Category: greco-romana

  • I sofisti: Protagora e Gorgia

    I Sofisti, sfiduciati dai risultati della filosofia presocratica, concludono allo scetticismo: non esiste una verità oggettiva, in cui tutti debbano credere, ma il verisimile (“eikós”): « è vero ciò che mi pare ».
    Essi esercitano per lo più la dialettica non per uno scopo seriamente, speculativo, ma pratico: pronti a sostenere le tesi più opposte per acquistarsi onore e ricchezze.
    I Sofisti, per quanto tendano a corrodere e a distruggere in ogni campo del pensiero e della vita (politica, religione, moralità, ecc.), rappresentano anch’essi un progresso sulla filosofia precedente, perchè introducono un’indagine critica spregiudicata, e impongono col loro soggettivismo nuovi e gravi problemi alla speculazione filosofica.
    Perciò alla sofistica segue, e in certa parte consegue, il periodo più luminoso e maturo della filosofia greca.

    Protagora

    Protàgora di Abdera (sec. V a. C.), il più grande rappresentante della sofistica.
    Aprì una scuola in Atene e fu amico di Pericle e di Euripide. Si dice anzi che leggesse in casa di quest’ultimo il suo libro Sugli Dei, e, poiché in esso veniva posta in dubbio l’esistenza dei medesimi, fu bandito da Atene, e il libro bruciato sulla pubblica piazza.
    Protagora, partendo dal presupposto che la conoscenza si riduce a pura sensazione, e che questa è sempre un fatto soggettivo, perviene a un relativismo scettico: « L’uomo è la misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono ».
    E’ questa un’energica affermazione del principio della soggettività, instaurato al posto della natura oggettiva, e bene esprime il nuovo indirizzo filosofico.
    Ma diverso è il soggettivismo di Protagora dal soggettivismo kantiano e moderno, poiché l’uomo, di cui parla il filosofo greco, non è l’uomo universale, realtà permanente ed identica, ma l’uomo empirico e particolare, realtà estremamente mutevole, che sconvolge, invece di ordine, le nozioni e i valori della vita.

    Gorgia

    Gorgia di Leontini, in Sicilia (sec. V-IV a. C.).
    Si recò nel 427 a. C, ad Atene a capo di un’ambasceria, per domandare soccorso durante la guerra peloponnesiaca contro i Siracusani, e vi fondò pur egli una scuola.
    Compose un’opera intitolata Del Non-essere, ossia della Natura.
    Gorgia perviene ad un nichilismo scettico: ” L’Essere non esiste; se anche esistesse, non si potrebbe conoscere; se anche si potesse conoscere, non si potrebbe esprimere “.

    Altri sofisti furono

    Trasimaco di Calcedonia (sec. V), che fondò pur egli una scuola in Atene, ancor prima che Gorgia vi si stabilisse.

    Prodico di Ceo (sec. V), che fu maestro di Socrate, e scrisse un’orazione su Ercole al bivio, in cui Ercole, trovatosi a scegliere tra una vita di facili piaceri e una vita di prove aspre e faticose, scelse quest’ultima

    Ippia di Elide (sec. V), che scrisse un dialogo troiano, in cui Nestore espone il suo programma etico-pedagogico, iniziando alla vita il giovane Neottòlemo, figlio di Achille.

    Polo di Agrigento, discepolo di Gorgia, che nel Gorgia platonico afferma non esservi criterio da distinguere il giusto dall’ingiusto.

    Càllicle, che nel medesimo dialogo sostiene il princi­pio della giustizia naturale del più forte di fronte all’artificiosa giustizia sociale (cfr. Nietzsche nell’epoca moderna).

  • Pitagora: tra matematica e filosofia

    Si dice che la sua figura fosse non solo quella di un matematico e filosofo, ma anche quella di un sacerdote, mago, sovrannaturale, quasi divino. Nasce e vive a Samo, ma poi è costretto a fuggire perchè c’erano i partiti democratici.

    Fondò una scuola pitagorica, si racconta che in queste scuole si insegnasse matematica, ma non tutti erano ammessi, solo i più bravi, anche le donne potevano accedere. I pitagorici davano l’impressione di essere una setta perchè vestivano tutti uguali.

    Non mangiavano carne perchè erano convinti che l’anima, se non si fosse comportata bene si incarnava per punizione in un altro corpo, anche in animali. Se la persona si fosse comportata bene, andava in Paradiso, dove si contemplavano i numeri, che per loro era una bella cosa. Pitagora è famoso per aver scoperto i numeri e il teorema di pitagora.

    La sua teoria dice che tutto l’Universo è fatto di numeri; i numeri sono dei piccoli nuclei che si mettono insieme e formano le varie cose, ogni elemento si differenzia per la quantità di nuclei che ci sono in esso. I numeri si dividono in pari e dispari. Il numero 1 è parimpari perchè se aggiunto ad un pari lo fa diventare dispari, e se aggiunto ad un dispari lo fa diventare pari.

    I pitagorici ad un certo punto si rendono conto che ci sono anche grandezze incommensurabili (non misurabili) e, scoprendole, le hanno tenute segrete per non far chiudere la scuola, ma quando Ippaso Metaponto lo svelò, la scuola chiuse.

  • Talete, Anassimandro e Anassimene

    Scuola di mileto
    Della scuola di Mileto fanno parte: TALETE, ANASSIMANDRO, ANASSIMENE.
    In questo periodo si dà importanza alla ragione e non al mito, perciò nasce la filosofia. Questi 3 filosofi hanno in comune la ricerca dell’archè, cioè il principio da cui nascono tutte le cose.

    Talete
    Primo filosofo dell’antichità, dice che tutto ha origine dall’acqua. I critici lo consideravano ancora attaccato al mito perchè dice che l’acqua ancora è divina. (ilozoismo panteistico)

    Anassimandro
    Pone come principio originario di tutto l’apeiron, un insieme di elementi. Quando un elemento si stacca dall’apeiron è condannato a morire.
    – impegno in campo politico e scientifico,
    – fondazione della colonia di Apollonia,
    – composizione di un atlante geografico,
    – orologio solare.

    Anassimene
    Pone come principio delle cose l’aria: quando si condensa, crea le cose pesanti, acqua-terra; quando è calda, crea le cose leggere, fuoco. Si sa poco: è vissuto tra il 560 e il 525 a.C.

  • Socrate

    Vita e opere

    Socrate nacque ad Atene prima del 469 a.C.,dallo scultore Sofronisco e dalla levatrice Fenarete.
    Ebbe per moglie Santippe, tipo proverbiale di donna isbetica, che si dice abia sposato per provare continuamente la propria pazienza.
    Compì il suo dovere di cittadino, combattendo valorosamente nella guerra del Peloponneso, a Potidea, a Delo, ad Anfipoli.
    Nella sua missione si diceva assistito da un demone (forse la testimonianza della coscienza, che lo avvertiva di quello che doveva evitare.
    Già avanzato negli anni, fu accusato di ateismo e di corruzione dei giovani da Meleto, un oscuro poeta, dal mercante Anito e dal retore Licone; ma a tale accusa non dovettero essere estranei motivi politici, per essere stati suoi discepoli Crizia e Carmide aristocratici, detestati dal partito democratico, da poco ritornato in Atene.
    Comparso in giudizio parlò non da accusato, ma da maestro; ed invitato a proporre un’ammenda pecuniaria di trenta mine (che quattro dei suoi discepoli, tra cui Platone, avrebbero pagata per lui), propose invece di essere nutrito a spese pubbliche nel Pritaneo.
    Fu condannato con scarsa maggioranza a bere la cicuta, e, rinunciando ad ogni tentativo di fuga, morì imperturbato nel 399 a.C.

    Socrate non lasciò alcuno scritto, “la scrittura ha questo di grave, che se la interroghi, tace maestosamente”; ma il suo pensiero ci è noto dalle opere di due discepoli, Platone (Dialoghi) e Senofonte (Memorabili di Socrate).

    Pensiero

    Socrate si pone due problemi principali: il problema della scienza e il problema del bene.

    Problema della scienza.
    Socrate pur partecipando ancora della tendenza soggettivistica dei sofisti, reagisce vigorosamente allo scetticismo sofista, ponendo le condizioni della vera scienza.
    Egli afferma infatti che nel mondo della coscienza umana (cfr. il suo motto: “conosci te stesso”), sotto la varietà delle opinioni particolar, fondate sulle sensazioni mutevoli (“doxa”), esiste una verità necessaria ed universale (“aletheia”), in cui tutti devono credere: tale verità è il concetto (es. concetto di bene, sanità, giustizia, ect), che si fissa mediamente una definizione.
    Socrate perviene al concetto mediante il suo famoso metodo, che prese appunto il nome di “socratico”, e che si compone di due momenti successivi:

    • ironia, che consiste nel fingere di approvare le opinioni dell’interlocutore, per poi dimostrarne a poco per volta, con abili interrogazioni, l’ineguatezza e l’incongruenza.
    • maieutica (o arte della levatrice), che consiste nell’aiutare l’interlocutore, con opportune interrogazioni, a trovare in se stesso la verità.

    Problema del bene
    1. Socrate si occupò soprattutto del problema morale, tanto che fu definito, a ragione, “il fondatore della scienza morale”.
    Egli distingue le cose in due categorie:

    • le cose divine o metafisiche (“ta deimonia”), che sono negate alla coscienza umana: es. Dio, immortalità dell’anima, ect.
    • le cose umane (“ta anthropina”), che è possibile conoscere: es. concetto di bene, sanità giustizia, ect.

    2. Principio fondamentale dell’etica socratica è l’identificazione della scienza con la virtù (intellettualismo etico): non può essere virtuoso se non chi vive secondo scienza o ragione, il vizio è frutto di ignoranza.
    Tale intellettualismo, se da un lato è notevole perchè afferma per la prima volta nella storia del pensiero l’universalità o categoricità dei valori morali, dall’altro non va esente da gravi difficoltà, come quella di trascurare i fattori volitivi dell’azione.

    3. Altro principio dell’etica socratica è l’identificazione della virtù con la felicità (eudemonismo etico).
    Ma Socrate lascia indeterminato il concetto di felicità il cui contenuto può essere vario a seconda degli individui che vi aspirano (piacere, utile, ect.)
    Egli afferma che la felicità consiste nella virtù, e la virtù nella scienza; ma la scienza è a sua volta conoscenza della virtù e della felicità vera, per cui ci troviamo in un circolo chiuso.
    Sarà compito dei discepoli di Socrate, ispirandosi soprattutto alla vita del maestro, dare a questo eudemonismo etico un contenuto più concreto.

    Giudizio su Socrate

    Socrate è di un’enorme importanza nella storia della filosofia: egli è lo scopritore del concetto, fondamento di ogni speculazione filosofica, e bene meritò il titolo di “padre della scienza”.
    Anche tutta la filosofia greca posteriore (Platone, Aristotele, ect.) seguirà le sue orme, e assumerà d’ora innanzi un’impronta idealistica.

  • Platone

    Vita

    Nacque nel demo antico di Collito, nel 427 a.C., da nobile famiglia, che per parte di padre discendeva da Codro, e per parte di madre da Solone.
    Il suo vero nome fu Aristocle; il soprannome di Platone pare gli fosse dato dal maestro di ginnastica per la larghezza delle spalle (“platus”).

    Primo soggiorno ateniese (Socrate).
    Platone ebbe un’educazione accuratissima, e, giovane, si segnalò nella poesia; ma a vent’anni, entrato in relazione con Socrate, bruciò le sue composizioni e si diede tutto alla speculazione filosofica.
    Appartenne alla scuola di Socrate per circa otto anni, cioè fino alla morte del maestro (399).

    Viaggi (Dionigi il Vecchio)
    Dopo la morte del maestro, intraprese lunghi viaggi, a Megara, dove visitò la scuola megarica diretta da Euclide; in Egitto, a Cirene, e specialmente nella Magna Grecia e in Sicilia, ove prese conoscenza con la filosofia pitagorica.
    Fu anche alla corte di Dionigi il Vecchio, tiranno di Siracusa, ove volle partecipare all’attività politica e tentare con l’amico Dione, cognato del tiranno e capo del partito aristocratico, di indurre Dionigi alla fondazione di uno Stato ideale; ma fu da questi consegnato all’ambasciatore spartano come prgioniero di guerra, e solo per intercessione di amici potè sfuggire al pericolo di essere venduto come schiavo, e ritornare in Atene.

    Secondo soggiorno ateniese (Accademia)
    Ad Atene, sulle sponde del Cefiso, fondò una scuola, che dal nome dei giardini di Accademo (eroe attico), dove aveva sede, prese il nome di Accademia (387); e qui raccolse intorno a sè i migliori spiriti del tempo, tra cui lo stesso Aristotele.

    Nuovi viaggi (Dionigi il Giovane)
    Più tardi, essendo successo a Dionigi il Vecchio nel governo di Siracusa il figlio Dionigi il Giovane, accolse nuovamente l’invito di Dione, e si recò per ben due volte in Sicilia con la speranza di poter influire politicamente sull’animo del tiranno; ma corse gravissimo pericolo, e solo per l’intercessione dell’amico Archita di Taranto ebbe salva la vita.

    Terzo soggiorno ateniese
    Tornato ad Atene, dedicò gli ultimi anni all’insegnamento nell’Accademia; e morì a ottant’anni, nel 347, mentre stava correggendo la sua Repubblica

    Opere

    Ci rimangono, sotto il nome di Platone, 34 Dialoghi, l’Apologia di Socrate e 13 Lettere.

    1. Nei Dialoghi appare generalmente come protagonista Socrate; ma in essi l’espressione è piuttosto artistica che sistematica, perchè nessun rigore è nella distinzione dei problemi e nella ricerca metodica.
    Dove poi l’esposizione astratta non è possibileo inopportuna, Platone ricorre ai cosiddetti miti: specie di conoscenza analogica, che gli serve per varcare i limiti dell’esperienza sensibile e dare un’immagine approssimativa di ciò che la trascende (metafisica), come ad es. i miti dell’immortalità dell’anima e della vita d’oltretomba nel Gorgia, nel fedro, nel Fedone, nella Repubblica.

    2. I dialoghi platonici furono distribuiti in trilogie dal grammatico alessandrino Aristofane di Bisanzio (200 circa a.C.), e in tetralogie dal neopitagorico Trasillo (epoca di Tiberio), a seconda della materia trattata; ma oggi si preferisce distribuirli con un criterio storico-cronologico, a seconda della differenza di pensiero e di stile.
    Tuttavia, nonostante il contributo di valenti studiosi, la questione non è ancora definitivamente risolta.
    Riguardo all’autenticità di alcuni dialoghi non sono da ritenersi autentici: Alcibiade II, Ipparco, Anterasti, Teagete, Clitofonte, Minosse, Epinomide, ect.

    Riguardo alla cronologia si possono distribuire in tre gruppi:

    • dialoghi giovanili o socratici, nei quali Platone non sorpassa ancora il punto di vista socratico (concetto). Es. Critone (sul dovere dell’obbedienza alle leggi), Lachete (sul coraggio), Carmide (sulla conoscenza di sè), eutifrone (sulla santità), Liside (sull’amicizia), Ione (sull’ispirazione poetica), Protagora (sulla virtù), Eutidemo (contro l’eristica), Ippia Maggiore (sulla bellezza), Ippia Minore (sulla tesi paradossale che chi pecca volontariamente è meno colpevole di chi pecca involontariamente), Cratilo (sul linguaggio), Menesseno (sulle orazioni politiche).
    • dialoghi sistematici, in cui appare in piena luce la teoria delle Idee. Es. Simposio (sull’amore), Fedro (sulla retorica), Fedone (sull’immortalità dell’anima), Repubblica (sullo Stato ideale)
    • dialoghi della vecchiaia, nei quali Platone sottopone a revisione critica la sua teoria delle idee per renderla più atta a spiegare il mondo della natura e della storia. Es. teeteto (sulla conoscenza), Parmenide (sul rapporto tra l’uno e i molti), Sofista (sul rapporto tra l’essere e il non-essere), Politico (sull’ideale dell’uomo politico), Filebo (sul piacere), Timeo (sulla natura), Leggi (sulla legislazione dello Stato Ideale).

    Pensiero

    Platone si propose nella sua attività imo scopo non solamente filosofic, ma etico, sociale, pragmatico (“filosofia per la vita”): egli reagendo all’individualismo materialisticco, in cui era precipitata la vita greca del suo tempo (demagogismo, ect), mirò ad affermare un idealismo spiritualistico, rappresentato dalla sua teoria delle Idee.

    Teoria delle idee
    1. E’ il fondamento di tutta la filosofia di Platone.
    Platone, proseguendo il pensiero socratico, ammetta un dualismo metafisico: vi sono realtà materiali, contingenti e mutevoli (cfr. divenire di Eraclito); e realtà immateriali, eterne, immutevoli, o Idee (cfr. Essere di Parmenide): le prime sono come una copia delle Idee, e le Idee sono come un modello o archetipo delle cose materiali.
    Le Idee non hanno più solo una realtà logica o mentale, come i concetti di Socrate, ma una realtà ontologica, metafisica: esistono cioè realmente, al di fuori della nostra mente, nel mondo iperuranio: così, ad es., al di fuori di questo o quell’uomo esiste realmente l’Idea universale di Uomo, al di fuori di tutte le cose buone l’Idea universale di Bene, e così via.
    Queste Idee, inoltre, non sono più distribuite confusamente come i concetti di Socrate, ma sono ordinate gerarchicamente per generi e specie, con a capo l’Idea del Bene: idea suprema (forse lo stesso Dio di Platone), dalla quale tutte le Idee ricevono la luce “come l’universo dal sole” (dialettica delle Idee).
    Tale dialettica, o distribuzione gerarchica delle Idee, non è tuttavia ben chiara.
    Platone non fa altro che accennare alle due vie della definizione e della divisione: la definizione che, riducendo la molteplicità ad unità, sottopone la specie al genere; la divisione che, al contrario, scindendo l’unità nella molteplicità ricava a specie dal genere.
    Ma se tali rapporti tra le Idee non presentano alcuna difficoltà quando sono pensieri della nostra mente che li unifica e li distingue, diventano assai oscuri quando vengono proiettati fuori dalla nostra mente, cioè quando non v’è più una mente concreta che li unisce pensandoli insieme.
    A tale difficoltà cercheranno di ovviare Aristotele e S. Agostino, ammetendo l’esistenza delle Idee in una mente oggettiva, e più precisamente nella mente di Dio.

    2. Tra il mondo delle Idee e mondo delle cose vi è – si è detto – dualismo e separazione, ma anche una certa somiglianza.
    Come spiegare questa somiglianza?
    In un primo tempo Platone ricorre ai concetti di mimesi (le cose imitano le Idee), metessi (le cose partecipano in piccola parte all’essenza delle Idee), coinonia (le cose sono in comune con le Idee), ect.
    In un secondo tempo, che coincide con la composizione della Repubblica, egli comprende che le Idee, chiuse rigidamente in se stesse ed escludenti ogni principio di moto, non possono spiegare – come già la dottrina eleatica dell’essere – le cose, il divenire, e perciò, opera in esse una riforma radicale, concependole come causa finale del divenire medesimo: le cose desiderano divenire simili alle Idee, e perciò si muovono finalisticamente verso di esse.
    Nel Timeo si parla perfino di un Demiurgo (= Artefice), specie di divinità intermedia tra le Idee e le cose, che, mirando l’Idea del Bene, plasma ed ordina la materia, ispirando in essa un’Anima del mondo, cioè un principio di vita e di movimento verso le pure Idee.
    Bene, Demiurgo e Anima del mondo formano come una triade, che avrà grandissima importanza nella storia del pensiero: essa informa il neoplatonismo, e da taluni fu anche paragonata alla Trinità cristiana.

    3. Negli ultimi anni Platone, sempre al fine di rimuovere le difficoltà nascenti dal suo dualismo esagerato, andò accentuando il suo pitagorismo, interponendo tra le idee e le cose sensibili, come enti intermedi, i numeri eterni, realtà misteriose che accrescono e non tolgono le difficoltà stesse.

    Filosofia della natura
    1. Platone inaugura con il Timeo un concetto decisamente finalistico della natura: essa non è governata da leggi cieche e meccaniche (cfr. Democrito), ma è dotata di una immanente finalità, che si appunta verso il regno delle pure Idee (cfr. Demiurgo e Anima del mondo).

    2. Ma nella natura vi è n principio oscuro ed amorfo, causa di imperfezione e di male, la materia.
    Essa resiste spesso all’attività del Demiurgo, in modo che le cose riescono un’imitazione perfetta delle Idee: ed ecco perchè, ad un unico modello ideale eterno, corrisponde la molteplicità delle cose.
    Platone chiama la materia Non-essere, Indeterminato, necessità, Caos, Potenza, Selva.

    Teoria della conoscenza
    Platone ammette anche un dualismo gnoseologico: vi sono le rappresentazioni che conoscono ciò che diviene, le cose, e ci danno la conoscenza sensibile o opinione (“doxa”); e i concetti o idee, che conoscono ciò che è l’essenza delle cose, e ci danno la conoscenza razionale o verità (“aletheia”): ma le idee hanno caratteri tali di universalità, per cui non possono derivare dalle sensazioni particolari e contingenti, e quindi sono innate.
    Questo innatismo è poi da Platone connesso al mito orfico-pitagorico della preesistenza e della trasmigrazione delle anime (metempsicosi).
    L’anima umana – afferma Platone nel Fedone e nel Fedro -, prima di entrare nel corpo, ha vissuto nel mondo iperuranio, dove ha contemplato le Idee; quando poi, non sappiamo se per colpa o no, è precipitata nel corpo, ne ha oscurato il ricordo, che nell’atto della percezione, a contatto degli oggetti sensibili, si ridesta, per cui conoscere è ricordare (cfr. Menone, in cui uno schiavo ignorante, opportunamente interrogato da Socrate, riesce a risolvere da sè un difficile teorema di Pitagora).
    di qui l’amore (“eros”), o dialettica dell’anima, per elevarsi dalla conoscenza sensibile all’intuito originario della suprema verità; dialettica che si compone di quattro gradi, sensazione, percezione, ragione, intelletto (cfr. mito della caverna in Rep. VII, 1, 3).
    Più particolarmente la sensazione e la percezione appartengono alla sfera della conoscenza sensibile:

    • sensazione, o conoscenza delle immagini. Es. immagini di una statua;
    • percezione (“doxa”), o conoscenza delle cose sensibili. Es. la statua.

    La ragione e l’intelletto appartengono alla sfera della conoscenza razionale:

    • ragione (“dianoia”), o conoscenza (riflessa) dei rapporti matematici
    • intelletto (“noesis”), o conoscenza (intuitiva) delle Idee, che da luogo alla dialettica o pensiero puro.

    Questa dottrina del conoscere è molto importante, non solo perche sviluppa il procedimento dialettico iniziato da Socrate e prepara l’ulteriore sviluppo di Aristotele, ma anche perchè fissa i tre gradi o forme di conoscere, che saranno d’ora in poi ammesse fino a Spinoza, Kant, ect.: senso (sensazione e percezione), ragione, intelletto.
    Si noti infine come in Platone si possono propriamente distinguere tre significati della parola dialettica strettamente connessi tra di loro:
    – dialettica (oggettiva): distribuzione logica delle idee in generi e specie.
    – dialettica (soggettiva): attività dell’anima in quanto tende alla verità.
    – il grado supremo del conoscere (scienza del puro intelligibile), distinto dai gradi inferiori.

    Psicologia
    Platone è il primo che, a diferenza dei filosofi precedenti, riconosce all’anima una natura spirituale, e quindi immortale (Fedone)
    Egli ammette nell’uomo tre anime separate, che risiedono in diverse parti del corpo:

    1. a) anima razionale (“loghistikon, logos, nous”, ect.) che risiede nel cervello – cfr. nostra ragione;
    2. anima irascibile (“thymos”, o coraggio), che risiede nel petto, e tende a sottomettersi alla ragione e a rintuzzare gli appetiti – cfr. nostro volontà;
    3. anima concupiscibile (“epithymetikon”, o appetito), che risiede nel ventre e tende a ribellarsi alla ragione – cfr. nostro istinto.

    Nel Fedro (XXV-XXVI) l’anima umana è paragonata ad una biga, che un auriga (anima razionale) conduce verso il mondo iperuranio, spingendo innanzi il cavallo docile (anima iracibile) e quello indocile (anima concupiscibile).

    Etica
    1. Platone accogliendo l’intellettualismo etico di Socrate, afferma che sapienza e moralità coincidono, e che il fine non solo della conoscenza ma anche delal moralità, è il Bene universale, cioè il Bene in quanto Idea del mondo iperuranio.

    2. La felicità dell’uomo (“eudomonia”) consiste perciò nel fuggire il mondo sensibile, la “prigione corporea”, e nell’elevarsi con l’amore (“eros”) al mondo delle Idee.

    3. La virtù è il mezzo per raggiungere la felicità.
    Le principali virtù (che più tardi furono dette cardinali) sono quattro, secondo la partizione dell’anima:

    • saggezza (“sophia”), virtù propria dell’anima razionale;
    • fortezza (“andria”), virtù propria dell’anima irascibile;
    • temperanza (“sophrosyne”), virtù propria dell’anima appetitiva;
    • giustizia (“dikaiosyne”), virtù comune e più comprensiva, che non si riferisce all’una o all’altra delle tre parti dell’anima, ma a tutte insieme.

    Essa consistein quell’armonia interiore dell’anima, per cui ogni parte adempie ordinatamente l’ufficio che ad essa è proprio.

    Politica
    1. Ma l’etica individuale si completa nell’etica sociale, l’individuo si completa veramente nello Stato.
    E poichè Platone ebbe a vivere ebbe a vivere in un periodo di profonda decadenza politica (individualismo, materialismo, demagogia, ect.) egli eleva alla massima altezza il concetto dello Stato.

    2. Lo Stato ideale deve essere realizzato in modo da educare il cittadino alla virtù, specie a quell’unica virtù che comprende in sè tutte le altre, cioè la giustizia.
    Esso rappresenta in grande l’anima dell’uomo, e perciò le classi sociali sono tre, secondo le partizioni dell’anima:

    • i filosofi (“razza d’oro”), che corrispondono al’anima razionale e che devono praticare la saggezza. Essi conoscendo che cosa sia la virtù (cfr. intellettualismo etico di Socrate), devono essere i supremi reggitori dello Stato.
    • i guerrieri (“razza d’argento”), che corrispondono all’anima irascibile e devono praticare la fortezza.
    • i lavoratori (“razza di ferro”), che corrispondono all’anima appetitiva e che deovno praticare la temperanza.

    Lo Stato cura l’educazione dei cittadini delle prime due classi: e affinchè costoro non siano turbati, in quanto organo del tutto, da alcun interesse indivisibile, viene ad essi vietata la famiglia e la proprietà (comunismo).
    Platone non si cura dell’ultima classe, che deve soltanto soddisfare i bisogni materiali della comunità, e che deve ubbidire alle classi superiori.

    3. Più tardi, la lunga esperienza della vita e i disinganni dei viaggi in Sicilia dovettero persuadere il vechio filosofo che il suo Stato ideale era piuttosto un’utopia, e nelle Leggi introdusse qualche temperamento, attribuendo tra l’altro il governo non più ai filosofi, ma ai sacerdoti.
    Tuttavia la Repubblica di Platone, per quanto sia stata nella storia fonte di tutte le utopie politiche, ha il merito di aver saputo incarnare la profonda aspirazione dello spirito umano verso la giustizia e la moralità come norme supreme della vita politica: verso uno Stato non più solamente burocratico ed amministrativo, ma essenzialmente etico.
    E’ curioso notare che nel III sec d.C. Plotino cercò di realizzare l’utopia platonica, progettando una città di filosofi che doveva chiamarsi Platonopoli, e per la cui fondazione l’imperatore Gallieno aveva promesso il suo aiuto; ma il progetto andò a vuoto.

    Estetica
    1. L’arte è imitazione (“mimesi”) della natura: e poichè la natura è una imitazione del mondo delle Idee, l’arte si trova ad essere tre gradi lontana dalla suprema realtà.
    Perciò essa è allontanata dallo Stato ideale della Repubblica.
    2. Più tardi, nelle Leggi, il vecchio filosofo si avvide dell’assurdità della sua condanna, e giustificò l’arte come passatempo o riposo dopo la lunga fatica.
    Ma ad una giustificazione integrale del fatto artistico, inteso nei suoi valori di alta idealità spirituale, Platone non giunse mai; ed è questo forse uno degli aspetti più sconcertanti di tutto il suo pensiero.

    Giudizio sulla filosofia di Platone

    La filosofia platonica, per quanto sia dotata di un’enorme importanza nella storia del pensiero di tutti i tempi per la sua vigorosa affermazione idealistica, presenta una difficoltà fondamentale: il suo dualismo esagerato, che non solo distingue ma separa i due mondi della realtà sensibile e della realtà intellegibile, l’unità dalla molteplicità l’essere dal divenire, il divino dall’umano.
    Platone stesso avverte questa difficoltà, e va alla ricerca di un rapporto tra le Idee e le cose (mimesi, metessi, ect.); ma l’incertezza del linguaggio tradisce l’incertezza del pensiero.
    Contro questa difficoltà si rivolgerà la critica di Aristotele.

  • Epicuro

    Scuola epicurea

    1. Anche l’epicureismo ebbe origine in Grecia per opera di Epicuro di Samo (342-270 circa a.C.), il quale nel 306, soltanto due anni dopo la venuta di Zenone, venne in Atene, e, acquistati i celebri giardini, vi piantò la sua scuola.
    Molte furono le opere scritte da Epicuro, tra cui Massime capitali e un opera Sulla Natura, di cui conserviamo frammenti.

    2. In Roma l’epicureismo fu introdotto prima della metà del sec. II a.C.: suo rappresentante più famoso fu T. Lucrezio Caro (se. I a.C.), che scrisse il De rerum Natura.

    Pensero

    L’epicureismo, a differenza dello stoicismo, non sente il bisogno di un imponente sistema speculativo per giungere a determinare l’ideale del saggio, poichè mira più generalmente al fine, evitando le complicate teorie.
    Perciò, pur accettando la tripartizione stoica della filosofia in Logica, Fisica ed Etica, la logica serve di semplice introduzione alla fisica, e la fisica a sua volta di introduzione all’etica.

    Logica o canonica,
    così detta perchè suo scopo è quello di dare le regole della verità.

    1. Nel problema della conoscenza anche l’epicureismo è sensista: ogni conoscenza deriva dalla sensazione.
    Anche gli epicurei, come gli stoici, chiamano i concetti anticipazioni o prolessi, per le ragioni già viste.

    2. Dato negli epicurei, come presso gli stoici, il carattere sensistico, e quindi soggettivo e mutevole della conoscenza, è naturale che anche preso di essi dovesse avere una grande importanza la ricerca di un sicuro criterio della verità: tale criterio venne posto nell’evidenza (“energheia”) della sensazione.

    Fisica
    La fisica epicurea ripete sostanzialmente l’atomismo materialistico di Democrito.
    Essa si diparte da Democrito solo in un punto, cioè nell’ammettere la parenclisi, cioè una piccola deviazione (clinamen di lucrezio), nella caduta degli atomi.
    Democrito aveva detto che gli atomi cadono tutti all’ingiù in linea retta, e intanto si urtano dando origine alle doverse realtà.
    Epicuro osserva che ciò non è possibile, se ogni atomo cade in linea retta: occorre ammettere nell’atomo un potere di deviazione dalla linea retta: potere spontaneo, specie di libero arbitrio dell’atomo.
    In tal modo Epicuro viene a spezzare il caratteredi perfetta scientificità dell’atomismo meccanico di Democrito, ma rende possibile il salvataggio del libero arbitrio, essendo l’anima pur essa composta di atomi: libero arbitrio che egli riteneva necessario all’ideale di quell’uomo che era proprio dell’epoca, e che non erano riusciti a giustificare neppure gli stoici.

    Etica
    L’etica epicurea riprende, almeno in parte, l’edonismo della scuola cirenaica.

    1. L’uomo – secondo Epicuro – è infelice a causa di alcune false opinioni che la filosofia ha il compito di distruggere, come il timore degli dei e della morte.
    Orbene. Gli dei esistono e sono anch’essi fatti di atomi, ma se ne stanno negli intermundii, o spazi vuoti tra mondo e mondo (Epicuro ammette infiniti mondi), completamente calmi e felici, indifferenti alle cose di questo mondo: che se ad esse si interessassero, non potrebbero più essere calmi e falici, cioè non avrebbero più queste loro qualità essenziali.
    A riconoscere l’esistenza degli dei, Epicuro fu indotto dal fatto che la fede popolare deve spiegarsi, secondo la sua teoria della conoscenza, con esperienze precedenti.
    Quanto alla morte, non è anch’essa da temere, perchè – essendo l’anima composta da atomi, e quindi mortale – finchè siamo noi, non esiste, e quando essa sarà, noi non saremo più.
    Distrutti questi pregiudizi, la filosofia prepara l’anima al raggiungimento della felicità.

    2. La felicità consiste nell’atarassia, cioè in una soave calma dell’anima.
    L’atarassia si raggiunge col vivere secondo piacere, o (poichè al piacere tende la natura degli uomini e degli animali) col vivere secondo natura.
    L’etica di Epicuro richiama perciò l’etica di Aristippo; ma l’edonismo ingenuo di quest’ultimo si risolve in Epicuro in un edonismo critico.
    Mentre per Aristippo il piacere era un movimento (piacere passeggero, perchè immediato ed attuale); per Epicuro il piacere è una stasi, un riposo (piacere durevole, anche se futuro)donde la necessità di ricorrere alla ragione per una scelta opportuna.
    Piaceri durevoli sono innanzi tutto i piaceri spirituali, provenienti dalla cultura, dall’arte, dall’amicizia; e, in secondo luogo, i piaceri fisici e corporei.
    Di qui il quadrifarmaco della morale epicurea:
    – prendersi quei piaceri che non saranno seguiti da nessuna pena;
    – fuggire le pene che non portano con se alcun piacere;
    – fuggire i piaceri che possono privarci di un piacere più grande;
    – sopportare le pene che ci liberano da pene più grandi, o ci procurano un più grande piacere.

    3. In politica l’epicureo, come lo stoico, giunge all’indifferentismo.
    Il saggio epicureo è alieno dalla famiglia e dallo Stato (“vivi nascostamente”): dalla famiglia, per la difficoltà di incontrarsi bne con la moglie e per le brighe che procura l’educazione dei figli; dallo Stato per le agitazioni che porta con se la vita politica.
    Ma se alieno dalla famiglia e dallo Stato, l’epicureo non è indifferente di fronte l’umanità: egli cerca anzi l’amicizia degli uomini, amicizia che, sorta prima per l’utile reciproco, può finire nell’amore disinteressato dell’amico per l’amico.
    In tal modo l’epicureismo, come già lo stoicismo, si libera dell’eccessivo individualismo etico e riesce a raggiungere un principio di universalità.

  • Aristotele

    Vita e opere

    Nacque a Stagira (Tracia) nel 384 a.C. Da Nicomaco, medico di Aminta, re di Macedonia.

    Primo soggiorno ateniese (Platone) – A 18 anni andò ad Atene, ove entrò in relazione con Platone, alla cui scuola appartenne per circa venti anni, cioè fino alla morte del vecchio maestro (347 a.C.).

    Alla corte di Macedonia – Nel 343 fu chiamato da Filippo, re di macedonia, alla sua corte, come precettore del figlio Alessandro: e grande fu l’influenza esercitata da Aristotele sul futuro conquistatore di imperi; grandissimi gli aiuti che Aristotele si ebbe per i suoi studi e per la creazione di una ricca bibblioteca che egli, primo fra i Greci, potè radunare.
    La sua amichevole relazione con Alessandro fu troncata quando Callistene, nipote di Aristotele e fautore del partito greco, cadde in disgrazia dell’imperatore.

    Secondo soggiorno ateniese – Tornato ad Atene verso il 335, fondò una scuola presso il ginnasio, detta il Liceo (per la vicinanza del tempio di Apollo Licio); e poichè insegnava passegiando nei giardini, che colà servivano al pubblico passeggio, la scuola prese il nome di paripatetica.
    Essa coincide coi dodici anni (335-323), nei quali il grande Alessandro espandeva per il mondo con la forza della spada la civiltà e la cultura ellenica.

    Esilio di Calcide
    – Morto Alessandro, Aristotele, come tanti altri ateniesi che erano stati ligi al Macedone, fu preso di mira, e un certo Demofilo portò contro di lui la solità accusa di empietà. Ma il filosofo disse di non voler dare occasione agli ateniesi di rendersi un’altra volta colpevoli verso la filosofia, e, prevenendo il bando, si recò in volontario esilio a Calcide, nell’Eubea.
    Qui morì l’anno dopo, nell’estate del 322, di una malattia di stomaco, lasciando al discepolo Teofrasto la direzione della scuola e la ricchissima bibblioteca.

    Opere – Le opere di Aristotele vertono su un’infinità di argomenti, ma delle 146 opere a lui attribuite, solo 47, più o meno complete, sono giunte sino a noi.
    Importante per la storia dell’aristotelismo la storia di questi libri.
    Secondo un raconto di Strabone, ripetuto da Plutarco, i libri di Aristotele, dopo la morte di Teofrasto, passarono a Neleo da Scepsi, i cui eredi li tennero nascosti per circa un secolo in un sotterraneo.
    All’inizio del I sec. a.C. essi sarebbero stati scoperti da Apellicone di Teio, e portati ad Atene; e di qui, per ordine di Silla (86 a.C.), a Roma, ove trovarono un riordinatore in Andronico di Rodi.
    Secondo tale racconto, dunque, i paripatetici posteriori a Teocrasto avrebbero ignorato i libri di Aristotele; e quindi quelli che si servirono di essi dopo un secolo e più, così come furono trovati, guasti dall’umidità, non potevano neppure essere certi se l’ordinamento di Andronico corrispondesse al pensiero originale dell’autore.
    Ciò spiega il sorgere della questione aristotelica presso i moderni allo scopo di assecondare la genuinità dei libri aristotelici e di vagliare la verità del racconto di Strabone.
    Zeller, dopo erudite ricerche, giunse alla conclusione che è verosimile tutta la parte del racconto che si riferisce al destino dei libri ereditati da Neleo; ma che è inverosimile che questi libri fossero i soli esemplari esistenti delle opere aristoteliche, dal momento che essi si trovano citati nel tempo che corre tra il sotterramento fatto dagli eredi di Neleo e il disseppellimento per opera di Apellicone.
    Le opere di Aristotele erano divise in essoteriche, o destinate l pubblico; e in esoteriche o acroamatiche, destinate ai propri discepoli.
    Le prime appartengono in genere alla prima dimora in Atene, quando Aristotele era discepolo di Platone, e sono molto affini alle opere del maestro (forma dialogica, ect.); ma nessuna di esse è pervenuta sino a noi (fatta eccezione di qualche frammento dell’Eudemo, intitolato a nome di un amico e in cui si propugnava pure l’immortalità dell’anima).
    Le seconde, di gran lunga più importanti, si possono raccogliere in cinque gruppi: logica, metafisica, fisica, etica, retorica.

    Opere di logica
    Furono raccolte sotto il nome di Organon (titolo che non appartiene ad Aristotele, ma ai più tardi commentatori Bizantini), poichè per il loro carattere, si possono considerare come strumento della ricerca scientifica e introduzione a tutto il sistema.
    L’Organonsi compone di conque parti:

    • Categorie, sui concetti universali. Appartengono nella parte fondamentale ad Aristotele, ma furono accresciute, da mano posteriore, dei cosiddetti Postpredicamenti.
    • Interpretazione, sul giudizio.
    • Analitici primi (2 libri), sul sillogismo; e Analitici secondi (2 libri), sull’induzione, la definizione e i primi principi.
    • Topici (8 libri), sui sillogismi dialettici e verisimili.
    • Elenchi sofistici, ove sono esposte e confutate le conclusioni capziose usat dai sofisti.

    Opere di metafisica
    Furono anch’esse raccolte sotto il nome di Metafisica, titolo che non appartiene ad Aristotele (il quale soleva chiamarla filosofia prima), ma ad Andronico di Rodi, che nella sua raccolta dispose i libri relativi “dopo le opere fisiche” (“metà tà physikà”).
    La metafisica si compone di 14 libri: essa tratta dei principi supremi del reale, cioè ciò che è primo per natura, e che viene quindi, per noi, dopo le cose naturali.

    Opere di fisica
    Comprendono la maggior parte degli scritti di Aristotele, il quale molto si applicò alle ricerche empiriche e sperimentali, e si può considerare, tra l’altro, il padre della zoologia.
    Le principali opere fisiche sono:

    • Fisica (8 libri), in cui tratta dei principi naturali, del moto, ect.
    • Del Cielo (4 libri)
    • Della generazione e corruzione (degli esseri)
    • Meteorologia (4 libri).
    • Storia degli animali (10 libri), Delle parti degli animali, Della generazione degli animali, grandi trattati di zoologia, che contengono una vasta e ben fondata classificazione, degna di essere paragonata a quella di Linneo (sec. XVIII).
    • Dell’anima (3 libri), la più importante opera di fisica, prima grande trattazione di psicologia.

    Ai libri Dell’anima si rannodano quelle piccole dissertazioni, parte fisiologiche, parte psicologiche, che sono comprese sotto il titolo collettivo di Parva Naturalia, e che trattano del senso, della memoria, del sonno, della lunghezza e brevità della vita, della vita e della morte, ect.
    Alle opere fisiche invece si rannodano, quasi come appendice, trattatelli speciali di argomenti naturali vari, raccolti col titolo di Problemi, ma in gran parte di composizione postaristotelica, poichè Aristotele cita in 7 o 8 i Problemi, ma nessuna citazione si riscontra con quelli che noi abbiamo.

    Opere di etica
    Sono tre, che svolgono i medesimi motivi:

    • Etica Nicomachea (10 libri), il cui titolo deriva da Nicomaco, figlio di Aristotele, che forse la pubblicò. Essa rappresenta la redazione più antica, ed è sicuramente opera genuina di Aristotele.
    • Etica Eudemia (7 libri), che ha tre libri in comune con l’Etica Nicomachea, e fu forse redatta da Eudemo sopra i libri di Aristotele.
    • Magna Moralia (2 libri), che si possono considerare un riassunto delle due etiche precedenti, specialmente di quella di Eudemo, e che è opera di discepoli.

    Opere di politica

    • Politica (8 libri).
    • Costituzioni politiche, grande raccolta di più che cento costituzioni greche e barbare. Ci rimane soltanto la costituzione di Atene, scoperta nel 1890 in un papiro egiziano.
    • Economici, di cui non è forse genuino il secondo libro, attibuito a Teofrasto.

    Opere di retorica

    • Retorica (3 libri)
    • Poetica, largo frammento di una più ampia opera in 2 libri.

    Datazione delle opere
    L’ordine cronologico delle opere di Aristotele non è così essenziale alla comprensione del suo pensiero come nel caso di Platone, perchè pare che Aristotele abbia elaborato il suo pensiero tutto di getto, in modo che le singole parti risultino intimamente collegate.
    Secondo Zeller, primi ad ssere composti furono gli scritti logici, poi i fisici, poi l’Etica e la Politica, che presuppongono la trattazione dell’Anima; infine la Poetica, la Retorica, ed ultima la Metafisica, al quale sarebbe rimasta incompiuta e dedita solo dopo la morte di Aristotele.

    Pensiero

    L’ordine con cui si può distribuire la dottrina aristotelica è il seguente: logica, metafisica, fisica, morale, poetica, retorica.
    La Metafisica è in realtà la parte più importante, poichè senza di essa sarebbe impossibile intendere le altre parti della filosofia aristotelica: ma alla metafisica è indispensabile propedeutica la logica, per cui è bene far da essa aprire la serie delle dottrine di Aristotele.

    Logica
    Aristotele è il sistematore della logica induttiva, già intravista da Socrate e da Platone, e il padre della logica deduttiva, o sillogistica, o ragionamento.
    Aristotele ritiene infatti che il pensare si compie mediante due essenziali processi: quello dell’induzione, che procede dal particolare all’universale; e quello della deduzione, che consiste nel dedurre da un giudizio universale un giudizio particolare (conclusione).

    INDUZIONE o EPAGOGHE’
    1. L’induzione (o epagoghe), di cui Aristotele parla nei Secondi Analitici, consiste nel procedere per via astrattiva dal particolare all’universale (o concetto), cioè nell’astrare dal particolare le note contingenti e individuali e cogliere quelle comuni ed universali.
    In tal modo Aristotele si oppone all’innatismo platonico, e diventa un fervido assertore dell’empirismo: le nostre conoscenze derivano dall’esperienza mediante l’attività di astrazione esercitata su di essa dall’intelletto.

    2. Il concetto coglie l’essenza delle cose, ma è semplicemente significante, in quanto ancor fuori da ogni rapporto di vero e di falso, della vera affermazione e della vera negazione.
    Un nesso di concetti costituisce il giudizio, sia sotto la forma di definizione o giudizio universale (es. l’uomo è mortale); sia sotto quello di proposizione o giudizio del particolare (ed. Socrate è mortale).
    E’ proprio del giudizio l’affermare o il negare, cioè stabilire dei rapporti di vero o di falso: la verità non è infatti che un perfetto accordo tra il nesso dei concetti e il nesso delle cose (cfr. adaequatio rei et intellectus di S. Tommaso).

    3. Tra i concetti ve ne sono alcuni che possiamo considerare come i predicati più universali del reale, forme supreme dell’intelletto: essi sono le categorie, così denominate perchè mediante esse noi “accusiamo” (cioè predichiamo, qualifichiamo) gli oggetti tutti dell’esperienza.
    Le categorie sono dieci: la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, il luogo o spazio, il quando o tempo, il giacere o posizione, l’avere o inerenza, il fare o attività, il patire o passività.
    Le categorie, di cui parla Aristotele, si possono considerare sotto un duplice aspetto: logico o soggettivo; ontologico o oggettivo, metafisico.
    Esse infatti, in quanto predicati universali del reale, corrispondono alle forme universali del reale stesso: sono categorie del pensiero e categorie del reale, dell’essere.

    4. Aristotele studiò a fondo i concetti nei loro rapporti di specie e di genere, e nella loro estensione e comprensione.
    Quanto alla specie e al genere, i concetti si possono disporre secondo una gerarchia che in basso ha l’individuo e in alto le categorie, occupando in tale gerarchia il grado risultante dal genere prossimo e dalla differenza specifica.
    Definire un concetto – dice Aristotele – equivale a indicare del medesimo il genere prossimo e la differenza specifica. Così ad es., nella definizione del concetto uomo, “uomo è un animale ragionevole”, animale indica il genere prossimo, cioè il genere a cui il concetto appartiene; e ragionevole indica la differenza specifica, perchè distingue l’uomo dalle altre specie di animali. Genere è quindi il concetto più generale, in cui è incluso il concetto da definire. Specie è il concetto da definire, incluso nel genere.
    Quato all’estensione e alla comprensione, man mano che si procede dalle specie ai generi, si vanno formando concetti sempre più univrsali per l’estensione, ma sempre più poveri di comprensione, cioè dotati di una minor quantità di note essenziali: estensione e comprensione stanno in ragione inversa.

    LOGICA DEDUTTIVA
    1. La logica deduttiva di cui Aristotele parla specialmente negli Analitici Primi, presuppone la logica induttiva.
    L’induzione infatti, elaborando i concetti ed i giudizi, prepara la premessa al sillogismo o deduzione o ragionamento.

    2. il sillogismo consiste nel dedurre da un giudizio universale un giudizio particolare (conclusione): esso è definito da Aristotele quel discorso “nel quale, stabilite alcune cose (verità), un’altra ne deriva necessariamente, per il fatto che quelle sono tali verità”.
    Il sillogismo si compone di una premessa maggiore (l’uomo è mortale) e di una premessa minore (Socrate è uomo), aventi in comune un termine medio (uomo) e di una conclusione (Socrate è mortale).
    Le figure del sillogismo sono quattro:

    1. sub-prae, in cui il termine medio fa da soggetto (subiectum) nella premessa maggiore, e da predicato (praedicatum) nella minore.
    2. sub-sub, in cui il termine medio fa da soggetto sia nella premessa maggiore che nella minore.
    3. prae-prae, in cui il termine medio fa da predicato sia nella premessa maggiore che nella minore.
    4. prae-sub, in cui il termine medio fa da predicato nella premessa maggiore e da soggetto nella minore.

    3. Il sillogismo nella sua concatenazione e sviluppo è dominato dai cosiddetti assiomi, o principi supremi di ragione, che possono addirittura definirsi leggi del pensiero. Essi sono anapodittici, cioè indimostrabili perchè evidenti di per se stessi.
    Tali principi sono:

    • quello di identità, per cui si afferma che ciò che è, è; e ciò che non è, non è (A è A, Non A è Non A).
    • quello di contraddizione, che Aristotele stesso ha enunciato così: “è impossibile pensare che ad una stessa cosa convenga e non convenga lo stesso carattere (A non è Non A).
    • quello del terzo escluso, per il quale si afferma che fra i contraddittori non vi può essere alcun giudizio intermedio.

    Aristotele dona la massima importanza al principio di contraddizione, che egli dice essere principio anche degli altri tutti, sia per sè, come principio veramente essenziale del pensiero, sia per l’importanza che esso ha contro la concezione eraclitea, che affermava l’essere e insieme il non-essere delle cose nel perenne fluire del reale.

    4. Il sillogismo, di cui sonora si è parlato, è il sillogismo dimostrativo o apodittico, che, partendo da premesse certe e reali, conduce alla scienza.
    Accanto ad esso vi è il sillogismo dialettico (di cui Aristotele parla nei Topici), in cui le premesse sono soltanto verisimili, e che conduce all’opinione: e il sillogismo sofistico (di cui Aristotele parla negli Elenchi Sofistici), in cui le premesse sono semplicemente presunte per verisimili.

    5. Con questo complesso imponente di indagini Aristotele fonda la scienza del pensiero.
    Essa sarà modificata e integrata in questa e in quella parte dagli Stoici a Bacone a Galileo a Leibniz a Kant; con Hegel e coi suoi successori sorgeranno nuovi sviluppi e nuove logiche; ma in sostanza la logica aristotelica restò per circa 24 secoli a sorreggere il nostro pensiero.

    Metafisica
    La metafisica, o “filosofia prima“, è la scienza dell’Essere in quanto tale, cioè prescindendo dalle sue qualità sensibili.

    1. CRITICA DELLA DOTTRINA PLATONICA DELLE IDEE
    Aristotele inizia il proprio sistema con una profonda e serrata critica alla dottrina platonica delle Idee.
    Platone aveva detto che le Idee sono fuori dalle cose, Aristotele oppone a tale trascendenza tre obbiezioni fondamentali:

    • se le idee sono le essenze individuali, in che modo l’essenza può stare fuori di ciò di cui è l’essenza?
    • dato l’individuo sensibile da una parte e l’Idea dall’altra, ci vorrà un tipo, un’idea comune ad entrambi: ne nascerà una terza cosa. Questo argomento è detto del terzo uomo, perchè dalla dottrina platonica si inserisce la necessità di un terzo uomo, che sta sull’uomo individuo e sull’uomo-Idea, comune ad entrambi.
    • esiste l’universale, ma non fuori dell’individuale, bensì dentro di esso. Se avesse un’esistenza separata, sarebbe un duplicato inutile: l’idea fuori dalla cosa non spiega la cosa.

    2. TEORIA DELLA SOSTANZA
    La teoria della sostanza costituisce il centro di tutta la dottrina aristotelica.
    Sostanza è ciò che è, l’individuo. Es. Quest’uomo, questo tavolo.

    • La sostanza è sintesi (“sinolo”) di “materia” e di “forma”: la forma non è che l’Idea di Platone, strappata dal mondo iperuranio; resa da statica, dinamica; e immessa nella materia per organizzarla, per ordinarla. La forma è dunque l’attività organizzatrice della materia. Aristotele distingue la sostanza in sostanza prima , l’individuo; e sostanza seconda, la forma o essenza dell’individuo medesimo.
    • Ma la forma, in quanto organizza la materia, la muove, cioè fa passare dalla “potenza” all’“atto”, o, in altre parole, da uno stato di imperfezione e di indeterminazione a uno stato di sempre maggiore perfezione e determinazione. Es. da statua in potenza del marmo, a statua in atto o attuazione del medesimo. Potenza e atto sono dunque i due termini del moto, del divenire: potenza è la sostanza in quanto può assumere, attraverso il moto, una determinata forma; atto è la sostanza che ha assunto, sempre attraverso il moto, questa determinata forma. Aristotele distingue l’atto dall’entelechia: l’atto è tale in quanto realee concreta attività; l’entelechia è l’atto in quanto stato di perfezione a cui la sostanza aspira: mai la sostanza riesce ad attuare perfettamente la propria forma, eccetto Dio.
    • Ma per passare dalla potenza all’atto occorre uno stimolo, una causa efficiente, la quale operi in vista di un fine, di una causa finale. Lo sviluppo di una sostanza presuppone quindi 4 cause:
    1. materiale;
    2. formale;
    3. efficiente o motrice;
    4. finale.

    Es. nella sostanza statua possiamo distinguere:

    1. causa materiale: marmo;
    2. causa formale: idea della statua;
    3. causa efficiente: scultore;
    4. causa finale: idea della statua, ma in quanto si pone come fine dello scultore.

    Le ultime due cause si risolvono nella causa formale quando si tratta si sostanze naturali (le quali hanno in sè stesse la causa e il fine del moto); ma rimangono distinte quando si tratta di sostanze artificiali (le quali hanno fuori di sè la causa del moto e il fine), come è appunto il caso di una statua di marmo.

    3. TEOLOGIA
    La teoria sopra accennata porta di conseguenza ad ammettere l’esistenza di un Dio: è anzi ad Aristotele che si deve far risalire la prima dimostrazione filosofica dell’esistenza di Dio.
    Infatti il moto delle cose implica l’esistenza di un motore che giustifichi il moto medesimo, cioè il Motore immobile, Dio.
    In quanto motore immobile:

    • Dio non è causa efficiente, creativa del mondo, ma puramente finale, teleologica. Egli, come causa finale del mondo, attrae le cose, che si muovono verso di lui immobile.
    • Dio non può passare dalla potenza all’atto, ma è atto puro, pura forma, puro spirito, o – come si esprime Aristotele – “pensiero dei pensieri”.

    Egli, “come pensiero dei pensieri”, è assolutamente indifferente al mondo, puro pensiero teoretico, pura autocoscienza, privo di volontà e di personalità.

    Fisica
    La Fisica è in Aristotele non meno importante della Metafisica, poichè, a differenza di Platone (che, nonostante il disprezzo per i poeti, era dominato dalla fantasia), egli sapeva unire alla potenza sinteica del filosofo una grande attitudine all’analisi e all’osservazione scientifica.

    1. NATURA
    La natura è l’insieme delle sostanze che hanno in se stesse il principio del proprio moto, a differenza delle sostanze a cui il moto vien da fuori, per cui essa comprende non solo i corpi propriamente detti, ma anche l’uomo e l’anima umana.
    Anche Aristotele, come Platone, possiede un concetto finalistico della natura: questa non è per lui inerte, passiva, meccanica, ma intimamente viva, organica, animata.
    Tuttavia, a differenza di Platone, che aveva personificato questa finalità in un’Anima del mondo, Aristotele parla di una finalità inconscia ed intuitiva (panpsichismo?), e che chiama la noatura demoniaca, ma non divina.
    La natura, sospinta dalla sua immanente finalità, tende a svilupparsi in forme sempre più alte e perfette, determinando una gerarchia finalistica di sostanze, che va da quelle inorganiche a quelle organiche e all’anima umana, e che ha al proprio vertice il motore immobile, Dio.

    2. LA MATERIA
    La materia, come già per Platone, è principio oscuro ed amorfo, causa di imperfezione e di male.
    Essa resiste spesso all’attività e alla forma, ed è perciò causa dei caratteri accidentali delle sostanze.
    La materia, in quanto potenza che tende recarsi in atto, si muove: donde l’importanza che ha il moto nella fisica aristotelica.

    3. RELIGIONE CELESTE E RELIGIONE TERRENA
    L’universo aristotelico si divide in due regioni: regione celeste, dalla luna in su; e regione terrena, o sublunare.
    La regione celeste è perfetta e incorruttibile: sua materia è l’etere, detto anche quintessenza; il suo moto è circolare, cioè perfetto.
    La regione terrena è imperfetta e corruttibile: sua materia sono i quattro elementi tradizionali della filosofia greca, terra, acqua, aria, fuoco; il suo moto è rettilineo, cioè imperfetto.
    Da queste premesse si sviluppa l’astronomia aristotelica, che è un sistema geocentrico delle sfere omocentriche ideato dall’astronomo Eudosso, e che permetteva di collocare esteriormente il principio motore dell’universo, in opposizione ai pitagorici che lo collocavano al centro.
    La Terra, di forma sferica, sta immobile al centro dell’universo, e attorno ad essa si muovono le sfere dei pianeti e quella delle stelle fisse o firmamento: quest’ultimo è mosso da Dio, Motore immobile, e trasmette a sua volta il movimento alle sfere sottostanti.
    Perciò l’universo aristotelico è limitato nella sua forma sferica, cinto dal vuoto infinito; e in esso le posizioni (alto e basso) hanno un significato assoluto.

    4. L’ANIMA
    L’anima, che nela gerarchia degli esseri fisici occupa il posto supremo, si può definire la forma (“entelechia”) di un corpo organico, cioè di un corpo che è come organo o strumento di cui l’anima si serve per recare in atto il suo fine.
    Le piante possiedono solo l’anima vegetativa, che presiede alle funzioni di nutrizione e della riproduzione; gli animali, oltre la vegetativa, possiedono l’anima sensitiva, che presiede al moto e alla sensibilità; l’uomo, oltre alle sopracitate, possiede l’anima razionale.
    Aristotele, a differenza di Platone, non ammette nell’uomo anome separate, ma anime distinte nell’unità di una medesima anima: si tratta di funzioni diversedi una medesima anima.
    L’anima vegetativa presiede – si è detto – alle funzioni della nutrizione e della riproduzione.
    L’anima sensitiva presiede al moto e alla sensibilità; ma i sensi sono passivi, cioè hanno bisogno, per agire, di uno stimolo, di un oggetto sensibile in atto.
    Accanto ai sensi esterni ve ne sono altri interni, come il senso comune (o coscienza sensibile), che unifica in certo modo i sensi esterni; la fantasia, che riceve le immagini; e la memoria, che conserva le immagini, riconoscendo in esse una percezione già avuta.
    L’anima intellettiva presiede alla vera conoscenza, cogliendo le essenze o concetti delle cose.
    Essa si distingue in intelletto passivo (“nous patheticos”) e in intelletto attivo (“nous poieticos”).
    L’intelletto passivo (cosiddetto perchè ha bisogno di uno stimolo per agire) è l’intelletto in quanto può intendere l’universale contenuto nel particolare sensibile; ma, in quanto semplice possibilità d’intendere, non può passare all’atto se non sotto lo stimolo di un oggetto intelligibile in atto.
    L’intelletto attivo (cosidetto perchè non ha bisogno di uno stimolo per agire) è l’intelletto in wuanto rende intellegibile (per astrazione) l’universale contenuto nel particolare sensibile, e, resolo in tal modo intellegibile, lo presenta all’intelletto passivo, che, sotto tale stimolo, passa all’azione.
    Esso è come la luce che agisce sui colori, i quali nell’oscurità esistono soltanto in potenza, facendoli passare dalla potenza all’atto.
    Aristotele considera l’intelletto passivo come parte essenziale dell’anima umana, mentre definisce l’intelletto attivo come “separato” e “di natura divina”: esso proviene dall’alto entrando misteriosamente “per le porte dell’anima”, e ad esso soltanto sembra attribuisca l’immortalità.
    In realtà l’anima, in quanto forma di corpo organico, dovrebbe essere inseparabile dal corpo e, come questo, mortale. Di qui la varietà delle interpretazioni e dei commenti, che si contesero il pensiero aristotelico fino al Rinascimento, specie per quanto riguarda l’intelletto attivo nei suoi rapporti con l’intelletto passivo e col corpo.

    Etica
    1. Aristotele, a differenza di Platone e coerentemente alla critica mossa alla teoria delle Idee, non ammette che il fine delle cose il il Bene universale, che per la sua astrattezza non può essere realmente efficace, ma il bene particolare di ogni singola cosa.
    Tale bene particolare consiste a sua volta nell’attuazione dell’essenza propria della cosa medesima, come il fiore per la pianta, la bellezza per la gioventu, ect.

    2. La felicità dell’uomo (“eudemonia”) consiste perciò nell’attuazione del bene particolare dell’uomo medesimo, che è la ragione, cioè nel vivere secondo ragione.

    3. La virtù si identifica con la felicità, cioè consiste anch’essa nel vivere secondo ragione.
    Aristotele distingue due virtù:

    • virtù etiche, o virtù della parte affettiva dell’anima. Esse perfezionano la parte affettiva dell’anima, sottoponendola alla ragione; e poichè la ragione aspira a portare negli affetti dell’anima la medietà, il giusto mezzo fra gli estremi, la virtù etica consiste, più particolarmente, nel sottoporre gli affetti alla ragione in modo da importare in essi la medietà, il giusto mezzo, ed evitare ogni eccesso. Giusto mezzo, che non è la rigida media aritmetica, “perchè – osserva Aristotele – se, per uno, spendere dieci è troppo e spedere due è poco, ciò non vuol dire che il giusto mezzo sia sei”. Il giusto mezzo è, in altre parole, relativo agli individui: non potendo, ad es., la temperanza (virtù etica) richiedere la stessa quantità di cibo per un gigante e per un bambino. Le virtù etiche si acquistano con l’abitudine, o – in altre parole – con una volontà ben educata: concetto notevole, con cui Aristotele, opponendosi all’intellettualismo etico di Socrate e di Platone, afferma per la prima volta, nella storia del pensiero, che non basta la conoscenza per conseguire la virtù, ma occorre un altro importante elemento: la volontà. Virtù etiche sono, ad es., la fortezza, che è il giusto mezzo tra il timore e la fiducia; la temperanza, che è il giusto mezzo tra i piaceri; la liberalità, che è il giusto mezzo tra l’avarizia e la prodigalità; la giustizia, virtù etica suprema, ordine della società.
    • virtù dianoetiche, o virtù della parte razionale dell’anima. Esse perfezionano la parte razionale dell’anima, rendendola atta a ben conoscere ciò che si deve operare. Anche le virtù dianoetiche si acquistano con l’abitudine. Tali, ad es., la prudenza, intenta a discernere quelli che per l’uomo sono beni morali; e soprattutto la sapienza, virtù dianoetica suprema, perchè attività razionale pura, la più prossima al pensiero divino: essa è contemplazione della suprema verità, vita perfetta, “theoria”. In tal modo l’etica di Aristotele diventa l’espressione più compiuta dell’etica greca, e, con il più alto posto assegnato alla virtù teoretica per eccellenza, fissa il principio (che sarà accolto anche dal pensiero cristiano e sarà direttivo di tutta la filosofia sino all’epoca moderna) intellettualistico, per cui si celebrano nella virtù contemplativa l’essenza e il valore dell’etica umana.

    Politica
    1. Anche per Aristotele, come per Platone l’etica individuale si completa con l’etica sociale: l’individuo isolato non può raggiungere il suo fine perchè non basta a se stesso, e soltanto riunendosi in società può attuare il suo fine, la felicità.

    2. L’uomo è per natura un animale politico, cioè socievole: “fuori dalla società può esistere solo la belva o il Dio”.
    La famiglia è la prima società: essa ha come carattere essenziale la proprietà, di cui fan parte anche gli schiavi, perchè non è bene che gli uomini liberi si avviliscano nei lavori manuali.
    Lo Stato, benchè in ordine di tempo succeda alla famiglia, nel concetto le va innanzi, allo stesso modo che nell’organismo il tutto precede le parti, e il fine i mezzi destinati ad attuarlo: infatti lo Stato rappresenta la condizione di vita e di attività delle parti o individui che lo compongono.
    Il fine dello Stato è identico a quello degli individui: esso mira infatti alla falicità, o – che è lo stesso – al raggiungimento delle virtù etiche e dianoetiche degli individui medesimi.

    3. Le forme di Stato sono tre, come le loro degenerazioni, che si hanno quando chi governa, invece di mirare al vantaggio comune, mira al proprio vantaggio.
    Le forme sono la monarchia, che può degenerare in tirannide; l’aristocrazia, che può degenerare in oligarchia; la politia (moderna democrazia) che può degenerare in democrazia (moderna demagogia).
    Di tali forme è migliore quella che meglio risponde al carattere e ai bisogni del popolo, quantunque in astratto Aristotele preferisca una forma mista.

    4. Lo Stato di Aristotele, per quanto sia in esso evidente l’influenza platonica (Stato etico), è diverso da quello di Platone.
    Platone parte da una premessa idealistica: basta conoscere il bene per metterlo in pratica, e, perciò, basterà conoscere lo Stato politicamente perfetto, per poterlo attuare.
    Aristotele parte da una premessa realistica: non basta conoscere il bene per metterlo in pratica, e, perciò, è meglio costruire sul fondo dell’esperienza.
    Ne consegue che mentre Platone aveva concluso allo Stato ideale della Repubblica, proponendo la comunione delle donne, dei figli e dei beni, e concependo lo Stato come vuota e astratta unità; Aristotele conclude alla famiglia, alla proprietà, ai divrsi tipi di costituzione, concependo lo Stato come un organismo dove l’unità viva è raggiunta per via della molteplicità.

    Estetica
    Per Aristotele, come per Platone, l’arte è imitazione della natura (“mimesi”); ma a differenza di ùplatone, che condannava l’arte perchè imitazione dell’individuale sensibile, e perciò lontana tre gradi dal vero, Aristotele riabilita l’arte, perchè imitazione non dell’individuo quale è, ma come dovrebbe essere; non dell’individuale, ma dell’universale.
    Perciò l’arte differisce dalla storia (che ritrae solo i fatti particolari), in quanto “più filosofica e solenne della storia”.
    Certi generi, come la tragedia e la musica, determinano poi una speciale purificazione degli effetti, che prende il nome di catarsi: teoria oscura, in cui pare adombrato il moderno principio della spiritualità dell’arte.

    Giudizio sulla filosofia di Aristotele

    Aristotele si propone di eliminare il dualismo esagerato di Platone in nome di un maggiore realismo: riconciliazione dell’universale col particolare, dell’essere col divenire, dell’unità con la molteplicità, del divino con l’umano.
    Ma il tentativo, nonostante l’acutezza della polemica contro il Maestro, andò fallito.
    Nella Metafisica egli lasciò il dualismo di materia e di forma: disse che la prima non si può trovare senza l’altra, e poi concluse che la realtà somma (Dio, Motore immobile) era forma scevra di materia, cioè le ridivise di nuovo.
    Del resto, se la materia tende alla forma; perciò stesso è altro dalla forma; per di più resiste alla forma, sino al punto di apparire dominata dall’accidente e dal caso, e perciò è estranea e opposta alla forma medesima.
    Nella Fisica il dualismo di celeste e di terreno, di materia corruttibile o sublunare, e di materia incorruttibile o sopralunare: donde quel dualismo cosmologico, che è quasi il segno visibile del dualismo metafisico insuperato.
    Nella Psicologia lasciò il dualismo di nous passivo e nous attivo: quest’ultimo viene dal di fuori, e, pur trovandosi congiunto con le altre facoltà, non ha intima connessione con esse.
    Nell’Etica lasciò il dualismo di virtù etica e di virtù dianoetica: la virtù veramente umana è ora la prima, che consiste nella vita in comune; ora la seconda, che consiste nella contemplazione solitaria dell’uomo individuo.
    Sarà compito della filosofia posteriore, specialmente degli stoici e degli epicurei, cercar di eliminare tali dualismi, sulla base di un concetto più immanente della realtà.