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  • Cinesi: la medicina cinese

    Il fondatore della medicina cinese è Shen Nong. Vissuto all’incirca nel 3000 a.C., quest’imperatore iniziò la coltivazione dei cinque cereali (frumento, grano, miglio giallo, riso, fagioli neri), sperimentò per primo le piante che mantengono la salute e che curano le malattie, pose le basi della diagnosi e della terapia medica.

    Il più antico trattato di medicina risale al 2650 a.C. ed è intitolato Nei Jing; quest’opera, che fu scritta dall’imperatore Huangdi, ordina tutte le conoscenze del tempo ed illustra la filosofia di base della tradizione cinese.

    In seguito, via via che aumentavano le cognizioni sulla salute e sulle malattie dell’uomo, i testi di medicina si moltiplicarono, mentre l’agopuntura e la moxa, due tra le terapie della medicina tradizionale cinese, si svilupparono notevolmente in tutta la Cina. Attualmente in quel paese vi sono molte università, case di cura, istituti di ricerca specializzati in medicina cinese, la cui diffusione nel mondo riguarda circa cinquanta paesi, compresa l’Italia.

    In Occidente l’agopuntura fu introdotta alla fine dell’Ottocento da Georges Soulié de Morant. La scuola francese da lui fondata rappresentò per molti anni un importante punto di riferimento culturale e, dopo la seconda guerra mondiale, il suo insegnamento approdò in Italia. Nel nostro paese vi sono oggi molte scuole di formazione riservate ai medici. Il riconoscimento dell’efficacia dell’agopuntura risale alla fine degli anni Settanta, quando si stabilì, fra l’altro, che la pratica di questa terapia è da considerarsi un “atto medico”. Da tutto ciò si può comprendere come l’agopuntura possa essere eseguita solo dai medici, e chi non sottostà a questa normativa dello stato italiano è perseguibile penalmente per “abuso della professione medica”.

    Concezione energetica cinese
    Per la medicina tradizionale cinese tutto è energia. Qualsiasi cosa esistente in natura, compreso l’universo, è energia in continuo moto e perenne trasformazione. Il simbolo che riassume tutto il pensiero cinese è quello del tao.

    Questo simbolo rappresenta nel suo cerchio un’unità, che contiene due forze contrapposte ma complementari. Queste continuano eternamente a fluire l’una verso l’altra e, quando arrivano al proprio massimo energetico, hanno comunque dentro di sé una piccola parte dell’altra. Le due forze sono chiamate dai cinesi yin e yang. Esse sono presenti ovunque e regolano con il loro movimento tutte le cose. L’una esiste perché esiste l’altra e non è possibile separarle né negarne una perché si dissolverebbe il senso dell’altra.

    Facciamo un esempio: per definire la luce abbiamo bisogno del suo opposto, cioè il buio, e viceversa. Tuttavia non è sufficiente limitarsi ad una statica definizione di opposti! In realtà, ogni energia è in movimento, nasce, raggiunge un massimo, decresce e mentre muore nasce quella opposta, che raggiunge a sua volta un massimo energetico, decresce e muore mentre rinasce nuovamente l’altra. E’ questa la rappresentazione dei ritmi dell’universo: il giorno e la notte, le stagioni, i cicli lunari, l’anno solare, il ritmo sonno – veglia ecc.

    Lo yin viene definito come energia potenziale (la quiete, l’aspetto materiale, la tendenza a contenere e ad accumulare forza), lo yang è l’energia che si esprime, e cioè il movimento, l’emanazione, l’esteriorità.

    Terapie

    Agopuntura
    L’agopuntura, propriamente “cura con gli aghi”, fa parte delle tecniche terapeutiche della medicina tradizionale cinese.
    In Italia l’agopuntura, che sicuramente rappresenta un efficace strumento terapeutico, può essere praticata solo da laureati in medicina. Gli aghi sono in acciaio; nella figura. sono mostrati i tipi più comunemente utilizzati.
    Gli aghi vengono infissi nella cute in particolari punti dei meridiani energetici. I punti principali sono trecentosessanta, ma attualmente se ne conoscono più di mille. Ogni punto ha un particolare valore energetico: può accelerare, ritardare, superficializzare, collegare, generare, contrastare e così via.
    L’effetto che si può ottenere varia a seconda di come si infigge l’ago (perpendicolare, obliquo secondo la direzione energetica, obliquo in senso contrario alla direzione energetica), da quanto lo si infigge in profondità, da come lo si manipola (nel momento in cui lo si inserisce dopo che è stato infitto nella cute, quando lo si toglie), dalla velocità di infissione e/o estrazione, da quanto tempo lo si lascia in quel punto ecc…
    Ogni agopuntore conosce esattamente le funzioni di ogni punto e come ottenere con le metodiche sopra descritte il migliore risultato possibile.
    Le controindicazioni all’agopuntura sono: gravi malattie infettive, situazioni di deperimento psicofisico, alcune malattie psichiatriche; particolare attenzione deve essere prestata in gravidanza, poiché la stimolazione di alcuni punti può provocare prematuramente il parto o contrazioni uterine.
    Gli effetti collaterali (molto rari) possono essere: svenimenti, vertigini, perforazione di vene o arterie e… l’assenza di qualsiasi effetto terapeutico!

    Alimentazione e dietetica
    Un’altra metodica terapeutica della medicina cinese è la dietetica. Infatti, molte malattie possono, da un lato, essere causate da una scorretta alimentazione e, dall’altro, guarire attraverso indicazioni alimentari. Anche in Occidente sappiamo quanto sia importante alimentarsi in modo corretto, prestando attenzione, per esempio, ai grassi, alle fritture, allo zucchero ecc. Tuttavia in Cina, più che la componente materiale specifica degli alimenti, si considera una particolare qualità dei cibi, il “sapore”.
    Per gli orientali il “sapore” di un alimento non è solo la sensazione gustativa, ma contiene anche una parte più sottile, energetica, che varia a seconda dei diversi cibi.
    Nell’arco di sperimentazioni millenarie, i medici cinesi hanno individuato tutti i cibi corrispondenti ai cinque sapori fondamentali, i quali a loro volta sono riferibili ai cinque elementi e, dunque, agli organi ad essi corrispondenti:
    – sapore agro-acido (fegato e cistifellea);
    – sapore amaro (cuore e intestino tenue);
    – sapore dolce (stomaco e milza);
    – sapore piccante (polmoni e intestino colon);
    – sapore salato (reni e vescica).
    Poiché gli organi sono accoppiati come yin e yang, vi saranno sapori yin e yang che apparterranno loro rispettivamente, e cioè, per esempio, vi saranno alimenti di sapore salato yin che corrispondono ai reni e alimenti di sapore salato yang che corrispondono alla vescica (fegato, cuore, milza, polmoni e reni sono yin, cistifellea, intestino tenue, stomaco intestino colon e vescica sono yang), e così via.
    Vediamo un breve elenco di corrispondenze tra sapori – yin e yang – organi e alimenti.
    · Sapore agro – acido – yin – fegato: limone, pomodoro, fragola, basilico, cavallo, pera, arancia, pompelmo, uva, grano.
    · Sapore agro – acido – yang – cistifellea: fagiano, maiale, pollo, mandarino, albicocca, pesca, prugna, biancospino, olive, formaggio.
    · Sapore amaro – yin – cuore: lattuga, rabarbaro, soia, tè, fegato di coniglio, bardana, rapa, ruta, verbena, cavolo, fegato di manzo, miglio.
    · Sapore amaro – yang – intestino tenue: asparago, mandorla, buccia di arancia e di mandarino, tè, fegato di maiale, valeriana.
    · Sapore dolce – yin – milza: melanzana, canna da zucchero, barbabietola, funghi, bambù, fagiolini, orzo, zucca, cetriolo, spinaci, banana, melone, mela, crescione, sedano.
    · Sapore dolce – yang – stomaco: ciliegia, castagna, dattero, trota, gamberetti, anguilla, uovo di gallina, pesce persico, carpa, fico, sesamo, arachide, zucchero bianco, zafferano.
    · Sapore piccante – yin – polmone: cavallo, maiale, coniglio, lepre, menta, origano, carota, ravanello, rapa.
    · Sapore piccante – yang – intestino colon: aglio, porro, finocchio, cervello di manzo, tabacco, capriolo, salvia, prezzemolo, peperoncino, zenzero, scalogno, mostarda.
    · Sapore salato – yin – rene: sale, avena, polipo, coniglio, ostrica, lumaca, anatra, alghe.
    · Sapore salato – yang – vescica: riccio di mare, gamberetti, piccione, prosciutto, cinghiale, formaggio fermentato, uova di pesce, ceci, piselli.

    Cause alimentari di malattia
    Per i cinesi ogni abuso o eccesso alimentare può causare malattia. Vediamo una per una le diverse possibilità legate ai cinque sapori.
    · Eccesso di sapore agro – acido: può portare a un carico eccessivo di energia al fegato, provocando collera e contratture muscolari. Inoltre interferisce con l’energia: dello stomaco, causando gastrite e crampi; del polmone, rendendo la pelle priva di vitalità e dunque facilmente rugosa; dell’intestino colon, causando stitichezza. Anche il rene può essere danneggiato (energeticamente), con conseguente tendenza all’ansietà e all’instabilità psichica.
    · Eccesso di sapore amaro: soprattutto chi fuma corre rischi da questo punto di vista, poiché il tabacco viene considerato di sapore amaro. Da un punto di vista cardiaco vi è accelerazione dei battiti, mentre a livello dello stomaco vi saranno mancanza di appetito e difficoltà digestive. Per quanto riguarda il polmone si verifica una sorta di paralisi energetica, con facilità a bronchiti ed enfisema. Nella loggia energetica renale, l’eccesso si manifesta con diminuzione della libido, disturbi mestruali, diminuzione dell’attenzione e della volontà, possibile sterilità. Inoltre, la diminuzione dell’acuità visiva e la fragilità delle unghie sono l’espressione del danno energetico alla cistifellea e al fegato.
    · Eccesso di sapore dolce: nell’energia dello stomaco causa gastrite; in quella polmonare, problemi cutanei anche infettivi; nella loggia renale, impotenza sessuale, ipertensione e problemi ossei; nell’energia epatica vi potranno essere glaucoma, cataratta, debolezza muscolare, diminuzione della vista; in quella cardiaca, ipertensione arteriosa e, in casi gravi, scompenso cardiocircolatorio.
    · Eccesso di sapore piccante: a livello polmonare e dell’intestino colon si potranno rilevare facilità alle infezioni, emorroidi, emorragie cutanee a livello delle mucose (gengive, per esempio). Per quanto riguarda il rene, diminuzione della libido, amenorrea, edemi (gonfiori) alle caviglie, confusione mentale sono tutte possibili conseguenze. Nella loggia epatica l’eccesso di sapore piccante può causare crampi muscolari, fegato ingrossato, leggeri tremori alle mani. Gastrite, guance rosse e anemia caratterizzano invece il probabile danno all’energia dello stomaco e del cuore.
    · Eccesso di sapore salato: nell’energia renale si generano ronzii alle orecchie, aumento delle urine, cefalee nucali. In quella epatica potranno insorgere crampi, disturbi del campo visivo, debolezza muscolare, vertigini, formicolii alle dita, diminuzione della vista. Nell’energia del cuore e del polmone potranno verificarsi difficoltà respiratorie e tachicardia durante gli sforzi.

    Alcune regole terapeutiche
    Forniamo qui alcune indicazioni di massima per intervenire con i sapori in senso terapeutico.
    1. Nelle malattie muscolari è consigliabile diminuire il sapore agro – acido ed ingerire più sapori piccanti. Così nei sintomi dati da eccesso di sapore agro – acido.
    2. Il sapore agro – acido tonifica il polmone quando si trova in vuoto energetico.
    3. Nelle malattie delle ossa è meglio non assumere alimenti di sapore amaro ed ingerire sostanze salate. Nei sintomi dati da eccesso di sapore salato è opportuno aumentare il sapore dolce.
    4. Negli eccessi di sapore dolce si consiglia di aumentare il sapore agro – acido.
    5. Il sapore salato tonifica il cuore.
    6. In caso di disturbi cutanei è bene aumentare il sapore amaro e diminuire il piccante.
    7. Nel caso di eccesso di sapore amaro si consiglia di aumentare il salato.
    8. Per tonificare il rene conviene aumentare il sapore amaro.
    Queste sono solo alcune delle numerose possibilità di intervento terapeutico attraverso la dietetica dei “sapori”.

    La moxa
    Assieme o in alternativa all’agopuntura i medici cinesi utilizzano la “terapia moxa”. Il termine origina dall’espressione giapponese moe kusa, cioè “erba che brucia”. Proprio di un’erba si tratta e cioè dell’artemisia, o erba di San Giovanni (fig), in Occidente detta anche “scacciadiavoli”, colta al solstizio d’estate (il 21 giugno), quando, analogicamente, l’erba accoglie in sé il massimo calore del sole.

    Come si prepara
    L’artemisia viene fatta seccare e le foglie vengono triturate in un mortaio fino ad ottenere un impasto lanoso. Con questo si possono formare delle palline oppure dei coni e, ancora, con carta di gelso, dei sigari lunghi 20 cm.

    Tecniche di moxibustione
    Le palline o i coni possono essere appoggiati sulla pelle in corrispondenza dei punti di agopuntura, quindi accesi all’estremità superiore più lontana dalla cute e poi lasciati “bruciare” fino al loro spegnimento (fig.).
    A volte si interpone tra la pelle e l’erba una sostanza (di solito aglio, zenzero oppure sale grosso) a seconda degli scopi che si vogliono raggiungere (fig.). Questa tecnica presenta alcuni svantaggi, e cioè la lenta esecuzione, il notevole fumo e… una piccola, e a volte molto dolorosa, ustione. Tuttavia, nel caso di malattie particolarmente gravi provocate da seri deficit energetici, questa tecnica è in grado di offrire ottimi risultati.
    Un’altra tecnica di grande efficacia, utilizzabile però solo dai medici agopuntori, consiste nella collocazione di un pezzo di moxa sopra un ago infisso in un preciso punto di agopuntura. In questo caso si evita l’ustione, ed il paziente avverte una piacevole sensazione di calore (fig.).
    Infine, la tecnica più usata è quella del bastoncino di moxa, che viene acceso e avvicinato ai punti di agopuntura a una distanza dalla pelle di circa 2-3 cm.
    Il grande vantaggio di questa tecnica è quello di poter insegnare al paziente come usare il bastoncino e, quindi, di fargli praticare un’automoxa a casa con l’indicazione del punto o dei punti da trattare, della durata della moxibustione e dell’orario in cui praticarla.

    Come si usa il bastoncino
    Occorre precisare che il bastoncino di moxa in genere viene fornito dal medico agopuntore, ma può essere anche acquistato presso le farmacie che vendono prodotti cinesi (di solito erbe o aghi per agopuntura).
    Il bastoncino viene acceso ad un’estremità fino a ottenere una brace incandescente (non la fiamma) e quindi viene avvicinato alla cute nel punto di agopuntura terapeuticamente significativo. Il bastoncino viene tenuto alla distanza di circa 2-3 cm. dalla pelle fino ad avvertire una piacevole sensazione di calore. Questa in genere si intensifica progressivamente fino a un punto oltre il quale comincia a diventare spiacevole; si allontana allora di colpo il bastoncino, per poi riavvicinarlo ricercando nuovamente la sensazione piacevole.
    Il procedimento va ripetuto più volte fino a che l’area cutanea su cui si esegue l’applicazione diventa prima tiepida, poi calda e comincia ad arrossarsi. A questo punto si interrompe l’applicazione: di solito questo risultato viene raggiunto in tre – cinque minuti. Il bastoncino viene poi spento sotto l’acqua oppure tagliando con una forbice la parte bruciata.

    Indicazioni della moxa
    In un antico trattato cinese si legge: “La foglia di ai ye (moxa) usata in piccola quantità produce caldo, in grandi quantità forte calore. Essendo di pura natura yang, ha la capacità di rigenerare lo yang primario. Può aprire i dodici meridiani principali, regolare l’energia, espellere il freddo e l’umidità, riscaldare l’utero, arrestare i sanguinamenti, riscaldare la milza e lo stomaco per rimuovere la stagnazione, regolare le mestruazioni e facilitare l’uscita del feto. Quando è bruciata, penetra in tutti i meridiani ed elimina le cento malattie”.
    Quanto più una malattia è fredda (yin), cioè cronica, con metabolismo lento. Pallore, brividi, stanchezza, arti freddi, tanto più la moxa è efficace. Al contrario, quanto più una malattia è calda (yang), con dolori acuti localizzati, viso rosso, stato di eccitazione, tanto più è indicata l’agopuntura e controindicata la moxa.

    Controindicazioni
    La moxa è controindicata nei seguenti casi:
    – febbre superiore ai 38°;
    – grave ipertensione arteriosa;
    – bambini al di sotto dei sette anni;
    – persone con pelle fragile, come, per esempio, i diabetici.

    Il massaggio cinese
    In tutte le culture, la più antica forma di cura è il massaggio, e in Cina questa modalità terapeutica va di pari passo con l’agopuntura, la moxa, la dietetica e l’uso delle erbe.
    Due sono i principali tipi di massaggio:
    – localizzato, che può essere facilmente insegnato al paziente per dare continuità a una cura che prevede, per esempio, l’impiego di erbe e l’agopuntura, e per poter intervenire in casi urgenti. Questo tipo di massaggio viene chiamato “digitopressione”, “micromassaggio” o “automassaggio” e si ispira, come altre tecniche terapeutiche, alle teorie diagnostiche e curative proprie della medicina tradizionale cinese;
    – generale, spesso eseguito da un esperto, che impiega varie forme di manipolazione, trazione, impastamento, strofinamento ecc…

    Il massaggio viene eseguito sui punti di agopuntura e, se è vero che è particolarmente utile per alleviare il dolore, è altrettanto vero che con questo metodo si può intervenire efficacemente nel riequilibrio globale dell’organismo. In molti casi il massaggio rappresenta l’unica terapia necessaria, in altri invece viene utilizzato contestualmente o come supporto alle altre tecniche terapeutiche.
    Si può consigliare il massaggio in queste malattie: amenorrea, lombalgia acuta e cronica, cervicalgia, periartrite, reumatismi, enuresi, incontinenza, ipertensione, sindrome ansioso – depressiva, mal di testa, vertigini, stitichezza, contusioni, disturbi della menopausa, vomito, acufeni, epistassi, postumi di fratture.

    Le controindicazioni sono:
    – malattie acute contagiose;
    – tumori cutanei e ossei;
    – ustioni;
    – gravidanza;
    – fratture e lussazioni;
    – pazienti anziani defedati.

    Regole
    · Occorre avere le mani pulite, riscaldate da un breve strofinamento (uno o due minuti), e le unghie corte e pulite.
    · Bisogna essere in posizione comoda e in un ambiente tranquillo.
    · Il massaggio va praticato lontano dai pasti e, comunque, mai dopo abbondanti libagioni.
    · E’ bene iniziare con una lieve pressione e proseguire premendo sempre più con un movimento dapprima rapido e è poi più lento sino a tornare alla velocità iniziale, con una durata da un minimo di un minuto ad un massimo di cinque.

    Le erbe cinesi
    L’intervento terapeutico tradizionale della medicina cinese si completa con l’utilizzo delle erbe. Studiate e sperimentate anch’esse da quattro o cinquemila anni, sono a tutt’oggi considerate veri e propri farmaci, cioè sostanze che, ingerite o applicate al corpo umano, agiscono combattendo le malattie dal punto di vista sia sintomatico che causale. Quest’ultimo effetto è assicurato dal fatto che queste sostanze vengono prescritte, dopo una diagnosi del disequilibrio energetico in atto, proprio per modificare ciò che, secondo la medicina tradizionale cinese, ha causato il sintomo presentato dal paziente. Esiste, infatti, una classificazione delle erbe basata sulle loro proprietà curative. Vediamola.

    Farmaci che liberano l’esterno
    Sono erbe utilizzate singolarmente o in associazione (ricette) che trattano le “sindromi esterne”, cioè causate dal vento – freddo e dal vento – calore. Lo scopo di queste prescrizioni è, per esempio, di espellere, attraverso la sudorazione, le energie che hanno causato la malattia.
    Le malattie che traggono beneficio da questi farmaci in genere sono: raffreddore, faringite, tracheite, i primi sintomi dell’influenza, cefalee accompagnate da dolori alle spalle e alle braccia o alla zona cervico – dorsale, tonsillite, sinusite, congiuntivite, rosolia, gli stadi iniziali del morbillo, alcune forme di orticaria, asma, spasmi muscolari della parte alta del corpo.

    Farmaci che purificano il calore
    Lo scopo di questi farmaci è di purificare il calore, “spegnere” il fuoco ed eliminare le tossine. Molte malattie di origine virale o batterica traggono giovamento da questi farmaci, e in particolare: rosolia, morbillo, varicella, meningite, encefalite, tubercolosi polmonare, tracheite, bronchite, polmonite, congiuntivite, epatite, cistite. Molte ricette di questo gruppo sono efficaci anche quando il calore origina dall’interno, come nell’ansia e nell’insonnia, dove esso invade la zona “mentale”. Infine, queste erbe sono spesso impiegate in estate, quando, per esempio, ci si espone troppo al sole o ad alte temperature.

    Farmaci che armonizzano
    Per “armonizzazione” si intende il riequilibrio tra vari organi, spesso reso precario da stati emotivi particolarmente intensi (per esempio collera e risentimento, che causano calore in eccesso al fegato e conseguente cefalea, distensione addominale, ansia, bocca secca e amara, rigurgiti acidi ecc.).
    Tra le malattie conosciute in Occidente, queste erbe curano le irregolarità e i dolori mestruali, i disturbi della menopausa, la gastrite cronica, l’ulcera peptica.

    Farmaci che favoriscono la discesa
    Questi farmaci sono costituiti da erbe che contengono il principio terapeutico della “purgazione”. Questo termine è la traduzione un po’ infelice del cinese xia fa, con il quale non si intende tanto l’evacuazione intestinale (o meglio, non solo) quanto l’eliminazione attraverso gli orifizi del basso e dunque anche l’azione diuretica.
    Traggono giovamento da questo gruppo di erbe le dermatiti suppurative, l’acne foruncolosa, il ristagno di feci, le feci secche e difficili da evacuare, le stomatiti, i ristagni di liquidi nel peritoneo, nelle pleure e nel pericardio.

    Farmaci che drenano l’umidità
    Cause psichiche, alimentari, climatiche possono portare ad alterazioni dell’umidità, e cioè della diffusione, circolazione ed eliminazione dei liquidi organici.
    Le malattie trattabili con queste erbe sono: cistite, uretrite, gastroenterite, colite, insufficienza renale (acuta e cronica), insufficienza o scompenso cardiaco, sindromi reumatiche con presenza di liquido nelle articolazioni, tutti gli edemi ed i gonfiori, tosse, sensazione generalizzata di pesantezza, ritenzione urinaria.

    Farmaci che trattano la tosse e le malattie respiratorie
    Sono tutte le erbe che trattano la tosse e l’asma, agendo come broncodilatatori e influenzando l’energia polmonare. Oltre all’asma, le malattie che ne traggono beneficio sono: faringite, laringite, tracheite, bronchite (anche cronica), polmonite, enfisema polmonare.

    Farmaci che eliminano il vento – umidità
    Le malattie reumatiche in genere vengono trattate con questa categoria di erbe e le principali sono: artrite reumatoide, lombalgia cronica, dolori alle ginocchia, artrosi, crampi e dolori muscolari, tendinite.

    Farmaci che trasformano l’umidità
    Sono erbe che trasformano appunto l’umidità e curano soprattutto le patologie digestive originate da attacchi di vento – freddo – umidità: nausea, vomito, borborigmi, oppressione, distensione e dolore addominale, diarrea, anoressia.

    Quelli descritti sono solo alcuni esempi dell’ampia farmacologia erboristica cinese, tanto che a tutt’oggi si conoscono circa cinquemila tipi di erbe curative. La classificazione si completa con i seguenti tipi di farmaci:
    – farmaci che risolvono il ristagno dei cibi;
    – farmaci che regolarizzano l’energia;
    – farmaci che regolarizzano il sangue;
    – farmaci che aiutano la digestione;
    – farmaci che riscaldano l’interno e combattono il freddo;
    – farmaci che tonificano l’energia;
    – farmaci che combattono le malattie mentali;
    – farmaci antiparassitari;
    – farmaci astringenti;
    – farmaci che disperdono il vento e aiutano le malattie convulsive;
    – farmaci per le malattie della pelle;
    – farmaci per la rianimazione.

  • Cinesi: la musica cinese

    La tradizione fissa gli inizi della storia della musicale cinese alla data precisa del 2697 a.C., ma le prime testimonianze archeologiche di interesse musicale risalgono a non prima del secondo millennio a.C.

    Si tratta di reperti attinenti alla dinastia Shang (1766-1122 a.C.): consistono in frammenti di osso incisi, sui quali sono riportati responsori oracolari, la cui espressione ideografica contiene segni interpretabili come raffigurazioni di tamburi o di altri strumenti musicali.

    Le scritture superstiti della successiva dinastia Chou (1122-221 a.C.) contengono, invece, riferimenti diretti ad eventi musicali.

    La distruzione delle fonti scritte, perpetrata nel corso della dinastia Ch’in (22l-2206 a.C.), e’ compensata dall’abbondanza di scritti del periodo Han (206 a.C.-221 d.C.) e dalla tradizione, sorta a quell’epoca e sviluppatasi in seguito, di redigere copie dei testi piu’ antichi. Avviene cosi che diversi documenti redatti nel sec. X o piu’ tardi possono ritenersi, in alcune parti, copie diligenti di testi che risalgono al sec. II a.C., o perfino al primo millennio a.C.

    La dinastia Han costituisce dunque il miglior punto di riferimento per le ricerche sulla musica cinese. Accenni a cose musicali sono contenuti nelle cronache dinastiche. nei manuali rituali, nelle biografie e in opere filosofiche. Dalle antiche raccolte poetiche sappiamo che argomento dei canti erano l’amore.la divinita’ o la satira politica. Da altre fonti apprendiamo che tutte le corti richiedevano danze e musiche adatte alle cerimonie e ai vari intrattenimenti. Durante la dinastia Han venne istituito l’Ufficio imperiale della musica (Yuefu), col compito di registrare e catalogare tutto cio’ che concenesse la musica e le acquisizioni scientifiche nel campo degli studi acustici; si assistette oltre all’aumento dell’influenza sulla musica cinese di culture «esterne», provenienti dall’Asia centrale.

    Segui’ un periodo di invasioni e di crisi («medioevo cinese»), durante il quale l’impero venne diviso in regni autonomi.

    La Cina fu riunificata sotto la dinastia Sui (589-618) e sotto la dinastia T’ang (618-907) raggiunse l’apice del suo sviluppo.

    Risalgono a questo periodo gli elenchi imperiali dei dieci tipi di musica (shih pu chi) con descrizione degli strumenti, dei costumi e dei repertori dei gruppi musicali attivi alla corte imperiale nella citta’ imperiale di Chang-an.

    Un gruppo proveniva da Samarcanda, oltre l’altopiano del Pamir, e un altro da Buchara nell’Asia centrale.

    Lungo i percorsi commerciali, che in seguito sarebbero stati conosciuti da Marco Polo, arrivarono musicisti da Turfan, Kashgar e Kutcha.

    Alcuni gruppi giunsero alla corte cinese dall’India e dalla Corea; un gruppo cerco’ di combinare elementi della tradizione cinese con elementi di quelle centroasiatiche; altri musicisti, cinesi, tentarono di recuperare la piu’ antica espressione musicale del loro paese, e il decimo dei complessi musicali che sono registrati negli elenchi si dedico’ all’ampio repertorio della musica cinese contemporanea.

    Il carattere internazionale della cultura cinese nei periodi Sui e T’ang e’ attestato, fra l’ altro, dal fatto che poche taverne del tempo potevano pensare di prosperare senza le prestazioni di musicisti e ballerini stranieri, e alcuni scrittori conservatori deprecavano il tradimento della cultura cinese a favore dell’occidente (ossia a favore dei gusti importati attraverso le rotte mercantili del deserto o del mare). Le piu’ famose scuole per la formazione dei musicisti e dei danzatori di corte si trovavano nel quartiere della capitale detto il Giardino dei Peri (Li Yuan).

    Al tempo delle Cinque dinastie e dei Dieci Regni (907-959) i fasti della corte imperiale svanirono, soverchiati da guerre e invasioni; gli abitanti del Giardino dei Peri, ed altre centinaia di artisti, furono cosi’ costretti ad esibirsi nei teatri pubblici e nelle case da te’, adattando di conseguenza il loro stile a un gusto piu’ popolare.

    In questo periodo, inoltre, essi incominciarono a impiegare strumenti e musiche di origine mongola.

    Nel periodo seguente, della dinaslia Sung (960- 1279), la condizione di stabilita’ politica permise la pubblicazione di un maggior numero di opere musicali e il rifiorire di una prassi musicale di corte, sullo sfondo di una continua espansione delle attivita’ musicalie teatrali cittadine.

    Durante la dinastia mongola Yuan (1279-1368) la musica per le rappresentazioni teatrali divenne la forma piu’ importante, e continuo’ a fiorire e a svilupparsi nel corso delle dinastie Ming (1368-1628) e Ch’ing (1644-1911).

    Con la caduta dell’impero la musica cinese acquisto’ maggior fama appunto nelle sue forme teatrali, e si apri’ una fase di sperimentazione verso nuove direzioni formali e di commistione con il linguaggio occidentale.

    Dopo la proclamazione della Repubblica popolare cinese (1949) si affermo’, in tutte le arti, un’estetica marxista-leninista, e nel campo musicale si ebbero tentalivi di rappresentare la lotta di classe attraverso la composizione di opere concernenti le questioni poste dal socialismo o con il recupero delle tradizioni musicali locali.

    Mentre tale processo rese di pubblico dominio la musica propria delle minoranze, le direttive dominanti nel penodo della rivoluzione culturale ne impedirono lo sviluppo.

    Dal 1980 la Cina si va mostrando in grado di attuare un nuovo (e potenzialmente prezioso) equilibrio tra le sue tradizioni storiche e le sue esigenze attuali.”

  • Cinesi: le arti marziali

    Il massimo sviluppo del Wu Shu Kung Fu in Cina è avvenuto sicuramente nei periodi detti della Primavera e dell’Autunno e/o degli Stati Combattenti (771 – 221 A.C.), successivamente lo studio e la pratica si diversificarono molto dando alle pratiche marziali una valenza sociale di più ampio raggio e vista molto spesso in un contesto di educazione e preparazione all’interno del sistema scolastico; nascono gli Stili, le Competizioni, le Danze Marziali. La pratica del Wu Shu Kung Fu si espande negli strati popolari, nascono e si sviluppano numerose scuole con un grande sviluppo delle forme in particolare di quelle imitative (animali).

    La maggior parte delle opere dedicate alle arti marziali dell’estremo oriente, attribuiscono la loro lontana origine al monastero Shaolin, nella regione di Honan, presso il fiume giallo; prima della “rivoluzione” avvenuta con la nascita del tempio, le arti marziali erano tramandate di padre (SiFu) in figlio o insegnate a piccoli gruppi d’adepti. Il Sifu era il maestro di WU SHU KUNG FU ed era considerato il saggio del villaggio. Il Sifu era comunemente anche un esperto di medicina tradizionale ed aveva una cultura superiore a quella delle altre persone del villaggio. Era considerato un punto di riferimento ed era rispettato da tutti. Oggi la figura del Sifu è cambiata anche se in molte Scuole Tradizionali è possibile vedere dei maestri che, in qualche modo, si avvicinano all’antica figura del Sifu.

    Il Tempio di SHAOLIN fu creato intorno al 520 DC; questo edificio appare sotto diversi nomi: Shaolin in Mandarino, SiLum in Cantonese (i due nomi significano: giovane foresta), Shorinji in Giapponese (da cui lo stile di Karate nipponico Shorinji Kempo, le cui tecniche si ritiene risalgano ai tempi del celebre monastero). I monaci fusero sapientemente le loro pratiche meditative con la pratica marziale dando origine ad alcuni stili che basavano i loro movimenti sul comportamento degli animali.

    I cinque principali animali degli stili Shaolin sono: Tigre, Drago, Leopardo, Gru, Serpente. Successivamente gli stili basati sugli animali furono fusi in un unico sistema, anche se alcuni monaci non aderirono a tale unificazione e continuarono ad insegnare il loro stile originale.

    La storia delle Arti Marziali Tradizionali la si può far iniziare con Bodhidarma (Da Mo) che, originario dell’India, estese il buddismo nei confini cinesi. Ideatore di alcuni esercizi fisici, che avevano come obiettivo quello di aiutare i monaci che passavano la maggior parte del loro tempo in meditazione sedentaria, legò inseparabilmente il proprio nome a colui che diede l’avvio alle Arti Marziali “Esterne”. Così come i buddisti hanno trovato in Bodhidarma il loro eroe leggendario anche i taoisti hanno Chang San Feng, la mitica figura che diede origine agli Stili “Interni”. Fu cosi’ che mentre Bodhidarma viene identificato come l’ideatore dello stile Shaolin Chuan, Chang San Feng viene associato alla nascita del Tai Chi Chuan.

    Segue ora una breve (ma non troppo) storia delle alrti marziali dall’origine.

    XV secolo A.C. : si trova per la prima volta traccia di una tecnica di lotta ancora primitiva, consistente nell’infilzare l’avversario con l’ausilio di un elmo provvisto di corna: GoTi o ChiaoTi.

    VI secolo A.C : la tecnica di lotta si raffina comparendo sotto i nomi di Shang Pu, Shuai Go, Shou Pu.
    Mille anni più tardi la tecnica terminerà di svilupparsi con l’apporto dell’invasione mongola, si avrà quindi Lung Hua Quan, più scientifica e più veloce, contenente prese studiate anteriormente al Ju Jitsu e Judo nipponico. Contemporaneamente si sviluppava il Qin Na o (Ch’inna): l’arte della chiave di braccio. Perfezionata dagli attuali stili di Kung Fu, integrate nelle loro tecniche, quest’arte detiene tutti i segreti per immobilizzare l’avversario.
    All’epoca di Lao Tsu e di Confucio, le arti marziali nobili erano : il tiro con l’arco e l’equitazione. Si trova comunque traccia, in questa epoca di un’arte praticata dalle caste nobiliari e da certi monaci (per ragione evidente, di protezione durante i loro pellegrinaggi, ma anche per ragione di certi insegnamenti Taoisti, secondo i quali, la concentrazione poteva essere favorita dalla pratica costante di certi esercizi fisici).
    Si è sentito parlare di KungFu nelle storie cinesi sotto diversi nomi: Chi Chi San, Wu Ni, Chi Ni ecc.

    I secolo d.C. : Un certo Kwok Yee, avrebbe creato il primo stile di Kung Fu veramente “Schematizzato”, eretto nel metodo: CHANG KUO CHANG (“l’arte della lunga mano” o la “boxe di lungo raggio”).

    III secolo D.C. : un medico chiamato Hua To (ma potrebbe essere anche un personaggio leggendario, al quale la tradizione popolare attribuì un insieme di scoperte mediche di origine completamente differenti) fece delle ricerche sistematiche, osservando i sistemi di combattimento di cinque animali: tigre, l’orso, il cervo, la scimmia, la gru. Si tratta di un certo numero di gesti di combattimento che si ritrovano attualmente nella maggior parte degli stili di Kung Fu, amalgamati in seguito a quelli di altri animali: serpente, topo, cavallo, mantide religiosa, drago ecc.
    Insieme alla pratica marziale si sviluppa un grande fermento sulle varie teorie e filosofie che sostengono queste pratiche fondendosi con la cultura, la religione e la filosofia tradizionali.
    In Cina il rapporto tra esercizio fisico e medicina terapeutica ha preceduto di gran lunga la nascita delle arti marziali così come noi le conosciamo e ciò che i cinesi hanno sviluppato intorno alla cultura fisica ha avuto inizio prima che la storia venisse documentata attraverso fonti ufficiali. Esempi espliciti di tali relazioni possono essere facilmente riscontrabili nei testi di medicina tradizionale ove sono descritte molte delle teorie che costituiscono la base delle Arti Marziali Tradizionali Cinesi. Così come ad esempio nella medicina terapeutica e preventiva si sono sviluppati esercizi fisici che hanno tratto il loro spunto da alcune posizioni di animali, molte sono le tecniche che anche nel Wu Shu Kung Fu prendono il nome e i movimenti da questi.

    VI secolo : un personaggio straniero giunge al monastero Shaolin: si tratta di Ta Mo (Ta Mo o Daruma Taishi in giapponese è conosciuto anche con il nome di Bodhidharma, l’ “illuminato”, un monaco proveniente dalle Indie del sud, forse Ceylon). L’ipotesi più diffusa è quella che il monaco fosse di origine nobile, e che fosse profondo conoscitore dell’arte indiana di Vajramukiti: tecnica di maneggio di armi, praticato dalle caste guerriere. Certo è che Ta Mo lasciò il marchio indelebile della sua forte personalità. Nel piano spirituale fu all’origine del Buddismo Chan (Zen in giapponese) una corrente di pensiero che darà un’impronta a tutte le arti marziali dell’estremo oriente. Sul piano che interessa direttamente il Kung Fu a lui si attribuisce la messa a punto di alcuni esercizi fisici, destinati a rinvigorire i monaci provati dalle lunghe sedute di meditazione. Secondo alcuni, questi esercizi, non erano altro che delle “Asanas” (posizioni) dello Yoga, secondo altri un’originale tecnica da combattimento: Shih Pa Lo Han Shou, “le 18 mani di Han”, metodo ugualmente conosciuto sotto il nome di I Chin Chin o Eki Kin Kyo per le storie giapponesi di arti marziali. Da allora, atorto o a ragione i monaci del monastero della “giovane foresta” ebbero una reputazione di particolare capacità di combattimento, che li farà conoscere in tutti i paesi.

    XII secolo : Il generale Yao Wei ideò il sistema “Dell’artiglio dell’aquila”. XIII d.C. : l’eremita taoista Cheng Salm Fung (o Chan San Feng) che visse dentro Hopei, codificò le basi di quello che divenne il sistema interno del Kung Fu (Nei Jai), nel quale si ricerca il movimento dell’energia interna del corpo, piuettosto che la forsa muscolare subordinata all’età. Dalle sue ricerche nasce il Tai ji Quan (Tai Chi Chuan). Suoi stimati successori furono: Wong Tsung, Ch’en Chou T’ung, Chaing Fa. La provincia di Honan a causa della sua posizione geografica, fu il paese nel quale i maestri si incontravano, per questo nacquero degli stili o dei metodi di combattimento, che coglievano il meglio del Kung Fu interno e del Kung Fu esterno, di cui fa capo lo Shaolin Quan.

    XV secolo : un giovane uomo divenne monaco Shaolin, il suo nome era Chuen Yuan (chiamato anche Kwok Yuen). Egli revisionò l’antico sistema legato a Ta Mo. In un primo tempo ordinò in 72 tecniche; poi sempre insoddisfatto, si mise alla ricerca di un maestro di Kung Fu al di fuori delle mura monastiche. Nel sud della Cina incontrò maestri come: Pai Yu Feng e Li Chieng che accettarono di aiutarlo nella sua opera rigeneratrice. Fecero una sintesi di ben 170 movimenti che diventarono la nuova base della scuola esterna popolarizzata con il nome di Shaolin Chuen.
    Yuan ritornò al monastero, Proprio in questo periodo, i monaci ebbero la reputazione di essere invincibili.

    XVII secolo : 1640, quando regnava la dinastia mandarina Ching, dappertutto si svilupparono focolai contro l’oppressore. I monasteri, terra di asilo per i capi della resistenza, furono particolarmente odiati dalla nuova dinastia che disperse con forza le comunità monastiche.Un ingente numero di soldati dopo una sanguinosa lotta vinsero su pochi monaci guerrieri.
    L’invasione al tempio fu favorita da alcuni “infiltrati” che aiutarono i soldati ad entrare nel monastero.
    Solo Alcuni monaci sopravvissero alla distruzione di Shaolin, si parla di cinque o sette maestri che si rifugiarono altrove. Secondo la tradizione, questi cinque esperti di Kung Fu assicurando la sopravvivenza dell’arte secolare.
    Sarà l’origine dei 5 metodi “derivati dallo Shaolin” della Cina del sud:

    Hung Gar, Liu Gar, Choy Gar, Li Gar e Mo Gar.

    Si svilupparono inoltre così per opera di questi maestri e dei loro allievi gli stili come il Wing Tsun, il Choy Lee Fut, la Gru Bianca del Nord e la Mantide Religiosa (Tang Lang).

    XVIII secolo : la Cina è passata sotto le autorità Mandarine: Attacato dalle truppe il monastero Shaolin, dopo una accanita resistenza si arrese e fu distrutto. Esistono comunque degli stili che non derivano dal tempio Shaolin, come ad esempio lo stile dell’ubriaco, lo stile della traccia perduta, lo stile dalle gambe elastiche (Ten Tui) ecc.. Attualmente esistono circa 400 stili di Wu Shu Kung Fu ma solo una quindicina possono considerarsi realmente differenti tra loro ed hanno una larga diffusione sia in Cina sia nel mondo intero. Molti stili sono molto simili ad altri pur avendo un nome proprio. Dopo e durante la rivoluzione culturale comunista molti maestri si spostarono nei paesi vicini, Taiwan, Hong Kong e persino in America aprendo delle scuole e diffondendo il loro WU SHU KUNG FU.

    XIX secolo. : Tung Hai Chuan crea nella regione di Pechino la scuola “interna” Ba Gua Jian (Pa Kua Chang).

    1850 d.C. : il cristiano Hung Hsiu Chuan lancia la rivolta dei Tai Pings (la setta della “grande purezza”), tenendo per 15 anni le truppe imperiali all’erta. Si sa che egli istruiva i suoi uomini all’uso delle armi bianche e del combattimento a mani nude.

    1900 d.C. : Nello Shantoung c’è la rivolta dei “Boxers” ai quali il popolo attribuiva una potenza soprannaturale per il loro grado di efficacia nel combattimento a mani nude. Ma i “pugni della giustizia e della concordia” saranno annientati al tempo dei “55 giorni di Pechino”.

    XIX secolo : nuovo impatto del Kung Fu a Okinawa (Uechi Ryu) che diaspora nel resto dell’Asia combinandosi con metodi local: da queste sintesi nascono il Pukulan, il pentiak Silat, il Kuntow, il Serak ecc.

    Dal 1912 al periodo di guerre civili in Cina nel corso delle quali il Kung Fu si sviluppò anarchicamente in seno alle società segrete, che si battevano contro tutto ciò che minacciava la civilizzazione cinese tradizionale, e all’interno dei gruppi militari (talvolta truppe mercenarie) per il bisogno dei terribili “Signori della Guerra”: potenze locali senza legge né fede che stimolavano allenamento fisico dei loro mercenari.

    1927. Rivo- luzione De- mocratica Chang Kai Tchek al potere:

    1917 d.C. : il giovane Mao Tse Tung, allora 21enne, redige uno “studio sulla cultura fisica”, nel quale appare già il suo desiderio di una pratica di massa in cui le arti tradizionali dovranno avere buona parte.

    Verso 1920 : sotto il regime Kuoming Tang si assiste al primo tentativo di riprendere le redini del Wu Shu (termine che letteralmente significa arte marziale sinonimo di Kung Fu. Letteralmente esercizio eseguito con abilità).

    1930 : si verificarono i primi incontri ufficiali fra esperti di Wu Shu, ma le difficoltà politiche del paese e la guerra con il Giappone diedero un colpo di arresto allo sviluppo delle arti marziali tradizionali.

    1945 : si conoscevano due grandi associazioni di Kung Fu su scala nazionale: l’Istituto Centrale di Boxe Nazionale e Cultura Fisica e l’Associazione di Boxe Cinese. Dopo il 1949 le arti marziali ebbero evoluzioni differenti: nella Repubblica Popolare Cinese si diede risalto soprattutto alla cultura fisica; c’è il rilancio dell’ “arte del pugno”, come d’altre parte di tutti gli sports, considerati dal regine come eccellente mezzo di sviluppo fisico e morale della nazione. La finalità del Kung Fu è cambiata. Gli sono preferite le forme di Wu Shu moderno, con esercizi terapeudici e non destinati unicamente al combattimento reale. Tuttavia rimmangono in Cina Popolare vecchi maestri, formidabili per efficacia, ma molto difficili da rintracciare in particolare in Cina, visto che gli stessi di solito, sono contro il regime che uccideva le nobili tradizioni.
    A Hong Kong e a Taiwan si è mantenuto fortemente l’orientamento originale del Kung Fu: per i “Si Fu” (maestri), fuggiti prima del regime comunista, vi sono rappresentati tutti gli stili ed è eccezionale il numero delle sale di trattenimento. Questo succede anche nelle più importanti comunità cinesi nel mondo; soprattutto nella costa ovest degli U.S.A. e nella Malesia. Rivoluzione Comunista Cinese.

    1980: Repubblica Popolare Cinese sembra rivalutare l’aspetto combattivo delle arti marziali codificando una forma sportiva di combattimento chiamato SANDA che e’ simile alla kick boxing dove è però anche possibile proiettare l’avversario. E’ molto diversa dal combattimento tradizionale del WU SHU KUNG FU.

  • Cinesi: le religioni

    Confucianesimo
    Il Confucianesimo è la dottrina di Confucio e dei suoi seguaci che ha dominato per oltre duemila anni la vita etica, politica e religiosa della Cina, in quanto prescriveva i riti di stato della casa imperiale, come pure il culto degli antenati della famiglia e forniva sia il codice pubblico di comportamento (che i regnanti della Cina e i loro funzionari dovevano rispettare), sia il codice privato della vita familiare.

    L’insegnamento di Confucio fu preservato dai suoi discepoli (alcuni dei quali, peraltro, raggiunsero posti di rilievo nell’amministrazione dello Stato feudale), nei “Colloqui”, una raccolta non sistematica di brevi aneddoti e detti, fatta molti anni dopo la sua morte. I testi canonici, cioè i Quattro libri (intellettualmente più evoluti) e i Cinque canoni, hanno poco di religioso: si tratta piuttosto di regole per l’agire pratico (personale, familiare, sociale e politico-amministrativo). E’ una sorta di filosofia del vivere civile, con risvolti che potremmo definire di tipo religioso. Non ci sono tuttavia rivelazioni, dogmi, sacramenti, miracoli, cosmogonie e apocalissi.

    Lo studio del Confucianesimo venne proibito durante la dinastia Qin (221-206 a.C.), che seguì a quella Chou. Unificando i vari Stati esistenti e proclamandosi per la prima volta nella storia cinese, imperatore, il sovrano Cheng iniziò un movimento irreversibile di identificazione nazionale, comportandosi in maniera ostile nei confronti della tradizione confuciana, ritenuta troppo compromessa col feudalesimo del periodo precedente (nel 213 a.C. ordinò addirittura il rogo dei libri confuciani). Ma la dinastia successiva degli Han (202 a.C.- 220 d.C.) restaurò le tradizioni confuciane, tanto che nel 59 d.C. l’imperatore Ming-Ti ordinò gli inizi di un culto a favore di Confucio. Da allora e sino agli inizi del XX sec. la sua popolarità non conobbe declini, nemmeno in presenza del buddismo.

    Buddhismo
    Il problema principale che si incontra nello studio delle filosofie indiane (lo abbiamo già detto altre volte, ma è importate ripeterlo) è l’enorme difficoltà nell’accertare cosa abbia veramente detto il maestro originale e quali siano invece le interpretazioni dei suoi seguaci e discendenti. Il buddhismo non è un’eccezione. Ciò è abbastanza comprensibile se si pensa che i tempi del Buddha sono trascorsi da circa 2500 anni. Perciò cercheremo di parlare del buddhismo presentandovi la versione dei buddhisti storici. Ma quanto sarebbe meglio discutere di ciò che veramente disse il Maestro!

    Cominciamo col definire la mentalità di un praticante buddhista. Prima di tutto il Buddha non diceva di essere Dio o qualche incarnazione divina, ma sosteneva di essere un uomo qualsiasi e che qualunque risultato dovesse essere ottenuto grazie al proprio sforzo. Il ruolo dell’uomo è fondamentale. Non essendoci alcun Dio da realizzare, il fulcro principale della ricerca filosofica è la persona, l’uomo, la cui posizione è sempre suprema. Solo lui, infatti, può accedere al più alto stadio, che è quello di divenire un Buddha. Come abbiamo già accennato, non c’è un essere supremo o un potere superiore che possa decidere il nostro destino: ognuno è il rifugio di se stesso. L’importanza dei maestri (i tathagata), come il Buddha e gli altri, sta nell’insegnare la via, che poi però deve essere percorsa dallo studente, cioè da ognuno di noi.

    Da questo inizio possiamo vedere quanto diverso è l’approccio alla filosofia da parte del buddhismo rispetto alle altre dottrine indiane. Tutte queste hanno sempre messo al centro di ogni cosa un Dio spirituale (personale o meno che sia), mentre per il buddhismo l’uomo è solo e pienamente responsabile del proprio destino. Una manna, per gli atei e i materialisti di ogni genere.

    La cosa più importante è la giusta conoscenza. Il maestro non deve essere accettato prima che abbia dato prova di possedere la conoscere corretta e solo allora il discepolo deve accettare di porsi sotto la sua guida. E lui, lo studente, deve avere un forte desiderio di conoscere.

    La base della sapienza è la fede, ma non quella cieca di tante religioni, bensì quella fondata sull’esperienza. Infatti, dice il Buddha, la fede è quella che scaturisce dalla conoscenza. Se conosci, credi. Non si può credere a qualcosa che non si conosce. L’Illuminato criticava il brahmanesimo del suo tempo proprio per questa loro pretesa di far credere ciò che poi non poteva essere realmente conosciuto e paragonava quei brahmana degradati a tanti ciechi che volevano trascinare altri nel loro stesso baratro.

    Ma non si deve neanche essere attaccati alla conoscenza stessa, la quale può diventare un fardello. E’ come una zattera: quando il fiume è attraversato, questa va abbandonata. Non c’è bisogno di portarsela appresso.

    Il Buddha era un filosofo pratico. Non sembra che fosse stato interessato a complicate questioni metafisiche. Nel suo discorso a Malunkyaputta, affermò che comprendendo tutto ciò che riguarda le quattro verità fondamentali (chiamate le Quattro Nobili Verità), si sarebbe conosciuto tutto. Queste sono:

    1) dukkha,
    2) samudaya, il sorgere, o l’origine del dukkha,
    3) nirodha, la cessazione del dukkha,
    4) magga, il sentiero che conduce alla cessazione del dukkha.

    LA DOTTRINA DEL NON SE’
    Torniamo ora su uno dei punti cardini della filosofia buddhista, che è quella dell’anatma (in pali anatta), ovverosia della convinzione che non esista nessun sé, né individuale né assoluto. Vediamo di dare qualche elemento in più oltre quelli già espressi.

    Nella storia del pensiero, il buddhismo è stato forse il solo a negarne l’esistenza in modo tanto perentorio. Va detto subito però che anche su questo punto fervono da secoli aspre polemiche, in quanto c’è chi sostiene che il Buddha non sarebbe stato affatto chiaro su questo argomento ma che avrebbe spesso taciuto e altre volte detto mezze verità. Siamo d’accordo su questa interpretazione. Infatti non affrontare un discorso sull’anima non significa necessariamente volerne affermare l’inesistenza. Ma anche qui sarebbe interessante poter stabilire cosa avesse veramente inteso dire o tacere il Maestro e separarlo dalle interpretazioni dei suoi successori.

    Ad ogni buon conto, per il buddhismo classico l’idea dell’atma è una credenza totalmente infondata e anzi pericolosa. Dal loro punto di vista ha, infatti, il potere di causare pericolosi dualismi interiori, scatenare l’idea dell’io e del mio, desideri egoistici e mai saziabili, orgoglio e impurità. Secondo loro, tutti i guai del mondo possono essere fatti risalire a questa falsa visione.

    Abbiamo già visto come tutto il creato ricade nelle cinque divisioni di elementi, oltre alle quali non c’è nulla. Comprendendo la dottrina della Genesi Condizionata (Paticca-samuppada), ci si può liberare dalla falsità. Questo sistema dice che:

    1) L’ignoranza condiziona le azioni (karma); in altre parole noi agiamo, e lo facciamo in un certo modo a causa dell’ignoranza che ci imprigiona. Poi
    2) dalla qualità delle azioni viene condizionata la coscienza, che è la facoltà di percepire. Dunque è naturale che
    3) dalla coscienza siano condizionati i fenomeni mentali e fisici,
    4) dai quali inevitabilmente vengono condizionate le sei facoltà (i cinque organi di senso più la mente).
    5) Dalle sei facoltà è condizionato il contatto (sia dei sensi che della mente), il quale poi
    6) condiziona la sensazione, o la capacità di provare gusti,
    7) dalla sensazione è condizionato il desiderio. Quando si provano delle sensazioni è normale che il desiderio ne sia condizionato. Poi
    8) dal desiderio viene condizionato l’attaccamento
    9) dall’attaccamento è condizionato il divenire
    10) dal divenire è condizionata la nascita
    11 e 12) dalla nascita sono condizionati la vecchiaia, la morte, il lamento, il dolore.

    E’ così che la vita nasce esiste e continua. Per far sì che il processo dell’ignoranza abbia fine dobbiamo invertire la direzione di marcia, e cioè: cessando l’ignoranza, terminano le attività interessate e via dicendo.

    Comunque ribadiamo che per il buddhismo non esiste nulla di assoluto e indipendente: tutto è condizionato e condizionante.

    Qualcuno potrebbe chiedersi: come mai nel linguaggio del Buddha erano così tanto presenti i concetti riguardanti le persone e le cose, come se esistessero delle individualità?

    La risposta è simile a quella che avrebbe dato Shankara, e cioè che esistono due tipi di verità: la verità convenzionale e la verità ultima. La prima è quella che si stabilisce per comodità di dialogo e serve per avvicinarsi a una verità superiore, mentre l’altra è la definitiva.

    Non sono pochi, comunque, coloro che sostengono che il Buddha avrebbe ammesso l’esistenza di un sé e altrettanti quelli che dicono con certezza che, a riguardo di questo punto specifico, abbia intenzionalmente taciuto.

    LA MEDITAZIONE
    Per il buddhismo, la meditazione è lo strumento grazie al quale si può ripulire la mente da ogni impurità, da ciò che provoca turbamento, come i desideri materiali, l’odio e le preoccupazioni. Grazie ad essa, il praticante può dunque giungere alla verità più alta, il Nirvana.

    Sono previste due forme di meditazione, due sistemi abbastanza diversi tra di loro: il primo è detto samadhi (in pali samatha) e il secondo vipashyana (in pali vipassana).

    Il samadhi consiste nel concentrare la propria attenzione mentale su un unico punto, cercando di non deviare mai dall’oggetto assunto come strumento di meditazione. E’ sostanzialmente una forma di meditazione presa in prestito dal sistema yoga, ben precedente all’epoca buddhista. Si dice che attraverso questo sistema non si possa direttamente conseguire il Nirvana, tanto che il Buddha stesso ne avrebbe contestato la validità. Sarebbe utile, questa, solo per vivere felicemente in questa vita. Fu lui stesso che scoprì un altro metodo di meditazione, conosciuta come vipashyana, che è lo sviluppo di una diversa visione della natura delle cose che dovrebbe condurre alla liberazione della mente e ultimamente al Nirvana.

    Analizzato dal Buddha stesso in un importante discorso sulla meditazione chiamato satipattana-sutta, (I Fondamenti della Consapevolezza), è un metodo analitico basato sulla presa di coscienza attenta e vigile di ogni azione che si compia. Non importa cosa si faccia, l’importante è non perdere mai la concentrazione sui propri atti, siano questi la respirazione, il provare piacere, odio, amore o dolore. Si deve sempre essere attenti a qualsiasi cosa si faccia. Secondo il buddhismo, questa forma di controllo mentale può portare al Nirvana.

    Ma non si deve pensare che “sono io che faccio questo”. Bisogna dimenticare il concetto illusorio dell’esistenza di un io agente per identificarsi totalmente nella propria azione. E quando i cinque impedimenti che si frappongono sul sentiero (i desideri sessuali, l’odio, la pigrizia, le eccitazioni e i dubbi) si saranno acquietati, sarà possibile ottenere la liberazione finale, il Nirvana.

    Taoismo
    Secondo il pensiero taoista (che in questo non si discosta da quello confuciano) esiste un’armonia universale che lega tutti i livelli del cosmo: terra, uomo e cielo.
    Il principio su cui si fonda il Taoismo è il tao, termine di difficile interpretazione, tanto che un verso del Taodeing recita: “Il tao che può essere definito col nome non è il tao costante”. Il tao, che è presente in ogni cosa e la condiziona, è un flusso vitale che ha dato origine a tutto, e che scorre incessantemente, mutando sempre e rimanendo sempre lo stesso.
    Associata al tao è la concezione dello yinyang.

    E’ Spirito Anima Genio, è presenza di natura unitaria e ancestrale, precedente la separazione e la differenziazione propria dell’esistente. l suo volto è umano e mostra lineamenti decisi e sereni. Il suo corpo è spire di serpente avvolte e riavvolte. Esso riunisce e fa vivere in sé i due principi complementari contemporanei , concentrici e coincidenti, inscindibili e opposti, e proprio non è possibile depennare nemmeno uno di questi attributi in cui l’Unità si è differenziata nell’Esistenza.
    La tradizione taoista chiamò Yin e Yang questi inseparabili principi intrinseci al vivere.
    Yin e yang sono i due princìpi che mantengono l’ordine naturale del tao:

    yin è il principio femminile, passivo ed oscuro, identificato con la luna;

    yang il principio maschile, attivo e luminoso, identificato con il sole.

    Yin e yang sono opposti e complementari tra di loro, relativi (si può essere yin sotto un certo aspetto e yang sotto un altro) e non antitetici, tanto che nella pienezza dell’uno è implicita l’origine dell’altro. Il loro alternarsi determina tutte le cose.
    Il simbolo del Tao è formato da due spirali (SERPI), una che si avvolge e l’altra che si svolge a partire da un unico Centro.
    Le due spirali rappresentano la discesa ed ascesa degli aspetti opposti di ogni energia del cosmo.
    Il Simbolo pertanto è una simmetria rotazionale ciclica : la spirale bianca ha l’inizio dove finisca la spirale nera; essa si avvolge ed aumenta fino ad un massimo ma poi manifesta in se stessa la sua tendenza opposta (puntino nero) che appunto a partire da questo momento si svolge. Anche questo aspetto raggiunge un massimo finchè si manifesta la tendenza opposta (puntino bianco), che si avvolge e così via, ciclicamente.
    Questo ciclo unifica nella monade Universo tutte le energie del cosmo nei loro aspetti opposti rendendoli così complementari.

    In modo analogo il taoismo concepì l’antico genio dal corpo di serpe in forma duale e ne precisò dualità di forme, caratteri, nomi.
    Nella mitologia cosmogonica taoista due leggendari Augusti, Fuxi e Nugua avevano corpi di spire, sovente intrecciati l’un l’altro.
    Essi furono gli ordinatori del mondo. Più volte introdotti come fratello e sorella, come sposi o come amanti, Fuxi e Nugua valgono nel mito la coppia primigenia da cui l’umanità discende. Erano certo tempi diversi in cui uomini e animali vivevano in totale unione.

    Anche Yao e Shun, due degli antichi primi Cinque Imperatori, precisa Lieh tse il maestro taoista, avevano parti del corpo di forma animale e sudditi e truppe animali. Nell’iconografia antica, il Genio primitivo dalla coda di serpente ha dunque due forme e due nomi. Forse molti di più. Non vi è qui metamorfosi tra l’uno e l’altro aspetto. La metamorfosi, la trasformazione ci insegna ancora Lieh tse, è propria dell’esistente. Egli, il Genio Mostruoso, è principio e essenza e semplicemente vive, assoluto e immutabile, contemporaneamente e senza contraddizione presente in differenti e complementari espressioni. Il Genio Mostruoso ha dunque due forme e due nomi ed entrambi i nomi introducono al Fuoco, il movente del calore vitale. Egli è Zhu Long, il Drago Fiammeggiante, e parimenti egli è Zhu Yin, l’Oscurità Fiammeggiante. Sono queste le due forme in cui e da cui si esprimono le forze vitali del mondo, il principio e la sorgente stessa di tutti i fenomeni e gli venti di natura. “Zhu Long il Drago Fiammeggiante vive a nord alla Porta delle oche Selvatiche.
    Se ne sta chiuso nei Monti Wei Yu, dove non si vede mai il sole.
    Questo Spirito ha volto di uomo e corpo di drago. Non ha piedi.”

    L’obiettivo del Taoismo filosofico è quello di raggiungere la santità, lo stato di perfetta armonia con il mondo naturale, uno stato che si acquista uniformandosi ad esso tramite meditazione ed estasi, che permettono l’identificazione con il tao. La natura non deve essere alterata dall’azione umana, e per questo il taoista pratica e predica il “non agire” (wu wei) in tutti i campi (anche in quello politico), non lasciandosi turbare né dai mutamenti, né dalla morte. Nel Zhuangzi è messa in risalto anche la necessità di non fare distinzioni, di raggiungere lo stadio di una “non conoscenza”, la quale si ottiene solo dopo aver conosciuto.

    Come religione popolare, il Taoismo mise in atto diverse pratiche per potenziare e per rendere immortale il corpo: diete alimentari di vario tipo (inclusa l’ingestione di prodotti ottenuti tramite ricerche alchemiche), tecniche respiratorie (come lo yoga cinese), ginniche, sessuali, e contemplative.
    Nelle numerose leggende taoiste, un posto di rilievo è assegnato ai cosiddetti “Otto Immortali” (Baxian), un gruppo di personaggi (uomini e donne) che, avendo ottenuto in vita poteri soprannaturali, sono stati santificati dopo morti. Oltre agli Immortali, e accanto a Laozi – identificato spesso con Huanlao (Il Vecchio Giallo), uno dei cinque creatori del cosmo -, c’è un numero elevatissimo di divinità eterogenee, organizzate gerarchicamente, come i protettori di mestieri e dei fenomeni atmosferici; gli spiriti degli elementi della natura; le anime di diverse località (cimiteri, luoghi, guadi, strade); i demoni; le anime degli impiccati, degli annegati e degli antenati; i santi taoisti, confuciani e buddhisti, eccetera.

    MISTERI TAOSTI
    Il Genio dal corpo di serpente che si esprime in Zhu Long ed in Zhu Yin, diviene così il centro e il movente di luce e di calore dei luoghi santi del mistero e del sogno taoista.
    Antichi testi taoisti ci introducono a questi misteri.

    “Il Genio del Monte Zhong si chiama Zhu Yin, Oscurità Fiammeggiante. Quando apre gli occhi, viene il giorno. Quando li chiude, viene la notte. Quando espira viene l’inverno. Quando inspira, viene l’estate. Non beve, non mangia, non respira. Quando respira viene il vento. Il suo corpo grande mille misure si trova ad est del paese di Senza Polpacci. E’ un essere dal volto umano e dal corpo di serpente, è di colore rosso e abita ai piedi del monte Zhong, il Monte della Campana.” Shan Hai Jing. Cap. 8° – Trad. R. Mathieu

    “Il Giardino delle delizie sui Monti Kun Lun dove si trova con esattezza? I Nove Piani dei suoi bastioni a quale altezza giungono? Le sue Porte, rivolte verso le Quattro Direzioni, chi ne garantisce la guardia? L’apertura che vi è a Nord Ovest in che modo i Soffi la attraversano? Vi è lì un luogo che il sole non raggiunge?
    E in che modo Zhu Long il Drago Fiammeggiante lo illumina?” Chu Ci Tian Wen. – Trad. E.Rochat de la Vallée e C. Larre.

    Quintessenza e protettore del principio naturale; Zhu Long lo Spirito Uomo e Serpente rappresenta il capostipite della variegata ed immortale stirpe dei draghi cinesi, che da un passato remoto e regale è giunta intatta fino ad oggi e tutt’oggi vive nel centro della tradizione e del culto popolare cinese.
    Come è carattere del pensiero taoista, la stirpe dei draghi si esprime secondo la polarità duale delle presenze archetipiche di cui è discendenza. Da Zhu Yin e Zhu Long derivano così due famiglie fra loro complementari dei draghi, depositarie e matrici, l’una della valenza Yin delle forze e degli eventi di natura, l’altra della complementare valenza Yang. Ne deriva l’esistenza di draghi di natura Yin e di draghi di natura Yang, sovente in rapporto con la Luna e con il Sole che dei due principi Yin Yang sono le forme celesti, come per altro con l’Acqua e con la Terra, con la pioggia e con la secchezza, con il vento, con le nuvole, con il sereno.

    “Cavalcando Fei Long il Drago Volante
    formo il mio carro di molte e varie pietre preziose…
    Conduco gli otto draghi che ondeggiano, tengo alto il mio stendardo di nuvole che si elevano in spire…” Chu Ci Li Sao. – Trad. E. Rochat de la Vallée e C. Larre.

    Cavalcatura di saggi ed illuminati, il Drago Celeste è il destriero che giunge a testimoniare e sancire la riuscita di una vita. E’ la via che rende possibile e realizza la grande ricerca del mondo taoista, il raggiungimento dell’immortalità con il corpo,da intendersi non come simbolo ma come effettuale testimonianza di una raggiunta riunione con il Principio.
    Antichi racconti ci regalano sprazzi di conoscenza in visioni di draghi volanti che discendono dalle nuvole agli uomini meritevoli ed accolgono saggi imperatori insieme a tutte le loro corti sul dorso e li conducono così nei cieli in galoppate eterne.Il Cielo e la Terra, lo Spirito e il corpo riconoscono così la loro reale coincidenza,al di là delle nostre altrettanto reali limitazioni e paure.
    Tanto accadde a Huang Di, il mitico Imperatore Giallo, e a Ying Long, il leggendario drago suo destriero.

    Tantrismo
    Il TANTRISMO (dal sanscrito «trama», «tessuto», «canestro») è una ricca “tessitura” di pensieri, scuole e dottrine fiorite nel subcontinente indiano nel IV/V secolo della nostra era (ma che affondano le radici in epochei molto più remote). In questa “tessitura” variegata confluiscono uno stupefacente corpo di tradizioni psicologiche altamente sviluppate, fisiologiche, spirituali e mitologiche.

    Viene chiamata così una forma dell’induismo che si basa essenzialmente sui Tantra (i Libri) composti fra l’VIII e il XV secolo della nostra era. Si dà come scopo la salvezza mediante la conoscenza esoterica delle leggi della natura . I 64 tantra sono soprattutto dei manuali di magia e di occultismo; essi descrivono lettere, suoni, formule, incantesimi «miracolosi», capaci di agire sugli uomini e sulle cose; essi insistono in particolare sull’unione mistica della divinità con se stessa, accoppiamento dal quale è nato il mondo. Numerosi dipinti rappresentano questa unione mistica sotto la forma di un uomo e di una donna praticanti il coito (maithuna); sarebbe un controsenso interpretare queste opere come rappresentazioni coscientemente erotiche.

    Il «tantrismo di destra» distingue nel corpo umano 6 centri di energia (i cakra) raffigurati da fiori di loto; il centro inferiore è la sede della dea serpente Kundalini, simbolo dell’energia cosmica. Con un metodo ispirato dallo yoga, il saggio «sveglia Kundalini» e la fa arrivare al centro più elevato, sede di Siva; a questo livello, si opera l’unione mistica che riempie il saggio di una felicità indicibile (questa pratica, il laya-yoga o yoga di assorbimento, è una forma simbolica dell’attività sessuale).

    Il «tantrismo di sinistra» (vamacara) non utilizza lo yoga. Gli iniziati partecipano per prima cosa ad un’orgia sessuale collettiva al fine di provare la vanità delle passioni e di sfuggire alla loro tirannia. Le loro pratiche assomigliano a quelle dei sakta.

    Il Tantrismo, al pari del Sufismo, pensa che le tecniche di liberazione si devono adeguare al diverso livello di spiritualità dell’umanità, per cui comportamenti e pratiche adatte agli uomini di epoche precedenti non sono più valide in quella attuale. In tal senso, nel Tantrismo c’è un superamento, ma non una contrapposizione rispetto agli insegnamenti precedenti, necessario alle diverse condizioni materiali e spirituali dell’uomo. Le vie contemplative che predicavano un rigido estraniamento dal mondo erano adatte nel periodo upanishadico, ma non, secondo il Tantrismo, al mutato livello spirituale dell’uomo. Si dovevano quindi adottare tecniche che invitassero a giocare al gioco dell’esistenza senza però rimanerci impantanati, per attingere quello stato spirituale non invischiato alla realtà materiale.

    Il Tantrismo, da cui tanto dipese l’alchimia indiana, non è una dottrina filosofica vera e propria, ma un’esperienza di vita. Non ha mai provato a imporre un nuovo ordine sociale, ma, d’altra parte, non perde i contatti con il mondo, con la vita diogni giorno, ove i desideri terreni e le emozioni giocano grandi effetti sulle vite degli uomini.

    Valorizza l’idea per cui il corpo fisico è un involucro attraverso il quale passa l’energia. Concepisce il corpo come il veicolo, il carro sul quale percorriamo la nostra vita. Il corpo è, quindi, un carro, mentre lo “spirito” (buddhi) è il cocchiere che stringe le redini che sono la mente (manas), reggendo i cavalli che sono i sensi, mentre il terreno percorso è il mondo.

    Il Tantrismo ha compreso che questo veicolo può essere addestrato per temprare l’individuo in tutte le sue dimensioni e portarlo a raggiungere il proprio Sé, l’Uomo Interiore. In questo senso, una sorta di curva ciclica, che parte dal corpo come involucro e attraverso questa esperienza della perfetta disciplina del corpo e della mente, raggiunge la meta che ci si è posti: l’«essere padroni di se stessi». Il corpo quindi è qualcosa che si addestra per trascenderlo.

    Le scuole tantriche mostrano come sia possibile raggiungere la liberazione (moksha) dalle pastoie mondane in qualsiasi modo e come ogni atto possa essere investito di un significato profondo e posto a fondamento di una pratica di autorealizzazione. L’impostazione tantrica, infatti, sottolinea il carattere sacrale anche di ciò che apparentemente sembra “profano”, in base all’assunto per cui il «seme dell’illuminazione» risiede ovunque. Pertanto, nulla viene rigettato, ogni evento della vita può diventare un trampolino di lancio per il salto nell’Incondizionato.
    Gli aspetti cosiddetti “negativi” della realtà non vanno repressi o trascesi, bensì trasformati in corrispondenti aspetti illuminati. In ogni emozione di tipo negativo, per esempio, si trova congelata e imprigionata un’energia che il meditante può riuscire a liberare dalla presa egoica per trasformarla in puro strumento di liberazione (così come l’alchimista trasforma il piombo in oro, oppure così come l’analizzato nel setting psicoanalitico integra gli aspetti inconsci nel conscio).

    Il principio sotteso al Tantrismo è che «gli uomini si elevano attraverso ciò che causa la propria caduta». Il Tantrismo afferma, infatti, che l’uomo può liberarsi definitivamente grazie alle condizioni stesse di questa caduta: tutto ciò che lo impastoia, che lo ostacola, che lo paralizza può diventare la chiave della sua liberazione.

    Il Tantrismo promette la realizzazione interiore a coloro che saranno in grado, grazie al loro coraggio, di andare fino in fondo ai loro desideri. Non è frenando i propri desideri od obbedendo loro ciecamente, che la condizione umana può esprimersi in modo autentico. Questa via spirituale si propone dunque come un modo di radicale “travalicamento” delle proibizioni morali, dei tabù culturali e rituali che regolavano i costumi della civiltà indiana nel momento in cui si sviluppò il Tantrismo.

    La pratica tantrica si dedica allo studio e alla sperimentazione dei condizionamenti, delle pulsioni, dei desideri che costituiscono la condizione umana. Invece di frenare le pulsioni primarie, la pratica tantrica le intensifica continuamente in modo da risvegliare le energie originarie avviluppate nella materia.

  • Cinesi: i monumenti

    La Grande Muraglia (Changcheng)
    La Wanli changcheng, da noi nota come la Grande Muraglia. La traduzione del nome cinese è “il lungo muro di 10.000 li”. Il li è una misura di lunghezza cinese equivalente a 500 m. In realtà la somma dei tratti di muraglia è più lunga, arrivando a 5760 km.
    Il tratto generalmente visitato dai turisti è quello del Passo di Badaling, restaurato in tempi relativamente recenti, a cui si accede su strada asfaltata o con ferrovia. Fu costruita sotto Qin Shihuangdi (l’unificatore della Cina) a partire dal 2?? a.C., ma la costruzione dei primi elementi risale all’epoca dei Regni Combattenti (VII-VI sec. a.C.). All’edificazione vi hanno preso parte 300.000 uomini per 10 anni. Ha un’altezza media di 7-8 m, una larghezza di 6,5 alla base e 5,5 m alla sommità; una torre ogni 200-300 m, un parapetto semplice verso sud e merlato verso nord, un percorso di varia ripidità e spesso interrotto da scarpate e da scale irregolari, protetto da un lastricato di grossi blocchi di pietra. La spiegazione corrente è che essa fu innalzata per contenere i barbari delle steppe mongoliche. Ma quest’enorme serpente architettonico è stato principalmente concepito e realizzato per proteggere la coltivazione dei campi dalle incursioni delle genti nomadi delle steppe. Svolse anche una funzione civilizzatrice, in quanto esigeva lo stanziamento di decine di migliaia di operai e di militari ai confini delle regioni tradizionali; provocava il contatto di popolazioni molto diverse e ne catalizzava l’attenzione e l’interesse. Infine fui una via di comunicazione scorrevole perché lastricata, sicura perché sempre protetta dai soldati (di notizie e di mezzi di trasporto) perché, data la sua larghezza, era stato possibile adattare, in cima, una piattaforma stradale percorribile.

    La Tomba dell’Imperatore Qin
    La tomba, che non è ancora stata scoperta, è posta a un chilometro a nord del Monte Lishan e vi lavorarono circa 700.000 uomini provenienti da tutto il paese. Nel 1974, mentre dei contadini stavano scavando un pozzo, videro affiorare delle teste. I successivi scavi definirono lo spazio in cui è collocato l’esercito in terracotta dell’imperatore Qin Shihuangdi: più di 8000 tra guerrieri e cavalli che costituivano il suo corpo di guardia. Solamente una parte di questa “ottava meraviglia del mondo” è stata portata alla luce e definitivamente restaurata e si può così ammirare la molteplicità delle espressioni visive, iI realismo, la cura posta nel riprodurre gli indumenti dei singoli soldati. Nell’organizzazione militare quest’armata di terracotta corrisponde a quella dell’esercito dell’epoca dei Qin e degli Han: davanti la fanteria con qualche carro da guerra, seguita dalla cavalleria, a cui spettavano le operazioni d’attacco a sorpresa, d’attacco Iaterale e d’accerchiamento. Reperti di valore eccezionale tra quelli fino ad oggi rinvenuti relativi al periodo Han, questi cavalli e guerrieri rappresentano il più valido apporto allo studio di questa cultura. Essi forniscono elementi sulla formazione di un’armata schierata, le divise militari e le bardature dei cavalli.

  • Cinesi: lo zodiaco – oroscopo cinese

    Lo zodiaco cinese ha origini antichissime, ed era praticato ben prima della nascita della civiltà egizia, grazie ad astrologi cinesi che predicevano il futuro con abilità e saggezza. immagine rappresentante un dragone cinese, tratta da www.astrocartomanti.itOgnuno dei 12 Anni dello Zodiaco Cinese cade sotto un segno che corrisponde ad un “Animale” diverso. Si crede che il segno sotto cui cade la propria data di nascita, determini le circostanze della tua vita, e anche il tipo di persona che sei. La leggenda narra che Buddha chiamò al suo cospetto tutti gli animali del suo regno, ma che solo dodici di essi vi si presentarono.

    Grato per il loro impegno, egli decise di chiamare gli anni successivi con i nomi di quegli animali, in ordine di arrivo, in modo che le caratteristiche di ognuno fossero trasmesse ai nati in quegli anni. Oltre a questi segni, esistono anche cinque elementi che attribuiscono minor o maggior intensità alle peculiarità dei segni stessi e sono: Acqua, Fuoco, Legno, Metallo e Terra infatti, per la tradizione estremo-orientale gli Elementi costitutivi dell´universo non sono quattro (come in Occidente) ma cinque.

    Trova l´anno della tua nascita e scoprirlo. Se sei nato prima del 1925 aggiungi 12 all´anno della tua nascita per sapere il tuo segno.

    Topo
    1900 – 1912 – 1924 – 1936 – 1948 – 1960 – 1972 – 1984 – 1996
    Il fascino della personalità del Topo è universalmente noto e amato quanto Topolino, il personaggio di Walt Disney. Può essere franco e sincero, ma con un garbo tanto disarmante da lasciare gli altri indifesi.
    Molto socievole, lavoratore ed economo, sarà generoso soltanto con le persone cui è straordinariamente affezionato; quindi, se ricevete da lui un dono costoso, vuol dire che occupate un posto molto alto nella sua stima. Tuttavia, nonostante la sua parsimonia, non resterà mai privo di ammiratori, perché irradia un fascino fantastico.
    In apparenza, un nativo del Topo può sembrare riservato, ma non è così. Non è mai tranquillo come può sembrare. Anzi, si agita facilmente, ma riesce a conservare l’autocontrollo, il che spiega perché è tanto popolare e ha una quantità di amici. Il nativo del Topo ha di solito una personalità vivace, gaia e socievole. Qualche volta può capitarvi di incontrarne uno supercritico o pignolo. Ma nel complesso, ama le feste e la gente. Si darà da fare per entrare nei circoli più esclusivi e di regola lo s’incontra sempre in una cerchia ristretta di amici e di colleghi. Gli piace partecipare alle attività sociali ed è molto estroverso.
    Il Topo ama sinceramente i suoi amici, i colleghi e i parenti: a volte si ritrova invischiato nella vita e negli affari degli altri perché non è capace di liberarsi dei forti legami affettivi, una volta che li ha stretti. Tuttavia, non si può mai sapere esattamente quale sia la sua vera posizione. La sua capacità di amare può essere vinta soltanto dalla sua astuzia e dalla sua passione per il denaro.
    Un datore di lavoro del Topo è capace di interessarsi molto perché i suoi dipendenti facciano abbastanza moto e seguano una dieta equilibrata. In cuor suo, è sinceramente preoccupato per il loro benessere; li andrà a trovare quando si ammalano e si occuperà dei loro problemi, tuttavia, quando verrà il momento di concedere loro il meritato aumento di stipendio procrastinerà e si dimostrerà un pò tirchio.
    E’ necessario un lungo braccio di ferro o una contrattazione collettiva, quando si tratta di indurre un Topo a separarsi dal suo denaro.

    Bue
    1907 – 1919 – 1931 – 1943 – 1955 – 1967 – 1979 – 1991 – 2003
    Il segno del Bue o del Bufalo simboleggia la prosperità raggiunta grazie alla forza d’animo e al duro lavoro. Una persona nata in quest’anno sarà fidata, calma e metodica. Il soggetto è un lavoratore paziente e instancabile, che segue la routine e le convenzioni. Sebbene in generale abbia una mentalità equanime e sia un buon ascoltatore, è difficile fargli cambiare idea perché è ostinato e spesso ha forti pregiudizi.
    Tuttavia, grazie al suo carattere costante e fidato, il nativo del Bue raggiungerà posizioni d’autorità e di responsabilità. Non si tirerà indietro, quando il dovere lo chiama. Per la verità deve stare attento a non esagerare. Sotto il suo aspetto piuttosto modesto ma impeccabile, il Bue nasconde una mente logica e decisa. L’intelligenza e la destrezza sono celate dietro una facciata reticente e poco espansiva. Ma sebbene sia sostanzialmente introverso, la sua indole energica può trasformarlo in un oratore autorevole ed eloquente, quando se ne presenta la necessità. Nei momenti d’incertezza la sua presenza di spirito, il rifiuto di lasciarsi intimidire e l’innata fiducia in sé stesso serviranno a ristabilire l’ordine. Cammina a testa alta.
    Un individuo nato sotto questo segno è sistematico. Segue modelli fissi e ha grande rispetto per le tradizioni. Anzi, tende a fare esattamente ciò che ci si aspetta da lui ed è così prevedibile che può venire ingiustamente criticato per la mancanza d’immaginazione. Ma il diligente Bue sa che soltanto facendo le cose nel giusto ordine può sperare di conseguire un successo durevole.
    La sua mente è limpida. Non lo troverete a procedere a tentoni nella vita sperando che la fortuna lo aiuti. Ciò che le persone nate sotto altri segni possono compiere con l’astuzia e con lo spirito, il nativo del Bue lo realizza con la tenacia e la dedizione. Potete contare sulle sue promesse: quando dà la parola, la mantiene. L’opinione del pubblico non gli interessa molto. Si applica con tutto l’impegno al compito che ha davanti e lo porta a termine. Detesta le cose lasciate incompiute.

    Tigre
    1902 – 1914 – 1926 – 1938 – 1950 – 1962 – 1974 – 1986 – 1998
    In Oriente, la Tigre simboleggia la potenza, la passione e l’ardimento. Ribelle, pittoresca e imprevedibile, impone a tutti reverenza e rispetto. E’ una lottatrice ardente e intrepida, e il suo segno è riverito perché scongiura i tre disastri più gravi che possono minacciare una famiglia: il fuoco, i ladri e gli spettri.
    E’ una fortuna avere accanto un nativo della Tigre, purché siate disposti ad accettare tutta l’attività comportata dalla sua personalità dinamica. l’impulsività e la vivacità della Tigre sono contagiose. Il suo vigore e il suo amore per la vita sono stimolanti. Desterà negli altri sentimenti d’ogni genere, ma non l’indifferenza. Insomma, l’affascinante Tigre ama trovarsi al centro dell’attenzione.
    Irrequieto e avventato per natura, il nativo della Tigre, di solito, smania per il desiderio di entrare in azione. Tuttavia, a causa della sua indole sospettosa, tende a vacillare o a prendere decisioni affrettate. Gli è difficile fidarsi degli altri e frenare le proprie emozioni. Quando è sconvolto, deve assolutamente dire ciò che pensa. Ma come è impulsivo, è anche sincero, affettuoso e generoso. E soprattutto ha un meraviglioso senso dell’humor.
    Ogni nativo della Tigre ha in sé un certo spirito umanitario. Ama i bambini, gli animali e tutto ciò che può attirare la sua immaginazione e la sua attenzione al momento. Quando si lascia coinvolgere, il suo coinvolgimento è totale. Tutto il resto, compreso respirare, verrà al secondo posto, dopo l’oggetto di suo interesse. Quando s’impegna non fa mai le cose a metà. e si può star certi che darà sé stesso al cento per cento o anche di più, se lo ritiene necessario.
    I tipi più sensuali hanno spesso, in gioventù, una passione per la vita bohémienne. Alcuni non la superano mai. Le modelle avventurose che vanno a Parigi in cerca di un’esistenza romantica, i pittori in boccio che espongono i loro quadri agli angoli delle strade, i complessi dilettanti… oltre ad essere ottimista, la Tigre non è materialista e non è ossessionata dall’aspirazione alla sicurezza.
    In fondo, il nativo della Tigre non è un romantico. E’ scherzoso ma appassionato e sentimentale, tutto nello stesso tempo: è un’esperienza indimenticabile amare o sposare uno di loro. Per giunta, tende a diventare possessivo e litigioso quando si ingelosisce.

    Coniglio
    1903 – 1915 – 1927 – 1939 – 1951 – 1963 – 1975 – 1987 – 1999
    Una persona nata nell’anno del Coniglio ha uno dei segni animali più fortunati. Il Coniglio (o la Lepre, come viene chiamato nella mitologia cinese) è l’emblema della longevità, e si dice che la sua assenza derivi dalla Luna.
    Quando un occidentale guarda la luna, può dire scherzando che è fatta di formaggio, o raccontare a un bambino la storia dell’Uomo nella Luna. Quando la guarda un cinese, vede la Lepre della Luna ferma presso una roccia, sotto un albero di cassia, e con l’Elisir dell’Immortalità fra le zampe.
    Durante la festa cinese di mezzo autunno, quando si ritiene che la Luna sia più bella, i bambini cinesi portano ancora in processione lanterne di carta fatte a immagine di un Coniglio e salgono sulle colline per ammirare la Lepre della Luna. Il Coniglio simboleggia la grazia, le buone maniere, il saggio consiglio, la gentilezza e la sensibilità alla bellezza. Conferisce garbo nel parlare, modi eleganti e aggraziati, e tutti i tratti desiderabili in un diplomatico o in un politico. Un individuo nato sotto questo segno avrà una vita tranquilla, godrà di un ambiente pacifico e congeniale. E’ riservato, amante dell’arte, e possiede buone capacità di giudizio. La sua meticolosità, inoltre, farà di lui uno studioso erudito. Brillerà nei campi della giurisprudenza, della politica e del governo.
    Tuttavia, tende agli sbalzi d’umore: in tali momenti appare distaccato dall’ambiente e indifferente alle persone. Il Coniglio è estremamente fortunato negli affari e nelle transazioni finanziarie. Astuto nel concludere gli accordi, sa sempre trovare una proposta o un’alternativa adatta che tornerà a suo vantaggio. Il suo acuto senso degli affari, abbinato alle doti innate di negoziatore, gli assicurerà una rapida ascesa in ogni carriera.
    Sebbene il Coniglio possa assumere un’aria esteriore d’indifferenza nei confronti delle opinioni degli altri, soffre moltissimo delle critiche. La sua tecnica “meglio cambiare che litigare” può trarre in inganno: e quando vuole, sa essere diabolicamente furbo. Quindi, sebbene il nativo del Coniglio sia tenero e premuroso con le persone amate, può essere superficiale e addirittura spietato nei suoi rapporti con gli estranei.

    Drago
    1904 – 1916 – 1928 – 1940 – 1952 – 1964 – 1976 – 1988 – 2000
    Il possente, magnifico Drago del mito e del folklore non finisce mai d’incantare e di scuotere l’immaginazione. Bisogna riconoscere che alcune delle sue qualità magiche, illusorie o no, caratterizzano coloro che sono nati sotto il suo segno. Il nativo del Drago è magnanimo e pieno di vitalità e di forza. Per lui, la vita è uno sfolgorio di colori, ed è in continua attività. Egoista, eccentrico, dogmatico, capriccioso o terribilmente esigente e irragionevole, non manca mai, tuttavia, d’una schiera di ammiratori. Fiero, aristocratico ed estremamente franco, il nativo del Drago si forma i suoi ideali ancora giovanissimo ed esige la stessa perfezione e gli stessi altissimi principii anche dagli altri.
    In Cina, il Drago simboleggia l’Imperatore o il maschio. Rappresenta la potenza: di coloro che sono nati ell’anno del Drago si dice che portano le corna del destino. Un bambino del Drago tende ad assumersi pesi importanti e responsabilità, anche se è il più giovane della famiglia. Spesso, i figli maggiori nati sotto il segno del Drago si occupano di tirar su i fratelli minori con maggiore autorità dei loro genitori.
    Il Drago è una riserva inesauribile d’energia. La sua impetuosità, il suo slancio e il suo zelo quasi religioso possono sfolgorare come il mitico fuoco che il Drago lancia dalla bocca. Ha le capacità potenziali per realizzare grandi cose, ed è una fortuna, perché il Drago ama esibirsi in grande stile. Tuttavia, se non frena i suoi entusiasmi prematuri, può bruciarsi e finire in uno sbuffo di fumo. E’ molto portato a diventare fanatico nelle cose che gli stanno a cuore. Qualunque cosa faccia il Drago, in bene o in male, non manca mai di fare sensazione. E’ certamente un segno prospero e fortunato. Tuttavia, è il segno più portato alla megalomania.
    E’ difficile contrastare il possente Drago, e a volte è quasi impossibile. Tende a intimidire coloro che osano sfidarlo. Un Drago irritato e incollerito potrebbe essere come il lupo cattivo alla vostra porta: soffierà e soffierà fino a quando vi abbatterà la casa.

    Serpente
    1905 – 1917 – 1929 – 1941 – 1953 – 1965 – 1977 – 1989 – 2001
    Filosofo, teologo, mago della politica, astuto finanziere… il nativo del Serpente è il pensatore più profondo e l’enigma più grande del ciclo cinese.
    E’ dotato di saggezza innata ed è un mistico. Garbato e discreto, ama i buoni libri, i cibi raffinati, la musica e il teatro; predilige tutte le cose migliori della vita. Le donne più belle e gli uomini più poderosi nascono di solito sotto questo segno. Perciò, se siete del Serpente, vi troverete in buona compagnia. Un individuo di questo segno in genere si affida al proprio giudizio e non comunica bene con gli altri. Può essere profondamente religioso o psichico oppure, per contro, completamente edonista. In ogni caso, si fida delle sue vibrazioni assai più che dei consigli altrui. E molto spesso… ha ragione!
    Come il Drago, il Serpente è un segno karmico. La sua vita finisce in trionfo o in tragedia, a seconda delle sue azioni passate. E anche se lo negherà, è molto superstizioso dietro la sua facciata scettica. Le persone nate sotto altri segni possono rimandare il pagamento alla prossima vita (se si crede nella reincarnazione), ma il Serpente sembra destinato a pagare prima di andarsene. Forse questa è la sua scelta, perché una persona nata sotto questo segno è straordinariamente intensa e cerca di saldare i conti, consciamente o inconsciamente, in tutto ciò che fa.
    E’ difficile che un nato nell’anno del Serpente sia turbato da problemi economici. Ha la fortuna di disporre di ciò che gli serve. Se i fondi scarseggiano, è in grado di rimediare alla situazione. Tuttavia, un Serpente non dovrebbe giocare d’azzardo: alla fine ci rimetterebbe. Se subisce perdite sensibili, è probabile che la cosa non si ripeta: il Serpente impara in fretta.
    E’ capace di rifarsi con sorprendente rapidità e di regola è cauto e astuto negli affari.

    Cavallo
    1906 – 1918 – 1930 – 1942 – 1954 – 1966 – 1978 – 1990 – 2002
    Chi è nato quest’anno è allegro, benvoluto e sveglio. Ha un forte sex appeal, più che una grande bellezza. E’ terreno e affascinante, percettivo e loquace. La sua indole mutevole può renderlo, a volte, suscettibile, avventato e testardo. L’imprevedibile Cavallo s’innamora facilmente e si disamora con la stessa facilità. Molto spesso, il Cavallo abbandona presto la casa. Se no, il suo spirito indipendente lo induce a cominciare a lavorare o a intraprendere una carriera molto presto. Ha il cuore dell’ avventuriero, ma è famoso per la mente acuta e la capacità di destreggiarsi finanziariamente.
    Sicuro di sé, vivace, energico, impetuoso e magari anche sfacciato, il Cavallo si veste in modo vistoso, ama i colori vivaci e i motivi sgargianti, e talvolta dà veramente nell’occhio. Il Cavallo ama l’attività fisica e mentale. Potete riconoscerlo facilmente dai movimenti rapidi ma eleganti, dai riflessi pronti e dal modo svelto di parlare. Reagisce in fretta e sa prendere decisioni sul momento. La sua mente lavora con straordinaria prontezza, e anche se scarseggia di stabilità e di perseveranza, vi rimedia con la mentalità aperta e flessibile. Fondamentalmente è un non conformista. Il nativo di questo segno è spesso chiamato il playboy (o la playgirl) del ciclo. Gli piace il chiasso e ama trovarsi al centro dell’azione. t divertente, gli piace fare e ricevere complimenti, è abile negli affari come nell’amore. Il Cavallo, svelto e agile, valuta astutamente le situazioni e riesce a manovrare le persone e gli eventi. Dal punto di vista negativo, il Cavallo è impulsivo e ostinato. Ha un temperamento esplosivo, anche se dimentica presto i suoi scoppi di collera. Altri, tuttavia, non li trovano piacevoli, e non si riprendono altrettanto in fretta. Spesso questa caratteristica gli fa perdere rispetto e credibilità. Il nativo del Cavallo tende a metter fretta agli altri, e si irrita quando non agiscono con la sua prontezza e la sua efficienza. Pretende molto, ma è disposto a concedere poco, soprattutto quando è in gioco la sua preziosissima libertà. È. capace d’essere puerile e meschino nel soddisfare i suoi capricci. Spesso è smemorato, distratto, e portato a balzare a conclusioni affrettate. Il nativo del Cavallo vuole che tutto venga fatto a modo suo. Egocentrico per natura, vuole che la sua famiglia e il suo ambiente ruotino intorno a lui.

    Pecora
    E’ il segno più femminile dello zodiaco cinese. Il nativo dell’anno della Pecora è il buon samaritano del ciclo. E’ virtuoso, sincero, e facile a lasciarsi commuovere. Quasi sempre è mite, addirittura timido. Nel migliore dei casi ha spirito artistico e creativo; in quello peggiore, tende a lasciarsi sopraffare dai sentimenti, è pessimista e chiuso. Il nativo della Pecora è famoso per la sua bontà e la sua compassione. Sa perdonare facilmente ed è comprensivo nei confronti dei difetti altrui. Detesta i programmi rigorosi, e non sopporta né l’eccessiva disciplina né le critiche. Ama i bambini e gli animali, è vicino alla natura e affezionatissimo alla famiglia. Tende addirittura a soffocare con le sue premure materne l’oggetto del suo affetto. È. di umore variabile e gli è impossibile lavorare sotto pressione. Anche essere obiettivo gli è molto difficile. L’aspetto esteriore della Pecora, modesto e tranquillo, ben nasconde la stia decisione interiore. Quando è minacciato, il nativo sa reagire con appassionata fermezza, anche se detesta combattere. Se viene trascinato in una discussione, preferisce imbronciarsi, piuttosto che dirvi in faccia ciò che lo sconvolge. I suoi silenzi e i suoi bronci ottengono probabilmente più di quanto otterrebbe una scenata collerica; e così finisce spesso per spuntarla. Da bambino, molto di frequente viene viziato da un genitore o da entrambi. I cinesi credono che la fortuna sorrida alla Pecora perché ha indole pura e buon cuore. Non lesina tempo e denaro per aiutare gli altri. Quando non sapete a chi rivolgervi e non avete denaro, potete star certi che il nativo della Pecora non vi respingerà. Avrà sempre le tre cose più importanti della vita: cibo, riparo e vestiario. Dovunque vada, incontrerà persone che lo aiuteranno. Un nato di questo segno di solito fa un buon matrimonio, ed è amato non soltanto dal coniuge ma anche dai parenti acquisiti. Si dice che un individuo della Pecora nato d’inverno avrà un’esistenza difficile perché in questa stagione l’erba manca e di solito le pecore vengono macellate.

    Scimmia
    1908 – 1920 – 1932 – 1944 – 1956 – 1968 – 1980 – 1992 – 2004
    Tra tutti gli animali del ciclo lunare, la Scimmia è quello che più somiglia all’Uomo, la Scimmia Nuda. Quindi non c’è da sorprendersi se possiede quasi tutta l’intelligenza dell’uomo, oltre alla sua capacità d’ingannare. La Scimmia è il segno dell’inventore, dell’improvvisatore e del motivatore, nello zodiaco cinese: un ciarlatano capace di attrarre tutti a sé con la sua astuzia e il suo fascino inimitabili. È. il genio del ciclo, intelligente, flessibile e innovatore. Il nativo della Scimmia sa risolvere i problemi più complessi con molta disinvoltura e di solito impara in fretta. E’ capace di dominare qualunque situazione e spesso è un linguista eccellente. Un individuo nato durante quest’anno avrà successo in tutto ciò che decide di fare. Nessuna sfida sarà troppo grande per lui. Dal punto di vista negativo, il nativo della Scimmia ha un complesso di superiorità innato. Non ha abbastanza rispetto per gli altri. O meglio, dal suo punto di vista, ne ha troppo per se stesso. Può essere estremamente egoista e vanitoso. Ha anche una tendenza alla gelosia, che affiora ogni volta che qualcuno ottiene una promozione o qualcosa che lui non ha. E’ estremamente competitivo, ma sa nascondere bene i suoi sentimenti e pianificare abilmente mosse astute. Quando si tratta di dar la caccia al denaro, al successo o al potere, la Scimmia è impareggiabile. Con la sua versatilità innata, il nativo della Scimmia può riuscire bene come attore, scrittore, diplomatico, avvocato, sportivo, agente di cambio, insegnante, ecc… È immensamente socievole e riesce a mettere in luce gli aspetti migliori di tutti. Ha il raro dono di rendersi simpatico anche dopo che vi ha imbrogliati. Nella personalità sfaccettata del nativo della Scimmia una qualità non manca mai, la fiducia in sé stesso, anche se può apparire timido e docile. Avrà cura di mostrare un buon comportamento, una scrupolosa cortesia e una calma dignità.

    Gallo
    1909 – 1921 – 1933 – 1945 – 1957 – 1969 – 1981 – 1993 – 2005
    Il Gallo è il don Chisciotte del ciclo cinese. E’ l’eroe intrepido che deve guardare per terra per sopravvivere; è il segno più eccentrico e frainteso di tutti. Esteriormente, è l’immagine dell’aggressività e della fiducia in se stesso, ma in fondo al cuore è conservatore e antiquato. Il nativo del Gallo, soprattutto l’uomo, sarà attraente o addirittura bellissimo. Il principesco volatile è radioso e fiero del suo bel piumaggio, e ha un portamento impeccabile. Non vedrete mai un Gallo svogliato: va in giro con solenne dignità. Anche il membro più timido della famiglia del Gallo avrà una figura linda ed elegante e si farà notare dovunque vada. Vi sono due diversi tipi di Gallo: quelli loquacissimi, e quelli solenni e osservatori, dagli occhi a raggi X. E’ difficile trattare con entrambi. Il Gallo ha molte qualità notevoli da annunciare con il suo canto. E’ acuto, lindo, preciso, organizzato, deciso, retto, sveglio e molto franco. Ma sa anche essere critico fino alla brutalità. Non chiedetegli mai la sua opinione sincera, può darsi che non riusciate mai a riprendervi dal trauma causato dai suoi commenti. Ama discutere e dibattere, per mostrare quanto è informato e intelligente, e qualche volta non ha riguardi per l’amor proprio degli altri. Ma quando qualcun altro arruffa le penne a lui, diventa insopportabile. Non è tagliato per la diplomazia. Le situazioni che richiedono tatto, delicatezza e discrezione gli rovinano lo stile. Lui ha l’abitudine di andare in giro cercando di convertire tutti al suo modo di pensare, con lo zelo di un missionario. Il Gallo, è un tipo vistoso, risplende quando è al centro dell’attenzione. Ha una personalità imponente, e potrebbe intraprendere una carriera che lo porta sotto gli occhi del pubblico. Allegro, spiritoso e divertente, il magnifico Gallo non si lascia mai sfuggire l’occasione di raccontare le sue avventure e di enumerare le sue prodezze. Sa esprimersi benissimo, con l’eloquio e per iscritto. Dovete ammettere che è ben versato e preparato su ogni argomento che discute. Se avete intenzione di sfidarlo su una questione controversa, siate pronti a una lotta dura e prolungata. il Gallo ha una resistenza straordinaria, sa il fatto suo ed è capace di sfinirvi.

    Cane
    1910 – 1922 – 1934 – 1946 – 1958 – 1970 – 1982 – 1994 – 2006
    Può essere il segno più simpatico dell’intero ciclo cinese. Un individuo nato nell’anno del Cane è onesto, intelligente e sincero. Ha un profondo senso di lealtà, passione per la giustizia e l’imparzialità. Un nativo del Cane di solito è vivace e attraente e irradia sex appeal. Generalmente amabile e poco pretenzioso, saprà andare d’accordo con gli altri perché non è troppo esigente. L’egualitario Cane ama andare incontro agli altri, è sempre disposto ad ascoltare la voce della ragione e a fare la sua parte. Se avete un onesto Cane per amico, sappiate che quando siete nei guai non dovete far altro che chiamarlo. Infatti, anche se protesta, rimprovera o si finge indifferente, il nativo del Cane non può ignorare un’invocazione d’aiuto. A volte, protegge gli interessi altrui più dei propri. Se c’è qualcuno che vi tirerà fuori dai guai dieci volte su dieci, deve essere un Cane. Il nativo del Cane a volte rimane attaccato all’oggetto del suo affetto anche se non lo merita. Non vedrete mai un Cane che se ne va di casa solo perché ha scoperto che il suo padrone ha i proverbiali piedi d’argilla. Tiene conto della fragilità umana e resta fedele comunque. E se se ne va, non biasimatelo: deve essere una casa veramente insopportabile, perché il Cane non diserta facilmente. Come la sua amica egualmente umanitaria, la Tigre, raramente il Cane se la prende personalmente con qualcuno. Vi rimbrotterà per un gesto o una colpa specifica senza odiarvi completamente o per sempre. La sua collera è passeggera. Può arrivare all’improvviso e sparire con la stessa rapidità. Ma sarà una collera giustificabile… senza malizia, senza rancore e senza gelosia. Alla fine, dopo le debite riparazioni, il Cane è capace di seppellire l’ascia di guerra. Non tutti i Cani vanno in cerca di zuffe. Sarebbe più giusto dire che il nativo del Cane è un osservatore attento e aperto, che mira a salvare le finalità sociali e a difendere gli interessi di tutti.

    Cinghiale
    1911 – 1923 – 1935 – 1947 – 1959 – 1971 – 1983 – 1995 – 2007
    E’ il segno dell’onestà, della semplicità e della grande forza d’animo. Coraggioso, solido e premuroso, un individuo nato quest’anno s’impegna nel suo compito con tutte le forze e potete star certi che andrà fino in fondo. Esteriormente potrà apparire rozzo e gioviale, ma grattate la superficie e troverete l’oro puro. Il Cinghiale è uno degli individui più naturali che vi possa capitare di conoscere. E’ il tipo per bene per eccellenza, e non vi sferrerà mai un colpo basso. E’ benvoluto e apprezzato perché, come la Pecora e il Coniglio, cerca l’armonia universale. Senza dubbio avrà divergenze e litigi con gli altri, ma non serba rancore, a meno che non gli si lasci scelta. Non ama aggiungere olio sul fuoco in uno scontro, e di solito non rimugina sul passato. Il clemente Cinghiale sarà sempre pronto a fare il primo passo e a stabilire buoni rapporti con gli altri. Se non ci riesce, non sarà certo per cattiva volontà da parte sua. Ha il dono di una grande pazienza. Sa lavorare con costanza su una cosa alla volta e può diventare un insegnante eccellente e scrupoloso. Tuttavia, è altrettanto famoso per la passione con cui va in cerca di piaceri e, quando i suoi tratti negativi sono in risalto, può essere addirittura un depravato. Il leale e premuroso Cinghiale stringerà amicizie durature e benefiche. Ama ogni genere di raduni, adora organizzare feste o parteciparvi, aderire a circoli e associazioni d’ogni genere. Organizzatore tranquillo, odia le discussioni e i litigi, ed è capace di far armonizzare persone dei tipi più diversi. La sua credibilità e la sua sincerità sono le sue doti più preziose. Tuttavia, può essere troppo affabile e condiscendente, a volte, e inoltre si aspetta che gli altri tollerino le sue debolezze. Il Cinghiale non vi abbaglierà come il Drago e non vi stregherà come la Scimmia o la Tigre, non vi ipnotizzerà come il Serpente. Ma vi affezionerete a lui fino a non poterne più fare a meno. Il sollecito Cinghiale è sinonimo di diligenza e di fulgida cavalleria all’antica. E’ pronto ad addossarsi i fardelli altrui; non si ribellerà se dovrà restare sullo sfondo o reggere tutto il peso con la sua forza incredibile.

  • Cinesi: l’opera cinese

    Il nome dell’opera di Pechino in cinese e’ Jing ju. Jing significa Beijing cioe’ Pechino, Ju significa dramma. Ma l’opera di Pechino non puo’ essere solo intesa come opera originaria di Beijing. E dunque che cos’e’ in realta’? Gli abitanti di Pechino che amano la loro opera parlano di andare a “sentire” un’opera piuttosto che di andarla a “vedere”. Al contrario, coloro che non hanno ancora acquisito un po’ di familiarita’ con essa possono trovarsi leggermente in difficolta’ all’inizio. Ma una buona infarinatura generale puo’ facilitare le cose. Naturalmente non si potra’ essere ancora in grado di seguire le parole e le tonalita’ alte in cui l’opera e’ cantata potrebbero risultare, all’inizio, troppo poco familiari per essere pienamente apprezzate. Conoscere l’opera di Pechino e’ un primo passo nell’avventura di capire questo quarto della popolazione mondiale.
    L’opera di Pechino classica e’ interessante perche’ combina insieme numerose forme di espressione artistica che nel teatro occidentale sono separate. Essa e’ canto, danza, spettacolo acrobatico e rappresentazione storica (dialoghi) riuniti e mescolati in un contesto mutevole ed coinvolgente.

    L’opera si svolge come qualcosa fuori dal comune, che va oltre la quotidianita’ e tuttavia rimane intensamente umana. Prevalgono i valori morali piuttosto che quelli materiali: pieta’ filiale, amore per il paese, fedelta’ dei compagni d’armi trovano posto accanto alle storie d’amore comuni a tutti in tutti i tempi. Naturalmente, gli usi e costumi e il modo di pensare sono quelli del periodo in cui le storie raccontate sono state scritte anche se concetti molto moderni si possono trovare nelle pieghe di vecchi racconti che i registi di oggi abilmente hanno portato alla ribalta.

    RECITAZIONE SIMBOLICA DELL’OPERA DI PECHINO
    La differenza principale tra l’opera di Pechino e l’opera occidentale e’ principalmente nella loro rispettiva applicazione di simbolismo e realismo nella recitazione.
    Nell’opera occidentale, sulla scena, possono essere collocati oggetti e ambientazioni come un carro, un’imbarcazione, porte o finestre. Un attore recita riproducendo esattamente quello che fa nella vita reale. Nell’opera di Pechino, invece, l’interpretazione non e’ soggetta a limitazioni di tempo e di spazio. Siccome alcune attivita’ della vita quotidiana non possono verosimilmente essere rappresentate sulla scena, l’opera di Pechino le evoca in maniera simbolica.

    Sulla scena non ci sono carri, imbarcazioni o porte e finestre ma sono movimenti particolari del corpo dell’attore a simboleggiare l’apertura o la chiusura di una porta, il salire su un’imbarcazione.

    Quattro soldati e quattro generali disposti sui due lati della scena rappresentano un esercito di migliaia di soldati mentre otto attori che agitano bandiere verdi verso l’alto e verso il basso simboleggiano un mare in tempesta.

    L’effetto scenografico della recitazione simbolica con i suoi artifizi e la sua esagerazione drammatica e’, in un certo senso, ancora piu’ potente di quella prodotta da ambientazione, sfondi e oggetti.

    Nell’opera di Pechino l’attore deve recitare senza ambientazione e percio’ gli si richiede un’arte interpretativa di elevatissimo livello. Un interprete dell’opera di Pechino deve usare le mani, gli occhi, la bocca, il corpo e il movimento (ritmo) perche’ la sua espressione simbolica trasmetta e faccia capire al pubblico cosa sta avvenendo sulla scena e faccia si’ che la sua immaginazione riesca a percepire la vera atmosfera del pezzo.
    La recitazione simbolica nell’opera di Pechino e’ tridimensionale e altamente qualificata e questa e’ una delle sue caratteristiche peculiari.

    LA MUSICA DELL’OPERA DI PECHINO
    L’opera di Pechino, un genere teatrale orientale, offre forme di espressione artistica uniche dal punto di vista musicale e della recitazione. Forme che sono molto diverse da quelle dell’opera occidentale. La musica vocale e strumentale dell’opera di Pechino puo’ essere sostanzialmente di due tipi due sistemi o melodie: lo xipi e lo erhuang, che aiutano gli attori ad esprimere differenti emozioni e a rappresentare vari caratteri con il canto e la recitazione.
    Sonorita’, vivacita’, vigore ed entusiasmo caratterizzano lo xipi, che dunque e’ piu’ adatto con il suo ritmo prorompente per esprimere passione, ardore, eccitazione e fervore. Lo erhuang e’ caratterizzato invece da fermezza, profondita’, solennita’ e ampiezza ed e’ percio’ piu’ indicato per esprimere audacia, commozione, depressione o malinconia. Lo xipi puo’ qualche volta esprimere anche depressione e malinconia come lo erhuang puo’ a sua volta esprimere eccitazione e ardore. Qualsiasi rappresentazione dell’opera di Pechino e’ sempre accompagnata ininterrottamente dalla musica. Oltre alle due melodie musicali e vocali dello xipi e dello erhuang, c’e’ una notevole varieta’ melodica e ritmica determinata da canto, narrazione, declamazione e danza che sottolineano e accentuano lo stato d’animo e accompagnano lo svolgimento della trama unificando il ritmo di scena.
    Le melodie tradizionali dell’Opera di Pechino, sia che si tratti dello xipi che dello erhuang, sono tutte basate sulla battuta e prevedono diversi modi di percuotere il tamburo come il mansanyan, il kuaisanyan, il yuanban, il daoban, il sanban e lo yaoban. E sono anche caratterizzate da diversi ban e diversi yan. Ma che cosa sono il ban e lo yan? Fondamentalmente sono metri musicali cinesi. Quando un attore di opera canta, il percussionista — che e’ il direttore d’orchestra nell’opera di Pechino, tiene nella mano sinistra una coppia “nacchere” di legno duro e nella mano destra una bacchetta di tamburo. Quando il percussionista batte le due “nacchere”, ogni battuta e’ un ban. Quando percuote il danpi (tamburo piccolo) con la bacchetta, ogni percussione e’ uno yan. Per esempio, il mansanyan e’ composto da una battuta di “nacchere” e tre percussioni uniformi sul tamburo piccolo, dando origine ad un ritmo lento di quattro battute e una pausa.
    Le battute di ban e yan differiscono in base alla variazione ritmica. Inoltre, nello xipi, l’attacco della canzone e’ segnato da una battuta di yan, e la sua conclusione da una battuta di ban. Nello erhuang la parte cantata comincia e finisce con una battuta di ban. Ci sono anche alcune nuove melodie che non rispettano queste regole. La musica dell’opera di Pechino si adegua ai tempi dell’attore; la durata e il ritmo possono essere cambiate al momento e il fatto che sia molto flessibile e adattabile permette l’improvvisazione. Al contrario dell’opera occidentale, in cui il musicista deve comporre uno spartito per ogni opera, qui le variazioni di melodia possono adattarsi a tutte le rappresentazioni.
    Si dice che la musica nell’opera di Pechino permette all’artista la piu’ grande liberta’ di espressione e gli lasci spiegare il suo talento nella sua pienezza.

  • Cinesi: la scrittura cinese

    Il Cinese fa parte del gruppo linguistico Sino-tibetano, assieme alle lingue tibeto-birmane, Mao-Yao, Kam-Thai.

    Parlata da almeno un quarto della popolazione mondiale, questa lingua ha numerose varianti dialettali – circa 750, di cui 8 sono le principali – e nella Repubblica Popolare Cinese è rappresentata ufficialmente dal Cinese Mandarino (Putonghua = lingua comune).

    Evitando di entrare nel merito delle distinzioni tra i diversi dialetti, qui ci preme soprattutto sottolineare che, malgrado le sostanziali differenziazioni di pronuncia nella lingua parlata, tutti i Cinesi condividono un’unica lingua scritta (semplificata nella madrepatria, non semplificata a Hong Kong, Taiwan e presso la diaspora cinese). Ciò ha permesso fin dall’antichità a persone di diverse aree dialettali di trovare un terreno di intesa comune.

    Molto spesso, per ragioni di sintesi o per poco approfondimento, si parla del cinese come di una lingua basata sugli “ideogrammi”. Questa è una definizione alquanto riduttiva che si adatta ad una parte soltanto della scrittura cinese. Volendo tentare una descrizione più precisa bisogna definire i caratteri cinesi come 1) GRAFEMI – per quanto riguarda la loro parte scritta 2) MORFEMI – per il loro significato 3) FONEMI – per la loro pronuncia. Solo prendendo in considerazione tutte queste valenze è possibile valutare appieno la complessità di una scrittura rimasta pressocché immutata nel corso del tempo.

    Classi di Caratteri cinesi
    Nella scrittura cinese vengono tradizionalmente riconosciute 6 categorie fondamentali all’interno delle quali trovano classificazione tutti i tipi di caratteri:

    1) XIANG XING – Rappresentazioni Figurative;
    2) ZHI SHI – Simboli Indicativi;
    3) HUI YI – Ideogrammi Composti;
    4) XING SHENG – Composti Forma/Suono;
    5) ZHUAN ZHU – Prestiti;
    6) JIA JIE – Falsi Sinonimi.

    Queste sei classi rappresentano i princìpi su cui si è basata fin dall’antichità la scrittura cinese, il valore di questa teoria però è spesso messo in discussione dagli studiosi. Questo accade soprattutto perché alcuni caratteri potrebbero tranquillamente essere inseriti in più di una delle categorie identificate.

    1) XIANG XING – Rappresentazioni Figurative
    La classe più antica, comprende quelli che sono meglio noti come pittogrammi. Si tratta di rappresentazioni grafiche della realtà.

    2) ZHI SHI – Simboli Indicativi
    Sono rappresentazioni simboliche di oggetti, non riproducono direttamente una forma ma indicano un concetto.

    3) HUI YI – Ideogrammi Composti
    Sono gli ideogrammi veri e propri. Nascono dall’unione di due o più caratteri semplici che assieme indicano un nuovo concetto.

    4) XING SHENG – Composti Forma/Suono.
    Constano di due elementi costitutivi: uno è un carattere omofono che viene preso a prestito per indicare la pronuncia, l’altro è un radicale che individua il senso generale della parola.

    5) ZHUAN ZHU – Prestiti.
    Solitamente si tratta di prestiti fonetici per cui un carattere viene scritto in modo totalmente identico ad un suo omofono. Alcuni linguisti sostengono che l’esistenza di questa classe sia giustificata dall’estensione del senso primitivo di un dato carattere.

    6) JIA JIE – Falsi Sinonimi.
    Un carattere già esistente viene adottato con un’altra accezione.

  • Cina: la ceramica cinese

    La produzione di manufatti ceramici presuppone stanziamenti umani relativamente stabili, disponibilita’ immediata di materie prime e un’organizzazione del lavoro che, grazie alla creazione del necessario surplus alimentare, consenta di distogliere parte dei membri di una comunita’ da attivita’ esclusivamente mirate al procacciamento di cibo per impiegarla nella produzione artigianale di vasellame d’uso domestico e funerario.

    Queste condizioni si verificarono in Cina presso le diverse culture neolitiche che fiorirono fra l’8000 e il 2000 a.C. ca. nella valle dello Huanghe (Fiume Giallo) e a Nord e a Sud dello Yangzijiang (Fiume Azzurro). La piu’ famosa delle culture neolitiche cinesi, quella di Yangshao, e’ anche la piu’ estesa sia cronologicamente (5000-3000 a.C.), che territorialmente e deve la sua fama al livello raggiunto nella produzione di vasellame.

    Il suo nucleo originario e’ stato individuato nello Shaanxi centrale e Henan Occidentale da dove si e’ poi irradiata interessando le regioni di Shanxi, Hebei, Gansu, Qinghai, Mongolia Interna Meridionale ed Hubei Occidentale, assumendo localmente diverse caratteristiche, per cui oggi e’ invalso l’uso di denominare le sue numerose manifestazioni e fasi con i nomi dei siti principali; ad esempio la cultura Yangshao del Gansu e’ meglio nota come Majayao e ha prodotto una ceramica dipinta in nero con decorazioni a volute.

    La ceramica Yangshao consiste generalmente in una terraglia grigia o rosso chiaro, lavorata a mano, con pareti spesse e non sempre regolari, cotta a 900° C. ca. in forni a camera ricavati nel terreno, il colore rosso e’ dovuto al ferro contenuto nell’argilla che in combinazione con l’ossigeno a temperature piuttosto alte (fino a 1020°) produce ossido di ferro. Le tipologie formali prevalenti comprendono: vasi globulari, scodelle, tripodi ding, bacini pen, ciotole bo, bottiglie hu o ping, giare guan. Gli apparati decorativi, zoomorfi e geometrici, in nero, rosso e marrone, registrano alcune delle piu’ antiche rappresentazioni della figura umana in Cina.
    Tra i principali siti si segnalano: Banpo (Shaanxi vicino a Xi’an), Beishouling (Shaanxi), Machang (Qinghai), Majayao (Gansu), Miaodigou (Henan).

    Intorno d 3000 a.C. si sviluppa nelle regioni del Liaodong e dello Shangdong, Cina nord-orientale, la cultura tardo neolitica di Longshan (3000-1700 a.C.) caratterizzata da una ceramica, prevalentemente utilizzata per fini rituali, nera, lucida, generalmente priva di decorazioni, la cui finezza si deve all’uso del tornio e al miglioramento dei forni, piu’ piccoli, cosi’ da controllare meglio l’immissione del calore. Il colore nero e’ ottenuto cuocendo in atmosfera riducente e introducendo a fine cottura paglia bagnata che sprigiona un denso fumo, abbassando rapidamente la temperatura e affumicando la pasta. Le tipologie formali piu’ diffuse sono: contenitore per liquidi lei con manici e coperchio e scatola cilindrica con coperchio he.
    La grande abilita’ dei maestri artigiani cinesi, soprattutto nelle cosiddette “arti del fuoco” (bronzo, ceramica, ecc.), dove il controllo della temperatura e’ di fondamentale importanza per la riuscita dei manufatti, ha fatto si’ che la ceramica neolitica fosse solo la prima fase di uno sviluppo ininterrotto che attraverso il perfezionamento delle tecnologie, soprattutto dei forni, portera’ alla “scoperta” della porcellana ci, un prodotto, quest’ultimo, che si distingue da qualsiasi altro impasto ceramico sia per le temperature di cottura, fra il 1280 e i 1400 0C, sia per le caratteristiche di durezza, compattezza, impermeabilita’, traslucenza e biancore.

    Il piu’ antico esempio di proto-porcellana rinvenuto in Cina risale all’epoca della dinastia Shang (XVI-XI sec. a.C.) e consiste in un frammento di vaso con tracce di invetriatura verde chiaro. In questo periodo nei forni a due camere gia’ si poteva raggi ungere la temperatura di 1200° C. e si verificava la formazione di una “coperta” di tipo alcalino, ovvero di quel rivestimento vetrificato che caratterizzera’ la porcellana propriamente detta.
    In epoca Han (Han Occidentali 206 a.C.-24 d.C./ Han Orientali 25-220 d.C.) si producono ceramiche con invetriatura a base di piombo, cotte a bassa temperatura, le cui colorazioni variano dal bruno ambrato, per la presenza di ferro nell’argilla, al verde per la presenza di ossido di rame. La tecnica dell’invetriatura al piombo era gia’ nota nel Mediterraneo e non e’ improbabile che sia giunta in Cina attraverso l’Asia Centrale.

    La maggior parte della produzione e’ rappresentata dai mingqi, “oggetti di sostituzione” che costituivano il corredo funebre, per lo piu’ raffiguranti figure umane – servitori, musicisti, ancelle, soldati – e modellini di architetture del tempo ad esempio torri di guardia, granai, porcili.

    Questi manufatti erano cotti a bassa temperatura, 700-800°C., ricoperti con un ingobbio (rivestimento di pigmenti colorati in genere argillosi) o con invetriatura al piombo, poi dipinti con pigmenti naturali. Ulteriori progressi si registrano fra il III e il VI secolo d.C. quando, ad esempio, viene introdotto l’uso di perni sui quali disporre il vasellame durante la cottura per evitare che l’invetriatura, colando, aderisca al piano di appoggio. In una fase successiva verranno utilizzati recipienti in argilla refrattaria per contenere il vasellame al riparo da sbalzi eccessivi di temperatura e dalle scorie che si possono formare nella camera di cottura.

    Nel Distretto di Yue (Zhejiang) si sviluppa in questo periodo la produzione di un vasellame in ceramica dura e sonora ricoperto con un’invetriatura feldspatica olivastra, bruno giallastra o verde-azzurra che puo’ considerarsi l’antenato del celadon che avra’ il suo periodo di maggior splendore con i Song.

    Nel corso della dinastia Tang (618-907) la produzione ceramica piu’ caratteristica e’ quella, di uso prevalentemente funerario, nota come “San Cai” (Tre Colori) per la prevalenza di tre colori, verde, marrone, bianco o blu.

    La vetrina essendo molto fluida cola e si mescola dando luogo ai caratteristici effetti cromatici. Questo vasellame, databile fra il VII e la prima meta’ dell’VIII secolo d.C., viene sottoposto a due cotture: la prima a 1000-1100°C. per il biscotto, la seconda a 900° per l’invetriatura in atmosfera ossidante.

    Contemporaneamente alla ceramica sancai, tra l’VIII e il IX secolo, si sviluppa la ceramica bianca con il graduale passaggio da gres a gres porcellanoso a porcellana, grazie al miglioramento dei forni, a camera unica o ascendenti, dotati di prese d’aria, nei quali si raggiungono temperature sempre piu’ elevate.
    La dinastia Song (Song Settentrionali 960-1127/ Song Meridionali 1127-1279) vede il sorgere di molteplici centri di produzione ceramica fra i quali si segnalano quello di Jingdezhen (Jiangxi), la cui attivita’ sembra abbia avuto inizio gia’ in epoca Han per arrivare fin quasi ai nostri giorni, e quello di Longquan (Zhejiang) che all’epoca dei Song meridionali produce il celebre celadon cotto ad alta temperatura in atmosfera riducente con invetriatura verde oliva, verde azzurro, molto amata dai cinesi perche’ evocativa del colore della giada. Sempre nella Cina meridionale continua la produzione di porcellana bianca, qingbai, leggermente bluastra, con motivi floreali e zoomorfi che sembra essere all’origine del “bianco e blu” di epoca Yuan.
    Con la dinastia mongola degli Yuan (1279-1368) il complesso di Jingdezhen comincia ad assumere carattere industriale e si specializza nella produzione in serie della famosa porcellana “Bianca e Blu” per la quale si utilizza cobalto puro importato soprattutto dalla Persia e percio’ detto anche “blu maomettano”. La porcellana “bianca e blu” si sviluppera’ soprattutto nel corso della dinastia Ming (1368-1644), inizialmente con la produzione di grandi piatti lobati decorati con motivi floreali e iscrizioni tratte dal corano in caratteri cufici destinati ai paesi is lamici, poi con vasi a collo stretto meiping, piatti, brocche con un blu profondo e luminoso che raggiunge i piu’ alti livelli qualitativi all’epoca dell’imperatore Xuande (1426-1435), per decadere durante il regno dell’imperatore Wanli (1573-1620) quando si diffonde l’uso di marchi apocrifi di epoca Xuande o Chenghua al fine di valorizzare il vasellame.

    Dal XVI secolo in poi comincia a Dehua nel Fujian la produzione di porcellana bianca nota in Europa come Blanc de Chine e utilizzata principalmente per la realizzazione di statuine buddhiste e incensieri. Altre porcellane monocrome vedono l’utilizzo di in vetriature rosse, turchesi, verdi, gialle, blu che verranno perfezionate nel corso della dinastia Qing (1644-1911).
    In epoca Chenghua (1465-1487) appaiono le porcellane policrome doucai (piu’ colori) che combinano blu cobalto sottocoperta e smalti policromi sopra coperta con i contorni principali delle raffigurazioni dipinti in blu direttamente sul corpo del vaso che viene successivamente invetriato e cotto ad alte temperature. Nella decorazione wucai, (cinque colori), tipica dell’era Wanli (1573-1620) la tavolozza cromatica comprende giallo, blu, marrone, turchese e verde, a volte combinati con il blu sottocoperta. Le forme vascolari di questo periodo si ispirano principalmente ai bronzi arcaici e il motivo iconografico predominante e’ il drago long.

    Il fenomeno della porcellana da esportazione si lega all’arrivo degli occidentali in Cina a cominciare dai portoghesi che, giunti a Guangzhou (Canton) nel 1514, deterranno per tutto il XVI secolo il monopolio delle relazioni commerciali con “l’Impero di Mezzo”.

    Agli inizi del XVII secolo verra’ fondata la Compagnia delle Indie Orientali e gli olandesi diverranno i principali esportatori in Europa di porcellana cinese nota come Kraak dalla deformazione in olandese del nome della nave portoghese “carraca” che nel 1604 cadde in mano agli olandesi con il suo carico di oltre centomila pezzi di porcellana “Bianca e Blu”.

    Con l’imperatore Kangxi (1662-1722) della dinastia Qing (1644-1911), la manifattura di Jingdezhen conosce un periodo di grande splendore e le porcellane prodotte in questo periodo si riconoscono soprattutto per l’uso di marchi apocrifi o costituiti da un d oppio cerchio blu e diversi simboli, essendo proibito l’utilizzo del nianhao, ovvero del marchio con il nome dell’imperatore.

    Fra le porcellane monocrome si segnalano soprattutto le famose Langyao dell’imperatore Kangxi, note in occidente come Sangue di Bue per la particolare tonalita’ di rosso ottenuta con l’uso di rame nella vetrina.

    Sulla spinta delle richieste sempre crescenti provenienti dai mercati europei la produzione di porcellane a smalti policromi sopra coperta si sviluppa ulteriormente e, gia’ a partire dal XVII secolo, le porcellane suddivise in famiglie, Famiglia Verde, Famiglia Gialla, Famiglia Rosa, Famiglia Nera, in base ai colori predominanti nella decorazione, secondo una classificazione operata da Jacquemart nel suo “Histoire Artistique Industrielle et Commercielle de la Porcellaine”, Paris, 1862, invadono l’Europa pervasa dal gusto per le chinoiseries.

    Una curiosita’ e’ rappresentata dalla porcellana della Famiglia Rosa che puo’ considerarsi forse l’unico contributo dato dall’Occidente alla Cina in questo campo. Lo smalto rosa chiamato Porpora di Cassio, dal nome dell’olandese Andreas Cassius di Leida che lo scopri’ nel 1671, e’ un colore derivato dal cloruro d’oro, reso opaco con l’aggiunta di ossido di stagno, e chiamato dai cinesi fencai, ovvero colore pallido o yangcai, colore straniero. Utilizzato soprattutto per decorare i servizi da tavola destinati alle casate regnanti europee e i vasi per le mensole dei camini, e’ stato probabilmente introdotto in Cina intorno al 1720 dal gesuita italiano Giuseppe Castiglione.
    La storia della ceramica e della porcellana in Cina si puo’ quindi sintetizzare in un lungo processo evolutivo durante il quale l’abilita’ dei maestri ceramisti ha saputo volgere a proprio vantaggio anche i piccoli “incidenti di percorso” intercorsi nelle fasi di lavorazione e cottura per produrre le straordinarie vetrine, monocrome e policrome, e alcuni effetti particolari come le cavillature che, spesso, avvolgono, come in una rete sottile e impalpabile di screpolature, i corpi dei manufatti che si offro no al godimento estetico dei fruitori per la perfetta armonia fra forma, invetriatura e apparati decorativi.

    Tratto da: www.italiacina.org

  • Cinesi: la pittura cinese

    In Cina, sin dal suo nascere, si è sottolineato l’aspetto didattico della pittura, vista come strumento capace di educare e sviluppare quei valori che regolano i rapporti umani. Nulla quanto la pittura riflette la storia dell’anima cinese, perché il pittore in Cina non era solo un artista di professione ma un filosofo, un saggio. Per questo i Cinesi consideravano la pittura “la perfezione del sapere”, l’espressione del livello culturale e dell’integrità morale di un pittore. Per Shi Tao (1642-1718) “la pittura obbedisce all’inchiostro, l’inchiostro al pennello, il pennello alla mano, la mano al cuore del pittore”.

    Le 4 principali tematiche della pittura tradizionale sono: paesaggi, ritratti, uccelli e animali, fiori e piante. La pittura cinese predilige la natura, raramente rappresenta l’uomo e spesso assume un significato simbolico, così, il fiore di susino esprime la primavera, il crisantemo l’autunno, il bambù significa amicizia perenne e longevità, richiama il carattere del saggio (verde in tutte le stagioni e non si spezza sotto gli uragani); orchidea, bambù, susino e crisantemo rappresentano il qi (energia vitale) delle quattro stagioni e delle quattro età dell’uomo e sono considerati i “quattro nobili”.

    Solamente evidenziando l’essenza di un oggetto si riesce – secondo i pittori cinesi – a rappresentare il bello, perché l’arte è interpretazione della realtà esistente e non una semplice riproduzione.

    Caratteristica è in Cina la stretta connessione tra calligrafia e pittura. Infatti il carattere che è nato come il disegno di una cosa reale, pur nella trasformazione subita attraverso numerosi passaggi e nella sua stilizzazione attuale che lo rende più semplice, rimane sempre un’immagine di una realtà più che un segno convenzionale. Nessuno inoltre può diventare grande pittore se non è pure buon calligrafo. Tutti quelli che riescono nella calligrafia riescono anche nella pittura perché sono padroni nel pennello: la pennellata è il veicolo immediato dell’impulso creativo.

    La pittura cinese, nelle sue prime manifestazioni, si esprime non tanto in forma autonoma, quanto ponendosi a servizio delle arti minori: nel verniciare utensili e oggetti decorativi di vario genere (vasi, statuette in ceramica o in terracotta, specchi e perfino strumenti musicali) o più spesso sculture connesse alla funzione funeraria.

    PERIODI STORICI

    Epoca arcaica
    Possiamo considerare “La dama con drago e fenice”, scoperto a Changsha, nella provincia dello Hunan, come il più antico dipinto su seta conosciuto. Risale al tempo della Dinastia Zhou (1122-221 a.C.), durante il periodo Zhangguo (Periodo degli Stati Combattenti: 476-221 a.C.). L’esecuzione raffinata, il profilo marcato della dama indicano un’arte già matura e probabilmente abbastanza diffusa.

    Dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.)
    Nessun dipinto appartenente a questo periodo si è salvato, o è venuto alla luce fino ad ora. I temi preferiti erano: i ritratti di personaggi illustri come l’imperatore, le sue donne, i generali, i funzionari civili, le scene di vita a corte. Questo perché la pittura aveva lo scopo di esaltare le virtù o le imprese di persone celebri.

    Dinastie del Sud e del Nord (386-581)
    In questi due secoli, la pittura cinese passa attraverso la fase più importante della sua evoluzione storica: vengono formulati e scritti in opere classiche la maggior parte dei canoni della pittura. Di questo periodo non esistono dipinti originali, ma abbiamo molte copie, riprodotte con fedeltà assoluta da artisti dell’epoca Tang, come imponevano i canoni della pittura ufficiale. Tra questi possiamo ricordare: “Gli ammonimenti dell’istitutrice alle dame di Palazzo” e “La dama del fiume Lo”. Le due opere sono di Gu Kaizhi (321-379), conosciuto dai critici d’arte come il “pittore dello spirito”, mentre Lu Danwei (440-500) era conosciuto come il “pittore dell’osso” e Zhang Sengyou (504-551) come il “pittore della carne”. Tre grandi maestri come tre modi diversi di riprodurre la realtà. Il primo sapeva far emergere il carattere, le qualità, l’intimo del soggetto riprodotto; il secondo metteva in evidenza le linee, con tratti decisi e robusti; il terzo valorizzava la bellezza fisica, esaltandone la sensualità delle forme.

    Dinastia Sui (589-618)
    Il Buddhismo in questo periodo ha una grande influenza sui pittori. È nei suoi templi che la pittura murale raggiunge lo splendore. È nei ritratti di Buddha e dei monaci che si esprimono i migliori pennelli del tempo, con ricchezza di mezzi e libertà di forme.

    Tra i nomi celebri: Zhan Ziqian (580-620), abile nella pittura murale, nei paesaggi e nel dipingere cavalli; Cao Zongda, noto per i ritratti dal “drappeggio bagnato” tanto l’abito aderiva alle forme del corpo; i Wei Chi, padre e figlio, quest’ultimo famoso per la sua “pennellata robusta e tesa come la corda dell’arco”, è ricordato per i fiori. Sue sono anche “Le danzatrici” del rotolo Berenson.

    Dinastia Tang (618-907)
    Ventidue sovrani, nell’arco di quasi 300 anni, hanno dato alla Cina uno dei momenti culturalmente e artisticamente più fecondi, raggiungendo il periodo più felice con l’imperatore Xuan Zong (713-756). Basterebbe citare Wu Daozi detto il Grande, per la rivoluzione portata nel campo pittorico. Le sue figure umane sono ancora oggi un modello imitatissimo ma mai raggiunto. Purtroppo le sue pitture murali di Chang’an (Xi’an), famose per il tratto d’inchiostro deciso, sono andate distrutte. Ci rimangono copie antiche da cui è possibile ricavare la novità dei soggetti trattati e delle forme estetiche. Di importanza, in questo periodo, è la ritrattistica ufficiale, autentico documento della società del tempo, degli splendori e delle miserie, della cultura e della vacuità dei personaggi. Forse il più celebre maestro dell’epoca è Yan Liben, noto per i “Ritratti dei tredici imperatori”, dallo stile celebrativo.

    Altri nomi famosi sono Han Gan (720-783), il maestro dei cavalli, e Bian Luan (attivo dal 786 all’802), il più celebre pittore di fiori, uccelli e animali.

    Mentre i pittori di fiori e animali sono al culmine della fama e della perfezione tecnica, nasce, quasi per contrasto, la “Scuola del Nord”, che si esprime nel paesaggio. Li Suxun (651-716) e suo figlio Li Zhaodao (670-730) sono gli artisti che eccellono in questa pittura oscillante tra il realismo e l’immaginario con predominio di oro, blu e verde.

    Periodo delle Cinque Dinastie (907-960)
    Può sembrare strano ma, in Cina, i momenti migliori della pittura si sono attuati nei momenti politici peggiori. Nei periodi di divisione i pittori, isolati nelle zone più sicure, lontano dalle guerre e dalle risse, hanno saputo creare i capolavori che formano le pietre miliari della storia della pittura. Questo è avvenuto nel Periodo dei Regni Combattenti, al tempo delle Sei Dinastie e si rinnova in quello delle Cinque Dinastie (che per la precisione sono state ben quindici). In questo mezzo secolo, tra la fine dei Tang e l’inizio dei Song, la pittura entra nel suo periodo aureo e conosce alcuni tra i più grandi artisti di ogni tempo. A Chengdu, (capoluogo dell’attuale provincia del Sichuan), tra i 58 pittori che vi lavorano troviamo Guan Xiu e Shi Ke, maestri nella figura e nell’acquerello monocromo. A Nanjing, nella provincia del Jiangsu, Dong Yuan e Ju Ran perfezionano la tecnica del paesaggio. A Kaifeng (nell’attuale provincia dello Henan), troviamo altri paesaggisti tra cui Li Cheng, considerato il sommo in quest’arte, Jing Hao e Guan Tong, monaci pittori che con i loro paesaggi, a volte bizzarri, sono entrati nella leggenda.

    Dinastia Song (960-1127) e l’Accademia Hanlin
    L’imperatore Hui Zong (1082-1126), filosofo, archeologo, critico d’arte, pittore, raccoglie intorno a sé i migliori artisti del tempo rifondando l’Accademia Hanlin iniziata dai Tang. L’Accademia è anche conosciuta come “La foresta dei pennelli”. L’imperatore trascorre parte del suo tempo tra gli artisti, ammirando, suggerendo, criticando i lavori e premia i vincitori dei concorsi con la “cintura d’oro”, il massimo riconoscimento a cui un pittore può aspirare. Di Hui Zong ricordiamo il “Pappagallo a cinque colori” e il “Fringuello in mezzo al bambù”.

    Li Longmian (1049-1100), con il suo dipinto “I poeti del Lago dell’Ovest” dà inizio a un tipo di pittura senza costrizioni, frutto di libera scelta sia nei soggetti come nello stile, nota con il nome di “Wenren hua” (pittura dei letterati). Questi mirano a fondere l’esigenza dello spirito con una tecnica raffinata e nello stesso tempo priva di fronzoli. Mi Fei (1051-1107), Su Shi (1036-1101) e Weng Tong (morto nel 1079), il primo con i paesaggi, gli altri due con i bambù, hanno prodotto alcune delle opere più belle di tutta la pittura cinese.

    Con il ritiro della corte imperiale da Kaifeng a Hangzhou si ha una ripresa dell’attività dell’Accademia di Pittura che risente fortemente del clima dolce, della bellezza naturale di questa stupenda città, adagiata nel verde e illuminata dal luccicare delle acque del Lago dell’Ovest (Xihu). Appare in questo periodo Li Tang (1050-1130), ultimo grande paesaggista della dinastia Song del Nord, e inventore del metodo della “diagonale”. Con ciò si perfeziona nella descrizione solo la parte inferiore del dipinto, lasciando il resto solo accennato. Suo è anche l’uso dei tratti “a colpi d’ascia” (fu pi cun).

    Dinastia Yuan (1279-1368)
    È un’epoca in cui regna l’imitazione, tecnicamente perfetta ma priva di quell’alito creativo, personale, che rende viva la pittura. Si afferma la figura dell’artista completo: poeta. Calligrafo e pittore. I massimi pittori sono: Gao, Kegong e Wuzhen.

    Dinastie Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911)
    Durante i Ming vengono favoriti i pittori tradizionalisti, fedeli seguaci dei canoni dell’Accademia Hanlin.

    Hangzhou e Suzhou, due “paradisi in terra” per le bellezze naturali di cui dispongono, diventano il centro culturale del paese. Qui si producono opere che si ispirano al passato e che diventano modelli obbligati per il futuro. Qin Yin è forse il pittore più importante della dinastia Ming.

    Il declino del genio creativo diventa ancora più evidente sotto i Qing. Non basta il contatto con la pittura occidentale, ricordiamo il Castiglione (1688-1768) noto ai cinesi come Lang Shening, per dare nuove spinte o nuove idee. Tutto rimane ancorato disperatamente al passato come se la pittura avesse già toccato il massimo della perfezione oltre il quale non è possibile andare. Per questo, per affermarsi occorre cercare di raggiungere la perfezione dei maestri. C’è la tecnica, manca lo spirito. Si sa usare il pennello ma non si riesce a rendere la vita delle cose dipinte. Un falso amore per l’arte spinge a riprodurre all’infinito le opere del passato con la massima precisione, senza molta originalità.

    Dall’avvento della Repubblica a oggi (1949-…)
    Dopo un inizio in cui prevale l’estetica marxista, si ricordino i “discorsi sull’arte” che Mao Zedong tenne a Yan’an nel 1942, con produzione di opere in cui prevale lo stile e la tecnica della pittura sovietica (masse, temi sociali), si ritorna al mondo tipico cinese: ad es. la pittura del contadini di Huxian (Shaanxi), di Pixian (Jiangsu), di Xinhui (Guangdong), i disegni degli operai di Yangquan (Shanxi), le sculture d’argilla di Huangpi (Hubei).

    Oggi la pittura sembra ritrovare una vena rigogliosa, fatta di tecniche raffinate, di idee nuove, di scoperte classiche. Il clima di libertà d’espressione ha fatto fiorire nuovamente quest’arte nella pluralità dei soggetti, nella differenza degli stili, nella ricchezza individuale degli artisti.

    Tra i maggiori pittori della Cina contemporanea vanno ricordati Qi Baishi, Xu Beihong, Pan Tianshou, Huang Binhong, Yan Meihua e Tian Shiguang.

    MATERIALI e TECNICHE

    La pittura cinese assegna un ruolo importante al pennello che serve per tracciare la forma. Prove dell’uso del pennello nella pittura cinese esistono già al tempo della Dinastia Zhou (1122-770 a.C.). L’asta a cui sono fissati i peli o le setole, modellati a forma di goccia, è quasi sempre a forma di bambù.

    Solitamente il pennello viene tenuto in posizione perpendicolare al foglio e i tratti vengono applicati con il movimento della spalla e del gomito. Dipingere muovendo il polso o le dita è considerato un errore.

    Quelle stupende tavolette nere, riccamente decorate con coloratissimi soggetti, arabeschi d’oro o brani di calligrafia cinese, sono l’inchiostro. Se il pennello è lo strumento, l’inchiostro è il mezzo che permette di visualizzare le idee artistiche. L’inchiostro cinese è formato da fuliggine o nerofumo impastato con colla e aromatizzato con canfora o muschio. Una volta essiccato viene venduto sotto forma di tavolette o di bastoncini.

    Tra gli ingredienti usati troviamo polvere di giada, di perle, di lacca grezza mescolati alla fuliggine di un pino particolare. Oggi si produce anche il tipo “oil-smoke” ricavato bruciando olio di semi del “Tung” (un albero cinese misto a resina di lacca. Il suo nero, quando non è diluito, è superiore a quello dell’inchiostro tradizionale. Per questo è preferito dai pittori contemporanei. Esistono anche tavolette d’inchiostro di diversi colori.

    La pietra per l’inchiostro è una pietra particolare che viene accuratamente scelta, lavorata, scolpita. Pur nelle forme più varie, squadrate o arrotondate, è sempre formata da una duplice vaschetta che raccoglie nella parte più profonda l’acqua e nella parte più spaziosa la polvere ottenuta sfregando la tavoletta d’inchiostro sulla pietra. Il costo di queste pietre varia da poche migliaia di lire a diversi milioni ed esiste una precisa classificazione di essa a seconda delle venature, delle sfumature di colore che vanno dal grigio-piombo al nero, determinandone il valore commerciale. La tavoletta d’inchiostro sfregata su queste pietre lascia una polvere così fine che diluita nell’acqua non lascia traccia.

    Il primo materiale impiegato nella pittura, ad eccezione di quello usato per decorazione nelle arti minori come vasellame, suppellettili, mobili, è stato certamente la seta. La parte più importante è la trama che deve essere finissima a tal punto che si fatica a distinguerla dalla carta. Trattata con appretto, amido, gesso e talvolta bollita in acqua e glucosio diventa lucida, brillante, accogliendo l’inchiostro o i colori senza lasciarli spandere, valorizzando al meglio le qualità cromatiche.

    Mille anni prima che venisse introdotta in Europa, nel 123 a.C. da Cai Lun, sotto la dinastia Han, venne inventata la carta. Ben presto il nuovo prodotto sostituì la seta come supporto nella pittura sia per il basso costo che per la grande varietà di tipi in cui poteva essere fabbricato. Ma un altro particolare rese la carta sempre più popolare nell’ambito dei pittori: l’idoneità della sua superficie ad accogliere l’inchiostro e i colori.

    Alla carta viene aggiunto uno strato di appretto, della colla per renderla consistente e meno intaccabile dall’umidità. La maggior parte dei dipinti viene fatta oggi su carta.

    L’elemento essenziale della pittura cinese rimane il tratto del pennello che con tocchi rapidi, precisi, distribuisce l’inchiostro e il colore sul supporto. Anche nella pittura contemporanea, come in quella classica, i generi pittorici più trattati si possono ridurre a quattro:

    – Shan shui (monti e acque), paesaggi;
    – Ren wu (personaggi), figure umane in genere;
    – Hua niao (fiori e uccelli), soggetti che riguardano la natura viva: fiori, frutta, alberi, uccelli, insetti e animali di piccola mole;
    – Ling mao (uccelli e animali).

    Il formato più diffuso è certamente il rotolo. Ne esistono due tipi:
    – Li Zhou o rotolo verticale che si appende alla parete;
    – Shou juan o rotolo orizzontale che si srotola da destra a sinistra.

    Ogni rotolo è formato dal dipinto applicato su un supporto, robusto ma anche pieghevole, da una cornice solitamente in seta damascata che viene accuratamente scelta nel tono che più si adatta al dipinto e da due cilindri di legno laccato, fissati ai due lati più stretti di questo rettangolo. Oltre a tenere con il loro peso la tela tesa, i cilindri servono anche per arrotolare il dipinto prima di riporlo.

    Diamo un esempio di montatura di un rotolo verticale di un dipinto su carta:

    a) zhou gan: cilindro di legno per rotolare il dipinto;
    b) tian: cielo, parte superiore;
    c) su xiang: bordo che circonda per primo il dipinto di colore differente da quello del tian e del di;
    d) yang ju: protezione del dipinto, in genere broccato di seta;
    e) hua: dipinto;
    f) di: terra, parte inferiore

    Una delle cose che meravigliano l’occidentale è la presenza di numerosi sigilli, quei timbri in inchiostro rosso-lacca con ideogrammi, che si trovano nei dipinti cinesi classici o contemporanei. Prima del XII secolo, il sigillo come firma dell’opera non esisteva. La mania, o moda, iniziò con Hui Zong, ultimo imperatore della dinastia Song del Nord (960-1127) che pose la sua firma abbreviata, accompagnata dal suo sigillo su un suo quadro. Non molto tempo dopo gli artisti cominciarono ad apporre il loro sigillo sui dipinti, per attestare la loro autenticità e anche per dare un tocco di civetteria con il rosso-lacca del timbro. In seguito, il sigillo venne anche usato dai proprietari del dipinto, per indicare non solo la proprietà ma anche il loro apprezzamento sull’opera. Una specie di giudizio critico. Il colmo è stato toccato dall’imperatore Qianlong (1736-1796) che ha messo il suo sigillo su tutti i dipinti antichi in suo possesso.

    Oggi i sigilli posti sul dipinto sono solitamente pochi: uno con il nome vero del pittore accompagnato da un altro sigillo con il nome d’arte. A volte questo nome d’arte è una frase tratta da un classico della letteratura. Lo stile del sigillo è importante perché denota la cultura, il carattere, la personalità dell’autore. Molti di questi sigilli sono incisi dagli stessi autori.

    Un’altra caratteristica della pittura cinese è la presenza sul dipinto di un brano calligrafico. Questo uso data dalle dinastie Yuan e Ming. Da allora, molti pittori che erano anche letterati presero il vezzo di scrivere brani calligrafici sui loro dipinti. L’ideale perseguito da questi artisti era: “poetare dipingendo e dipingere poetando”. Gli scritti sui dipinti sono poesie, brani dell’artista, brani tratti da classici o semplici riflessioni dell’artista. Una cosa è certa, il dipinto e il brano calligrafico non sono due realtà separate o sovrapposte, ma fanno parte di un’opera unica, si completano a vicenda. L’uno rende più comprensibile l’altro. Spesso il brano calligrafico è l’anima del dipinto, dà la chiave di lettura dell’opera artistica, rivelando i sentimenti, le sensazioni, le idee dell’autore.