Dalla crisi economica e sociale alla riforma dei Gracchi
L’incontro con la cultura ellenistica, determinato dall’estensione dei domini romani sulla Grecia, la Macedonia e parte dell’Asia Minore, fece sì che in Roma si formassero due correnti: quella conservatrice di Marco Porcio Catone, che predicava il ritorno agli antichi costumi e valori romani, e quella innovatrice del circolo degli Scipioni che, pur non rinnegando la tradizione latina, vedeva di buon occhio la cultura greca alla quale cercò di adattare il proprio patrimonio di conoscenze.
La classe dirigente dei senatori aveva consolidato il suo potere durante le guerre, mentre le classi medie si erano impoverite. Era poi emersa, in campo finanziario, la classe dei cavalieri (ordine equestre) che reclamava i propri diritti di fronte al senato.
La grande ricchezza che affluiva dalle regioni conquistate permise ai ricchi di comperare territori dell’ ager publicus confiscati ai vinti e appartenenti allo stato. Si diffusero il latifondo e la schiavitù (anch’essa conseguente alle guerre); molti piccoli proprietari, impoveriti, si trasferirono a Roma in cerca di miglior fortuna.
Un primo tentativo di riforma fu attuato da Tiberio Gracco, un patrizio eletto tribuno della plebe nel 133 a.C. La sua proposta di riportare in vigore la legge che vietava di possedere più di 125 ettari di terreno pubblico e di ridistribuire quindi le parti in eccesso, fu avversata dall’aristocrazia senatoria. Tiberio ripropostosi alla carica di tribuno, fu ucciso in un tumulto e i suoi seguaci condannati a morte.
Di ciò risentirono anche gli Italici, che si vedevano tolti i loro territori e che, non essendo cittadini romani, non avevano diritto alle nuove distribuzioni. Molti di loro si ribellarono ma furono puniti duramente. Nel 123 a.C. fu eletto tribuno Caio Gracco, fratello minore di Tiberio, promotore di riforme ancor più radicali. Innanzitutto cercò l’appoggio della classe equestre, facendo in modo che i cavalieri fossero in numero maggiore dei senatori nei tribunali che giudicavano i reati di concussione.
Per ottenere il favore della plebe, promosse la fondazione di nuove colonie e propose una “Lex frumentaria” che dava diritto ai cittadini meno abbienti di ricevere grano a prezzo ridotto. Eletto tribuno una seconda volta, chiese la concessione della cittadinanza agli Italici. I senatori, contrari, si servirono del tribuno Livio Druso per contrastarlo.
Druso propose riforme demagogiche (abolizione del canone d’affitto delle terre per i piccoli proprietari, fondazione di nuove colonie) che offuscarono la popolarità di Caio. In un clima di tensione e di conflitti interni, nel 121 a.C., il senato approvò il Senatus consultum ultimum, un provvedimento che conferiva ai consoli, tra cui Lucio Opimio avversario di Caio, i pieni poteri perché provvedessero alla salvezza dello stato con qualsiasi mezzo.
Caio sentendosi ormai sconfitto, si fece uccidere da uno schiavo mentre i suoi seguaci (circa 3000) furono massacrati.
Dalla Guerra giugurtina all’ascesa di Mario
Sconfitti i Gracchi, guadagnò prestigio l’oligarchia senatoria, cercando il favore dei cavalieri e quello del popolo attraverso piccole concessioni. Fra il 125 e il 118 a.C. Roma ridusse a provincia la Gallia meridionale. Poco dopo dovette intervenire in Africa, in Numidia dove Giugurta aveva massacrato Romani e Italici residenti a Cirta e aveva usurpato il trono di Aderbale, il quale aveva chiesto l’aiuto romano.
Nel 111 a.C. iniziò la guerra che si protrasse fino al 107, quando il comando fu affidato a Caio Mario, affiancato dal questore Cornelio Silla. Quest’ultimo riuscì a farsi consegnare Giugurta, che fu giustiziato. Al termine del conflitto tutti gli onori furono tributati a Mario che fu rieletto console, mentre Silla mal tollerò di non essere stato considerato. Il potere di Mario fu consolidato in seguito alla riforma dell’esercito in cui ammise anche volontari nullatenenti ai quali assegnò una paga. Con questo esercito ben addestrato e con nuove tattiche di guerra, Mario, eletto console dal 103 al 100 a.C., sconfisse i Cimbri e i Teutoni, popolazioni germaniche che insidiavano i confini settentrionali.
Nell’anno 100 a.C. il tribuno della plebe Lucio Apuleio Saturnino, affiancato dal pretore Gaio Servilio Glaucia, fece approvare una legge che assegnava ai veterani dell’esercito di Mario alcune terre della Gallia Cisalpina. Il senato, contrariato, concesse pieni poteri a Mario per liberarsi dei due politici. Egli li fece uccidere e ciò irritò il partito dei popolari. Mario lasciò la vita politica e si recò in Asia.
Dalla Guerra sociale alla dittatura di Silla
Il partito degli ottimati governò da allora incontrastato per una decina d’anni. Nel 91 a.C. ottenne il tribunato Livio Druso (figlio del precedente). Le sue proposte (promozione di alcuni cavalieri a senatori e concessione della cittadinanza agli Italici provocarono l’ostilità del senato che lo fece uccidere. Dopo questo fatto i soci (da cui il nome Guerra sociale) Italici si ribellarono per ottenere l’indipendenza da Roma.
Molte popolazioni, guidate dai Marsi e dai Sanniti, crearono uno stato federale italico con capitale Corfinio (che fu detta Italica). I Romani richiamarono Mario per combattere contro i Marsi, mentre le altre operazioni furono condotte da Pompeo Strabone e Cornelio Silla, eletto console nell’88 a.C. Quando Roma decise di concedere la cittadinanza a coloro che non si erano ribellati o avessero deposto le armi, la lotta si affievolì ma l’esercito romano piegò definitivamente la resistenza dei Sanniti solo nell’80 a.C.
Nel frattempo, il re del Ponto Mitridate si preparava a guidare alla ribellione tutti gli stati greci e asiatici soggetti a Roma. Il senato decise di inviare in Asia Silla. Nello stesso tempo, il tribuno Sulpicio Rufo, che proponeva di dividere gli Italici nelle 35 tribù già esistenti e non di crearne delle nuove, fece votare questa proposta, insieme a quella di mandare Mario in Asia, da senatori e cavalieri, i quali, non gradendo Silla, le approvarono entrambe. Silla, contrariato, dopo aver sconfitto i seguaci di Mario (che fuggì), marciò su Roma impadronendosene.
Nell’87 a.C. ottenne di nuovo il comando delle truppe dirette in Oriente. In Grecia saccheggiò ed espugnò Atene alleata di Mitridate. Mario, aiutato dal console Lucio Cornelio Cinna, a capo di un esercito entrò in Roma massacrando i nemici del partito popolare. Un anno dopo, nell’86 a.C. morì. Silla, in Asia, vinse Mitridate e, nell’83 a.C., tornò in Italia.
Con l’aiuto di Gneo Pompeo, combatté i seguaci di Mario e gli Italici, sconfiggendoli entrambi. Si fece quindi nominare dittatore e iniziò una serie di feroci repressioni a danno di tutti gli avversari. Confiscò diverse terre che andarono ai suoi soldati e si arricchì a spese dei perseguitati. In politica interna restaurò il potere del senato, limitò quello dei tribuni e dei cavalieri. Infine nella sorpresa generale, abdicò alla dittatura e si ritirò.
La fine della Repubblica: il primo e il secondo Triumvirato
Dopo la morte di Silla, Pompeo, Crasso e Cesare si unirono (primo Triumvirato) ripartendosi le cariche e opponendosi all’oligarchia senatoria. Morto Crasso, si trovarono di fronte Cesare e Pompeo.
Cesare entrò in Roma con l’esercito e Pompeo fuggi in Epiro. Lo scontro di Farsalo, in Tessaglia, portò Cesare alla vittoria, al trionfale rientro in Italia e al dominio incontrastato. Alla morte di Cesare (ucciso dai repubblicani Bruto e Cassio) si contesero il potere, inizialmente alleati con Lepido (secondo Triumvirato), Antonio e Ottaviano.
Con la vittoria di Ottaviano su Antonio ad Azio, sotto molti aspetti si tirarono le fila della intricata vicenda tardo repubblicana. All’inevitabile sbocco autoritario sul piano del governo corrispose un tentativo di restaurazione morale e religiosa che mirava a presentare all’opinione pubblica tradizionalista il nuovo ordine in termini di continuità con il vecchio.
L’ascesa di Pompeo
Il giovane Gneo Pompeo, già ufficiale di Silla, si mise in evidenza attraverso tre imprese. Nel 77 a.C. ebbe ragione di Marco Emilio Lepido che nell’Etruria e nella Cisalpina, aveva tentato di abolire la costituzione sillana. In Spagna nel 72 a.C., domò l’insurrezione dei Lusitani guidata da Quinto Sertorio. In Italia, pose fine a una rivolta di schiavi guidata dal trace Spartaco nel 73 a.C., e già affrontata dal generale Marco Licinio Crasso. Insieme a Pompeo e Crasso questo fu eletto console nel 70 a.C.; allo scopo di diminuire l’attività del senato, i due restituirono l’autorità ai tribuni e il controllo dei processi ai cavalieri.
Un altro uomo stava emergendo, Marco Tullio Cicerone, I’oratore che era riuscito a far condannare, per le molte ruberie, Verre, ex governatore della Sicilia. Nel 67 a.C. Pompeo, al comando di una potente flotta vinse i pirati che spadroneggiavano nel Mediterraneo.
Nel 66 a.C. Mitridate, il re del Ponto, tentò una nuova offensiva contro Roma. Pompeo fu mandato in Oriente e, dopo il suicidio del re, conquistò la regione, fece della Siria e della Giudea due provincie romane e sottomise l’Armenia e la Bitinia.
Il primo Triumvirato
Nel frattempo a Roma il partito dei popolari appoggiava Caio Giulio Cesare, un aristocratico simpatizzante di Mario. Un altro personaggio raccoglieva seguaci, promettendo l’allargamento della cittadinanza, la cancellazione dei debiti e la distribuzione di nuove terre, il sillano Lucio Sergio Catilina.
Sconfitto da Cicerone nell’ascesa al consolato nel 63 a.C., ordì una congiura. Cicerone lo smascherò in una seduta senatoria (le famose 4 orazioni Catilinarie), costringendolo a fuggire in Etruria dove poco dopo fu sconfitto e ucciso in battaglia.
Rientrato dall’Oriente, Pompeo sciolse l’esercito e rinunciò a instaurare una dittatura, contestato dal senato per l’ordinamento dato all’Asia, si alleò con Cesare e Crasso formando il primo Triumvirato.
La conquista della Gallia
Il carattere di questo accordo fu soltanto privato, non istituzionale. Cesare ottenne il consolato nel 59 a.C. e fece approvare la distribuzione di terre ai veterani di Pompeo.
L’anno dopo ottenne il governo della Gallia Cisalpina e Narbonese. Arrivato in Gallia nel 58 a.C., costrinse gli Elvezi a rinunciare alla Gallia Narbonese e il principe germanico Ariovisto al protettorato sugli Edui. Sconfitti anche Belgi e Aquitani (57 a.C.), riorganizzò l’intera Gallia in una nuova provincia.
Nel convegno di Lucca del 56 a.C. Cesare ottenne il comando in Gallia per un altro quinquennio, mentre Pompeo e Crasso ebbero nuovamente il consolato. Nel 53 a.C. Crasso morì in battaglia contro i Parti, che sbaragliarono l’esercito romano a Cana, in Siria. Pompeo e Cesare rimasero soli. Cesare si preparò alla conquista della Britannia, ma fu costretto a rientrare in Gallia per sedare la rivolta di Vercingetorige, re degli Arverni. Vintolo nel 52 a.C., riuscì a pacificare l’intera Gallia (50 a.C.).
A Roma continuava la lotta tra popolari e conservatori. Il tribuno Publio Clodio, seguace di Cesare, fece esiliare Cicerone il quale fu richiamato da Pompeo. Scoppiarono tumulti e il senato incaricò Pompeo di riportare l’ordine. Egli si fece così eleggere unico console nel 51 a.C.
La guerra civile e la morte di Cesare
Cesare rimase in Gallia fino al 49 a.C., quando il senato inviò un ultimatum con l’imposizione di abbandonare la provincia. Varcato il Rubicone (il fiume che divideva la Cisalpina dall’Italia), Cesare marciò verso Roma.
Era l’inizio della guerra civile. Pompeo, con il senato, fuggì in Oriente cercando di organizzare l’esercito. Lo scontro decisivo avvenne a Farsalo in Tessaglia (48 a.C.). Cesare ebbe la meglio: Pompeo si rifugiò in Egitto presso Tolomeo XIV, il quale, per ottenere i favore di Cesare, lo fece uccidere a tradimento.
Giunto in Egitto, Cesare affidò il trono a Cleopatra, sorella di Tolomeo della quale era divenuto l’amante. Nel 47 a.C. sconfisse Farnace figlio di Mitridate in Africa e in Spagna vinse definitivamente la resistenza dei pompeiani (46-45 a.C.).
Tornato a Roma, ormai senza rivali, si dedicò a una serie di riforme economiche e sociali. Console dal 48 a.C. in poi, nel 46 fu nominato dittatore per dieci anni e, all’inizio del 44, dittatore a vita. Tale somma di poteri provocò il risentimento di uomini del suo partito. Alle Idi di marzo (il 15) del 44 a.C., durante una riunione del senato, fu ucciso in una congiura dai repubblicani Bruto e Cassio.
Esordio e ascesa di Ottaviano
La successione a Cesare fu contesa da Antonio, generale di Cesare, e Ottaviano, un giovane adottato da Cesare col nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano.
Dapprima Ottaviano cercò di affrontare il rivale ma, accortosi dell’opposizione del senato, fattosi nominare console, si alleò con lui. Nell’accordo entrò anche un altro generale, Marco Emilio Lepido. Fu così formato il secondo Triumvirato che ebbe il compito di elaborare una nuova costituzione. Tutti i rivali di Cesare entrarono nelle liste di proscrizione; vittime illustri furono Cicerone, Bruto e Cassio.
I tre triumviri si spartirono l’Impero: Antonio ebbe la Gallia e l’Oriente, Lepido l’Africa e Ottaviano, pur restando in Italia, la Spagna. In seguito allo scontro tra Ottaviano e i seguaci di Antonio rimasti in Italia, fu stretto un nuovo accordo a Brindisi nel 40 a.C., secondo il quale Antonio rinunciava alla Gallia. Lepido, che aveva aiutato Ottaviano a togliere a Sesto Pompeo (figlio di Gneo) la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, pretese per sé la Sicilia. Ottaviano, contrariato, gli tolse l’Africa e lo espulse dal Triumvirato lasciandogli soltanto la carica di Pontefice Massimo.
Ottaviano e Antonio
Ottaviano divenne il padrone dell’Occidente e Antonio dell’Oriente. Nel 37 a.C. Antonio sposò Cleopatra, dimenticando il legame con Ottavia, sorella di Ottaviano. Iniziò inoltre a farsi adorare come un dio, secondo il modello orientale.
Ciò indignava Ottaviano, difensore degli austeri valori romani, il quale, rinfacciando al rivale gli insuccessi contro i Parti, indusse il senato a privare Antonio della sua carica e a dichiarare guerra all’Egitto.
Lo scontro decisivo avvenne ad Azio, davanti alle coste dell’Epiro, nel 31 a.C. Il generale Agrippa (distintosi nella guerra contro Sesto Pompeo), al comando delle legioni di Roma, ottenne una grande vittoria, costringendo Antonio e Cleopatra alla fuga ad Alessandria. I due si uccisero alcuni mesi dopo, quando seppero dell’arrivo delle truppe di Ottaviano.
L’Egitto divenne una provincia romana e Ottaviano, rientrato a Roma nel 29 a.C., fu accolto da grande trionfatore.
Tra Repubblica e Impero: il Principato di Augusto
L’ultimo secolo della Repubblica, percorso da conflitti civili e instabilità politica, aveva messo in evidenza l’inadeguatezza del sistema di governo romano.
Tutti sentivano il bisogno di una pacificazione. La classe dirigente non ammetteva la cancellazione delle istituzioni e considerava la monarchia assoluta come una negazione della libertà.
Ottaviano comprese questa situazione: il suo potere, ottenuto tramite il cumulo di diverse magistrature, con prerogative giuridicamente definite, fu incentrato sul rispetto formale delle tradizioni istituzionali repubblicane e non trasmissibile ereditariamente.
La solidità del governo di Augusto (titolo ottenuto dal senato) fu determinata dalla larga adesione del popolo al suo programma e dal senso di riconoscenza per l’instaurazione della pace.
Augusto e i suoi più stretti collaboratori si impegnarono in una capillare attività ideologico-propagandistica, di cui furono cardini la pace civile (Pax Augusta), il recupero e il rinnovamento della storia gloriosa di Roma, il nuovo ordine morale e la ripresa della religione tradizionale, messaggi diffusi soprattutto da letterati e artisti protetti da Augusto stesso.
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