondo esterno e di Dio.
    Egli ricorre al concetto empiristico della passività dello spirito ed applica il principio di causalità: ci sono in noi sensazioni non prodotte da noi, dunque esistono fuori di noi i corpi che ne sono la causa: noi, che esistiamo, non abbiamo prodotto noi stessi, dunque esiste fuori di noi una causa che ci ha prodotti: tale causa è Dio.
    Si noti tuttavia che tale dimostrazione è in contraddizione con la dottrina generale di Locke, affermante che noi conosciamo solamente le nostre idee: perchè in base ad essa si conclude all’esistenza di realtà che non sono idee nostre, ma esistono fuori di noi, per se medesime.

    Politica
    Locke si può considerare il padre del liberalismo politico.
    Egli si propose di giustificare la rivoluzione liberale inglese del 1688 (Guglielmo D’Orange), e perciò concepisce lo Stato come governo della maggioranza e non di uno solo.
    Egli parte dal concetto di Hobbes di un contratto sociale che è all’origine dello Stato, ma nega che lo stato di natura sia una guerra contro tutti: il contratto non è perciò di rinuncia degli uomini alla propria libertà e ai propri diritti, ma anzi migliore garanzia di questa libertà e di questi diritti; ed ove questa garanzia venga meno per parte del potere esecutivo, la sovranità ritorna al popolo mediante la rivoluzione.
    Locke è inoltre importante perchè fissa per primo i capisaldi politici della distinzione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario), della tolleranza religiosa e della separazione della Chiesa dallo Stato.

  • Leibniz

    Vita e opere

    Goffredo Leibniz nacque a Lipsia nel 1646, da un professore di quella Università.
    Fu in gran parte un autodidatta: studiò nella ricchissima biblioteca paterna, rivelando tendenza in tutti i campi dello scibile (lettere, filosofia, scienze).
    Nel 1672 incominciò a viaggiare: fu in Francia, dove entrò in contatto con quei circoli cartesiani; in Inghilterra e in Olanda, dove lesse l’Etica ancor manoscritta di Spinoza.
    Nel 1676, ritornato in Germania, fu dal Duca di Brunswick nominato bibliotecario ad Hannover, e incaricato di scrivee la storia della propria casa.
    Riprese perciò a viaggiare, al fine di raccogliere il materiale necessario, e fu per parecchi anni in Germania e in Italia.
    Nel 1690, ritornato nuovamente in Germania, si dedicò completamente alla sua attività di pensatore e di scienziato; e da quell’epoca fino alla morte non cessò di produrre in modo prodigioso.
    Morì ad Hannover nel 1716.
    Leibniz fu di un’attività multiforme: scoprì, contemporaneamente a Newton, il calcolo infinitesimale; concepì il disegno di una lingua filosofica universale; fondò l’Accademia delle scienze di Berlino, e contribuì alla fondazione di quelle di Vienna, di Dresda, di Pietroburgo.

    Opere
    Nuovi saggi sull’intelletto umano (1704), composti per confutare i saggi di Locke; Teodicea (1710), composta per confutare Bayle un protestante e scettico, nemico dei dogmi e della teologia, sostenitore della tolleranza religiosa. Questa si può considerare la sua opera maggiore.
    Monadologia (1714), composta dietro l’invito del principe Eugenio di Savoia, che aveva chiesto a Leibniz una sintesi delle sue teorie.

    Pensiero

    Leibniz tenta di conciliare i due indirizzi fondamentali della filosofia moderna, il razionalismo con l’empirismo, mediante la sua teoria della monade.

    La monade
    1. LA MONADE COME REALTA’ INESTESA E ATTIVITA’
    La realtà, secondo Leibniz, non è formata da due sostanze, come voleva Cartesio; e neppure di una sostanza sola, come voleva Spinoza; ma da infinite sostanze di natura spirituale, cui egli da brunianamente il nome di monadi (dal greco monas, unità).
    Infatti, sempre secondo Leibniz, la materia come estensione (res extensa) non esiste: se noi consideriamo un corpo materiale, e procediamo su di esso per divisioni e suddivisioni, dovremo fermarci a degli elementi primi, indivisibili o semplici, e quindi inesistenti, immateriali, spirituali (monadi).
    Tali monadi, oltre ad essere inestese, sono non passive, ma attive: come è dimostrato dalla resistenza che oppongono i corpi, e che si manifesta sotto la duplice forma della resistenza come inerzia e resistenza come impenetrabilità.
    Si tratta di un’attività analoga a quella dell’anima umana, perchè l’anima umana è l’unica cosa che noi conosciamo inestesa ed attiva, e quindi nella sua essenza simile alle altre monadi: percezione, o potere che la monade ha di rappresentare e pensare le cose esterne (ogni monade è uno “specchio vivo” dell’universo); e appetizione, o tendenza di passare da percezioni confuse ed oscure a percezioni chiare e distinte (appercezioni).
    Concludendo: la materia e nella sua essenza una realtà inestesa ed attiva, mentre ai sensi appare come una realtà estesa e passiva.

    2. LA GERARCHIA DELLE MONADI: DIO
    Ogni monade differisce da tutte le altre a seconda del suo grado di perfezione, cioè a seconda del grado di chiarezza e distinzione delle sue percezioni.
    Si ottiene in tal modo una gerarchia delle monadi, che dalla materia inanimata sale fino a Dio, monade suprema.
    Abbiamo complessivamente tre grandi categorie di monadi:

    • monadi materiali, che compongono la materia bruta, in cui la percezione è ancora confusa ed oscura, e l’appetizione è semplice forza naturale.
    • monadi animali, che compongono gli animali, in cui la percezione è progredita fino a diventare memoria, e l’appetizione è diventata istinto.
    • monadi razionali, consistenti nelle anime umane ed angeliche, in cui la percezione è progredita fino a diventare appercezione o coscienza di percepire, e l’appetizione e diventata volontà o coscienza di appetire.

    Monade suprema è Dio, il quale, è assoluta appercezione e assoluta volontà, cioè sapienza, potenza e amore.
    Dell’esistenza di Dio, Leibniz fornisce tre prove:

    1. prova a contingentia mundi, fondata sul principio di ragione sufficiente, il quale ci riconduce a trovare la ragione sufficiente ed ultima di tutte le cose in una sostanza non contingente e necessaria.
    2. prova delle essenze, fondata sul motivo che senza Dio non soltanto non ci sarebbe nulla di esistente, ma non vi sarebbe neppure nulla di possibile.
    3. prova ontologica (cfr. già S. Anselmo d’Aosta), fondata sul motivo che l’essenza di Dio implica l’esistenza.

    Le monadi sono prodotte da Dio mediante “fulgurazioni” continue; e sono indistruttibili, perchè non vi è ragione che Dio abbia a distruggerle, quasi per un pentimento di ciò che prima ha creato.
    Le monadi sono quindi immortali; e immortale è il mondo che di esse consiste.

    3. LA LEGGE DI CONTINUITA’
    Fondamentale nel pensiero di Leibniz è la legge di continuità, cioè la legge del rapporto che esite:

    • tra le varie percezioni di una data monade;
    • tra le diverse monadi dell’universo.

    Secondo Leibniz in ogni monade vi è una continuità di percezione, per cui dalle percezioni oscure e confuse si passa gradatamente (attraverso gradazioni infinitesimali) alle percezioni chiare e distinte o appercezioni.
    Tale trapasso è constatabile soprattutto nelle monadi razionali, ove esiste una grande quantità di percezioni, che sono come il riflesso di tutta la vita dell’universo nel suo passato e nel suo presente: tali percezioni, che Leibniz chiama piccole percezioni, agiscono su di noi a nostra insaputa (cfr. teoria moderna del subcosciente), ma da esse si vanno gradatamente sviluppando le percezioni chiare e distinte o appercezioni; come, aggiunge Leibniz, dai rumori impercettibili che fanno le singole gocce del mare risulta il rumore del mare medesimo.
    Parimenti tra le varie monadi dell’universo vi è una continuità di monadi, per cui dalle monadi dotate di percezioni oscure e confuse si passa gradatamente (attraverso gradazioni infinitesimali) alle monadi dotate di percezioni chiare e distinte, cioè, come già si è visto, dalle monadi materiali alle monadi razionali e a Dio.
    In tal modo Leibniz applica alla psicologia e alla monadologia quel principio di continuità che è fondamento del calcolo infinitesimale da lui stesso scoperto.

    La monade e l’innatismo
    Da quanto è stato fin qui detto, risulta che ogni monade ha tutto l’universo innato in se stessa: ogni monade è “senza finestre” – dice Leibniz -, cioè non può entrare o uscire da essa qualcosa ( cr. innatismo).
    Ogni monade infatti è dotata di percezione o potere di rappresentare tutte le cose esterne, il che significa che in essa la rappresentazione di un oggetto particolare non suppone l’esistenza esterna di questo oggetto medesimo che impressioni la monade, ma è il prodotto di un’attività propria della monade stessa.
    Parimenti l’intelletto non è una semplice tabula rasa, che deriva passivamente le sue idee dall’esperienza (cfr. Locke), ma è attività che sa trarre dalle percezioni, o idee confuse ed oscure, le appercezioni o idee chiare e distinte.
    Questa dottrina Leibniz chiama appunto innatismo virtuale delle idee, e le da espressione conclusiva nella nota formula: nihil est intellectu quod prius non fuerit in sensu, nisi intellectus ipse.

    La monade e l’empirismo
    Ma se la monade ha tutto innato e l’intelletto contiene virtualmente le idee, le idee a loro volta derivano dalle rappresentazioni, in base alla legge di continuità: dalle percezioni o idee confuse ed oscure, attraverso gradazioni infinitesimali, si sviluppano, mediante l’attività dell’intelletto, le appercezioni o idee chiare e distinte (cfr. empirismo).
    In tale modo Leibniz supera il dualismo gnoseologico cartesiano, che poneva una differenza qualitativa e un netto contrasto tra rappresentazione ed idea, e mediante, la sua legge della continuità, trova un vincolo unitivo tra l’esperienza e lo spirito.
    Le verità dell’intelletto si fondano a loro volta su due grandi principi: di contraddizione e di ragione sufficiente.
    Il primo governa le cosiddette verità di ragione, che hanno carattere universale e necessari, e di ci possiamo dire non solo che sono, ma perchè sono, come ad es. le verità matematiche.
    Il secondo (che si potrebbe definire anche criterio del meglio) governa le cosiddette verità di fatto, che hanno carattere apparentemente contingente, come ad es. le verità della fisica; ma di cui il principio di ragione sufficiente ci rende ragione non solo del fatto che sono, ma anche del perchè sono, cioè della loro sostanziale razionalità.
    In tal modo Leibniz elimina la distinzione tra verità di ragione e verità di fatto, a priori e a posteriori, dimostrando che tale distinzione è dovuta solo all’imperfezione del nostro intelletto.

    Armonia prestabilita e problema del male
    1. L’innatismo, proprio della monade, porta Leibniz a studiare il problema dell’armonia tra monade e monade.
    Se la monade è “senza finestre”, cioè tutta chiusa in se stessa, come spiegare l’apparente influsso che una monade esercita sopra un’altra?
    Così, ad es. quando la monade-anima intende muovere il braccio, le monadi dipendenti, che costituiscono il corpo, rispondono a quell’atto di volontà con il moto real e del braccio.
    Il problema è risolto da Leibniz con la dottrina dell’armonia prestabilita: è Dio, monade sprema, che nell’atto della creazione ha costituito le monadi in modo tale da far corrispondere ognuna con le altre, senza bisogno d’azione reciproca tra di loro.
    Leibniz, come è facile rilevare, si accosta in ciò all’occasionalismo; ma mentre l’occasionalismo ammetteva l’intervento continuo di Dio, Leibniz ritiene che questo intervento abbia avuto luogo soltanto all’atto della creazione.

    2. La dottrina dell’armonia prestabilita, o – che è lo stesso – di un ordine provvidenziale del mondo, ha i suoi riflessi anche nel problema del male.
    Leibniz distingue tre specie di male:

    • male metafisico, che dipende dalla finitezza delle creature;
    • male morale, o peccato, conseguenza del male metafisico;
    • male fisico, o dolore, conseguenza del male morale.

    Giustificare l’esistenza del male significa quindi trovare la ragione sufficiente del male metafisico.
    Orbene. Dio, in base al principio di ragione sufficiente (principio del meglio), non può avere creato che “il migliore dei mondi possibili” (ottimismo leibniziano).
    Ma la creazione di un mondo qualunque, e quindi anche di quella del migliore dei mondi possibili, non avrebbe potuto effettuarsi che alla condizione di creare degli esseri imperfetti e finiti, poichè – in caso contrario – degli esseri perfetti e infiniti si sarebbero confusi con lo stesso Creatore.
    Lo stesso è da dirsi per il male morale, il quale, oltre ad essere necessario perchè conseguenza del male metafisico, è pure necessario perchè senza di esso non vi sarebbe il bene morale: infatti il peccato non è che la percezione confusa ed oscura, come il bene morale consiste nella percezione chiara e distinta, per cui il primo è condizione indispensabile per l’affermazione del secondo.
    Lo stesso è a dirsi per il male fisico, il quale, oltre a essere necessario perchè conseguenza del male morale, è pure necessario perchè senza di esso non esisterebbe neppure il piacere, che consiste appunto nello sforzo per uscire dal dolore.
    D’altronde, a conclusione generale, Leibniz afferma che, se il male nella sua triplice forma è necessario, esso, esistendo nel migliore dei mondi possibili, è quasi trascurabile rispetto al bene: tutto sta a badare al tutto e non alle singole parti, poichè se Dio avesse voluto impedire l’atto infame di Sesto Tarquinio avrebbe dovuto dare origine ad un mondo peggiore di questo.

  • Hobbes

    Vita e opere

    Tommaso hobbes nacque a Malmesbury nel 1588.
    Egli visse durante il periodo della prima rivoluzione inglese (Cromwell) e della Restaurazione (Stuart), ciò molto influì sul suo pensiero politico.
    Durante la rivoluzione, resosi inviso per le sue dottrine favorevoli al dispotismo, fu costretto ad esulare in Francia, ove fu precettore di Carlo II Stuart, ma dovette lasciare anche questo ufficio per l’empietà dei suoi scritti.
    Viaggiò in Italia e in Francia, ove ebbe modo di conoscere Galilei e le dottrine di Cartesio, ciò molto influì sul suo pensiero filosofico.
    Tra le sue opere ricordiamo: Della Natura umana, Elementa philosophiae, trattati filosofici; De corpore politico, De cive, e specialmente Leviathan (1651), trattato politico.

    Pensiero

    Hobbes è l’immediato continuatore di Bacone, del quale fu discepolo ed amico: egli estende l’applicazione del metodo induttivo-sperimentale di Bacone, dal campo scientifico a quello morale e politico.

    Filosofia e morale
    Nel trattato Della natura umana egli spinge alle estreme conseguenze la dottrina di Bacone, risolvendo l’empirismo in schietto materialismo.
    Non esistono che corpi materiali in continuo movimento; e tutti i fenomeni che si producono nei corpi si spiegano col movimento (meccanicismo).
    Le nostre conoscenze si riducono a sensazioni o a sensazioni trasformate: le sensazioni non sono che movimenti dei corpi, che si ripercuotono sui nostri sensi (sensismo, nominalismo).
    Se questi movimenti sono favorevoli alla vita, producono il piacere; se sfavorevoli, il dolore: il piacere è perciò il bene, il dolore è il male.
    La volontà non è altro che un movimento prodotto da una sensazione piacevole, e la libertà è il potere di eseguire questo movimento, cioè l’assenza di movimenti contrari (determinismo).
    Ne consegue che l’istinto fondamentale dell’uomo è quello del piacere, cioè l’egoismo; anche l’altruismo è un modo di manifestarsi dell’egoismo.

    Politica
    Nel trattato Leviathan, Hobbes si fa uno dei più importanti sostenitori dell’assolutismo.
    Contro il principio aristotelico-scolastico che l’uomo è per natura un animale socievole, egli afferma che l’uomo è per natura egoista, e quindi in guerra con tutti: “bellum omnium contra omnes“, “homo homini lupus“.
    Ma tale stato di natura è insostenibile, perchè è un caos dove manca la sicurezza della propria conservazione: donde la necessità di porvi fine per mezzo di un contratto sociale, con cui gli uomini convengono di rinunciare alla loro libertà e ad ogni loro diritto per assoggettarsi ad uno Stato, che, per essere efficace, deve essere assoluto.
    Nulla, neppure la morale e la religione, è sottratto all’arbitrio dello Stato: Hobbes vuole tutti i poteri in una mano sola, il temporale e lo spirituale; e rifiuta i parlamenti e il diritto del popolo alla rivoluzione (cfr. monarchia assoluta degli Stuart e la Chiesa di Stato anglicana).
    Perciò egli da il nome di Leviathan allo Stato assoluto e onnipotente, a somiglianza del mostro terribile, di cui parla il libro di Giobbe.

  • Cartesio

    Vita e opere

    Renato Descartes (latinamente Cartesio) nacque a La Haye (nella Touraine), da nobile famiglia, nel 1596.
    Fu educato in una delle migliori scuole del tempo, il Collegio di La Fleche, tenuto dai gesuiti; ma, fatta eccezione per le materie matematiche, ne uscì con una profonda inclinazione verso lo scetticismo.
    Sfiduciato e scontento, si prpose di non cercar più altra scienza fuori di quella che si può trovare “dentro di noi stessie nel gran libro del mondo”, e, perciò, si arruolò volontario in diversi eserciti durante la guera dei Trent’anni.
    Nell’inverno del 1619, all’età di 24 anni, mentre stava in riposo nei quartieri d’inverno dell’esercito imperiale in Baviera, ebbe come “in un mistico rapimento” l’intuizione del metodo; ne fece immediata applicazione alle matematiche, e, sentendosi ancora impari a un’impresa tanto grande, decise di estenderne più tardi l’applicazione ad ogni scienza i genere e al sapere filosofico in ispecie.
    Intanto, munito di una “morale provvisoria”, intraprese una serie di viaggi per l’Europa (fu anche in Italia per sciogliere un voto al santuario di Loreto); e al ritorno, dopo aver partecipato all’assedio della fortezza ugonotta di La Rochelle, decise di consacrarsi tutto agli studi.
    Nel 1629, a 33 anni, si ritirò in Olanda, dove, lontano dalle distrazioni della società aristocratica francese e dalla sorveglianza del Sant’Uffizio (l’Olanda era terra protestante), poteva più liberamente attendere al proprio pensiero: qui rimase per circa vent’anni attendendo alla compilazione delle sue opere.
    Nel 1649 si recò a Stoccolma, cedendo agli insistenti inviti della regina Cristina di Svezia, desiderosa di ricevere da lui lezioni di filosofia; ma i rigori del clima gli riuscirono fatali.
    Colto da bronchite, un pò per non aver fiducia nella scienza medica del tempo, un pò perchè il medico di corte era tedesco, volle curarsi da se, e nel 1650 morì.
    La sua salma fu qualche anno più tardi trasportata a Parigi.

    Opere – Discorso sul metodo, pubblicato a Leyda nel 1637, come introduzione ad una serie di saggi scientifici; Meditationes de prima philosophia (1641); Principia philosophiae (1644); Les passions de l’ame (1649); una raccolta di Lettere, ect.

    Pensiero

    Cartesio è il padre del razionalismo moderno, come Bacone lo è dell’empirismo.

    Il metodo deduttivo o matematico
    Mentre Bacone, per risolvere il problema del metodo, si era fondato sull’esperienza e sul metodo induttivo, Cartesio si fonda sulla ragione e sul metodo deduttivo: deduzione non sillogistica (di cui tanto aveva abusato la scolastica e che gli appariva, come a Bacone, sostanzialemnte infeconda), ma matematica, consistente cioè nel dedurre da un principio per se stesso evidente, non mediante sillogismo, ma mediante il criterio dell’evidenza (o delle idee chiare e distinte), tutte le altre verità.
    Cfr. Discorso del metodo, parte II, in cui è esposto il metodo cartesiano con le sue quattro regole:

    • evidenza: non accettare come vera una cosa se non appare evidentemente come tale, cioè se non presenta le caratteristiche della chiarezza e della distinzione.
    • analisi: dividere ogni difficoltà in tante parti, quanto è possiibile e necessario, per meglio risolverla.
    • sintesi: procedere col pensiero ordinatamente dagli ogetti più semplici e facili a conoscersi a quelli più complessi.
    • riprova: fare rassegne così complete da essere sicuro di non omettere nulla.

    In tal modo Cartesio, identificando il metodo della matematica, che è scienza dell’astratto, col metodo della filosofia, che è anche scienza del concreto (poesia, religione, storia, ect.), diventa iniziatore di quella mentalità razionalista, astrattista ed antistorica, che prevarrà nel diciottesimo secolo in Francia e in Europa (Illuminismo, Rivoluzione) fino al Romanticismo.

    Il dubbio metodico e il “cogito ergo sum”
    Rintracciato il metodo, Cartesio si propone di trovare quel principio, per se stesso evidente, da cui derivare altre verità.
    Egli parte dal dubbio metodico, cioè dal dubbio inteso non come fine a se stesso (dubbio scettico), ma come mezzo per giungere alla verità, e – come tale – mirante ad abbattere una volta per sempre lo scetticismo.
    Bisogna dubitare di tutto: dei sensi (che ingannano), della ragione (che può sbagliare), dell’esistenza della materia (come dimostrato dal sogno, in cui crediamo che quello che vediamo e sentiamo sia reale), e perfino delle stesse verità matematiche: un demone maligno e potentissimo avrebbe potuto circondarci di inganni. (E’ tuttavia da rilevare che Cartesio limita il dubbio al solo dominio speculativo, “poichè per quanto riguarda la vita pratica, se noi volessimo, prima di agire, aver risolto tutti i nostri dubbi, bene spesso lasceremmo pasare l’occasione dell’azione”).
    Ma pur dubitando di tutto, non si può dubitare di pensare, cioè di esistere: cogito, ergo sum.
    E’ questo il famoso principio, di per se stesso evidente, da cui cartesio deduca – sempe mediante il metodo matematico o dell’evidenza – tutte le altre verità.
    In tal modo Cartesio, identificando l’essere col pensare, diventa il precursore di quel soggettivismo gnoseologico, per cui la verità non è più in una realtà (o essere) opposta e presupposta al pensiero, ma nella realtà o essere del pensiero medesimo (identità di essere e di pensare).

    Psicologia, teologia, cosmologia
    Dal principio del cogito, ergo sum, Cartesio deduce, come si è detto, tutte le altre verità:

    a) la psicologia, attorno a cui vengono fatte tre principali affermazioni:

    • l’anima è una realtà insopprimibile, cioè una sostanza.
    • l’anima, in quanto pensiero, non occupa spazio alcuno ed è quindi distinta dal corpo.
    • l’anima è immortale.

    b) la teologia, cioè l’esistenza di Dio, di cui vengono date due principali dimostrazioni:

    • nel mio pensiero vi è l’idea di un essere perfettissimo, il quale, per essere veramente tale, implica l’esistenza, non soltanto possibile, ma necessaria ed eterna. E’ questa una prova analoga a quella di S. Anselmo, e come la prova di S. Anselmo, dotata del medesimo difetto, che consiste nel passare dall’ordine logico all’ordine ontologico, dal pensiero all’essere.
    • nel mio pensiero vi è l’idea di un essere perfettissim, che deve avere una causa adeguata: questa causa non posso essere io, essere imperfetto (tanto è vero che vado soggetto al dubbio), ma un essere perfettissimo, Dio.

    c) la cosmologia, cioè l’esistenza della materia e dei corpi.
    Dio, in quanto essere perfettissimo, non può ingannarci: dunque quel mondo, di cui in principio dubitavamo, esiste realmente, non è mera illusione.
    Riguardo alle cose materiali Cartesio ammette poi la distinzione tra qualità primarie (od oggettive), che noi concepiamo in modo chiaro e distinto (estensione, moto, ect.) e qualità secondarie (o soggettive), che noi concepiamo in modo oscuro e confuso (colori, odori, suoni, ect.), passando dal realismo ingenuo al cosiddetto realismo critico (cfr. Galileo, Lockr, ect.).

    Il duplice dualismo e le sue conseguenze
    1. Cartesio ha fin qui dimostrato l’esistenza, al di là dell’io, di Dio e del mondo; ma ciò lo porta ad affermare un duplice dualismo sul terreno delle sostanze:

    • sostanza infinita (Dio) e sostanza finita (mondo, creature).

    Sostanza infinita e sostanza finita, o, che è lo stesso, Dio e il mondo, sono due sostanze nel senso tradizionale della parola (res quae ita exsistit, ut nulla alia re indigeat ad exsistendum), ma mentre la prima è dotata di un’autosufficienza assoluta, la seconda è dotata di un’autosufficienza relativa, poichè per esistere ha bisogno del soccorso di Dio.

    • res cogitans (spirito) e res extensa (materia).

    Res cogitans (in quanto attributo essenziale dello spirito è il pensiero) e res extensa (in quanto attributo essenziale della materia è l’estensione) sono due sostanze irriducibili, due mondi separati, chiusi e impenetrabili l’uno all’altro.
    Essi si trovano tuttavia uniti nell’uomo, che è a un tempo anima e corpo: unione che ha luogo attraverso la cosiddetta glandola pineale, l’unico elemento spaiato del cervello, in cui lo spirito prenderebbe contatto col corpo.

    2. Il dualismo tra res cogitans e res extensa porta a sua volta a due notevoli conseguenze:

    • in gnoseologia all’innatismo (cfr. Platone).

    Se la res cogitans è separata dalla res extensa, le idee non possono derivare dall’esperienza sensibili, ma sono innate.
    Più propriamente si possono distinguere tre categorie di idee:
    idee innate, che troviamo in no;
    idee facticiae, che produciamo con la nostra attività mentale;
    idee adventiciae, che nè troviamo nè produciamo, e che quindi devono derivare dai sensi.

    • in cosmologia al meccanicismo.

    Se la res cogitans è pensiero e attività, la res extensa è estensione ed inerzia, cioè sottoposta alle leggi meccaniche del movimento.
    Con le leggi del movimento Cartesio tenta di spiegare non solo i fenomeni fisici, ma anche quelli della vita vegetale e animale: piante ed animali non sono che automi più o meno complicati; e l’uomo stesso è una macchina, che – a differenza degli altri animali – è solo dotata di anima razionale.
    Risale anche a Cartesio una spiegazione meccanica dell’origine dell’universo, che precorre le ipotesi evoluzionistiche di Kant e di Laplace.