Vita e opere
Goffredo Leibniz nacque a Lipsia nel 1646, da un professore di quella Università.
Fu in gran parte un autodidatta: studiò nella ricchissima biblioteca paterna, rivelando tendenza in tutti i campi dello scibile (lettere, filosofia, scienze).
Nel 1672 incominciò a viaggiare: fu in Francia, dove entrò in contatto con quei circoli cartesiani; in Inghilterra e in Olanda, dove lesse l’Etica ancor manoscritta di Spinoza.
Nel 1676, ritornato in Germania, fu dal Duca di Brunswick nominato bibliotecario ad Hannover, e incaricato di scrivee la storia della propria casa.
Riprese perciò a viaggiare, al fine di raccogliere il materiale necessario, e fu per parecchi anni in Germania e in Italia.
Nel 1690, ritornato nuovamente in Germania, si dedicò completamente alla sua attività di pensatore e di scienziato; e da quell’epoca fino alla morte non cessò di produrre in modo prodigioso.
Morì ad Hannover nel 1716.
Leibniz fu di un’attività multiforme: scoprì, contemporaneamente a Newton, il calcolo infinitesimale; concepì il disegno di una lingua filosofica universale; fondò l’Accademia delle scienze di Berlino, e contribuì alla fondazione di quelle di Vienna, di Dresda, di Pietroburgo.
Opere
Nuovi saggi sull’intelletto umano (1704), composti per confutare i saggi di Locke; Teodicea (1710), composta per confutare Bayle un protestante e scettico, nemico dei dogmi e della teologia, sostenitore della tolleranza religiosa. Questa si può considerare la sua opera maggiore.
Monadologia (1714), composta dietro l’invito del principe Eugenio di Savoia, che aveva chiesto a Leibniz una sintesi delle sue teorie.
Pensiero
Leibniz tenta di conciliare i due indirizzi fondamentali della filosofia moderna, il razionalismo con l’empirismo, mediante la sua teoria della monade.
La monade
1. LA MONADE COME REALTA’ INESTESA E ATTIVITA’
La realtà, secondo Leibniz, non è formata da due sostanze, come voleva Cartesio; e neppure di una sostanza sola, come voleva Spinoza; ma da infinite sostanze di natura spirituale, cui egli da brunianamente il nome di monadi (dal greco monas, unità).
Infatti, sempre secondo Leibniz, la materia come estensione (res extensa) non esiste: se noi consideriamo un corpo materiale, e procediamo su di esso per divisioni e suddivisioni, dovremo fermarci a degli elementi primi, indivisibili o semplici, e quindi inesistenti, immateriali, spirituali (monadi).
Tali monadi, oltre ad essere inestese, sono non passive, ma attive: come è dimostrato dalla resistenza che oppongono i corpi, e che si manifesta sotto la duplice forma della resistenza come inerzia e resistenza come impenetrabilità.
Si tratta di un’attività analoga a quella dell’anima umana, perchè l’anima umana è l’unica cosa che noi conosciamo inestesa ed attiva, e quindi nella sua essenza simile alle altre monadi: percezione, o potere che la monade ha di rappresentare e pensare le cose esterne (ogni monade è uno “specchio vivo” dell’universo); e appetizione, o tendenza di passare da percezioni confuse ed oscure a percezioni chiare e distinte (appercezioni).
Concludendo: la materia e nella sua essenza una realtà inestesa ed attiva, mentre ai sensi appare come una realtà estesa e passiva.
2. LA GERARCHIA DELLE MONADI: DIO
Ogni monade differisce da tutte le altre a seconda del suo grado di perfezione, cioè a seconda del grado di chiarezza e distinzione delle sue percezioni.
Si ottiene in tal modo una gerarchia delle monadi, che dalla materia inanimata sale fino a Dio, monade suprema.
Abbiamo complessivamente tre grandi categorie di monadi:
- monadi materiali, che compongono la materia bruta, in cui la percezione è ancora confusa ed oscura, e l’appetizione è semplice forza naturale.
- monadi animali, che compongono gli animali, in cui la percezione è progredita fino a diventare memoria, e l’appetizione è diventata istinto.
- monadi razionali, consistenti nelle anime umane ed angeliche, in cui la percezione è progredita fino a diventare appercezione o coscienza di percepire, e l’appetizione e diventata volontà o coscienza di appetire.
Monade suprema è Dio, il quale, è assoluta appercezione e assoluta volontà, cioè sapienza, potenza e amore.
Dell’esistenza di Dio, Leibniz fornisce tre prove:
- prova a contingentia mundi, fondata sul principio di ragione sufficiente, il quale ci riconduce a trovare la ragione sufficiente ed ultima di tutte le cose in una sostanza non contingente e necessaria.
- prova delle essenze, fondata sul motivo che senza Dio non soltanto non ci sarebbe nulla di esistente, ma non vi sarebbe neppure nulla di possibile.
- prova ontologica (cfr. già S. Anselmo d’Aosta), fondata sul motivo che l’essenza di Dio implica l’esistenza.
Le monadi sono prodotte da Dio mediante “fulgurazioni” continue; e sono indistruttibili, perchè non vi è ragione che Dio abbia a distruggerle, quasi per un pentimento di ciò che prima ha creato.
Le monadi sono quindi immortali; e immortale è il mondo che di esse consiste.
3. LA LEGGE DI CONTINUITA’
Fondamentale nel pensiero di Leibniz è la legge di continuità, cioè la legge del rapporto che esite:
- tra le varie percezioni di una data monade;
- tra le diverse monadi dell’universo.
Secondo Leibniz in ogni monade vi è una continuità di percezione, per cui dalle percezioni oscure e confuse si passa gradatamente (attraverso gradazioni infinitesimali) alle percezioni chiare e distinte o appercezioni.
Tale trapasso è constatabile soprattutto nelle monadi razionali, ove esiste una grande quantità di percezioni, che sono come il riflesso di tutta la vita dell’universo nel suo passato e nel suo presente: tali percezioni, che Leibniz chiama piccole percezioni, agiscono su di noi a nostra insaputa (cfr. teoria moderna del subcosciente), ma da esse si vanno gradatamente sviluppando le percezioni chiare e distinte o appercezioni; come, aggiunge Leibniz, dai rumori impercettibili che fanno le singole gocce del mare risulta il rumore del mare medesimo.
Parimenti tra le varie monadi dell’universo vi è una continuità di monadi, per cui dalle monadi dotate di percezioni oscure e confuse si passa gradatamente (attraverso gradazioni infinitesimali) alle monadi dotate di percezioni chiare e distinte, cioè, come già si è visto, dalle monadi materiali alle monadi razionali e a Dio.
In tal modo Leibniz applica alla psicologia e alla monadologia quel principio di continuità che è fondamento del calcolo infinitesimale da lui stesso scoperto.
La monade e l’innatismo
Da quanto è stato fin qui detto, risulta che ogni monade ha tutto l’universo innato in se stessa: ogni monade è “senza finestre” – dice Leibniz -, cioè non può entrare o uscire da essa qualcosa ( cr. innatismo).
Ogni monade infatti è dotata di percezione o potere di rappresentare tutte le cose esterne, il che significa che in essa la rappresentazione di un oggetto particolare non suppone l’esistenza esterna di questo oggetto medesimo che impressioni la monade, ma è il prodotto di un’attività propria della monade stessa.
Parimenti l’intelletto non è una semplice tabula rasa, che deriva passivamente le sue idee dall’esperienza (cfr. Locke), ma è attività che sa trarre dalle percezioni, o idee confuse ed oscure, le appercezioni o idee chiare e distinte.
Questa dottrina Leibniz chiama appunto innatismo virtuale delle idee, e le da espressione conclusiva nella nota formula: nihil est intellectu quod prius non fuerit in sensu, nisi intellectus ipse.
La monade e l’empirismo
Ma se la monade ha tutto innato e l’intelletto contiene virtualmente le idee, le idee a loro volta derivano dalle rappresentazioni, in base alla legge di continuità: dalle percezioni o idee confuse ed oscure, attraverso gradazioni infinitesimali, si sviluppano, mediante l’attività dell’intelletto, le appercezioni o idee chiare e distinte (cfr. empirismo).
In tale modo Leibniz supera il dualismo gnoseologico cartesiano, che poneva una differenza qualitativa e un netto contrasto tra rappresentazione ed idea, e mediante, la sua legge della continuità, trova un vincolo unitivo tra l’esperienza e lo spirito.
Le verità dell’intelletto si fondano a loro volta su due grandi principi: di contraddizione e di ragione sufficiente.
Il primo governa le cosiddette verità di ragione, che hanno carattere universale e necessari, e di ci possiamo dire non solo che sono, ma perchè sono, come ad es. le verità matematiche.
Il secondo (che si potrebbe definire anche criterio del meglio) governa le cosiddette verità di fatto, che hanno carattere apparentemente contingente, come ad es. le verità della fisica; ma di cui il principio di ragione sufficiente ci rende ragione non solo del fatto che sono, ma anche del perchè sono, cioè della loro sostanziale razionalità.
In tal modo Leibniz elimina la distinzione tra verità di ragione e verità di fatto, a priori e a posteriori, dimostrando che tale distinzione è dovuta solo all’imperfezione del nostro intelletto.
Armonia prestabilita e problema del male
1. L’innatismo, proprio della monade, porta Leibniz a studiare il problema dell’armonia tra monade e monade.
Se la monade è “senza finestre”, cioè tutta chiusa in se stessa, come spiegare l’apparente influsso che una monade esercita sopra un’altra?
Così, ad es. quando la monade-anima intende muovere il braccio, le monadi dipendenti, che costituiscono il corpo, rispondono a quell’atto di volontà con il moto real e del braccio.
Il problema è risolto da Leibniz con la dottrina dell’armonia prestabilita: è Dio, monade sprema, che nell’atto della creazione ha costituito le monadi in modo tale da far corrispondere ognuna con le altre, senza bisogno d’azione reciproca tra di loro.
Leibniz, come è facile rilevare, si accosta in ciò all’occasionalismo; ma mentre l’occasionalismo ammetteva l’intervento continuo di Dio, Leibniz ritiene che questo intervento abbia avuto luogo soltanto all’atto della creazione.
2. La dottrina dell’armonia prestabilita, o – che è lo stesso – di un ordine provvidenziale del mondo, ha i suoi riflessi anche nel problema del male.
Leibniz distingue tre specie di male:
- male metafisico, che dipende dalla finitezza delle creature;
- male morale, o peccato, conseguenza del male metafisico;
- male fisico, o dolore, conseguenza del male morale.
Giustificare l’esistenza del male significa quindi trovare la ragione sufficiente del male metafisico.
Orbene. Dio, in base al principio di ragione sufficiente (principio del meglio), non può avere creato che “il migliore dei mondi possibili” (ottimismo leibniziano).
Ma la creazione di un mondo qualunque, e quindi anche di quella del migliore dei mondi possibili, non avrebbe potuto effettuarsi che alla condizione di creare degli esseri imperfetti e finiti, poichè – in caso contrario – degli esseri perfetti e infiniti si sarebbero confusi con lo stesso Creatore.
Lo stesso è da dirsi per il male morale, il quale, oltre ad essere necessario perchè conseguenza del male metafisico, è pure necessario perchè senza di esso non vi sarebbe il bene morale: infatti il peccato non è che la percezione confusa ed oscura, come il bene morale consiste nella percezione chiara e distinta, per cui il primo è condizione indispensabile per l’affermazione del secondo.
Lo stesso è a dirsi per il male fisico, il quale, oltre a essere necessario perchè conseguenza del male morale, è pure necessario perchè senza di esso non esisterebbe neppure il piacere, che consiste appunto nello sforzo per uscire dal dolore.
D’altronde, a conclusione generale, Leibniz afferma che, se il male nella sua triplice forma è necessario, esso, esistendo nel migliore dei mondi possibili, è quasi trascurabile rispetto al bene: tutto sta a badare al tutto e non alle singole parti, poichè se Dio avesse voluto impedire l’atto infame di Sesto Tarquinio avrebbe dovuto dare origine ad un mondo peggiore di questo.
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